Copertina
Autore Pietro Montalenti
Titolo Diario di bordo
SottotitoloIn banca a vela dal Danubio al Mediterraneo alla scoperta della Nuova Europa
EdizioneL'Ambaradan, Torino, 2005, L'Approdo , pag. 280, ill., cop.fle., dim. 140x210x20 mm , Isbn 978-88-89257-11-1
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe viaggi , mare , paesi: Austria
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Indice

Ringraziamenti                                7

Il Capitano                                   9

Prima tappa                                  37
da Vienna a Belgrado

Seconda tappa                                85
da Belgrado a Istanbul

Terza tappa                                 137
da Istanbul a Kushadasi

Quarta tappa                                175
da Kushadasi a Patrasso

Quinta tappa                                208
da Patrasso a Pantelleria

Sesta tappa                                 234
da Pantelleria a Salina

Ultima tappa                                259
da Salina a Talamone

Postfazione di Dada Rosso                   273
Tutto il corso del Danubio spinti dal vento

Piccola bibliografia del nauta              278

 

 

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Pagina 9

Il Capitano



1. Non per caso, per necessità

Da tempo sentivo impellente la "necessità" di fare un viaggio di riflessione su e attraverso l'Europa.

L'Europa che per oltre sessant'anni avevo vissuto in modo caotico e frettoloso, cercando di incastrare i pezzi del puzzle delle informazioni e delle conoscenze che mi derivavano dal nozionismo scolastico, dalle esperienze di lavoro, dalle impressioni altrui, da letture, discussioni politiche e altro, senza mai riuscire a vederla interamente. E sempre più diventava urgente il bisogno di farlo.

Ma l'organizzazione di un'avventura capace di soddisfare un'esigenza così specifica e complessa non poteva essere una cosa banale, tanto più che questa civiltà — ricca e organizzata —, all'inizio di un terzo millennio denso di movimenti di merci e di persone, ha stranamente cancellato i viaggi.

Apparentemente oggi "viaggiano" (cioè si muovono e vivono a fondo contesti ed esperienze nuove, cioè diverse da quelle abituali) quasi solo gli emigranti e i clandestini.

Spostarsi per lavoro infatti non è vero viaggiare: si dice "andare in trasferta", protetti come si è dall'organizzazione aziendale che massimizza l'efficienza evitando contatti e inutili perdite di tempo. Neppure "andare in vacanza", durante la parentesi usualmente spezzettata che offre il periodo delle ferie, è viaggiare; né andare "a trovare un parente", o fare del "turismo", né acquistare un "pacchetto tutto compreso".

L'esperienza del viaggio nel senso completo del termine non interessa le agenzie "di viaggio", perché comporta un'organizzazione e dei rischi troppo onerosi, in un mercato dove meta e percorso diventano secondari rispetto ai parametri commerciali: sconti, pacchetti programmati, ricchezza di optional ecc.

[...]

Sotto la scorta di questi assunti è stato costruito un progetto di esplorazione di taglio ottocentesco, con un ritorno alla ricerca di emozioni fisiche, contrapposte a quelle troppo virtuali dei giorni che corrono, ma con l'intenzione di soddisfare anche le necessità metafisiche dello scoprire, del ricercare, del conoscere in prima persona. Il tutto calibrato sul vissuto personale di un gruppo di nautae già adusi a tracciare rotte: per mare, per terra (sui fiumi), oltre che, metaforicamente, attraverso la storia, la scienza e le persone.

La navigazione, anche quella che avviene "per terra" – per fiumi e per canali – accentua le emozioni del viaggio. Perché gli spostamenti sull'elemento fluido potenziano le sensazioni di distacco dal punto di partenza e rendono più evidenti le successive emozioni di "atterraggio", quando si approda in ambienti non protetti, diversi da quelli lasciati, con cambiamenti di interlocutore, di lingua, di costumi sociali, di clima, di sistemi politico-religiosi.

