Copertina
Autore Giuseppe Montesano
CoautoreV. Trione, M. Braucci, P. Lanzetta, R. Saviano, T. Scarpa, A. Scurati, P. Sorrentino, A. Giannetti, C. Gambardella, F. Ippolito, L. Troise
Titolo Napoli assediata
EdizioneTullio Pironti, Napoli, 2007 , pag. 32+112+32, ill., cop.fle., dim. 16,5x21x1,2 cm , Isbn 978-88-7937-391-3
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe citta': Napoli , urbanistica , fotografia
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Indice


    Doppi sensi

  7 Per una possibile uscita dall'Asse Mediano Occidentale
    di Giuseppe Montesano

 17 Claustropolis
    di Vincenzo Trione

    Sensi vietati

 43 La scuola giungla
    di Maurizio Braucci

 53 Alghe rosse sull'Asse Mediano
    di Peppe Lanzetta

 67 L'Asse Mediano non esiste
    di Roberto Saviano

 73 Il tramonto è bello
    di Tiziano Scarpa

 83 La verità, vi prego, sull'Asse Mediano
    di Antonio Scurati

    Sensi unici

 95 Asse Politico
    di Piero Sorrentino

103 Storie mediane
    di Anna Giannetti

111 Axis Mundi
    di Cherubino Gambardella

    Fuoriasse - workshop

 VI Scarti
    di Fabrizia Ippolito

XIV Free Style
    di Loredana Troise

 

 

