Copertina
Autore Rocco Morandi
Titolo L'appennino piemontese
EdizioneMuzzio, Roma, 2009 , pag. 296, ill., cop.fle., dim. 13x19x2 cm , Isbn 978-88-96159-23-1
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe montagna , regioni: Piemonte
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Indice


Perché conoscere il nostro Appennino            6
Presentazione, di Franco Tassi                  7
Per le pendici d'Appennino, di Marco Grassano  13
Introduzione                                   20
Premessa alla cartografia, di Paolo Brusotti   22


1.  LA VALLE CURONE                            24

    Monte Vallassa                             27
    Monte Bogleglio (o Boglelio)               31
    Monte Bagnolo                              35
    Monte Garavè                               40
    Monte Chiappo                              45
    Monte Ebro                                 49
    Monte Panà                                 55
    Monte Giarolo                              58

2.  LA VALLE GRUE                              65

    Monte Ronzone                              67

3.  LA VALLE BORBERA                           72

    Monte Giarolo                              76
    Monte Ebro                                 82
    Monte Chiappo                              89
    Monte Cavalmurone                          92
    Monte Legnà                                95
    Monte Carmo                                99
    Monte Antola                              102
    Monte Buio                                110
    Monte di San Fermo                        113
    Monte Poggio                              117
    Monte Bossola                             121
    Monte Barilaro                            124

4.  LA VALLE SPINTI                           129

    Monte Crovo                               131
    Monte Cagnola                             136
    Bric delle Camere                         141

5.  LA VALLE SCRIVIA                          146

    Monte Zuccaro                             148
    Monte Alpe                                152

6.  LA VAL LEMME                              157

    Monte Poggio                              159
    Monte Leco                                164
    Monte delle Figne                         167
    Monte Tobbio                              172
    Monte Lanzone                             179

7.  LA VALLE GORZENTE                         184

    Monte delle Figne                         187
    Monte Tobbio                              192
    Monte Tugello                             201
    Bric Arpescella                           205

8.  LA VALLE PIOTA                            211

    Monte (della) Colma                       213
    Monte Pracaban                            216
    Costa Lavezzara                           219
    Monte Poggio                              222

9.  LA VALLE ORBA                             226

    Le Ciazze                                 228
    Monte del Ratto                           233
    Monte Poggio                              237
    Bric Bertòn                               240

10. LA VALLE ERRO                             246

    Bric dei Gorrei                           248
    Bric Montado                              252
    Monte Acuto     257

11. LA VALLE BORMIDA                          260

    Monte Castello                            263
    Monte Orsaro                              266
    Bric Puschera                             269
    Bric Cupazzolo                            273

Appendice: Studio vegetazionale sul prato
           di vetta del monte Giarolo,
di Damiana Schiavi                            280

Bibliografia                                  291

 

 

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PRESENTAZIONE


1. L'APPENNINO SEGRETO

C'è un angolo di Appennino segreto, nascosto, poco conosciuto. Non è la spina dorsale verde che discende sinuosamente lungo la penisola, né una catena massiccia e spettacolare come quella dell'arco alpino. Si protende verso la parte nord-occidentale dell'Italia, a cavallo tra Piemonte e Liguria, Lombardia ed Emilia-Romagna, non troppo lontano dalle grandi città affollate e dagli insediamenti produttivi dove la vita è intensa. Chi dalla pianura Padana si inerpichi tra prati e boschi fino alle vette, scoprirà di avere raggiunto il confine tra due mondi: perché si troverà sulla cresta montana del displuvio tra le acque che discendono verso il Po o al mar Tirreno, presso i valichi delle antiche comunicazioni tra le genti, lungo i passaggi delle grandiose migrazioni stagionali degli uccelli più diversi. E nelle giornate più limpide abbraccerà con lo sguardo quasi metà del "Bel Paese", dal Monviso alle Alpi Apuane, dal monte Rosa al Tirreno. La montagna dei nostri giorni non è più quella d'un tempo: località famose e decantate, dal Sestriere a Cortina, sono ormai modellate dai segni spesso invadenti della presenza umana, sempre più frequentate, a volte troppo mondane. Ma per fortuna esistono ancora lembi remoti, testimoni della memoria, là dove generazioni di nostri predecessori vissero per secoli e secoli coltivando con tenacia magri campicelli, strappando al bosco un po' di legna, accompagnando mucche, pecore e capre ai pascoli solitari. Questi territori trascurati dal moderno turismo non sono tristi e poveri come si potrebbe credere, anzi è proprio lì che si riscoprono oggi atmosfere perdute, assaporando tesori inattesi. Come il bene del silenzio, la musica della natura, il respiro dei monti. Tra orizzonti nebbiosi e acque cristalline, con la mente ormai libera dalle ansie della pianura e il cuore aperto a nuove emozioni. Alla ricerca del fiore raro soltanto per ammirarlo, o tutt'al più fotografarlo, oppure in attesa del frullìo dell'uccello o del fruscìo del capriolo in fuga, solo per conquistare e custodire la sorpresa di un incontro ravvicinato con l'autentica vita selvatica. Vastità e solitudine, luci e colori, pensieri e ricordi di una giornata trascorsa in libertà fanno ritrovare il contatto con la terra, con le sue energie benefiche, con lo spirito dei luoghi. E forse aiuteranno a comprendere che la vera ricchezza del domani è custodita proprio lì, tra le valli e i boschi dell'Appennino segreto.

