Autore Ignazio Musu
Titolo Eredi di Mao
SottotitoloEconomia, società, politica nella Cina di Xi Jinping
EdizioneDonzelli, Roma, 2018, Saggine 314 , pag. 200, cop.fle., dim. 11,3x16,8x1,4 cm , Isbn 978-88-6843-871-5
LettoreLuca Vita, 2019
Classe paesi: Cina , storia: Asia , storia contemporanea , economia












 

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Indice


 VII Prefazione di Romano Prodi

  3  Introduzione

     I. Prima di Xi Jinping

  9  1. La prima fase delle riforme economiche: Deng Xiaoping
 15  2. La seconda fase delle riforme economiche: Jiang Zemin
 18  3. La terza fase delle riforme economiche: Hu Jintao

     II. La figura di Xi Jinping e la sua strategia politica

 25  1. Gli anni giovanili
 28  2. L'ascesa
 31  3. La lotta alla corruzione
 39  4. Il fondamento «ideologico»
 46  5. Il ruolo del Partito
 50  6. La visione politica
 55  7. Un disegno di vasto respiro

     III. Xi Jinping e l'economia

 59  1. L'economia cinese sta cambiando
 64  2. La trasformazione del sistema produttivo cinese
 80  3. Mercato e Stato in Cina

     IV. Xi Jinping e la società

 93  1. Gli squilibri territoriali
101  2. Gli squilibri nella rete di protezione sociale
107  3. Gli squilibri ambientali

     V. Xi Jinping e i rischi di instabilità

113  1. Il rischio della bolla immobiliare
115  2. Il rischio dell'eccessivo indebitamento
125  3. La riforma del sistema finanziario

     VI. Xi Jinping e la Cina nel contesto internazionale

131  1. La Nuova via della seta
137  2. La Cina investe all'estero
143  3. L'internazionalizzazione del renminbi
146  4. La Cina e il resto del mondo: tra buoni rapporti e tensioni
164  5. Cina e Stati Uniti
179  6. Cina ed Europa

187  Conclusioni

195  Riferimenti bibliografici


 

 

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Pagina 3

Introduzione



Se si tiene conto della diversità del potere d'acquisto tra paesi, il Prodotto interno lordo (Pil) della Cina è ormai arrivato a superare quello degli Stati Uniti. Secondo il rapporto del Fondo monetario internazionale dell'aprile 2018, il peso del Prodotto interno lordo della Cina sul Prodotto lordo mondiale, misurato in termini di «parità dei poteri d'acquisto», è arrivato al 18,2%, superiore al peso del Pil degli Stati Uniti sul Pil mondiale, che è del 15,3% (Fmi 2018). L'economia della Cina è dunque già diventata la prima economia del mondo.

Anche se la Cina non si può ancora definire un paese ricco (il suo reddito pro capite è di poco sotto la media mondiale, ed è ancora un quarto di quello degli Stati Uniti), siamo di fronte a un'economia e a una società che si sono trasformate e si stanno trasformando con un'intensità e soprattutto con una rapidità che non sono mai state sperimentate nella storia; siamo di fronte a un paese il cui ruolo internazionale sta diventando sempre più forte, non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto quello politico.

Dal 2012 la leadership della Cina è nelle mani di Xi Jinping; e oggi si può affermare che, dopo Mao Zedong, il paese non ha mai avuto un leader di così grande influenza e potere; dal 2017 Xi Jinping è entrato nel suo secondo mandato quinquennale, e sono state apportate modifiche costituzionali che aprono la possibilità che questa leadership vada oltre i dieci anni consentiti prima di queste modifiche, e cioè oltre il 2022.

Questi due fatti - la potenza economica della Cina e il grande potere di Xi Jinping, soprattutto questo secondo - sono guardati in Occidente con apprensione, se non con preoccupazione e timore. Leggendo quello che si scrive sulla Cina si ha spesso l'impressione che vi siano posizioni preconcette a favore o contro Xi Jinping, che non tengono adeguato conto della complessità di un paese dalla storia e cultura particolari e millenarie.

