Copertina
Autore Diego Mormorio
Titolo Il Risorgimento
Sottotitolo1848-1870
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 1998, Storia fotografica della società italiana , pag. 191, fig.bn. 193, dim. 170x220x8 mm , Isbn 978-88-359-4431-7
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe fotografia , storia contemporanea d'Italia
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Indice


  5  Icone dell'unità


 21  Un'idea d'Italia

 47  Guerre d'Italia: Roma, Palermo, Gaeta

 87  Vincitori e vinti

 25  Il brigantaggio

143  Nello stato del papa


184  Foto simbolo

186  Cronologia
189  Letture consigliate
191  Referenze fotografiche

 

 

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ICONE DELL'UNITÀ



Genus italicum

Il Risorgimento, vale a dire il processo attraverso il quale nel 1870 si giunse all'unità d'Italia, fu un progetto politico cresciuto intorno a quello che Alberto Asor Rosa ha definito genus italicum.

«L' "italiano" o, per meglio dire l' "italico" di cui io parlo - ha scritto Asor Rosa - è quello che si forma e si manifesta piuttosto al livello di "sostrato" che di "identità nazionale" intesa in senso proprio. Le interferenze che indubbiamente esistono fra questi due livelli e che nessuno potrebbe negare consentono d'altra parte di avere una visione meno ideologica e piú concreta della stessa "identità nazionale" nel tempo: basterebbe pensare, ad esempio, ai modi con cui si determina (a partire inequivocabilmente dal sostrato) una grande costante del carattere nazionale, che io chiamerei il "pessimismo italiano" e che, dal momento della prima, grandiosa crisi (Guicciardini, e poi Sarpi), arriva pressoché ininterrottamente fino ai nostri giorni, attraverso una catena di crisi.

«Il sostrato, beninteso, non è la razza [...] è, tuttavia, quell'insieme di caratteri anche biologici oltre che antropologici e culturali, che trovano soprattutto nella comunanza della lingua (segni e sensi insieme) un punto d'approdo inconfondibile, che non cancella le differenze (tutt'altro), ma le invera in un sistema di relazioni e di scambi reciproci ...» (Genus italicum. Saggi sulla identità letteraria italiana nel corso del tempo, Torino, Einaudi, 1997, p. XXIX).

La lingua, dunque, è il segno piú evidente e profondo di ciò che noi chiamiamo «italiano». («La patria è la lingua» diceva Friedrich Dürrenmatt). In questo senso, le varie contraddizioni che accompagnarono l'unità d'Italia possono metaforicamente essere riassunte nel fatto che tale unità venne a compiersi con l'intervento determinante dell'aristocrazia e della borghesia piemontesi, che erano fra quelle che meno familiarità avevano con la lingua italiana.

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Fotografíe e vicende risorgimentali

I volti dei personaggi piú importanti nelle vicende che hanno condotto all'unità d'Italia ci sono giunti attraverso la fotografia, che in quegli anni muoveva i suoi primi passi e, proprio a partire dalla produzione ritrattistica, veniva assunta a strumento di propaganda. Attraverso la diffusione dei loro ritratti, si compiva una sorta di avvicinamento fisico tra i protagonisti della lotta politica e militare e il pubblico aristocratico e borghese. Si avviava cioè, tramite la fotografia, un processo di familiarítà con i personaggi piú in vista. Il pubblico aveva l'impressione di conoscere da vicino - proprio perché con il ritratto fotografico ne possedeva «l'immagine autentica» - quei personaggi che altrimenti sarebbero rimasti senza volto o avrebbero avuto quello «non oggettivo» del disegnatore. Nondimeno, per esperienza diretta, il pubblico percepiva che anche il fotografo, per quanto gli era possibile, cercava di compiere un'idealizzazione dei personaggi rappresentati. In questo modo, si riconosceva alla fotografia una particolare oggettività e al tempo stesso una capacità celebrativa. Intorno al 1860 questo pubblico, grazie all'affermazione di una particolare tecnica fotografica, aveva assunto l'abitudine di farsi ritrarre: per la prima volta nella storia, il ritratto non era piú il privilegio di un piccolissimo numero di persone, ma un rito di massa. Ciò fu possibile grazie alla comparsa della cosiddetta carte-de-visite: un'immagíne di piccolo formato brevettata nel 1854 dal francese Adolphe Disdéri, cosí chiamata per la somiglianza di formato con i biglietti da visita.