E deve essere emozionante navigare attraverso l'Europa, per terre geograficamente e spiritualmente vicine, ma con molte cose da scoprire: Mitteleuropa, Nuovaeuropa, Anticaeuropa e Oriente, Vallo di Traiano, Impero Romano d'Oriente, vestigia di teatri e templi greci, porti, strade e acquedotti, città megalitiche, il percorso degli Evangelisti, città sommerse, vulcani in eruzione, Istanbul, Atene, isole mediterranee..., tutto il nostro brodo primordiale, tutta la nostra storia a portata di mano e mai percorsa in un unicum. Anche alla ricerca di conferme, di ragioni di vita, di argomentazioni comuni sull'Europa, sulla globalizzazione, sulla vecchiaia e sui prepensionamenti, sull'emigrazione, sul Cristianesimo, sull'Islam e sulla cultura laica, così come sono stati vissuti dalla nostra generazione e come tornano impellenti alla luce degli eventi contemporanei. In modo non troppo serioso, per non impedire il confronto forse ingenuo e incompleto, ma "on-line" sulle visioni della vita e sulle esperienze immediate vissute giorno per giorno, forse sulla scia dei "tre uomini in barca", o forse anche del "fascino discreto della borghesia", comunque con la voglia di fare un ripasso delle esperienze più importanti, in termini personali e in relazione al mondo esterno.

Un viaggio per necessità, non per caso, capace di armonizzare le storie e le esperienze di un gruppo di amici, quasi tutti tra i sessanta e gli ottanta passati, alcuni pensionati (o prepensionati in omaggio all'esigenza del terzo millennio), di professioni miste: i (le) professori (-esse), i medici, gli scienziati, gli economisti, la rappresentante delle Comunità Italiane all'Estero, qualche ingegnere, l'operaio imprenditore, gli architetti, qualche bravo giovane studioso disposto a viaggiare con i senior.

Un viaggio anche tra le persone che lo hanno reso possibile: intergenerazionale e interprofessionale.

Ho chiesto a ciascuno dei compagni di viaggio di scrivere qualcosa di sé, della propria vita, delle esperienze che lo hanno portato a salire sulla Palinuro '63 per completare il diario anche con la percezione dell'atmosfera che regna a bordo.

Le variegate testimonianze dei nautae – scritte sicuramente con gli stili più diversi e proprio per questo più personali e peculiari – rappresentano quasi un secolo di Storia densa di eventi, emigrazioni, guerre, scoperte scientifiche e rivoluzioni sociali, e penso che completeranno bene la descrizione dei luoghi visitati. La raccolta dei curricula e delle riflessioni dei naviganti sottolinea anche l'interesse di tutti per le esplorazioni all'interno delle vicissitudini e dei rapporti interpersonali, e di come questo viaggio sia anche un Viaggio dentro noi stessi.

Difficilmente le cose straordinarie nascono in modo lineare ed elegante. E anche questo viaggio necessario è nato in modo più contorto, viscerale e disordinato di quanto non appaia dai ragionamenti che precedono.

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Pagina 56

7 aprile

Nessuno dorme più, e sono solo le 5:45. Un'occhiata dalla finestra per spiare il fiume. Colazione e poi al Marina "Wien" per vedere se la barca è finalmente arrivata. Sì c'è! Il mondo comincia a sorridere.

Nessun problema a calarla in acqua. Il motore parte. Le batterie sono cariche. Arrivano da Milano Betta e Cristina, che ci faranno compagnia per qualche giorno. Come Comandante, ho il privilegio di poter ricevere qualche visita dei familiari che non hanno potuto partecipare al viaggio per impegni di studio e di lavoro. È un piccolo palliativo, avrei infatti preferito condividere tutta quest'esperienza con loro, ma non si è potuto fare altrimenti. Tutti insieme si prepara la barca per la navigazione. Qualche danno viene fatto nel sistemare l'albero, ma si tratta di sciocchezze. Poi un bel pranzo di addio a Vienna nel ristorante del marina.

Sono le 14:40, vengono sciolti i fatidici ormeggi. Il fiume è bello anche se il tempo è un po' grigio. Si alternano momenti di freddo deciso ad altri di fresco sopportabile. Tepore e freddo seguono le anse del fiume, a ogni svolta uno sbalzo di 7-8 gradi. La corrente, come previsto, è fortissima: col motore a 1800 giri si viaggia a 12 nodi. E così il paesaggio precipita. In un batter d'occhio siamo alla chiusa di Freudenau, una costruzione impressionante: sulla sinistra una lunga diga, a destra le paratie e in alto una specie di torre di controllo, come negli aeroporti. Si chiama il guardiano sul canale 18, seguendo le istruzioni del manuale. Miracolo, risponde, ma non parla inglese, continua a dire: «Links, links, links...» Imbocchiamo la chiusa sinistra, è quella giusta, la paratia dietro di noi si chiude e, quasi prima di rendercene conto, incominciamo a scendere: uno, due, tre ... sette metri e mezzo. Poi si apre la porta davanti e siamo di nuovo sul fiume.