Nelle pagine che seguono ci si propone di dare al lettore che desideri affrontare la complessità della situazione cinese attuale una visione sintetica, ma il più possibile sistematica, della Cina di Xi Jinping e delle sue prospettive. In molte parti del libro si valorizzano vari aspetti del paese; ma in altre vengono messe in evidenza critiche e ambiguità su aspetti cruciali del modo con cui la leadership di Xi Jinping viene esercitata. Questo intrecciarsi di aspetti positivi e negativi implica la difficoltà di prevedere con sicurezza l'evoluzione che avrà la Cina nei prossimi anni. Quello che è certo è che il peso e il ruolo economico ormai assunti dalla Cina sulla scena internazionale non rendono auspicabile un suo fallimento, perché questo comporterebbe conseguenze disastrose per l'intera economia mondiale.

Xi Jinping, all'inizio del suo secondo mandato quinquennale, si trova di fronte a una grande sfida: continuare a guidare la trasformazione e la modernizzazione della Cina, affrontando però anche i seri squilibri strutturali ancora presenti nell'economia e nella società, in un contesto politico-istituzionale il cui indiscutibile autoritarismo va peraltro letto alla luce delle caratteristiche specifiche della cultura cinese. Xi Jinping dimostra una notevole abilità in questo compito, testimoniata dall'aver saputo dare alla sua strategia politica un'ampiezza, un respiro e una natura carismatica assenti nei suoi predecessori.

Bisogna comunque tener presente che la Cina non sarebbe arrivata al punto in cui è giunta quando Xi Jinping ha preso il potere senza i precedenti trentacinque anni di riforme economiche che hanno caratterizzato l'era post-maoista (Musu 2011). Questa è la ragione che ha indotto a sintetizzare nel primo capitolo le principali caratteristiche di questo ormai lungo periodo di riforme economiche.

Il secondo capitolo si sofferma sulla figura di Xi Jinping, e su alcune caratteristiche della sua presenza nel sistema politico-istituzionale della Cina, dalla lotta alla corruzione alla sua visione ideologica, con particolare riferimento al ruolo del Partito comunista cinese (Pcc), e ai tratti principali del suo progetto geopolitico.

Nel terzo capitolo si affronta il nodo centrale delle trasformazioni che hanno investito l'economia cinese e delle peculiarità che l'economia cinese presenta nell'era di Xi Jinping; si cerca di mettere in evidenza le luci, ma anche le ombre di questo processo, sottolineando la complessità e le ambiguità che ancora oggi presenta il rapporto tra mercato e Stato nella realtà cinese.

Nel quarto capitolo vengono discusse le sfide poste a Xi Jinping dagli squilibri tuttora presenti in Cina sotto il profilo territoriale, sociale e ambientale.

Il quinto capitolo è dedicato all'analisi dei principali rischi di instabilità oggi presenti nell'economia cinese, soprattutto il rischio, da molti sottolineato con preoccupazione, di un eccessivo indebitamento; si affrontano anche le prospettive di riforma nel sistema bancario e finanziario.

Infine, nell'ultimo capitolo si cerca di dare una visione complessiva del crescente ruolo internazionale della Cina. Ci si sofferma sulla importante iniziativa strategica della Nuova via della seta, nota come «Belt and Road Initiative», sul peso crescente degli investimenti cinesi all'estero, sulle prospettive di internazionalizzazione della moneta cinese (il renminbi) e sui rapporti della Cina con i paesi delle diverse aree del mondo, con attenzione anche alle tensioni che il suo crescente peso internazionale comporta. Particolare attenzione viene dedicata al ruolo della Cina in Asia, e ai rapporti della Cina con gli Stati Uniti e con l'Europa.

Nel paragrafo conclusivo vengono esposte alcune considerazioni sulla situazione e sui possibili sviluppi della Cina di Xi Jinping, e sulle implicazioni che tali sviluppi possono avere sulla situazione internazionale.