Il valore sociale di questo tipo di ritratto è strettamente connesso alla tecnica della sua produzione, cosa del resto fondamentale in tutta la storia della fotografia. Infatti, per dirla con Walter Benjamin, «l'elemento decisivo per la fotografia resta sempre il rapporto dei fotografo con la sua tecnica».

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Aspettando il 20 settembre 1870

Il 17 marzo 1861 nasce ufficialmente il Regno d'Italia. Una settimana dopo, nei suoi discorsi del 25 e 27 marzo, Cavour ribadisce la volontà di fare di Roma la capitale italiana, cosa che si sarebbe rivelata, per dieci anni, di non facile attuazione. Per i patrioti romani fu un decennio interminabile, costellato di accesi contrasti tra il Comitato d'azione, d'ispirazione mazziniana e il Comitato nazionale, filomonarchico, di lutti e persecuzioni.

Soprattutto nei primi cinque anni, nel periodo che va dalla sconfitta pontificia di Castefidardo al 1865, essi dovettero fronteggiare il terribile fanatismo del belga Xavier de Merode, divenuto ministro delle Armi, il quale attraverso la sua polizia e i suoi uomini dentro il tribunale della Sacra Consulta fu il padrone incontrastato di Roma. Questi, ritenendo che la città appartenesse soltanto ai cattolici, aveva iniziato una aperta lotta contro lo stesso segretario di Stato cardinale Antonelli - a suo avviso propenso a cedere agli italiani - arrivando a far imprigionare uno degli uomini a lui piú vicini, Ludovico Fausti, ingiustamente accusato di far parte del «partito piemontese». Per i patrioti romani quelli di De Merode furono gli anni «dell'iniquità e del terrore», che portarono le forze migliori del movimento all'esilío o al carcere di san Micheletto.

Nella corte papalina la vita continuava stancamente. In molti già pensavano che i soldati francesi prima o poi avrebbero lasciato la città e che gli italiani sarebbero arrivati. Da parte sua, Francesco II, mese dopo mese, si rendeva conto che il movimento di reazione nel Sud non avrebbe prodotto alcun risultato a lui favorevole e che pertanto non aveva piú alcuna speranza di tornare sul trono. Nondimeno nella città non mancavano i momenti di euforia. Ogni anno, d'estate, tutti i corpi dell'esercito pontificio andavano ad esercitarsi per due mesi ai ventilati Campi di Annibale, sui Castelli Romani, dove il papa andava a impartire la benedizione, arrivando in treno fino a Velletri, accolto da una grande folla. In occasione del campo del 1866, Antonio D'Alessandri realizzò un reportage che resta un importante documento sull'ultimo decennio del potere temporale dei papi e che evidenzia le qualità fotografiche dell'autore (foto 167-178). A queste immagini si aggiunsero quelle che il fotografo realizzò l'anno dopo, in seguito all'infruttuoso tentativo garibaldino di arrivare a Roma. Fotografò a Mentana il luogo dello scontro, il ponte Salario interrotto dai soldati pontifici, i resti della caserma Serristori che Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti avevano fatto saltare (e per cui vennero decapitati il 24 novembre), le armi e le bandiere prese ai garibaldini, nonché gli zuavi feriti e gli ufficiali francesi e pontifici che posavano da vincitori. Come si direbbe ora, coprí fotograficamente l'intero avvenimento.

Secondo la cronaca scritta dall'irlandese Patrick Keyes O'Clery, che partecipò alla battaglía come zuavo, «le truppe pontificie ebbero a Mentana 30 morti e 103 feriti; i francesi, che avevano preso poca parte alla lotta, subirono perdite minori; i garibaldini persero almeno 800 uomini; 1.600 furono fatti prigionieri; il resto ripassò la frontiera in vari punti, consegnandosi alle truppe italiane». Fra i caduti di quei giorni vi fu anche Enrico Cairoli, che morí il 23 ottobre nello scontro di Villa Glori. Il fratello Giovannino morirà invece, a seguito delle gravi ferite, due anni dopo, poco prima dell'arrivo delle truppe italiane a Roma. Cosí di cinque fratelli impegnati nella lotta risorgimentale quattro erano morti. Ernesto era infatti caduto nel 1859, combattendo con i Cacciatori delle Alpi, e Luigi, il quale aveva preso parte alla seconda spedizione garibaldina di Cosenza, era deceduto nel 1860 di tifo a Napoli. Della famiglia simbolo del Risorgimento restava in vita soltanto Benedetto. Il quale svolse attività parlamentare e di governo nelle file della sinistra, dando prova di essere uno degli uomini piú limpidi dell'Ottocento italiano.

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