Copertina
Autore Haruki Murakami
Titolo 1Q84
EdizioneEinaudi, Torino, 2011, Supercoralli , pag. 722, cop.ril.sov., dim. 14x22x4 cm , Isbn 978-88-06-20379-5
Originale1Q84 (ichi-kew-hachi-yon) [2009]
TraduttoreGiorgio Amitrano
LettoreAngela Razzini, 2012
Classe narrativa giapponese
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Indice


    Libro primo - Aprile-giugno

  5 1.  Aomame. Non si lasci ingannare dalle apparenze
 18 2.  Tengo.  Un'altra piccola idea
 38 3.  Aomame. Alcune cose che hanno subito modifiche
 53 4.  Tengo.  Se è quello che lei desidera
 70 5.  Aomame. Un lavoro che richiede abilità da specialisti e allenamento
 84 6.  Tengo.  Andremo molto lontano?
 98 7.  Aomame. Molto piano, in modo da non svegliare la farfalla
114 8.  Tengo.  Andare in un luogo sconosciuto a incontrare una persona sconosciuta
131 9.  Aomame. Cambiato il paesaggio, cambiate le regole
144 10. Tengo.  Una rivoluzione reale in cui scorre sangue vero
164 11. Aomame. Il corpo è per gli uomini un santuario
181 12. Tengo.  Venga il tuo Regno
197 13. Aomame. Una vittima nata
215 14. Tengo.  Cose che la maggior parte dei lettori non ha mai visto
230 15. Aomame. Come l'ancora che trattiene un pallone aerostatico
249 16. Tengo.  Sono davvero felice che ti sia piaciuto
264 17. Aomame. Se noi siamo felici o infelici
283 18. Tengo.  Non c'è piú spazio per il Grande Fratello
298 19. Aomame. Donne che si scambiano segreti
312 20. Tengo.  Poveri ghiliachi
328 21. Aomame. Per quanto lontano io cerchi di andare
341 22. Tengo.  Il tempo può procedere assumendo forme contorte
355 23. Aomame. Questo è solo l'inizio
369 24. Tengo.  Dove sta il senso del fatto che quel mondo sia diverso dal nostro?

    Libro secondo - Luglio-settembre

387 1.  Aomame. Quella era la città piú noiosa del mondo
404 2.  Tengo.  A parte l'anima, non possiedo nulla
422 3.  Aomame. Non si può scegliere come nascere, ma si può scegliere come morire
440 4.  Tengo.  Forse sarebbe meglio non augurarsi una cosa del genere
450 5.  Aomame. Un topo incontra un gatto vegetariano
462 6.  Tengo.  Abbiamo braccia molto lunghe
479 7.  Aomame. Il luogo dove adesso sta per entrare
489 8.  Tengo.  Stanno per arrivare i gatti
508 9.  Aomame. Ciò che giunge come compenso per aver ricevuto la Grazia
520 10. Tengo.  La proposta è stata respinta
535 11. Aomame. L'equilibrio in sé è un bene
551 12. Tengo.  Cose che non si possono contare sulle dita
564 13. Aomame. Se non ci fosse il tuo amore
578 14. Tengo.  Un pacchetto ricevuto
590 15. Aomame. Ha inizio finalmente il tempo degli spiriti
609 16. Tengo.  Come una nave fantasma
622 17. Aomame. Tirare fuori il topo
636 18. Tengo.  Un satellite silenzioso e solitario
647 19. Aomame. Quando la daughter aprirà gli occhi
666 20. Tengo.  Il tricheco e il cappellaio matto
671 21. Aomame. Che cosa devo fare?
681 22. Tengo.  Finché in cielo ci saranno due lune
690 23. Aomame. Metti un tigre nel motore
701 24. Tengo.  Finché rimane il tepore


 

 

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Pagina 5

1. Aomame

Non si lasci ingannare dalle apparenze


Nel taxi la radio trasmetteva un programma di musica classica in FM. Il brano era la Sinfonietta di Janáček. Non esattamente la musica piú adatta da sentire in un taxi bloccato nel traffico. E del resto nemmeno l'autista sembrava ascoltarla con troppa attenzione. L'uomo, di mezza età, era impegnato a guardare in silenzio la fila interminabile di auto che aveva davanti, come un pescatore provetto che, ritto a prua, scruta un minaccioso gorgo di correnti. Aomame, sprofondata nel sedile posteriore, gli occhi leggermente socchiusi, ascoltava la musica.