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VI. Xi Jinping, la Cina e il mondo



1. La Nuova via della seta



Negli ultimi anni il peso della Cina sulla scena internazionale è molto aumentato, e, come si è affermato più volte nelle pagine precedenti, Xi Jinping sta decisamente muovendosi nella prospettiva di rafforzarlo soprattutto, ma non solo, a livello economico.

Significative di questo maggiore impegno sono due importanti iniziative nate con Xi Jinping: l'Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) costituita nel 2014, ma soprattutto la One Belt, One Road Initiative (d'ora in avanti B&R Initiative), lanciata da Xi Jinping sulle orme dell'antica Via della seta.

La Aiib ha suscitato molte opposizioni in particolare da parte degli Stati Uniti e del Giappone, che hanno visto in questa iniziativa una sorta di contraltare a guida cinese rispetto alla Banca mondiale, e non hanno voluto entrarvi. In realtà la Cina è riuscita a coinvolgere nell'iniziativa molti paesi avanzati, come l'Australia, vari paesi europei compresa la Gran Bretagna, e il Canada.

Il presidente della Aiib, Jin Liqun, ha sempre negato che questa banca internazionale sia espressione di un disegno egemonico della Cina, e ha sostenuto che tale accusa è smentita proprio dall'impegno che la Cina ha posto nel coinvolgimento dei paesi occidentali nel progetto di sostenere lo sviluppo delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo come premessa per mettere questi paesi sul cammino del decollo verso una crescita autosostenuta. Non si può negare che il coinvolgimento di così tanti paesi nella Aiib limita l'influenza della Cina nelle scelte degli investimenti da finanziare e nella raccolta dei fondi destinati a tali progetti; è probabile inoltre che l'Aiib sarà più esigente della Cina per quanto riguarda le condizioni poste ai paesi destinatari dei fondi in merito ad aspetti come la tutela dei diritti umani, proprio per la presenza di un maggior numero di paesi finanziatori sensibili a questo tema.

Ma tra le due iniziative, la Aiib e la B&R Initiative, questa seconda è certamente quella di maggior rilievo. La B&R Initiative, nota anche come Nuova via della seta, si ispira all'antica Via della seta, quella rete di comunicazioni tra Asia e Europa che è rimasta attiva dalla nascita dell'Impero cinese nel 200 a.C. fino alla caduta dell'Impero romano d'Oriente nel 1453 ad opera dell'Impero ottomano.

L'antica Via della seta si articolava in una via terrestre che passava a nord dell'altopiano del Tibet, e in una via marittima che collegava la Cina all'Arabia oltrepassando la Penisola indiana. Queste due reti, terrestre e marittima, costituiscono anche lo scheletro fondamentale della B&R Initiative.

Per circa diciassette secoli la Via della seta ha caratterizzato attraverso il commercio le relazioni tra grandi civiltà che hanno fatto del continente eurasiatico il centro di riferimento della fase iniziale della globalizzazione, prima che questa avesse come centro di riferimento il rapporto tra Europa e America. Una vivida descrizione della Via della seta sia nella sua parte terrestre sia nella sua parte marittima ci è data da Marco Polo nel suo Milione.

Nel Milione si legge che Marco Polo visitò la Cina quando era dominata dagli imperatori della dinastia Yuan, alla quale avevano dato vita i conquistatori mongoli guidati da Gengis Khan. Dalla lettura appare chiaro che la strategia dell'imperatore Kublai Khan fosse quella di essere al centro di un processo di connessione di un mondo multiculturale, l'Eurasia, attraverso il commercio (di gemme preziose, manufatti, tessuti, spezie) molto più che non attraverso le armi: un'esperienza storica il riferimento alla quale può molto aiutare a capire, in un contesto ovviamente del tutto diverso, la strategia che Xi Jinping si propone oggi con la B&R Initiative (Kaplan 2018).