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Pagina 67

L'Asse Mediano non esiste

Roberto Saviano


Io non avrei mai voluto scrivere. Lo giuro. A me scrivere fa schifo. A me gli scrittori non mi sono simpatici. A me è sempre piaciuta la frase di Goering: «Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola». Quando ero ragazzino mi piacevano i repubblichini, quelli vecchi del MSI che la Repubblica Sociale l'avevano solo letta sui giornali, ma nel mio paese non facevano altro che raccontarsi leggende e storie mai vissute fuori la sede del partito non avendo altro raggio d'azione che la strada di casa, la piazza e il circolo politico. E poi mi piacevano i comunisti più radicali. Non i fessi reduci delle Brigate Rosse degli anni '90 ma i trotzkisti che parlavano di rivoluzione permanente e mondiale, che sputavano sui manifestini di Mao dei marxisti-leninisti e parlavano di Stato Socialista Deformato, e poi gli anarchici, che qualcuno chiamava insurrezionalisti. Mi piacevano quelli che facevano zompare i tralicci e finanziavano i loro giornali e le loro case editrici con le rapine alle poste e alle gioiellerie. E mi piacevano anche quando si facevano beccare e venivano arrestati mentre tentavano di scappare su una lambretta scassata usata per fuggire dopo un colpo in un tabacchi. Mi porto quest'odio stupido da sempre. E mi porto questa simpatia per gli sfasciatori da ancor di più. Una sorta di sfida a ciò che ho sempre fatto al fianco del resto: scrivere. E scrivere mi sembrava una sorta di delega al vivere, un tradimento al respiro, un agguato ai muscoli, una menzogna verso la responsabilità. E per chi nasce come me in certi territori, scrivere era l'ultima cosa che poteva dar fiducia nel mutare tutto quanto ci fosse intorno, dal viso di tua madre al palazzo del Comune. E visto che cambiare, distruggere, correggere, sono ossessioni che hai appena nasci in certe terre, scrivere sembra davvero come curare con una boccetta d'alcool la lebbra. Mutare o fuggire. Questo ti porti dentro. Come scelte intendo. Due. Solo due. E la prima se affrontata hai certezza o quasi di fallimento, la seconda può andarti bene e non tornare più. Mai più. E a me fa schifo scrivere perché mi sorge un'escrescenza di odio dall'impossibilità di mutare con la parola il corso delle cose. Un odio nato dalla mia adolescente ingenuità di credere ancora ed ostinatamente che la parola, quella vera in grado di mantenersi fissa sulla preda del reale, potesse davvero azzannare le cose. E quando le pagine non facevano questo ma invece foggiavano parole che inculavano le mosche, io odiavo. Odiavo scrivere e gli scrittori. Ed entravo in adorazione di tutti coloro che invece riescono a sacrificare e divertire così fortemente la loro vita da credere in grandi falò di spirito. Una volta, avrò avuto quindici anni, mi misi in testa di far saltare in aria l'Asse Mediano. Era ciò che più di tutto mi ricordava il posto dove vivevo. Ognuno è convinto di sapere dove inizia e dove termina l'Asse Mediano. Ciò che è ufficialmente l'Asse Mediano non è ciò che la gente chiama l'Asse Mediano. Qualcuno che va a Nola o a Villa Literno, dice di prendere l'Asse Mediano. «E poi prendi l'Asse Mediano» è la frase che quando qualcuno spiega su come arrivare o andar via dai paesi del napoletano, arriva prima o poi a dire. Ma è Asse Mediano tutto quello che si avvicina all'Asse Mediano. È Asse Mediano, tutte le strade che tagliano dall'esterno i paesi, è Asse Mediano tutto ciò che dall'Asse Mediano si vede, è Asse Mediano tutto ciò che è sopraelevato. È Asse Mediano tutto al punto che ogni mediana è persa perché tutte le strade dell'hinterland sono divenute mediane, come se l'Asse Mediano originario fosse stata la spina dorsale e il resto delle terminazioni nervose fossero la diretta sua emanazione. Ma pur sempre Asse Mediano. Io attraversavo l'Asse Mediano ogni fine settimana per andare dai miei nonni. L'ultima volta in cui la mia famiglia l'ho vista al completo, tutti insieme intendo, mio padre mia madre e mio fratello, è stato proprio in auto, sull'Asse Mediano. Molti anni fa. L'Asse Mediano l'hanno costruito su discariche. Su terreni che erano abusivamente usati come discariche, e quando la terra sazissima non ne poteva più e iniziò a sputare tutte le tonnellate abusivamente sotterrate, il miglior modo per guadagnarci dall'occultare le discariche era costruirci sopra una strada. Così dopo aver comprato della terra a quattro spiccioli, averla sodomizzata con le discariche, averci guadagnato capitali astronomici, hanno reso edificabili i territori marci di monnezza ed hanno condizionato i piani regolatori per