Quante persone ci saranno al mondo che, sentendo l'attacco della Sinfonietta di Janáček, possono dire con sicurezza che si tratta proprio della Sinfonietta di Janáček? La risposta potrebbe variare tra «pochissimi» e «quasi nessuno». Eppure, per qualche ragione, Aomame era in grado di riconoscerla.

Janáček aveva composto quella piccola sinfonia nel 1926. Il tema iniziale era stato scritto come fanfara per una grande manifestazione sportiva. Aomame provò a immaginarsi la Cecoslovacchia nel 1926. I suoi abitanti, dopo la fine della Prima guerra mondiale e la liberazione dal lungo dominio asburgico, si godevano la pace temporanea che aveva visitato l'Europa centrale, bevendo birra Pilsner nei caffè, e producendo mitragliatrici belle e potenti. Due anni prima si era spento, ignorato dal mondo, Franz Kafka. Presto, non si sa bene da dove, sarebbe comparso Hitler, e in un attimo avrebbe divorato quel paese bello e accogliente, ma allora nessuno sapeva che sarebbe accaduta una cosa tanto terribile. Forse la frase piú importante che la storia insegni agli uomini è «A quel tempo nessuno sapeva ciò che sarebbe accaduto». Ascoltando la musica, Aomame immaginava il vento che attraversava dolcemente le pianure della Boemia, e pensava agli eventi della storia.

Nel 1926 era morto l'imperatore Taishō, e aveva avuto inizio l'era Shōwa. Anche in Giappone stava per cominciare una fase buia e odiosa. Finiva il breve interludio del modernismo e della democrazia, e il fascismo acquistava potere.

La storia era, insieme allo sport, una delle passioni di Aomame. Leggeva pochi romanzi, ma era una lettrice vorace di libri che avessero a che fare con la storia. Della storia le piaceva soprattutto il fatto che ogni avvenimento era fondamentalmente legato a un'era e a un luogo determinati. Per lei imparare a memoria i nomi delle ere storiche non era mai stato particolarmente difficile. Anche se non memorizzava le date, le bastava afferrare le relazioni fra i vari eventi, e subito i nomi delle ere le venivano in mente in modo automatico. Per tutta la durata delle medie e del liceo, Aomame aveva ottenuto i voti piú alti della classe agli esami di storia. Ogni volta che qualcuno diceva di non riuscire a ricordare i nomi delle ere, le sembrava strano. Come mai non riuscivano a imparare una cosa cosí facile?

Aomame, «piselli verdi», era il suo vero cognome. Il nonno paterno era della prefettura di Fukushima, e nel suo piccolo paese o villaggio tra le montagne c'erano diverse persone che di cognome facevano Aomame. Ma li lei non c'era mai stata. Prima che nascesse, il padre aveva chiuso ogni rapporto con la famiglia d'origine. E lo stesso aveva fatto la madre. Quindi Aomame non aveva mai conosciuto i nonni. Era raro che facesse dei viaggi, ma quando ogni tanto le capitava, aveva preso l'abitudine di aprire l'elenco telefonico che trovava nella stanza d'albergo per controllare se ci fossero persone di cognome Aomame. Finora però non le era mai successo; in qualunque città o paese fosse andata, non ne aveva trovata neppure una. E si era sempre sentita come un naufrago solitario, alla deriva nella vastità del mare.

Per lei, dire il proprio cognome era sempre una seccatura. Nel momento in cui lo pronunciava, immancabilmente l'altra persona la guardava con un'espressione perplessa o sconcertata. «Aomame, ha detto?» «Sí, esatto, Aomame, si scrive con gli ideogrammi di "verde" e "pisello"». Nel periodo in cui aveva lavorato per un'azienda, poiché era obbligata a portare sempre con sé i biglietti da visita, il problema si era posto piú spesso. Quando porgeva il suo biglietto a qualcuno, questi restava a fissarlo per un bel po'. Come se gli fosse stata improvvisamente recapitata una missiva dal contenuto infausto. Quando diceva il suo cognome al telefono, a volte sentiva dall'altro lato una risatina soffocata. Nelle sale di attesa del municipio, o dell'ospedale, quando la chiamavano, le persone alzavano la testa per guardarla. Come se fossero curiosi di sapere che faccia potesse avere una persona che di cognome faceva Aomame.