Si passa per Lobau, Mannsworth, Fischamend. Sulle sponde piuttosto selvatiche, costeggiate da una pista ciclabile, sorgono piccole case di pescatori, dotate di complessi strumenti per tirare le reti. Sono tutte costruite su palafitte, il fiume ogni tanto morde chi sta troppo in basso! Incrociamo chiatte e barconi turistici battenti bandiere diverse: russa, rumena, slovacca, serba, ucraina... Ci avviciniamo rapidamente ad Hainburg, graziosissimo paesino dove dobbiamo fermarci al posto di polizia austriaca per i passaporti. Si chiama per radio, canale 16, cortesi ci rispondono in inglese, loro ci aspetteranno, ma intanto alle 18, cioè di lì a pochi minuti, il posto di dogana slovacco chiude. Consigliano di proseguire fino alla dogana di Bratislava, che è sempre aperta.

Lungo il tragitto si intravede il bel Castello di Devin, diroccato, di pietra, detto anche "la porta dell'Ungheria", in memoria di uno degli innumerevoli cambi della linea di frontiera. Subito al di sotto hanno costruito un orrendo edificio pubblico giallo canarino, stile anni Cinquanta-Sessanta, quello che ospita la dogana, che adesso è chiusa, appunto.

Cambiare bandiera! A prua sale la bandiera slovacca.

E così si va con la corrente, finché, all'ennesima ansa, appare Bratislava in una bella luce di sole al tramonto, la sua vista ci apre il cuore. Tutti pronti a non mancare la dogana, un pontone al Km 1868, poco dopo il "Ponte vecchio". Ci prepariamo... la corrente accelera... ora è fortissima, forse 8-10 nodi. Fernando a prua si sbraccia col mezzo marinaio cercando di assicurare una presa, mentre, contro corrente, a tutto motore, cerchiamo di abbordare il pontone della polizia. Non si fa a tempo a urlargli «Attento!» che perde l'attrezzo, non prima di aver rischiato di finire in acqua. Trascinati via dalla forza del fiume, si perde così la seconda dogana.

Intanto si è fatto tardi, è quasi sera. Occorre assolutamente trovare l'ormeggio dello Yacht Club, altrimenti passeremo la notte in balia del Danubio: se ci attende un pontone come quello della dogana siamo messi male.

Oltrepassata come una saetta la zona industriale di Bratislava, superiamo col buio incipiente vari porti commerciali e cantieri di riparazione navale e scorgiamo infine quello che non può che essere l'imbocco dello Yacht Club. Per fortuna è sistemato in un braccio morto del fiume dove entriamo, controcorrente come d'obbligo, dopo aver evitato diverse file di tronchi a pelo d'acqua.

Ci sono vari modi di concepire uno Yacht Club: in questo, situato in un'ansa del fiume, stazionano alcune chiatte ferruginose, insieme con strane case galleggianti. La più bella ha di fronte un pontile ricoperto da una moquette di plastica verde, similprato. Poiché è tardi e siamo fuori stagione non si vede nessuno. Gridiamo a piena voce finché appaiono a riva tre personaggi: Dodo, Elli e un grosso cane. Ci rincorrono indicandoci un pontile (?) con bandiere strappate e panchine rotte, e propongono subito una cena di pesce al Club. «Sì, certo! Siamo molto affamati.»

In una lunga chiatta che funge da ristorante, che richiama gli ambienti cari a Kusturica, viene servita un'ottima cena a base di carpe, storioni e luccio. La sede del Club è ben riscaldata. Siamo gli unici clienti.

Solo più tardi dal buio pesto si materializza Igor, professore di tecnologie meccaniche in un istituto tecnico, socio del Club e proprietario di una barca (anno 1931). È simpatico, fornisce ottime indicazioni per le tappe "oltreungheria": «Non fidarsi dei rumeni», «Preferire i bulgari», «Per viaggiare sicuri cercare una nave ucraina e seguirla senza mollarla», «Per la polizia rumena sigarette e liquori, da lasciare sul tavolo come per caso». In un momento di entusiasmo e dopo le necessarie bevute Elli - quarantacinquenne prosperosa infermiera in un manicomio e moglie di Dodo - ne vanta la vitalità prorompente. «Ottantasettenne è ancora validissimo... in ogni occasione.» Dodo gongola.