La B&R Initiative è un tipico esempio dell'unicità e del grande respiro del disegno geopolitico di Xi Jinping al quale si è fatto riferimento nel secondo capitolo di questo libro. È comprensibile quindi che susciti grandi critiche e grandi speranze («The Economist» 2018b). Recentemente, per esempio, sono state avanzate critiche all'iniziativa da parte degli Stati Uniti e del Fondo monetario internazionale. Formalmente queste critiche sono state motivate con il rischio di un indebitamento eccessivo da parte dei vari paesi, in primo luogo ovviamente la Cina, coinvolti nell'iniziativa. Ma dietro le critiche, soprattutto statunitensi, ci sono certamente le preoccupazioni per il ruolo egemonico che la Cina di Xi Jinping con questa iniziativa si propone.

Per quanto riguarda le speranze, molti osservatori e molti politici occidentali, in particolare europei, guardano con favore alla B&R Initiative, soprattutto nell'ottica di un rilancio delle relazioni tra Cina e Europa; l'Europa viene vista come un possibile terminale sia della via di terra sia di quella di mare della Nuova via della seta. A parte il fatto che il possibile terminale è diverso a seconda del paese che lo propone, a dimostrazione di un'incapacità dell'Europa di esprimere un proprio atteggiamento unitario nel confronti della Cina (incapacità sulla quale si avrà modo di soffermarsi più avanti), questa è una visione riduttiva dell'iniziativa. L'ambizione della Cina è ben altra e non può essere intrappolata in una visione eurocentrica; è piuttosto quella di aumentare in modo sostanziale la propria leadership sui paesi in via di sviluppo e sui paesi asiatici, condizionando così, nel medio-lungo periodo, le sue relazioni economiche e politiche non solo con l'Europa, ma anche con gli altri paesi del mondo.

Per ora la reazione formale dei governi europei nei confronti della B&R Initiative appare cauta, come dimostra il fatto che i rappresentanti di questi governi presenti al summit convocato a Pechino nel maggio 2017 per determinare le linee guida del progetto non hanno sottoscritto un documento finale, affermando che in esso non erano contenute sufficienti garanzie sulla sostenibilità sociale e ambientale degli investimenti e sulla trasparenza nelle regole relative agli appalti sui lavori (Ma&ães 2018).

La B&R Initiative non consiste d'altra parte solo in un pur ambiziosissimo piano di infrastrutture fisiche, ma anche in un piano per una rete di connessione digitale (si parla a questo proposito di una «Digital Silk Road») con un ruolo determinante della Cina per quanto riguarda le infrastrutture necessarie per realizzare tale connessione. Vari paesi, soprattutto paesi in via di sviluppo, hanno già chiesto di poter utilizzare la rete di satelliti predisposta dalla Cina per sviluppare le connessioni online delle loro popolazioni e i relativi servizi, rete che la Cina intende espandere destinando a tale finalità massicce risorse finanziarie. Questo significa per la Cina anche un mercato in espansione per la vendita di prodotti collegati; così come significa potenzialmente una minore dipendenza di molti paesi in via di sviluppo dal sistema Gps degli Stati Uniti; ma significa anche un aumento delle possibilità di uso di una simile rete per utilizzo militare e nel cyber-spionaggio, aspetto quest'ultimo che preoccupa in modo particolare gli Stati Uniti e l'Occidente.

La Cina ha cominciato la costruzione di infrastrutture fisiche della B&R Initiative nella parte dell'Asia centrale della via eurasiatica terrestre dell'antica Via de11a seta; in quell'area gli Stati Uniti hanno un minore interesse strategico e una presenza praticamente irrilevante, e quindi sono meno in grado di esercitare pressioni sui paesi coinvolti.

Al centro degli investimenti della Cina nei paesi dell'Asia centrale è l'energia. Nel 2013 Xi Jinping ha firmato un accordo di 15 miliardi di dollari per la costruzione dell'oleodotto Kazakistan-Cina che garantisce alla Cina l'accesso alle enormi risorse petrolifere del Kazakistan. Xi Jinping ha anche firmato accordi per un gasdotto tra l'Asia centrale e la Cina che consente a quest'ultima l'accesso ai giacimenti di gas del Turkmenistan, i secondi per grandezza del mondo.