A volte c'era anche qualcuno che la chiamava «Signorina Edamame», o «Soramame», confondendo «Aomame» con altri nomi di legumi. In quei casi le toccava precisare: «No, non è Edamame - o Soramame - ma Aomame. Sí, mi rendo conto che si somigliano...» E allora il suo interlocutore si scusava con un sorriso imbarazzato, dicendo: «Però, certo, è un cognome insolito». Quante volte, in trent'anni, aveva dovuto sostenere quella conversazione? Quante volte, a causa del suo nome, aveva dovuto sopportare scherzi idioti da parte di tutti? «Se non fossi nata con questo cognome, - pensava, - forse a quest'ora la mia vita avrebbe preso una piega diversa. Se avessi avuto un cognome banale come Satō, Tanaka o Suzuki, avrei vissuto una vita piú rilassante, e avrei guardato il mondo con occhi un po' piú generosi». Forse.

Aomame chiuse gli occhi e si concentrò sulla musica. Lasciò che il bellissimo riverbero prodotto dall'unisono dei fiati le invadesse la mente. Poi, di colpo, si accorse di una cosa. La qualità acustica era troppo elevata per la radio di un taxi. Nonostante il volume fosse piuttosto basso, il suono era profondo e gli armonici si distinguevano perfettamente. Apri gli occhi, si sporse in avanti e guardò lo stereo incastrato nel cruscotto. L'apparecchio era lucido e nero e scintillava orgoglioso. Aomame non riusciva a leggere il nome della marca, ma era evidente che si trattava di un apparecchio di lusso. Aveva molte manopole e i numeri verdi galleggiavano eleganti sul display. Senza dubbio era uno stereo di alta tecnologia. Non l'apparecchio che ci si aspetterebbe di trovare sulla vettura di una normale compagnia di taxi.

Aomame girò di nuovo lo sguardo all'interno dell'auto. Dopo essere salita a bordo, troppo presa dai suoi pensieri, non si era accorta che anche sotto altri aspetti quello non era un taxi comune. La qualità della tappezzeria era eccellente, e i sedili straordinariamente confortevoli. Ma, soprattutto, era silenzioso. L'isolamento acustico era tale che non arrivavano rumori dall'esterno. Sembrava di essere in uno studio di registrazione perfettamente insonorizzato. Forse era un taxi privato. C'erano autisti proprietari della loro vettura che per attrezzarla in modo adeguato non badavano a spese. Spostando solo lo sguardo cercò la targhetta di immatricolazione, ma non la trovò. Eppure non aveva l'aria di un taxi abusivo: un regolare tassametro scandiva con precisione la tariffa. Adesso la cifra indicata era 2150 yen. Tuttavia, da nessuna parte si vedeva la targhetta con il nome del conducente.

- È un'ottima macchina. Ed è molto silenziosa, - disse Aomame, rivolgendosi all'autista. - Che auto è?

- È una Toyota Crown Royal Saloon, - rispose l'uomo concisamente.

- La musica si sente benissimo.

- È un'auto silenziosa. L'ho scelta anche per questo. Per l'isolamento acustico, la tecnologia Toyota è tra le migliori al mondo.

Aomame annui e tornò ad adagiarsi sul sedile. C'era qualcosa, nel modo di parlare dell'autista, che non la convinceva del tutto. Era come se in ogni sua frase ci fosse un elemento importante che rimaneva inespresso. Per esempio (ma è solo un esempio), sembrava voler suggerire che le Toyota fossero impeccabili per quanto riguardava l'isolamento acustico, ma che da altri punti di vista avessero qualcosa che non andava. Quando aveva finito una frase, restava nell'aria un piccolo grumo silenzioso, carico di allusioni. E quel grumo aleggiava nello stretto spazio della vettura come un'immaginaria nuvoletta in miniatura. Per questa ragione, Aomame provava una lieve sensazione di disagio.

- Sí, è davvero silenziosa, - disse, come per scacciar via quella nuvoletta. - Anche lo stereo sembra un apparecchio piuttosto lussuoso.

- Prima di comprarlo, mi sono trovato di fronte a una scelta, - disse l'autista, col tono di un ufficiale di stato maggiore in pensione che parla delle sue antiche strategie militari. - Ma dovendo passare tanto tempo in macchina, volevo, per quanto possibile, un'ottima qualità del suono, e poi...