farci sopra questa strada e occultare guadagnando. Terra, discariche, cemento. I guadagni dei clan di camorra sull'Asse Mediano sono stati infiniti. E poi fiocca una sorta di mitologia dell'Asse Mediano. Presunti corpi delle diverse faide che hanno attraversato questa terra. Tutti ficcati lì dentro. Come una sorta di invisibile cimitero. Ma questo sino ad ora solo nelle voci dei guaglioni che l'Asse Mediano ce l'hanno davanti agli occhi. L'Asse Mediano non serviva agli abitanti ma alle fabbrichette. Migliaia di fabbrichette a nero, che producevano scarpe, guanti, borse, vestiti, confezioni. E ufficialmente l'Asse Mediano, l'A1 Acerra-Afragola, era lì come lingua di catrame invitante a sputare i furgoni delle fabbrichette direttamente a Roma. E quindi piovve quasi dal cielo, come un'opera immensa che non serviva all'agricoltura di questi paesi e neanche ai paesani per spostarsi meglio. L'Asse Mediano serviva a chi appaltava nelle fabbriche a nero per avere subito e comodamente i prodotti e non essere più costretto a far perdere nel dedalo dei paesini i camioncini e i furgoni. Queste dannate fabbriche avevano nella velocità di realizzazione la loro forza prima e non poteva essere abbattuta da strade e stradine, vicoli e vicoletti che impedivano la fuga verso le aziende del nord. L'Asse Mediano mi faceva schifo, quasi più della scrittura. L'Asse Mediano è una chioccia di metafore per narratori. E noi usavamo l'Asse per esercitare le nostre prime palestre intellettuali. Spesso capitava con amici che ci sedevamo fuori uno schifoso parco a Frattamaggiore. Vedevamo l'Asse Mediano davanti agli occhi. Non avevamo la luna di Mosca di Majakovskij, le scogliere di Jünger, e neanche l'Aspromonte di Alvaro. Avevamo l'Asse Mediano. E l'Asse Mediano forse coincideva con la scrittura più di ogni altra cosa. E forse la scrittura è questo arrivare prima, arrivare guardando, arrivare da sopra attraversando il sotto del territorio. Da sopra l'Asse Mediano è possibile osservare tutti i paesi, tutte le casette, tutto. E persino un palazzo vuoto che sembra l'ennesimo cantiere bloccato in costruzione e rimasto incompiuto perché abusivo. E invece no, è un palazzo fatto apposta per le esercitazioni dei vigili del fuoco. Si gettano dalle finestre sui materassoni, e spengono incendi indotti. L'Asse Mediano ad un certo punto diviene scrittura di un territorio. Che ti permette di osservare un tutto che non sai mutare e dei particolari che non vorresti mai fissare. Un trucco imprudente quest'Asse Mediano. Per arrivare prima, ma dove? Attraversare velocemente terre martoriate, isolate, lavoro nero, solitudine. Perché scrivere è un invito a lasciarsi cogliere in flagrante. L'Asse Mediano è un cogliere in flagrante un territorio. Vederlo nella sua spietata realtà di cemento quasi spruzzato a caso come un gigante che ha spisciacchiato in ogni angolo. Vedere dove vai, arrivarci e non tornare indietro. Questo mi pare l'Asse Mediano. Per far saltare l'Asse Mediano da ragazzino volevo usare il tritolo, ma poi interveniva qualcuno scettico dicendo che il tritolo costava troppo, e poi qualcun altro dicendo che non potevamo uccidere innocenti. E giù discussioni infinite, citazioni rimbalzanti tra mucchi di monnezza e puzzo di catrame fuso dal sole. E così una volta, nell'ingenuità del mio cervello deformato, non mi rassegnai all'idea di non colpire l'Asse Mediano. E così riuscii a procurarmi da tutte le pupatelle, le bombe carta usate la notte di capodanno. Presi tutta la polvere pirica possibile, la pressai in una scatolona, strinsi tutto con lo scotch da pacchi. Almeno due interi rotoli girati intorno lo scatolone. Ne feci una vera e propria bomba innocua come una bolla di sapone ma pur sempre bomba. L'Asse Mediano era lì, inutile e necessario, lungo e pronto a mostrarti tutti i giorni la chiavica di paesi in cui vivevamo. E così portai il mio ordigno artigianale con una coda enorme, la miccia che avevo fatto con i trac. Avrei voluto piazzarla al centro della strada, volevo aspettare notte fonda per non creare danno a qualche automobilista, ma poi mi venne sonno e così misi il mio ordigno sul ciglio della strada. Accesi questo miccione, e scappai. Fece un enorme botto che ci sembrava davvero venisse giù l'intero Asse Mediano. Invece niente. Un forellino, uno di quelli che avrebbe fatto bucare la ruota ad una vespa, niente di più. Ma per me era un ricambiare la ferita. Immaginaria e reale. Tutti i viaggi dannati, tutte le puzze sopportate, tutta l'inutilità subita. Sono convinto che l'Asse Mediano non esiste. E che tutte le strade prima o poi attraversano qualcosa senza arrivare da nessuna parte.