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PER LE PENDICI D'APPENNINO


                        "Chi sale una montagna sale verso la luce."

                                                    Jules Michelet



L'Appennino piemontese rappresenta un'apertura di serenità, di natura e di cielo terso agevolmente raggiungibile dalle città caotiche della pianura padana (una delle quattro aree al mondo con l'aria maggiormente inquinata), ma può anche essere l'entroterra ideale per sfuggire, in estate, alle troppo congestionate coste liguri.

Eppure si tratta di una realtà poco nota ai più, conformemente a quel discutibile vezzo umano che spinge a indagare le cose remote trascurando quelle prossime, spesso ugualmente sconosciute. Si pensi alle enormi risorse impegnate nell'esplorazione dello spazio (la "conquista" della Luna, per esempio, e ora i progetti per Marte) e al poco che, in proporzione, si è investito per conoscere meglio il nostro pianeta. Sono state a oggi censite (il che non significa studiate...) solo 1,8 milioni di specie viventi delle circa 100 milioni, comprendendo tutte le piante, gli animali e i microrganismi, che si stima possano vivere sulla Terra, rileva Edward O. Wilson. E pensare che ognuna di tali specie è un unicum, il frutto di una particolare evoluzione di grande complessità. E che una conoscenza approfondita della biosfera terrestre — coi suoi ecosistemi — sarebbe utilissima al benessere dell'umanità, in parecchi settori pratici: renderebbe, ad esempio, più agevole l'individuazione delle piante selvatiche maggiormente adatte alla coltivazione, la scoperta di nuovi geni per migliorare la produttività cerealicola e di nuove classi di prodotti farmaceutici, semplificherebbe la prevenzione e il controllo delle epidemie di organismi patogeni e della crescita eccessiva di animali pericolosi e di piante invasive... Disponendo di tali informazioni, non rischieremmo più di perdere le opportunità che ci vengono offerte dalla realtà vivente che ci circonda, o di trovarci impotenti di fronte alla comparsa di specie distruttive o nocive.

[...]

Le piante di montagna sono spesso pelose (si pensi, ad esempio, alle stelle alpine, ricoperte da un folto feltro); i peli non servono a preservare il calore interno, che i vegetali non hanno, ma a trattenere nel loro intrico un'aria ferma, leggermente umida, che impedisce o riduce l'evaporazione. Hanno inoltre radici molto lunghe, per esplorare una fascia di terreno più ampia e intercettare meglio l'acqua. Possono avere forma di cuscinetto (e sono per questo dette pulvinate, da pulvinus, cioè "cuscino"), con piccoli rami serrati uno all'altro, per motivi e con effetti analoghi a quelli della peluria. Sono piante generalmente di statura più bassa: l'aria limpida e meno densa permette l'arrivo di molte radiazioni ultraviolette, che inibiscono gli ormoni e limitano la crescita (col vantaggio secondario di offrire una minore resistenza al vento). Hanno fiori dai colori smaglianti, vivaci, intensi, perché i pigmenti da un lato proteggono le cellule dai raggi ultravioletti, e dall'altro costituiscono un richiamo più forte per gli insetti impollinatori, che in montagna sono di meno come numero e come varietà.