Aomame aspettava il seguito. Ma il seguito non venne. Chiuse di nuovo gli occhi, e tornò ad ascoltare la musica. Non aveva la minima idea di che tipo di uomo potesse essere stato Janáček. Una cosa però era certa: mai avrebbe potuto immaginare che nel lontano 1984 qualcuno avrebbe ascoltato la musica da lui composta all'interno di una Toyota Crown Royal Saloon ultrasilenziosa, nel traffico paralizzato della tangenziale di Tōkyō.

«Ma come ho fatto a capire subito che questo brano è la Sinfonietta di Janáček? - si chiese stupita Aomame. - E come mai so con certezza che è stato composto nel 1926?» Non era appassionata di musica classica. Né aveva alcun ricordo personale collegato a Janáček. Eppure, dal momento in cui aveva sentito l'attacco dell'orchestra, le si era subito affacciata alla mente, in modo automatico, una serie di informazioni. Come se dalla finestra aperta fosse entrato uno stormo di uccelli. Tuttavia quella musica le provocò anche una strana sensazione, simile a una torsione. Nessun dolore o altri sintomi spiacevoli. Ma era come se la sua struttura fisica fosse stata sottoposta a una manipolazione piuttosto invasiva. Aomame era sconcertata. «Com'è possibile che questa Sinfonietta provochi in me una reazione cosí assurda?» pensò.

- Janáček, - disse Aomame, quasi inconsciamente. E subito si penti di averlo fatto.

- Come?

- Janáček. È il nome del compositore di questa musica.

- Non lo conosco.

- È un compositore ceco, - disse Aomame.

- Ah, - fece l'autista, con una certa ammirazione.

- Il suo è un taxi privato? - chiese Aomame per cambiare discorso.

- Sí, - rispose l'uomo. Poi, dopo una pausa, aggiunse: - Lavoro in proprio. Questa è la mia seconda automobile.

- I sedili sono veramente comodi.

- La ringrazio. Ma senta, signora... - disse l'autista girando appena la testa verso di lei. - Per caso ha fretta?

- Ho appuntamento con una persona a Shibuya. Per questo le avevo chiesto di prendere la tangenziale.

- A che ora è il suo appuntamento?

- Alle quattro e mezza, - rispose Aomame.

- Adesso sono le tre e quarantacinque. Con questo traffico non ce la farà ad arrivare in tempo.

- Pensa che la situazione sia cosí disastrosa?

- Deve esserci stato un brutto incidente piú avanti. Questo non è un ingorgo normale. È già da un po' che siamo completamente fermi.

«Perché l'autista non ascolta le informazioni sul traffico? - si domandò sorpresa Aomame. - Ci troviamo in un ingorgo spaventoso, completamente bloccati. Di solito in questi casi l'autista si sintonizza su un canale che dà notizie sulla circolazione».

- Lo capisce anche senza ascoltare le informazioni sul traffico? - chiese Aomame.

- Le informazioni che danno alla radio sono inaffidabili, - disse l'autista con un tono vagamente annoiato. - Le cose che dicono sono per metà bugie. Quelli dell'Ente Autostrade diffondono esclusivamente le notizie che fanno comodo a loro. Uno si può fare un'idea di ciò che sta accadendo solo guardando con i propri occhi e giudicando con la propria testa.

- E giudicando con la sua testa, lei pensa che questo ingorgo non si risolverà facilmente?

- Per il momento, è impossibile, - rispose l'autista scuotendo il capo. - Glielo posso garantire. Quando c'è un blocco di questo tipo, la tangenziale diventa un inferno. Aveva un appuntamento importante?

Aomame rifletté un attimo.

- Sí, molto importante. Un impegno di lavoro, con un cliente.

- Allora è un bel guaio. Mi dispiace, ma temo proprio che non ce la farà.

Dopo aver pronunciato queste parole, l'autista ruotò leggermente la testa a destra e a sinistra, come per rilassare i muscoli del collo. Le rughe sulla nuca si mossero come una creatura preistorica. Mentre seguiva distrattamente con lo sguardo quel movimento, Aomame si ricordò di colpo dell'oggetto dalla punta acuminata che aveva sul fondo della borsa a tracolla. I palmi delle mani le si ricoprirono di un leggero velo di sudore.

- Allora cosa potrei fare?