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Storie mediane

di Anna Giannetti


L'Asse Mediano non è un'autostrada e non porta lontano. Non collega punti distanti chiaramente individuati dal rassicurante pannello verde, come possono essere Napoli e Milano, per terre di antica e nuova immigrazione, quest'ultima da pronunciare mobilità, ovviamente, per non generare imbarazzanti confusioni. Non è esattamente neppure una grande arteria che tira dritto incurante di quel che la circonda, rendendo difficili gli spostamenti trasversali; sicuramente non ha nulla a che vedere con l'Italia del "boom", le vacanze, i viaggi, la motorizzazione di massa, l'ingenuo ottimismo di quella Modernità giunta in ritardo.

L'Asse Mediano è un asse mediano, come una circonvallazione, una tangenziale, una di quelle figure geometriche elementari tracciate su un territorio, possibilmente inserite in un progetto più vasto, anzi in un piano destinato ad indirizzarne e regolamentarne il traffico veicolare: assimilato ad un flusso questo si fa scorrere, si canalizza, si devia e si attira offrendogli un percorso alternativo, come nel nostro caso, e migliore in termini di velocità. Figura idraulica o piuttosto medica, la rete viaria che come quella venosa e arteriosa alimenta una regione, una città o un'intera nazione, a cui a lungo tutta la Modernità ha fatto ricorso trattando di merci e di persone, e che nel risalire al pensiero fisiocratico illuminista, dichiara la propria doppia matrice economica e progettuale, traducibile in linguaggio urbanistico come programmazione economica e politica di piano. Dal loro incrocio, che caratterizza a lungo il dibattito italiano e le vicende dell'intero paese fin dai primi anni Sessanta del secolo scorso, è nato, con ritardo e in condizioni particolari, anche l'Asse Mediano: strada a scorrimento veloce, infrastruttura di supporto alle attività produttive, «opera di urbanizzazione», o almeno così è stata finanziata, ancorata con svincoli e rampe alle periferie delle città più o meno grandi del territorio denso e disomogeneo che attraversa, nell'ipotesi, all'epoca perseguita con ostinazione e speranza, che ogni periferia fosse o potesse diventare periferia industriale.

Frutto avvelenato, per più motivi come vedremo, di una lunga serie di tentativi di pianificare lo "sviluppo" dell'area che attraversa, all'interno di quello regionale, con tanta lentezza da giungere a ridosso della profonda crisi strutturale degli anni Settanta e nonostante questo battere il passo sul posto per circa un decennio, così da poter vantare una nobile genealogia di buone intenzioni e colpevoli ritardi: Piano del Comprensorio di Napoli del 1964, piano A.S.I. del 1968, Piano Territoriale del Comprensorio di Napoli del 1970 e quindi modelli interpretativi come Comprensorio, Area metropolitana, poi introdotta dalla legge 142 del 1990, «città lineare».

Uno strumentario verrebbe da dire sovradimensionato, fornito da qualcosa di simile al difetto di «intelligenza dei luoghi» che Leonardo Benevolo rimprovera alla cultura architettonica italiana del «nuovo millennio», visto che per vedere la realizzazione dell'Asse bisogna aspettare il terremoto del 1980, anzi la legge 6 agosto 1981 n. 456, che agli articoli 5 bis e 5 ter, prevedeva, nell'ambito del programma per Napoli, la possibilità di estendere le procedure straordinarie per la realizzazione degli alloggi anche alle infrastrutture indispensabili al funzionamento dei nuovi insediamenti abitativi.

Nel giugno dello stesso anno, il CIPE, Comitato interministeriale per la programmazione economica, estendeva l'articolo anche alle opere industriali e quindi a quelle di «infrastrutturazione esterna»: tra assi autostradali, bretelle e collegamenti viari, non poteva mancare l'Asse Mediano che assieme all'ampliamento della Strada Provinciale "Cantariello" inizia negli ultimi mesi del 1984, finanziato dallo stanziamento titolo VIII, legge 219/81. Dopo tutto, il Piano A.S.I. già prevedeva un "asse di supporto" tra Aversa e Nola e un "asse mediano" corrispondente alla circonvallazione provinciale di Napoli nel settore Nord-Ovest e al ramo autostradale Napoli-Noia in quello Nord-Est, a sostegno degli insediamenti industriali di Giugliano e Arzano il primo, e di Pomigliano il secondo. Nel 1990 i lavori, previsti in 18 mesi, non erano ancora stati ultimati e, come si legge nell'inaugurazione dell'Anno Giudiziario 2001 tenuta dal Procuratore Regionale G. Stanco, tra perizie di variante e suppletive, i costi da 90.370 milioni erano arrivati a 287 miliardi al termine delle concessioni, quelli del raccordo della circonvallazione esterna da 10 a 265 miliardi e del collegamento tra le varianti alla SS7 quater da 30 a 304 miliardi.

Al confronto, la rendita urbana appare rètro come un velocipede e lo speculatore Saccard che dai romanzi di Émile Zola ha agitato i sonni dell'architettura non solo italiana del secondo dopoguerra, poco più di un liberista di cattivo gusto e per di più sfortunato. Per un luciferino cortocircuito dei termini, non è stato neppure necessario che su tali arterie vi fosse traffico, perché il denaro scorresse a fiumi, percolando all'intorno e per di più in base ad un progetto redatto in un mese. Progetto, meglio, dovuto atto burocratico-amministrativo: pura forma, anzi necessario atto formale, trionfo retorico sulla realtà delle cose, e visti gli anni, col dubbio di dovervi leggere la fine del Progetto per mano di una Post Modernità all'italiana, anche se non appare ancora chiaro quando la soglia della Modernità fosse stata superata.

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