Sono le 22 quando, sazi di tutto, ci ritiriamo in barca. Abbiamo preso a prestito una stufetta elettrica poiché il famoso riscaldamento fa cilecca.

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Pagina 79

Riflessioni sulla vecchiaia e sui pensionati

«Abbiamo capito perché siamo qui?»

«Perché siamo quasi tutti pensionati e i viaggi per fiume ci si addicono: abbiamo bisogno di lentezza, di riflessione, i nostri neuroni non si creano più, e nemmeno le sinapsi. Ci tocca riciclarci, come l'acqua del Danubio e del Reno che sono utilizzate venti volte prima di finire in mare. Si conserva, soprattutto, e l'apporto del nuovo è molto piccolo.»

«Siamo qui perché questo fiume è la storia dell'Europa, del primo e del secondo millennio dopo Cristo, e ne stratifica e conserva le memorie.»

«Vedi, il mare è diverso, a 100 metri dalla costa ti distacchi dal mondo ed entri nell'emozione dell'inesplorato e del nuovo, il fiume invece fluisce, evoca un viaggiare misterioso e interiore, che si rinnova, ma che non innova.»

«Bah, letteratura!»

«Guarda che è vero: le stesse emozioni le ho provate risalendo il Guadalquivir verso Siviglia.»

«E anche navigando per il Napo, verso il Rio delle Amazzoni, o sul Gange, o sul Nilo.»

«Il mare è da esploratori, da navigatori; il fiume è da guardoni, se vuoi è perfino un po' sconcio: attraversi paesi e genti e tu li guardi da dentro senza che nessuno se ne accorga.»

«Anche nei viaggi su terra entri nei paesaggi, nelle città e nelle campagne e vedi la gente.»

«Ma nei viaggi per terra sei nel mondo che attraversi: sei visto e percepito, intasi il traffico con la tua automobile, ti dibatti e ti mescoli con la gente.»

«E pensare che molti hanno il terrore della pensione e vivono l'uscita dal lavoro come una dannazione.»

«Mica tutti possono permettersi di andare a spasso per quattro mesi.»

«Non è solo questo. Mio padre, che se lo sarebbe potuto permettere, invece è mancato a 87 anni lasciandoci tutti i suoi risparmi, e fino all'ultimo se qualcuno gli chiedeva che cosa facesse rispondeva: "Sono momentaneamente disoccupato".»

«L'esperienza che stiamo facendo è adatta a discutere la nostra condizione di senior, ormai fuori dalla navigazione di altomare, interessati a muoverci per queste acque interne che, con le loro giravolte, ricordano la nostra posizione di pensionati outsider.»

«Non mi sento affatto né pensionato, né outsider.»

«Io pensionato non lo sono neppure.»

«Sta di fatto che siamo fuori dal giro, perché ormai non abbiamo abbastanza aggressività, né voglia di competizione!»

«E l'esperienza dove la metti? Me li mangio in insalata questi rampanti aggressivi di nuova generazione!»

«Io sono dispiaciuto di essere stato prepensionato, ma capisco la logica del sistema che mi ha sbattuto fuori: ho sessant'anni, esperienza, e il "sistema" mi aveva concesso un ottimo stipendio. Ancora adesso potrei prender la maggior parte delle decisioni con l'aiuto del déjà vu, senza neanche troppi sforzi, e non avrei neppure bisogno di correre rischi, né personali né aziendali, sbagliando le scelte come capita ai più giovani, perché ne ho già viste di tutti i colori!»

«Già, è proprio per queste ragioni che sei stato cacciato: gli organismi non possono sopravvivere e prosperare sotto la direzione di chi ha già visto tutto e non è più interessato a far cambiamenti. Avrai forse anche avuto un costo eccessivo, e non più alcuna voglia di metterti in gioco, di rinnovarti. Il prepensionamento forzato è individualmente ingiusto, ma soluzioni diverse e meno darwiniane sono ancora da venire.»

«Del resto mi ricordo che quand'ero giovane pensavo che ai quaranta la gioventù fosse passata e dai cinquanta si fosse già vecchi. Siamo sicuri che l'allungamento della vita abbia anche spostato l'età mentale?»