- Non può fare niente. Visto che siamo sulla tangenziale, non ci sono alternative fino a quando non arriveremo alla prossima uscita. Non può scendere e raggiungere la fermata piú vicina del metrò come avrebbe potuto fare su una strada normale.

- Qual è la fermata piú vicina?

- Ikejiri, ma è probabile che non ci arriveremo prima del tramonto.

Il tramonto? Aomame si immaginò imprigionata in quel taxi fino al tramonto. La musica di Janáček continuava. Gli archi, in sordina, si fecero avanti come per calmare il suo nervosismo. Quella sensazione di prima, simile a una torsione, si era notevolmente placata. Ma cosa era stato?

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Pagina 117

Durante l'ultimo anno di guerra, il padre di Tengo era ritornato dalla Manciuria senza un soldo in tasca. Terzo figlio di una famiglia di contadini del Tōhoku, insieme ad altri compagni del suo paese era entrato a far parte dei gruppi per la bonifica di Manciura e Mongolia, e con essi era partito. Non perché avessero abboccato alla propaganda governativa secondo cui la Manciuria era «la terra della virtú e del benessere», dove i campi erano vasti e fertili, e chi li avesse raggiunti avrebbe vissuto nell'abbondanza. Che una «terra della virtú e del benessere» non esistesse da nessuna parte, lo sapevano bene fin dall'inizio. Ma erano poveri e affamati. Restando nelle loro campagne, avrebbero rischiato di morire di fame: dappertutto c'era la recessione e i disoccupati crescevano a dismisura. Anche raggiungendo le grandi città, non c'era speranza di trovare un lavoro decente. Dunque, trasferirsi in Manciuria era una delle poche vie che restavano per sopravvivere. Ricevettero delle informazioni provvisorie sullo stato dell'agricoltura in quella regione e un rapido addestramento come agricoltori colonizzatori ai quali poteva capitare di dover imbracciare il fucile in caso d'emergenza. Lasciarono il proprio paese accompagnati da tre banzai e furono accompagnati al confine tra Mongolia e Manciuria con un treno a vapore partito da Dalian. Lí, insieme a terre da coltivare, vennero dati loro attrezzi agricoli e fucili; quindi, con i compagni, si dedicò al lavoro dei campi. La terra era arida e sassosa, e durante l'inverno ghiacciava. Non essendoci cibo, si mangiavano persino i cani randagi. E tuttavia nei primi anni, grazie anche a qualche aiuto del governo, riuscirono in un modo o nell'altro a sopravvivere.

Nell'agosto del 1945, quando la vita cominciava finalmente ad aquistare un po' di stabilità, le truppe sovietiche infransero il patto di neutralità e iniziarono a fare scorrerie in tutto il territorio della Manciuria. L'esercito sovietico, che aveva lasciato il fronte europeo, attraverso la Ferrovia siberiana trasferí in Estremo Oriente ingenti forze militari, sistemandone progressivamente la disposizione in modo da superare il confine. Il padre di Tengo, che in segreto era stato informato della situazione pericolosa da un funzionario con il quale per caso aveva stretto amicizia, previde che presto ci sarebbero state delle incursioni. Il funzionario gli disse in via del tutto confidenziale che le armate giapponesi in Manciuria, gravemente indebolite, non avrebbero potuto resistere agli attacchi. Se la situazione fosse peggiorata, era meglio che si tenesse pronto a fuggire. Magari il piú in fretta possibile. Quindi, non appena gli giunse notizia che le truppe sovietiche avevano oltrepassato il confine, si precipitò alla stazione con il cavallo che aveva tenuto pronto, e riuscí a partire con il penultimo treno per Dalian. Quell'anno, fu l'unico dei suoi compaesani a tornare in Giappone sano e salvo.

Finita la guerra, andò a Tōkyō dove provò a trafficare nel mercato nero e a imparare la falegnameria, ma nessuna delle due attività andò bene. Riusciva a stento a mantenersi. Nell'autunno del 1947, mentre lavorava come trasportatore per un commerciante di sakè, incontrò casualmente, per strada, un conoscente del periodo trascorso in Manciuria. Era il funzionario che lo aveva informato dell'imminente scoppio della guerra tra Russia e Giappone. L'uomo, in Manciuria, era passato a occuparsi dei servizi postali, ma adesso era tornato in Giappone e aveva ripreso il suo vecchio impiego al ministero di Posta e comunicazioni. Forse perché era un compaesano, o perché conosceva le sue capacità di lavorare duramente, ma insomma, l'uomo sembrava avere simpatia per il padre di Tengo e lo invitò a pranzo.