L'alta collina e la montagna devono comportare, se vogliono essere gustate appieno, fatica e lentezza nella salita: la fatica rilassa e depura, la lentezza consente di cogliere i particolari, spesso magnifici, del paesaggio (quelli che Eugenio Turri ha definito iconemi, unità elementari di percezione che si dispongono in costruzione sinfonica globale) e della vegetazione. Ha poco senso affrontare la montagna con l'attenzione fissa al cronometro, ma è ancora più assurdo (sebbene purtroppo non infrequente) allontanarsi dalla città, dai suoi rumori e dalle sue esalazioni per "distendersi" con un po' di cross motorizzato in mezzo alla natura. Nessun crossista si sofferma (si può soffermare...) davanti al miracolo in miniatura di un'orchidea, che colpisce lo sguardo durante una passeggiata. Le orchidee sono una grande famiglia — la seconda, dopo le Compositae (quella cui appartengono, per intenderci, le margherite), come numero di specie: 20.000 nel mondo, 200 in Europa, 120 in Italia, 50 in Provincia di Alessandria (soprattutto nella zona appenninica). Si sono evolute a partire dalle Liliaceae (tulipani e gigli, che presentano elementi comuni con certe orchidee anomale come le Ophrys). Sono generalmente caratterizzate da fiori a spiga (ossia senza peduncolo), un fusto e una rosetta di foglie parallelinervie basali. Hanno radici di varie forme, dalle quali hanno ricevuto la denominazione (es. Dactylorhiza, Corallorhiza, ecc.). I semi necessitano di un fungo, in simbiosi, per le prime settimane di sviluppo. Per quanto riguarda l'impollinazione, lo stame dispone di masse pollinee appiccicose che aderiscono al corpo dell'insetto; quando questo giunge su un'altra corolla, ne provoca l'inclinazione ed entra di nuovo in contato con lo stigma florale, effettuando assieme la fecondazione (incrociata). Tale procedimento favorisce la nascita di ibridi spontanei fra specie diverse, agevolmente osservabili pure nei nostri prati appenninici e assai interessanti da studiare, anche perché, con un meccanismo di introgressione dei caratteri, possono portare alla creazione di nuove specie.

Come ha scritto Michelet, "Ogni montagna è un mondo e forse è, di per sé sola, un testo vivente di scienze naturali", e la cosa vale pure per l'Appennino.

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Uno sviluppo è possibile, rispettando la grammatica e la sintassi della lingua che il paesaggio delle nostre valli parla. Tentando un'agricoltura nuova: lavanda, piante aromatiche, frutti di bosco. E, naturalmente, puntando su un turismo di qualità. Le pagine che seguono cercano di offrire il loro umile contributo per avanzare nella direzione sperata. Vi vengono proposti cinquantasei itinerari che, partendo da undici vallate (distese, a iniziare da est, dalla val Curone alla valle Bormida di Spigno), si inerpicano tra boschi, radure, prati e rocce, fin sulle dorsali e sulla cima dei monti del "nostro" Appennino: il quale, pur costituendo l'altra metà di quello ligure, è affatto diverso da esso, non tanto e non solo per l'aspetto, ma anche, oserei dire, nell'impostazione filosofica. In Liguria, infatti, chi sale in montagna volge le spalle al litorale e se ne allontana; da noi raggiungere la vetta significa conquistarsi una specola che apra la visuale sulla vasta superficie di luce tremula, d'azzurro e di libertà della marina (illudendosi magari di scorgere l'alba in anticipo, di contemplare più a lungo gli effetti del tramonto...).

Viene in mente il racconto di Pavese nel quale il narratore informa che un giorno il suo amico Gosto "si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito così in alto che da lassù si vedeva il mare"; suggestionati dall'immagine, i due decidono di tentare la stessa esperienza, ovviamente senza successo; ma questo desiderio che li coglie è indicativo dell'attrazione primordiale, quasi una reminiscenza inconscia del liquido amniotico, che spinge certi abitanti dell'entroterra – tra i quali mi includo – verso i grandi specchi d'acqua ("Allora ci disse che era stato a Marsiglia e che là il mare l'aveva davanti alla porta" riferisce il ragazzino, con malcelata invidia, di un altro personaggio della storia).

I percorsi suggeriti sono descritti con efficace precisione, con la minuzia che solo può permettersi chi li ha seguiti e verificati uno a uno, passo a passo. In appendice si è voluto offrire un accurato e interessantissimo studio vegetazionale realizzato sul prato di vetta del monte Giarolo. Partendo da un inquadramento geografico e geologico, e analizzando approfonditamente i risultati di cinque rilievi fitologici, effettuati secondo i criteri di Westhoff e Van del Maarel, si è delineata la situazione dell'area in esame e se ne sono ipotizzati gli sviluppi.

Nel suo peregrinare sulle montagne italiane, Paolo Rumiz ha incontrato "eremi, fonti, santuari, boschi millenari, a volte semplici toponimi. Soprattutto piccole valli, orientate come antenne paraboliche verso un silenzio planetario", e ha concluso: "Mi piace pensare che tali luoghi contengano i codici criptati – illeggibili ai barbari – resistenza all'annientamento, memorie orali antichissime dei princìpi della vita. (...) Poiché coltivo l'illusione che grazie a questi luoghi il mondo eviterà la catastrofe, ho pensato fosse giusto non svelarli del tutto". Il presente lavoro, invece, questi luoghi li vuole svelare proprio al fine di proteggerli. La loro conoscenza e i vantaggi che ne possono derivare alla collettività serviranno a metterli al riparo – almeno si spera – dalla tendenza a uno sviluppo incontrollato e insostenibile che caratterizza pure persone intelligenti, le quali (per richiamare nuovamente Edward O. Wilson) restano però inerti di fronte alla progressiva scomparsa degli ultimi preziosi resti del mondo naturale perché a una tecnologia da semidei associano emozioni e ambizioni rimaste all'Età della Pietra.