«Rupe Tarpea, ci vuole la rupe Tarpea!»

«È troppo comodo, passi una vita lavorando come un cane, sfruttato da un'azienda, da una società, e poi ti buttano via.»

«Ma non puoi neppure imporre al mondo la tua presenza facendo da tappo alle nuove leve, come fanno i baroni universitari, che da noi hanno affossato la ricerca e la voglia di nuovo dei giovani ricercatori.»

«Come in tutte le cose ci vorrebbe un modello di riferimento, qualcosa che si adattasse meglio a questa civiltà invecchiata. I produttori televisivi l'hanno capito e ci sono più telefilm sulla terza età che sugli amorazzi giovanili.»

«Secondo me la strada potrebbe essere quella di una istituzionalizzazione dei servizi socialmente utili, da far diventare obbligatori a tutti i prepensionati, una sorta di servizio civile della terza età.»

«Va comunque evitata la criminalizzazione dello stato di pensionato, non passa giorno senza che qualcuno ti dica: "Ma come, non lavori più?... Uno come te!"»

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Pagina 171

Considerazioni di Marcello sulla terza tappa (alla fine del viaggio)

Il viaggio della Palinuro '63 è oramai diventato quasi mitico. Ha visto un Capitano e molte ciurme – accomunate da legami diversi – viaggiare per fiumi e per mari. Il Capitano, bilioso di suo, è stato coraggioso, non tanto per le difficoltà di navigazione (da non sottovalutare), ma per le fatiche quotidiane nel controllare e gestire il rapporto con gli equipaggi.

Difficili (quasi eroiche) le tappe del freddo Danubio e quella della lunga traversata a Malta, supportate da baldi giovani bene addestrati.

La nostra tappa – la terza: da Istanbul a Kushadasi – è stata caratterizzata sopratutto dall'impronta dell'esplorazione personale e storica. Noi partecipanti siamo amici da lunga data e di età poco dissimili, con un mare che è stato forte mediatore di pensieri e ragionamenti.

Cosa si può estrarre dall'esperienza semplice di un viaggio in vela di quattro attempati italici e di una più giovane signora, tutti con un buon carico di esperienze sul gobbo?

Si rischiano di confondere le piccole esperienze personali con i problemi esistenziali universali. Si ricordano le chiacchierate sulla barca e fra le rovine dei templi greci come chiarificatrici di importanti visioni, mentre forse erano solo il pensar a voce alta di vivenze del tempo che passa sempre più in fretta e non concede abbastanza opportunità per addentrarsi nei grandi problemi esistenziali dell'umanità.

Ma qualche fiamma mi pare emergesse ancora nelle discussioni. Si rifletteva sostanzialmente sul problema del buon senso e del suo contrasto con la complessità.

Sì, perché a bordo le previsioni meteorologiche si fanno guardando il cielo e confrontando le osservazioni banali con le "previsioni" che arrivano dai più sofisticati sistemi di calcolo computerizzato della meteorologia europea. Chi potrebbe dubitare dell'utilità della scienza meteorologica, con tutto il suo bagaglio di modelli matematici e fisici da far girar la testa?

Eppure tentativi simili in altri campi – ne discutemmo a lungo e infuocatamente con l'amico Daniele, che se ne occupa in prima persona, e ci parlava dei nuovi modelli complessi del traffico e dello sviluppo del contesto urbano – sembrano aver finora avuto un successo minore.

E qui si scontrarono le teste dei marinai: Daniele, da buon fisico teorico – con la libertà assoluta delle ristrettezze della Fisica –, produce esempi a iosa di cosa si possa fare sviluppando modelli matematici con un occhio alla "complessità". Pietro si ribella all'idea stessa di leggere il futuro in questo modo e ci fa notare, con il suo ghigno un po' satanico ma in fondo sempre buono, che stiamo veleggiando con vento e sole mentre secondo le previsioni dei meteorologi dovremmo essere in panne e sotto una pioggia torrenziale!

Ciapa lì in barba alla meteorologia!