Sentendo che se la passava male senza un lavoro stabile, il funzionario gli chiese se sarebbe stato disposto a lavorare come esattore per la NHK. Lí aveva un amico, e poteva tentare di presentarlo. Il padre di Tengo accettò grato l'offerta. La NHK, non sapeva neanche cosa fosse, ma qualunque lavoro con un fisso mensile gli sarebbe andato bene. Il funzionario scrisse una lettera di presentazione, e arrivò persino a fargli da garante. Grazie a ciò, il padre di Tengo venne assunto senza difficoltà come esattore per la NHK. Seguí un periodo di apprendistato, gli diedero una divisa e gli furono assegnati dei compiti. Le persone cominciavano finalmente a risollevarsi dallo shock della sconfitta, e nella povertà delle loro vite cercavano delle distrazioni. La musica, le risate e lo sport che venivano offerti dalla radio erano lo svago piú accessibile ed economico; per di piú la radio aveva raggiunto un livello di diffusione imparagonabile a quello prima della guerra. La NHK aveva bisogno di una gran quantità di persone dislocate sul territorio per girare a riscuotere il canone.

Il padre di Tengo svolgeva con estremo zelo il suo lavoro. I suoi punti forti erano il fisico robusto e la pazienza. In ogni caso era un uomo che nella vita non aveva mai mangiato a sazietà. Per una persona del genere, l'impiego come esattore per la NHK non era particolarmente faticoso. E tutti gli improperi e le ingiurie che gli toccava subire gli sembravano poca cosa. Anche se occupava i gradini piú bassi, il fatto di appartenere a un'organizzazione cosí grande lo riempiva di orgoglio. Per circa un anno lavorò come esattore incaricato, quindi senza alcuna garanzia, ma poiché i suoi risultati e il suo comportamento erano eccellenti, venne assunto come esattore regolare. Fu una promozione insolita rispetto alle abitudini dell'azienda. A influire furono soprattutto gli ottimi risultati raggiunti in un campo difficile come quello della riscossione del canone, e naturalmente l'influenza del funzionario del ministero. Gli venne assegnato uno stipendio base, al quale andavano a sommarsi diverse indennità. Ebbe la possibilità di abitare negli alloggi dell'azienda, e di usufruire dell'assistenza sanitaria. La differenza di trattamento rispetto ai semplici esattori incaricati, che venivano praticamente sfruttati e gettati via, era abissale. Fu la fortuna piú grande che gli fosse capitata in vita sua. Ad ogni modo, finalmente era riuscito ad assicurarsi una posizione stabile nel punto piú basso del totem.

Era una storia che Tengo aveva sentito raccontare fino alla nausea. Il padre non gli cantava la ninnananna né gli leggeva le favole prima di dormire. In compenso, però, non finiva mai di raccontargli le esperienze della sua vita. La nascita in una povera famiglia di coloni del Tōhoku; l'educazione ricevuta a suon di lavoro e bastonate, degna di un cane; il passaggio come membro dei gruppi per la bonifica dei campi in Manciuria, un posto tanto freddo che l'urina si ghiacciava prima di arrivare a terra; la coltivazione dei campi abbandonati che veniva interrotta per scacciare a fucilate i banditi a cavallo e i branchi di lupi; la fuga disperata di fronte all'vanzata dei carri armati sovietici; il ritorno in patria sano e salvo, senza passare per i campi di prigionia siberiani; la lotta per sopravvivere nel caos del dopoguerra, combattendo contro la fame... e infine la cronaca terminava con lui che - fortuna suprema - diventava un esattore regolare della NHK grazie a una segnalazione casuale. Essere diventato esattore della NHK era l' happy end che concludeva la storia. A quel punto il racconto finiva con un «e vissero tutti felici e contenti».

Il padre di Tengo era abbastanza bravo a raccontare quelle vicende. Naturalmente non c'era modo di sapere fino a che punto fossero vere, ma nel complesso suonavano credibili. Inoltre, sebbene non si potesse dire che avessero significati profondi, i dettagli erano vivaci, e lo stile della narrazione pittoresco. C'erano storie comiche, altre commoventi, altre ancora violente. Alcune erano talmente straordinarie da lasciare a bocca aperta, altre rimanevano incomprensibili anche dopo averle ascoltate un'infinità di volte. Se una vita si potesse misurare con la varietà degli episodi accaduti, probabilmente quella del padre si sarebbe potuta definire, nel suo genere, una vita molto ricca.