L'intervento in Asia centrale è anche un forte incentivo ai progetti cinesi di espansione della crescita economica interna verso la parte occidentale del paese, di cui sono espressione per esempio sia la linea ferroviaria ad alta velocità sia l'autostrada che attraversano fianco a fianco la provincia dello Xinjiang in direzione del Kazakistan. Questo intervento porterà alla Cina non solo notevoli benefici economici, ma anche, almeno nelle speranze cinesi, politici se riuscirà di aiuto al miglioramento delle relazioni con le popolazioni islamiche della regione, e quindi a una distensione delle relazioni etniche interne come quella con gli uiguri, con i quali i rapporti del governo cinese centrale sono stati recentemente molto difficili.

Passando alla parte marittima della B&R Initiative, l'India non vede di buon occhio l'iniziativa di Xi Jinping; invece di considerarla un'occasione per potenziare le sue infrastrutture e di collaborazione economica con la Cina, la vede come un tentativo di intrappolamento parte di quest'ultima. L'atteggiamento negativo dell'India spinge la Cina a puntare, per la via marittima della B&R, su paesi come il Bangladesh e lo Sri Lanka, ma soprattutto sul Pakistan con il quale la collaborazione economica è forte e che dell'iniziativa è un partner molto attivo (Brown 2017). I rapporti con l'islamico Pakistan contribuiranno anche a migliorare i rapporti interni con gli islamici dello Xinjiang: una prova è il progettato investimento cinese di quasi 50 miliardi di dollari per connettere il porto pakistano di Gwadar affacciato sul Mar Arabico, che è stato costruito dai cinesi, con lo Xinjiang con un'autostrada e una ferrovia ad alta velocità per più di duemila kilometri attraverso il deserto del Belucistan e le montagne del Karakorum (Kaplan 2018).

Sempre guardando alla parte marittima della B&R, questa rafforzerà i rapporti di collaborazione economica che la Cina mantiene con i paesi del Medio Oriente, e che sono legati soprattutto all'importazione di petrolio, dato che il 50% delle importazioni di petrolio della Cina proviene dal Medio Oriente. In quest'ottica la Cina ha anche spiegato la decisione, molto criticata in Occidente, di utilizzare il porto di Gibuti in Africa come base militare: servirebbe a proteggere dagli episodi di pirateria le sue petroliere che muovono dal Medio Oriente.

Con il proseguimento della promozione di investimenti infrastrutturali anche nella parte marittima dell'antica Via della seta, la Cina accrescerà le opportunità di trasferire non solo il suo capitale, ma soprattutto la sua tecnologia, e quindi di aumentare la sua influenza economica, a un numero di paesi emergenti e in via di sviluppo che, nelle ambizioni di Xi Jinping, dovrebbero arrivare a un centinaio.

Ma, come si vedrà più avanti, la Belt and Road Initiative è anche uno dei fattori che alimentano le tensioni che si manifestano nei rapporti della Cina con gli altri paesi.

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6. Cina ed Europa.



Ma quale potrebbe essere il ruolo dell'Europa in una così complessa situazione? Come si pongono più specificamente i rapporti tra la Cina di Xi Jinping e l'Europa?

Xi Jinping ha dedicato grande attenzione, fin dal suo primo mandato, alle relazioni tra Cina e Europa. Durante la visita a Bruxelles nel 2014, egli ha esplicitamente parlato di Cina e Europa come dei due pilastri della civilizzazione in un mondo che non ha altra alternativa se non quella di collaborare: «La Cina rappresenta in modo importante la civiltà dell'Oriente, mentre l'Europa è la culla della civiltà dell'Occidente [...]. In Cina noi diamo valore all'importanza di preservare "l'armonia senza uniformità", e qui in Europa la gente sottolinea la necessità di essere "uniti nella diversità". Lavoriamo assieme perché tutti i fiori delle civiltà umane sboccino assieme» (Brown 2017).

