Copertina
Autore Edgar Morin
Titolo Introduzione al pensiero complesso
SottotitoloGli strumenti per affrontare la sfida della complessità
EdizioneSperling & Kupfer, Milano, 1993, Scienza , Isbn 978-88-200-1520-6
OriginaleIntroduction à la pensèe complexe [1990]
TraduttoreMonica Corbani
LettoreRenato di Stefano, 1994
Classe filosofia , epistemologia
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Indice


Prefazione                           1

1.  L'intelligenza cieca             5
2.  Tracciato e disegno             13
3.  Il paradigma della complessità  56
4.  La complessità e l'azione       79
5.  La complessità e l'impresa      85
6.  Epistemologia della complessità 95

 

 

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Pagina 2

La seconda illusione è quella di confondere complessità e completezza. Certo, l'ambizione del pensiero complesso è quella di rendere conto delle articolazioni tra i settori disciplinari frantumati dal pensiero disgiuntivo (che è uno degli aspetti principali del pensiero semplificante); quest'ultimo isola ciò che separa, e occulta tutto ciò che collega, interagisce, interferisce. In questo senso il pensiero complesso aspira alla conoscenza multidimensionale, ma è consapevole in partenza dell'impossibilità della conoscenza completa: uno degli assiomi della complessità è l'impossibilità, anche teorica, dell'onniscienza. Il pensiero complesso fa proprio il motto di Adorno «la totalità è la non-verità», motto che comporta il riconoscimento di un principio di incompletezza e di incertezza. Ma il suo principio comporta anche il riconoscimento dei legami tra le entità che il nostro pensiero deve necessariamente distinguere, ma non isolare le une dalle altre. Pascal aveva giustamente postulato che tutte le cose sono «causate e causanti, aiutate e aiutanti, mediate e immediate, e che tutte (si tengono tra loro) attraverso un legame naturale e insensibile che lega le più lontane e le più diverse». Pertanto il pensiero complesso è animato da una tensione permanente tra l'aspirazione a un sapere non parcellizato, non settoriale, non riduttivo, e il riconoscimento dell'incompiutezza e dell'incompletezza di ogni conoscenza.

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Il problema dell'organizzazione della conoscenza

Ogni conoscenza opera per selezione di dati significativi e scarto di dati non significativi: separa (distingue o disgiunge) e unisce (associa, identifica); gerarchizza (il principale, il secondario) e centralizza (in funzione di un nucleo di nozioni essenziali). Queste operazioni, che utilizzano la logica, sono di fatto ordinate da principi "sovra-logici" di organizzazione del pensiero o paradigmi, principi occulti che governano la nostra visione delle cose e del mondo senza che ne siamo consapevoli.

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Pagina 7

La patologia del sapere, l'intelligenza cieca

Noi viviamo sotto il dominio dei principi di disgiunzione, di riduzione e di astrazione, il cui insieme costituisce ciò che io chiamo il "paradigma di semplificazione". Cartesio ha formulato questo paradigma principe dell'Occidente disgiungendo il soggetto pensante (eco cogitans) dalla cosa estesa (res extensa), ovvero filosofia e scienza, e ponendo come principio di verità le idee «chiare e distinte», ovvero il pensiero disgiuntivo stesso. Questo paradigma, che controlla l'avventura del pensiero occidentale dal XVII secolo, ha indubbiamente consentito gli enormi progressi della conoscenza scientifica e della riflessione filosofica; le sue nocive conseguenze estreme incominciano a rivelarsi solo nel XX secolo.

Una simile disgiunzione, rarefacendo le comunicazioni tra la conoscenza scientifica e la riflessione filosofica, avrebbe finito per privare la scienza di ogni possibilità di conoscere e di riflettere se stessa, addirittura di concepire scientificamente se stessa. Inoltre, il principio di disgiunzione ha isolato radicalmente gli uni dagli altri i tre grandi campi della conoscenza scientifica: la fisica, la biologia, la scienza dell'uomo.

Il solo modo di rimediare a tale disgiunzione fu un'altra semplificazione: la riduzione del complesso al semplice (riduzione del biologico al fisico, dell'umano al biologico). Un'iperspecializzazione avrebbe inoltre lacerato e spezzettato il tessuto complesso delle realtà, per dare a intendere che la segmentazione arbitraria operata sul reale fosse il reale stesso. Contemporaneamente, l'ideale della conoscenza scientifica classica era quello di scoprire, dietro l'apparente complessità dei fenomeni, un Ordine perfetto che dettasse legge su una macchina perpetua (il cosmo) a sua volta fatta di micro-elementi (gli atomi) variamente assemblati in oggetti e sistemi.