Ma se si trattava di parlare di quanto era accaduto dopo che era stato assunto come esattore regolare nella NHK, per qualche ragione i racconti perdevano di colpo colore e verosimiglianza. Non erano piú ricchi di dettagli e risultavano incoerenti, quasi si trattasse di una debole scia della vita precedente, che non valeva la pena riferire. Aveva conosciuto una donna, l'aveva sposata e lei gli aveva dato un figlio, cioè Tengo. Poi, pochi mesi dopo aver dato alla luce il bambino, si era ammalata e subito dopo era morta. Lui non si era piú risposato, e aveva cresciuto Tengo da solo, continuando a lavorare come esattore per la NHK. E con questo si arrivava al presente. Fine della storia.

Di come e in quali circostanze avesse incontrato la mamma di Tengo e si fossero sposati, di che tipo di donna fosse, cosa avesse provocato la sua morte (c'entrava, forse, la sua nascita?), se fosse stata una morte relativamente dolce, o segnata da dolori atroci, di tutto questo il padre non raccontava quasi nulla. Se Tengo lo interrogava, lui eludeva l'argomento e non rispondeva. Anzi, il piú delle volte diventava di cattivo umore e si chiudeva nel mutismo. Della madre non restava una sola fotografia, nemmeno una foto, ricordo del matrimonio. Il padre giustificava quel vuoto dicendo che non disponevano di mezzi per organizzare una cerimonia, e non avevano portato la macchina fotografica.

Ma Tengo non credeva a quei racconti. Il padre nascondeva i fatti e cambiava le storie. Non era possibile che la madre fosse morta pochi mesi dopo averlo partorito. Nei ricordi che conservava, fino a quando aveva un anno e mezzo la madre era ancora viva. E mentre le dormiva accanto, lei abbracciava e si accoppiava con un uomo che non era suo padre.

Sua madre si sfilava la camicetta, si abbassava la spallina della sottoveste e offriva i capezzoli da succhiare a un uomo che non era suo padre. Tengo dormiva li accanto, e nella stanza si sentiva il suo respiro regolare nel sonno. Eppure, nello stesso tempo non dormiva. La guardava.

Quella scena di una decina di secondi gli si era impressa nitidate nella memoria. Per lui costituiva la foto ricordo di sua madre, ed era l'unica informazione concreta che avesse di lei. Se la coscienza di Tengo riusciva a mantenere un flebile contatto con la madre, era grazie a quell'immagine. A lei era legato attraverso quell'ipotetico cordone ombelicale. La sua coscienza affiorava dal liquido amniotico dei ricordi e riusciva a percepire l'eco del passato. Ma suo padre ignorava che Tengo avesse quella scena stampata in maniera cosí vivida nella memoria. Non sapeva che la ruminasse all'infinito nella mente, come fanno le mucche con l'erba, e che da essa traesse un ricco nutrimento. Padre e figlio si tenevano stretto, e ben nascosto, ognuno il proprio segreto.

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Pagina 341

22. Tengo

Il tempo può procedere assumendo forme contorte


Tengo pensava al proprio cervello. C'erano tante cose che lo spingevano a farlo.

Negli ultimi due milioni cinquecentomila anni il cervello umano ha quadruplicato le sue dimensioni. Per quanto riguarda il peso, corrisponde solo al 2 per cento di quello totale del corpo, ma ciò nonostante consuma circa il 40 per cento delle sue energie complessive (cosí era scritto in un libro che aveva letto di recente). Ciò che l'uomo ha ottenuto grazie a questo incredibile sviluppo dell'organo chiamato cervello, sono i concetti di tempo, spazio e possibilità.

I concetti di tempo, spazio e possibilità.