A sostegno di questa posizione si possono citare alcuni fatti significativi. È emblematico ad esempio dell'importanza che la Cina attribuisce alla storia della cultura europea il fatto che il diritto romano sia considerato un punto di riferimento per la costruzione del diritto civile cinese. È anche importante tenere conto del fatto che quando Xi Jinping afferma che la Cina non prenderà mai a modello la democrazia dei sistemi capitalisti, egli ha in mente soprattutto il modello politico, mentre distingue tra questo e il modello economico-istituzionale; maggiore attenzione egli dedica infatti all'organizzazione istituzionale che si è affermata in Europa con riferimento sia al rapporto tra Stato e mercato sia alla costruzione del welfare state.

Le affermazioni pur importanti e i dichiarati propositi di Xi Jinping sulla necessità di un rapporto costruttivo tra Cina e Europa non sono però facili da realizzare. Le tensioni tra Cina e Ue sono certamente minori di quelle tra Cina e Stati Uniti, ma esistono e si sono manifestate soprattutto negli ultimi anni.

Le relazioni formali tra Europa e Cina iniziano nel 1985 con l'accordo di cooperazione economica e commerciale tra la Cina e l'allora Comunità economica europea. Ci sono state varie revisioni di questo accordo fino alla dichiarazione di una «partnership strategica» tra l'Ue e la Cina nel 2003, che si propone di allargare la prospettiva di collaborazione dagli aspetti puramente commerciali ed economici a quelli così sintetizzati in un documento cinese di quell'anno: «combattere il terrorismo internazionale, promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso gli sforzi per l'eliminazione della povertà e per la protezione dell'ambiente». Si legge ancora nel documento: «La Cina e gli Stati membri dell'Unione europea hanno ciascuno una lunga storia e una splendida cultura e sono aperti a maggiori scambi culturali e a una emulazione reciproca» (Brown 2017).

Le relazioni economiche e commerciali dell'Ue con la Cina sono cresciute nel tempo e sono diventate molto forti: l'Europa è il maggiore destinatario delle esportazioni cinesi e il secondo fornitore al mondo di beni per la Cina. Negli ultimi anni anche gli investimenti cinesi in Europa sono costantemente aumentati.

Le relazioni commerciali tra Europa e Cina continuano però a essere caratterizzate da tensioni. Nel 2005 l'Unione europea ha imposto dazi sulle importazioni di prodotti tessili dalla Cina, accusata di dumping. Nel 2013 i dazi hanno colpito le importazioni di pannelli solari dalla Cina, accusata di sussidiarne la manifattura. La Cina ha reagito con tariffe su beni di lusso europei come il vino. Queste tensioni non sono finite. Dopo le iniziative sui dazi decise dal presidente Trump, la Cina sembra cercare un accordo con l'Unione europea per un'azione comune che freni la linea protezionistica americana e riduca il rischio di una guerra commerciale. Ma questo accordo non sarà facile, anche se la Cina ha fatto alcuni passi in questa direzione, tra i quali una riduzione delle tariffe sulle importazioni di automobili; e non sarà facile perché, nei fatti, l'Unione europea condivide alcune delle preoccupazioni degli Stati Uniti nei confronti della Cina, per esempio sui sussidi da parte cinese ad alcune produzioni destinate alle esportazioni, tra le quali quella, molto importante per l'Europa, dell'acciaio, e sugli effetti, in termini di egemonia della Cina, dei crescenti investimenti cinesi in Europa.

Nel 2016 l'Ue avrebbe dovuto riconoscere alla Cina lo stato di «economia di mercato» all'interno dell'Organizzazione mondiale per il commercio. L'Unione europea non lo ha fatto, accusando la Cina di usare il governo per sussidiare impropriamente le imprese, di fatto così creando una situazione di dumping. Dietro questa scelta dell'Unione stanno probabilmente le forti pressioni dei produttori manifatturieri nei vari Stati europei per proteggere settori produttivi ritenuti importanti, pressioni giustificate ufficialmente con il rifiuto del modello di rapporto tra Stato e mercato prevalente in Cina, anche se poi nella realtà di molti singoli paesi europei la distanza da questo modello è minore di quanto viene dichiarato in teoria.