Una conoscenza di tal genere fondava necessariamente il suo rigore e la sua operatività sulla misura e sul calcolo; ma la matematizzazione e la formalizzazione hanno via via disintegrato gli esseri e gli esistenti per considerare, come sole realtà, esclusivamente le formule e le equazioni che govemano le entità quantificare.

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Pagina 10

Necessità del pensiero complesso

[...]

La vecchia patologia del pensiero conferiva una vita indipendente ai miti e agli dei che creava. La patologia moderna della mente è nell'iper-semplificazione che rende ciechi alla complessità del reale. La patologia dell'idea è nell'idealismo, in cui l'idea occulta la realtà che ha il compito di tradurre e considera se stessa come unica realtà. La malattia della teoria è nel dottrinarismo e nel dogmatismo, che richiudono la teoria su se stessa e la pietrificano. La patologia della ragione è la razionalizzazione che rinchiude il reale in un sistema di idee coerente ma parziale e unilaterale, e inconsapevole tanto dell'irrazionalizzabilità di una parte del reale, quanto della missione della razionalità, che consiste nel dialogo con l'irrazionalità.

Siamo ancora ciechi al problema della complessità. Le dispute epistemologiche tra Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend, ecc. la passano sotto silenzio. Ora questa cecità fa parte della nostra barbarie. Ci fa capire che restiamo ancora nell'era barbara delle idee. Noi continuiamo a rimanere nella preistoria della mente umana. Solo il pensiero complesso ci consentirebbe di civilizzare la nostra conoscenza.

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Pagina 14

Amerindia

[...]

Ci furono dunque in principio due brecce nel quadro epistemologico della scienza classica. La breccia microfisica rivelò l'interdipendenza del soggetto e dell'oggetto, l'introduzione dell'alea nella conoscenza, la dereificazione della nozione di materia, l'irruzione della contraddizione logica nella descrizione empirica; la breccia macrofisica unì in una stessa entità i concetti fino a quel momento assolutamente eterogenei di spazio e di tempo e infranse tutti i nostri concetti non appena venivano trascinati oltre la velocità della luce. Ma queste (due brecce, pensammo, erano infinitamente lontane dal nostro mondo, una nel troppo piccolo, una nel troppo grande. Non volevamo renderci conto che gli ormeggi della nostra concezione del mondo si erano spezzati nell'impatto con i due infiniti, che eravamo, nella nostra «fascia mediana», non sulla solida terra di un'isola circondata dall'oceano, ma su un tappeto volante.

Non esiste più solida terra, la "materia" non ha più la realtà massiccia elementare e semplice alla quale si poteva ridurre la physis. Lo spazio e il tempo non sono più entità assolute e indipendenti. Non esiste più una base empirica semplice, ma non esiste nemmeno una base logica semplice (nozioni chiare e distinte, una realtà non ambivalente, non contraddittoria, strettamente determinata) per costituire il sostrato fisico. Di qui una conseguenza di capitale importanza: il semplice (le categorie della fisica classica che costituivano il modello di ogni scienza) non è più il fondamento di tutte le cose, ma un passaggio, un momento tra due complessità, la complessità microfisica e la complessità macro-cosmico-fisica.


La teoria sistemica

La teoria dei sistemi e la cibernetica si intersecano in una zona incerta comune. In linea di principio, il campo della teoria dei sistemi è molto più vasto, praticamente universale, dal momento che in un certo senso ogni realtà conosciuta, dall'atomo alla galassia, passando attraverso la molecola, la cellula, l'organismo e la società, può essere concepita come sistema, cioè come associazione combinatoria di elementi diversi.

In realtà la teoria dei sistemi, a partire dagli anni Cinquanta, inizia con von Bertalanffy da una riflessione sulla biologia, per poi diffondersi rapidamente in diversi campi.

Della teoria dei sistemi si può dire che offre un volto incerto per l'osservatore esterno, e per colui che vi penetra rivela almeno tre facce, tre direzioni contraddittorie. C'è un sistemismo fecondo che porta in sé un principio di complessità; c'è un sistemismo vago e piatto, fondato sulla ripetizione di alcune verità principali rese asettiche ("olistiche") che non riusciranno mai a diventare operanti; c'è infine la system analysis che è il corrispondente sistemico dell' engineering cibernetico, ma molto meno affidabile, e che trasforma il sistemismo nel suo contrario, vale a dire, come indica il termine analisi, in operazioni riduttive.