Tengo sapeva che il tempo può procedere assumendo forme contorte. Il tempo in sé dovrebbe avere una struttura uniforme ma, una volta consumato, si deforma. Un periodo di tempo può essere terribilmente pesante e lungo, e un altro leggero e breve. E a volte il prima e il dopo si invertono e nei casi peggiori scompaiono del tutto. Capita pure che vi si aggiungano cose che non dovrebbero farne parte. Forse le persone, regolando il tempo in modo cosí arbitrario, regolano anche il significato della propria esistenza. In altre parole, contribuendo a plasmarlo, riescono a mantenere, seppure a fatica, la propria sanità mentale. Se uno dovesse accettare il tempo che ha attraversato cosí com'è, seguendo un ordine diacronico e in modo uniforme, di sicuro i suoi nervi non reggerebbero. La sua vita equivarrebbe a una tortura. Cosí pensava Tengo.

Grazie all'espansione del cervello, l'uomo ha acquisito il senso della temporalità, ma ha imparato anche il metodo per modificarlo e regolarlo. Mentre consuma senza sosta il tempo, parallelamente l'uomo riproduce senza sosta quello manipolato dalla sua coscienza. È un lavoro non comune. Se il cervello consuma il 40 per cento delle energie totali del corpo, non è quindi poi tanto strano.


«I ricordi di quando avevo un anno e mezzo o al massimo due saranno davvero autentici?» si chiedeva spesso Tengo. La scena della madre in sottoveste, che offre i capezzoli da succhiare a un uomo che non è suo padre. Le braccia di lei che cingono il corpo dell'uomo. È un'immagine che un bambino di un anno e mezzo o due può distinguere in modo cosí preciso? Ed è possibile che la ricordi in modo cosí nitido fin nei minimi dettagli? Non si tratterà di un falso ricordo, creato successivamente per motivi egoistici e di autodifesa?

Era possibile. Per provare di non essere il figlio biologico del suo cosiddetto padre, a un certo punto il cervello di Tengo aveva fabbricato in maniera del tutto inconscia il ricordo di un altro uomo (che poteva essere il suo vero padre). E cosí aveva cercato di escludere il «cosiddetto padre» dal ristretto vincolo del sangue. Creando un posto dentro di sé per sua madre che immaginava ancora viva da qualche parte e per la persona ipotetica che corrispondeva al suo vero padre, Tengo tentava di concedere alla propria vita, limitata e opprimente, una nuova via d'uscita.

Ma quel ricordo era accompagnato da una vivida sensazione di realtà completa di tatto, peso, odore, profondità. Il ricordo era ostinatamente attaccato al muro della sua coscienza come un'ostrica a una nave in disarmo. Per quanto cercasse di scrollarlo, o farlo scorrere via, non c'era modo di sbarazzarsene. Che quel ricordo fosse solo un falso, costruito dalla sua coscienza in risposta a un'esigenza, Tengo non riusciva proprio a crederlo. Era troppo reale, e troppo insistente, per essere soltanto un prodotto dell'immaginazionone.

«Proviamo a pensare che sia un ricordo autentico, reale».

Tengo, che era un bambino molto piccolo, vedendo quella scena aveva sicuramente avuto paura. Quei seni che avrebbero dovuto essere offerti a lui, era qualcun altro a succhiarli. Qualcuno piú grande e piú forte. E aveva come la sensazione che la propria esistenza fosse stata cancellata, anche se soltanto per un breve lasso di tempo, dalla mente della madre. Una situazione in cui la sua debole vita era minacciata alle fondamenta. Forse la paura primordiale provata in quel momento si era impressa in modo indelebile sulla carta fotosensibile della sua memoria.

E il ricordo di quella paura, risvegliandosi bruscamente, senza alcun preavviso, lo investiva come un'inondazione, e provocava in lui uno stato d'animo simile al panico. E gli diceva, gli ricordava: «Dovunque andrai, qualsiasi cosa farai, non potrai sfuggire alla pressione di quest'acqua. Questo ricordo definisce il tuo essere, dà forma alla tua vita, e cerca di indirizzarti in un luogo stabilito. Per quanto tu possa dibatterti, non potrai mai sfuggire alla sua forza».

Poi tutt'a un tratto Tengo pensò: «Quando ho tirato fuori dalla lavatrice il pigiama indossato da Fukaeri e l'ho portato al naso per annusarlo, forse cercavo l'odore di mia madre». Aveva questa sensazione. Ma perché mai avrebbe dovuto cercare l'immagine di sua madre che se n'era andata tanto tempo fa nell'odore del corpo di una ragazza di diciassette anni? Doveva esserci un posto piú adatto per cercarlo. Per esempio nel corpo della sua amica, una donna già matura.

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