L'allentamento delle tensioni tra Cina ed Europa non potrebbe che essere benefico anche per l'Unione europea per le cui imprese il mercato di beni di consumo, che si sta continuamente espandendo in Cina, costituisce un'attrazione che non può essere sottovalutata.

Questo allentamento delle tensioni economiche è obiettivamente reso più difficile dalle tensioni di natura politica. Proprio nel documento di Bruxelles del 2014, prima citato, i toni cambiano quando si arriva ai temi di Taiwan e del Tibet. Su Taiwan nel documento la Cina chiede all'Unione europea e ai suoi Stati membri di non appoggiare l'ingresso di Taiwan in nessuna organizzazione internazionale «che richieda che i suoi membri siano Stati». Sul Tibet nel documento la Cina chiede all'Ue di non permettere che collaboratori del Dalai Lama visitino i suoi Stati membri e di non sostenere il alcun modo le attività separatiste volte all'indipendenza del Tibet (Brown 2017).

Sui diritti umani nel documento si afferma che l'Unione europea non dovrebbe limitare la tutela dei diritti umani solo a quelli politici, secondo la logica occidentale, ma dovrebbe includere anche quelli economici, sociali e culturali e il diritto allo sviluppo, e dovrebbe evitare di utilizzare singoli casi per interferire nella sovranità giudiziaria e negli affari interni della Cina (ibid.).

Dopo la crisi globale del 2008, i toni cinesi nei confronti dell'Europa sono diventati anche più assertivi. Nel 2011 il premier Wen Jiabao affermava che «la Cina è pronta a migliorare il coordinamento e la collaborazione con l'Unione europea e a contribuire alla ripresa economica globale», ma che «le economie emergenti non dovrebbero essere viste come i buoni samaritani delle economie dell'Unione europea - alla fine è l'Unione europea che deve tirarsi fuori dalla crisi» (ibid.).

I rapporti tra Cina ed Europa sono divenuti più complessi anche a causa dell'evoluzione istituzionale dell'Unione europea e del rapporto tra questa e i suoi Stati membri per quanto riguarda le relazioni internazionali. Dopo il Trattato di Lisbona del 2009, i responsabili cinesi si trovano a dover parlare con il presidente della Commissione europea, con il presidente del Consiglio degli Stati membri e con il rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri, ma questi rapporti si sovrappongono e non hanno certo la stessa forza effettiva dei rapporti bilaterali con i leader dei singoli paesi dell'Ue.

Nei fatti prevale il rapporto con i singoli Stati membri, più che con l'Unione nel suo complesso. L'Unione europea tende a imporre le sue regole, ma poi di fatto ciascun paese si rapporta alla Cina secondo una logica nazionalistica che punta a ottenere i maggiori vantaggi possibili per sé, spesso in aperta competizione con gli altri. Questo avviene in particolare in campi dove è evidente l'assenza di una politica comune europea, come ad esempio quello della politica energetica; e questo rende evidentemente confuso e poco credibile il rapporto della Cina con l'Unione europea nel suo complesso.

Tale atteggiamento differenziato è del resto ben colto dalla Cina e da questa ovviamente utilizzato a proprio vantaggio. Quando l'Unione europea annunciò le tariffe sulle importazioni di pannelli solari, in un articolo del «People's Daily» si sollevarono dubbi sul corretto funzionamento dell'Ue, che dava al commissario per il Commercio pieni poteri «su un tema così delicato» (Brown 2017). Del resto le ritorsioni cinesi concentrate su prodotti come il vino, colpivano i paesi europei in modo differenziato favorendo nei fatti la Germania i cui rapporti economici con la Cina sono stati e continuano a essere particolarmente intensi.