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Pagina 31

La complessità

[...]

Eppure, nella scienza, la complessità aveva fatto la sua comparsa senza ancora dire il proprio nome, nel XX secolo, nella microfisica e nella macrofisica.

La microfisica approdava non soltanto a una relazione complessa tra osservatore e osservato, ma anche a una nozione più che complessa, disorientante della particella elementare, che si presenta all'osservatore ora come onda, ora come corpuscolo. Ma la microfisica era considerata come caso limite, frontiera... e ci si dimenticava che quella frontiera concettuale riguardava di fatto tutti i fenomeni materiali, compresi quelli del nostro stesso corpo e del nostro stesso cervello. La macro-fisica, dal canto suo, faceva dipendere l'osservazione dalla posizione dell'osservatore e complessificava le relazioni tra tempo e spazio concepite fino ad allora come essenze trascendenti e indipendenti.

Ma queste due complessità, micro- e macrofisica, erano respinte alla periferia dei nostro universo, nonostante si tratti dei fondamenti della nostra physis e delle caratteristiche intrinseche del nostro cosmo.

Nello spazio intermedio, nel campo fisico, biologico, umano, la scienza riduceva la complessità fenomenica a un ordine semplice e a unità elementari.

[...]

È con Wiener e Ashby, i fondatori della cibernetica, che la complessità entra veramente in scena nella scienza. È con von Neumann che, per la prima volta, la caratteristica fondamentale del concetto di complessità appare nel suo legame con i fenomeni di auto-organizzazione. Che cos'è la complessità? A prima vista, è un fenomeno quantitativo, l'estrema quantità di interazioni e interferenze tra un gran numero di unità. Di fatto, ogni sistema auto-organizzatore (vivente), anche il più semplice, combina un grandissimo numero di unità, nell'ordine dei miliardi, si tratti di molecole in una cellula o di cellule nell'organisino (oltre dieci miliardi di cellule per il cervello umano, oltre 30 miliardi di cellule per l'organismo).

Ma la omplessità non comprende solo quantità di unità e interazioni che sfidano le nostre possibilità di calcolo; comprende anche incertezze, indeterminazioni, fenomeni aleatori. La complessità, in un certo senso, ha sempre a che fare con il caso.

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Pagina 50

La reintegrazione delle realtà espulse dalla scienza classica

[...]

La scienza classica aveva respinto l'accidente, l'evento, l'alea, l'individuale. Qualsiasi tentativo di reintegrarli non poteva che sembrare anti-scientifico nel quadro del vecchio paradigma. La scienza aveva respinto il cosmo e il soggetto. Aveva respinto l'alpha e l'omega, per attestarsi in una fascia mediana, ma da quel momento in poi qiella fascia mediana, quel tappeto volante, mano a mano che si procedeva addentrandosi nel macro (astronomia, teoria della relatività) e nel micro (fisica delle particelle) si rivelava contemporaneamente costituita di miseria e di mito. I problemi essenziali, i grandi problemi della conoscenza, erano sempre rispediti nel cielo, diventavano fantasmi erranti della filosofia: Spirito, Libertà. La scienza di pari passo diventava sempre più esangue, ma il suo fallimento in quanto sistema di comprensione era mascherato dal suo successo correlativo, in quanto sistema di manipolazione.

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Pagina 53

La svolta paradigmatica

[...]

Ciò che intacca un paradigma, cioè la chiave di volta di un intero sistema di pensiero, intacca contemporaneamente l'ontologia, la metodologia, l'epistemologia, la logica, e di conseguenza la prassi, la società, la politica. L'ontologia dell'Occidente era fondata su entità chiuse, come sostanza, identità, causalità (lineare), soggetto, oggetto. Queste entità non comunicavano tra loro, le opposizioni provocavano il rigetto o l'annullamento di un concetto da parte dell'altro (come soggetto/oggetto): la "realtà" non poteva dunque essere delimitata da idee chiare e distinte.