Marcello, scienziato neurologo al quale piacerebbe poter fare modelli matematici del mondo complesso, difende Daniele, ma rimane colpito dalla determinazione di Pietro di non farsi trascinare in voli pindarici eccessivi, perché è conscio di come molta scienza sia basata su sistemi teorici che portano inevitabilmente a spingere agli estremi la ricerca della lettura del futuro. E Marcello è sicuro fino in fondo che questa sia la strada della scienza. Ma Pietro non si lascia convincere, anzi si arrabbia all'idea che tanti cervelli sperperino tempo e soldi per vendere aria fritta. L'impasse è totale. Neppure il buon senso di Massimo e di Daniela aprono uno spiraglio di comunicazione fra il pragmatismo e la teoria. Neppure anni di linguaggio comune fra amici permette una mediazione fra due mondi così separati. Forse le nostre vite ci hanno portato a formae mentis contrapposte perché sono state così diverse? Forse la gran pratica di Pietro nel navigare nel mondo dell'industria che deve produrre cose che funzionano, lo avrà vaccinato contro ogni illusione di chiarezza teorica? Forse Daniele e Marcello, avvezzi a occuparsi di cose che non hanno bisogno di essere "vendute" per essere valide nel loro mondo, si sono abituati a produrre idee rischiose senza conseguenze apparenti? Forse l'uno, il nostro Capitano, ha i piedi troppo per terra (anche sulla barca), e gli altri viaggiano invece nella proverbiale stratosfera?

Il tutto viene condito da manicaretti e cibi di culture e memorie storiche che ci lasciano estasiati. La visita di Assos, un piccolo paese della Grecia antica di soli 700 abitanti, ancora vivo ai giorni nostri con le sue stratificazioni storiche, con un teatro greco all'aperto affacciato sulla dimora di Aristotele, colpisce tutti.

Abbiamo immaginato, ragionando ad alta voce, come sarebbero oggi New York o Roma se fossero state sviluppate con gli stessi criteri di vita!

Oppure, seduti su una colonna dorica a Efeso, riparandoci dal sole cocente, ci siamo trovati a pensare a come si potessero creare concetti così astratti come la Fisica, la Filosofia, la Matematica ecc. in un villaggio di poche migliaia di persone, dotato di una biblioteca degna di un'università moderna che raccoglieva e concentrava tutto il sapere dell'epoca.

Eppure, come ragionava la ciurma della Palinuro lasciando le rovine di Efeso, anche tutta quella civiltà venne a finire. Un senso di sgomento assieme a un senso di pace si faceva strada nella nostra memoria collettiva.

Eccoci al termine di un percorso che altri avrebbero proseguito, con Pietro a guidare nuovi equipaggi in nuove avventure.

Lo sfondo del viaggio, mentre imperversava la discussione del prammatico contro il teorico, era costituito dal contatto con una Turchia fra l'antico e il moderno, fra il laico e il mussulmano, fra la repressione e la libertà. Fra il moderno delle ragazzine turche — apparentemente liberate da secoli di oppressione culturale e forse illuse che il loro mondo una volta adulte possa continuare a essere altrettanto libero — e l'antico — rievocato dai muezzin dall'alto dei minareti e dai pensieri cupi e preoccupati di intellettuali e persone di valore, facenti parte della struttura portante della Turchia laica così fortemente voluta da Ataturk, con volontà militarista. Gente di stato e di cultura, incontrata nel nostro peregrinare, che è apparsa tetra e pessimista sul futuro della Turchia laica a loro cara. L'onda di religiosità mussulmana è in crescita e potrebbe lasciar in rovina la Turchia modernizzante, così come il Cristianesimo seppellì sia la cultura di Roma sia della Grecia.

Mah! Erano queste solo digressioni viste da una prospettiva di vegliardi? Non saremo noi a dirlo. Anche un breve viaggio in barca può far emergere in piccole persone i grandi problemi della vita. Un viaggio in barca è come un viaggio nel tempo e nello spazio fuori dal pianeta Terra. Forse tutti dovrebbero farne uno. Ma certamente non tutti potrebbero farne uno con Pietro. Noi della ciurma di Istanbul abbiamo cantato le lodi del Capitano: ci ha dato la possibilità di uscire dal nostro mondo e di esplorarne uno più vasto. Un mondo forse nascosto tutto dentro di noi.

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Pagina 200

6 giugno

I porti delle isole greche sembrano fatti apposta per far entrare la tipica risacca modulo sette-due.