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Pagina 20

INTRODUZIONE


Gli itinerari proposti in questo libro, si sviluppano sul versante piemontese dell'Appennino ligure e raggiungono le cime principali poste sul confine tra Piemote e Liguria. 56 escursioni, 50 montagne, circa 600 chilometri a piedi tra le valli Curone, Grue, Borbera, Spinti, Scrivia, Lemme, Gorzente, Piota, Orba, Erro e Bormida di Spigno. Undici vallate appenniniche capaci di regalare grandi emozioni a chi va alla ricerca di paesaggi indimenticabili, ignorati dal turismo di massa, abbandonati a cavallo tra mare e pianura, con la cerchia delle Alpi a fare da sfondo.

Il titolo che ho dato a questa guida escursionistica, potrebbe far storcere il naso ai lettori più attenti. Appennino piemontese è infatti una definizione nuova per questi territori che, pur facendo parte del Piemonte da un secolo e mezzo, vengono più in generale indicati come Appennino ligure per il loro forte legame con la storia, la cultura e le tradizioni rivierasche. Perché allora proporre un nuovo nome?

Soprattutto per il paesaggio, che si rivela estremamente diverso da un versante all'altro. Fa da confine il lungo spartiacque che separa le Regioni, un susseguirsi di sommità, rilievi e cime. Mentre a sud i crinali precipitano ripidi e scoscesi verso il mare, colonizzati da una brulla vegetazione tipicamente mediterranea, capace di sopportare le violente sferzate dei venti salmastri, a nord invece, le stesse montagne degradano dolcemente verso le colline dell'alto Monferrato, coperte di fitti boschi di faggi, querce, roveri e castagni. Due ambienti completamente diversi, due climi a confronto che convivono nel raggio di pochi chilometri. Un meridione ligure in prevalenza aspro e assolato al cospetto di un nord piemontese, più verdeggiante e umido.

I percorsi proposti hanno un'impostazione classica, quasi alpinistica, a dispetto della quota modesta e delle difficoltà meramente escursionistiche: si parte da un paese di fondovalle, si arriva in punta a una montagna. Varie ragioni hanno ispirato questa scelta.

Innanzitutto il fatto che i più raffinati conoscitori di questi luoghi li abbiano raccontati così, come vere e proprie ascensioni, attraverso libri e testimonianze preziose. Tutti loro sono stati il mio primo punto di riferimento nella realizzazione di questo lavoro: Fabrizio Capecchi, fonte inesauribile di notizie culturali e storiche sulle valli orientali; Furio Chiaretta e Aldo Molino, che per primi hanno rivolto la loro attenzione anche a ovest, a territori fino ad allora considerati poco più che un intrico di colline; Andrea Parodi, soprattutto per La catena dell'Antola, inseparabile strumento di viaggio attraverso le valli Curone e Borbera; e più in generale tutti gli autori, rigorosamente citati in bibliografia, che a vario titolo hanno dedicato tempo e passione alla descrizione di questi posti stupendi.

Infatti, non è solo la quota a fare una montagna. Conta molto anche l'aspetto e questa porzione di Appennino lo dimostra pienamente. Il lungo e verdeggiante crinale che divide le valli Curone e Borbera, non supera i 1700 metri, eppure, dalla piana alessandrina, nelle giornate limpide, appare a est come una catena lunghissima, imbiancata fino a primavera. Il monte Tobbio poi, nonostante i suoi 1092 metri, incombe su tutto l'Ovadese con un'immagine alpestre che fa invidia a molti rilievi ben più alti e ben più noti. Più a ovest, tra l'Acquese e la Langa astigiana, persino il bric Puschera, con la sua modesta quota collinare, spunta come un dente dalla displuviate che separa le valli Bormida di Spigno e Uzzone.

Sono luoghi meravigliosi e solitari, capaci di offrire agli amanti della natura momenti unici. Fitti boschi che sembrano incantati, formazioni rocciose spettacolari, torrenti che scorrono in profondi canyon, laghi, dighe; piccoli borghi di casette dimenticate lì come in un presepe, rovine di fortezze, monasteri, torri, antichi castelli; e poi ancora in alto per crinali e montagne da cui la vista può spaziare senza limiti e confini. In effetti, il panorama a 360 gradi è la specialità di questo splendido Appennino.

E allora eccovi i percorsi migliori che ho seguito e amato, passo dopo passo. Per riscoprire un territorio ingiustamente trascurato. Per allontanarsi dal caos della vita quotidiana e ritrovare il senso vero della libertà.

Rocco Morandi

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