In questo senso, la metodologia scientifica era riduzionista e quantitativa. Riduzionista, perché occorreva arrivare a unità elementari non scomponibili, le sole che potessero essere delimitate chiaramente e distintamente, quantitativista perché tali unità discrete potevano fungere da base per tutte le computazioni. La logica dell'Occidente era una logica omeostatica, destinata a mantenere l'equilibrio del discorso mediante l'espulsione della contraddizione e dell'erranza; tale logica controllava o guidava tutti gli sviluppi del pensiero, ma in se stessa si poneva con ogni evidenza come non sviluppabile.

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Pagina 56

Il paradigma di complessità

[...]

Così, il paradigma di semplicità è un paradigma che mette ordine nell'universo, e ne scaccia il disordine. L'ordine si riduce a una legge, a un principio. La semplicità vede sia l'uno, sia il molteplice, ma non può vedere che l'Uno può essere nello stesso tempo Molteplice. Il principio di semplicità ora separa ciò che è legato (disgiunzione), ora unifica ciò che è diversificato (riduzione).

[...]

Oggi, ancora, gli scienziati e i fisici cercano di trovare il nesso tra queste diverse leggi che farebbe di loro una vera legge unica.

La stessa ossessione ha portato alla ricerca della tessera elementare con cui era costruito l'universo. In un primo tempo si è creduto di trovare l'unità di base nella molecola. Lo sviluppo degli strumenti di osservazione ha rivelato che la molecola stessa era composta di atomi. Poi ci si è resi conto che l'atomo era a sua volta un sistema molto complesso, composto di un nucleo e di elettroni. Allora, la particella è diventata l'unità prima. Poi ci si è resi conto che le particelle stesse erano dei fenomeni che potevano essere teoricamente divisi in quark. E, nel momento in cui si è creduto di giungere alla tessera elementare con la quale era costruito il nostro universo, questa tessera è scomparsa in quanto tessera. È un'entità sfocata, complessa, che non si riesce a isolare. L'ossessione della semplicità ha portato l'avventura scientifica alle scoperte impossibili a concepirsi in termini di semplicità.

Inoltre, nel XIX secolo, c'è stato questo evento fondamentale: l'irruzione del disordine nell'universo fisico. Infatti il secondo principio della termodinamica, formulato da Carnot e Clausius, è in partenza un principio di degradazione dell'energia. Il primo principio, che è il principio della conservazione dell'energia, si accompagna a un principio che dice che l'energia si degrada sotto forma di calore. Ogni attività, ogni lavoro produce calore; in altri tennini, ogni impiego di energia tende a degradare la suddetta energia.

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Pagina 110

Informazione e conoscenza

Detto questo, veniamo al problema-chiave della differenza tra informazione e conoscenza. Problema-chiave, credo. Mi torna a proposito qui una frase di Elliot: «Qual è la conoscenza che perdiamo nell'informazione e qual è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?». Si tratta di livelli di realtà completamente diversi. Dirò che la saggezza è riflessiva, che la conoscenza è organizzatrice e che l'informazione si presenta sotto forma di unità che possono essere indicate, a rigore, sotto forma di bit. Per me la nozione di informazione deve senz'altro essere posta su un piano secondario rispetto all'idea di computazione. Il passaggio dal primo al secondo volume di La Méthode coincide con il passaggio in direzione della dimensione computazionistica.

Qual è la cosa importante? Non è l'informazione, è la computazione che tratta, e direi estrae delle informazioni dall'universo. Sono d'accordo con von Foerster nell'affermare che le informazioni non esistono in natura. Siamo noi che le estraiamo dalla natura; noi trasformiamo gli elementi e gli eventi in segni, strappiamo l'informazione al rumore muovendo dalle ridondanze. Naturalmente le informazioni esistono dal momento in cui ci sono degli esseri viventi che comunicano tra loro e interpretano i loro segni. Ma prima della vita, l'informazione non esiste.

L'informazione presuppone la computazione vivente. Inoltre devo fare una precisazione: la computazione non si riduce al trattamento delle informazioni. La computazione vivente è ai miei occhi una dimensione non digitale. La vita è un'organizzazione computazionistica che, per ciò stesso, comporta una dimensione cognitiva indifferenziata al suo interno. Tale conoscenza non conosce se stessa. Il batterio non sa che cosa conosce, e non sa che cosa sa. L'apparato cerebrale degli animali costituisce un apparato differenziato dalla conoscenza. Non computa gli stimoli smistati e codificati dai ricettori sensoriali; computa le computazioni compiute dai suoi neuroni.

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