A partire dallo stato di quiescenza arrivano sette onde che imprimono altrettante oscillazioni di rollio di ampiezza crescente. Raggiunta l'oscillazione massima entra una forte onda di risacca che, in congiungimento con la massima tensione delle cime di ormeggio, genera due strappi secchi che bloccano di colpo il rollio, facendo rotolare dalla cuccetta chi si fa cogliere impreparato. Ho rilevato che il periodo del sette-due, per il nostro Sun Odyssey 37, è di 83 secondi e che l'esercizio che costringe a fare per mantenere l'equilibrio durante il sonno sviluppa tutta la muscolatura della schiena.

La mattina, a causa del predetto fenomeno (analizzato con cura durante la notte) e in previsione della lunga traversata verso Idhra, ci si sveglia presto e si abbandona subito la baia inospitale.

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Pagina 224

17 giugno

Rilevato nuovo doppio errore di data. La vecchiaia gioca brutti scherzi anche ai marinai (ma dove sono finiti i giorni persi?).

A un primo esame La Valletta appare come un gran bazar dove dominano commistioni di stili, uomini e idiomi. L'insieme è piacevole, troviamo uno accanto all'altro edifici moderni, ottocenteschi, barocchi, alcuni ben tenuti, altri délabré. Quasi tutte le vecchie case hanno una sorta di bow-window che richiama quelli di Lisbona e che dà un aspetto molto movimentato alle strette strade (trik). La popolazione parla almeno quattro lingue: inglese, patouà (un misto arabo-italo-calabro), italiano e arabo. Capelli e occhi neri. I nomi siciliani, calabresi e genovesi sulle targhe delle case e dei negozi sono molti. Circolano tutti a rovescio, con strani autobus che sono un misto di quelli londinesi e dei colectivos sudamericani, con qualche tocco indiano, anche se non sono così sovraccarichi di ghirigori e disegnini.

Come da previsioni è arrivato il maltempo. Il barometro è sceso di 14 punti e soffia un fortissimo vento da ovest, destinato a non calmarsi prima di sabato. Ogni tanto qualche forte scroscio di pioggia. Quando la Palinuro, ben ormeggiata in porto, viene investita dalle raffiche e si scuote tutta, noi sorridiamo beati.


18 giugno

La peggiore specie di Malta è quella dei colectiveros: viaggiano a velocità impensabili contromano (a Malta infatti la guida è a sinistra), ringhiano cercando di far scendere dall'autobus chi si trovasse senza spiccioli, ammassano tutti i passeggeri in coda al loro mezzo con brutali partenze a scatto, dimostrano di continuo la propria capacità di praticare il dérapage controllato nelle curve più strette, si producono infine in folli sorpassi. Per fortuna mi sono fatto crescere dei baffi folti e spaventosi, utili per ottenere il resto anche presentando una banconota da 5 pound al momento del pagamento del biglietto da 90 centesimi. Sono pure riuscito a scendere in corsa dall'autobus, come non facevo da oltre 45 anni.

Colectiveros a parte, Malta è bella. Queste case tutte color tufo, mai troppo alte, inframezzate da monumenti siculo-normanni di un bel colore giallo deserto sono state una sorpresa inaspettata. Dopo oltre due mesi di viaggio per luoghi meno noti e carichi di arte, storia e interesse, poteva sembrare un posto scontato, perché più vicino a noi e più turistico. Invece, sopratutto dopo un arrivo con mare infuriato e due giorni di traversata, il profilo dorato dei suoi forti, da cui spuntano poderosi i campanili e le cupole delle chiese barocche, genera grandi emozioni. Vista dal mare, Malta ci piace per i suoi imponenti forti; vista da terra, per la bellezza della sua architettura, dalla linea austera che i tufi le danno. Anche quando si tratta di chiese barocche.

Dovunque tracce della sua lunga storia: neolitiche in alcuni templi preistorici; fenicie in alcune splendide tombe; poi romane; arabe; normanne; fino all'avvento dei suoi cavalieri, arrivati nel 1530, dopo la cacciata da Rodi da parte dei turchi. E chiude bene anche il percorso storico del primo cristianesimo: ritroviamo a Rabat – nelle catacombe in cui sfuggivano dalle persecuzioni – le tracce di Paolo, Giovanni e Luca, che avevamo già incontrato nella nostra discesa dal Mar di Marmara, ad Assos, Pergamo ed Efeso. Ho la grande fortuna di essere sufficientemente ignorante per farmi stupire ancora da queste immagini e da questa storia, e di possedere quella piccola patina di conoscenze necessaria perché queste non cadano in modo totalmente disorganizzato nel vuoto della mia scatola cranica.

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