E proprio la Germania, d'altronde, ha avuto un atteggiamento non del tutto chiaro sulla questione degli investimenti cinesi in Europa. Dopo la recente acquisizione da parte di un'impresa cinese del produttore tedesco di robot Kuka, la Germania si è unita alla Francia e all'Italia nel sostenere che doveva essere la Commissione europea a decidere il blocco dell'acquisizione di un'impresa da parte estera in un paese europeo sulla base di motivi economici. La stessa commissaria europea per il Commercio, Cecilia Malmström, ha però affermato in un'intervista che, a suo avviso, la Germania voleva certamente di rallentare gli investimenti cinesi in Europa, ma puntava al tempo stesso a mantenere i suoi buoni rapporti con la Cina, scaricando le decisioni sull'Unione europea (Maçaes 2018).

Il caso del Tibet è emblematico della diversità dei rapporti dei vari paesi europei con la Cina sul piano più strettamente politico. Nel maggio 2012 il primo ministro inglese David Cameron incontrò il Dalai Lama a Londra e si preoccupò di non dare all'evento il carattere di un incontro tra capi di Stato, sostenendo che incontrava il Dalai Lama solo come leader religioso. La reazione cinese fu l'immediata cancellazione della visita a Londra di un importante membro del Comitato permanente del Politburo del Partito comunista cinese. Nell'aprile del 2013 una trionfale accoglienza venne riservata alla visita in Cina del presidente della Repubblica francese François Hollande, mentre solo alla fine dell'anno Cameron venne invitato in Cina, ricevendo però un'accoglienza meno entusiastica. E in quella occasione Cameron si preoccupò di precisare in una conferenza stampa che non erano previsti ulteriori incontri con il Dalai Lama (Brown 2017).

Da quel momento l'Inghilterra ha perseguito con costanza l'obiettivo di una ripresa delle relazioni amichevoli con la Cina ed è stato uno dei paesi europei che più si è aperto agli investimenti cinesi. Dopo la Brexit, è aumentata l'attenzione della Cina per l'Inghilterra come meta degli investimenti e degli interessi finanziari cinesi (Brown 2017). In quest'ottica va letto il dibattito apertosi in Inghilterra sull'opportunità di guardare al modello di Singapore dopo l'uscita dall'Unione europea (Masaes 2018).

La sostanziale debolezza dell'Ue sotto il profilo politico è il problema fondamentale del rapporto con la Cina, problema ancor più grave in una fase di ridisegno delle relazioni internazionali, in cui viene chiaramente meno la centralità dell'asse occidentale tra Stati Uniti ed Europa, mentre si aprono potenziali prospettive per una ripresa della centralità di una «nuova» dimensione euro-asiatica, dopo quella «antica» che ha caratterizzato la prima Via della seta.

L'Asia che l'Europa si trova di fronte se si apre a questa dimensione euro-asiatica è peraltro una realtà tutt'altro che omogenea (Kaplan 2018; Maçaes 2108): vi fanno parte nazioni come la Russia, la Turchia e l'Iran, ciascuna delle quali non nasconde ambizioni che si possono definire «imperiali». La Russia e la Turchia si sono recentemente distaccate dall'Europa rispetto alle prospettive di integrazione che si erano aperte in passato e guardano all'Asia dove è la Cina la potenza dominante.

Se le nazioni dell'Europa, già indebolita dall'uscita della Gran Bretagna, al di là di dichiarazioni di azioni coordinate sulla base di regole astratte che poi però non riescono a essere applicate in situazioni di «stress» (valga per tutti il problema del rapporto con gli immigrati), rimangono incapaci di esprimere una strategia comune coerente e costruttiva, la probabilità che la Cina finisca per svolgere nella dimensione euro-asiatica il ruolo di giocatore dominante, e quindi egemone, diventerà sempre maggiore.

Fino alla nuova globalizzazione caratterizzata dai grandi paesi emergenti dell'Asia, non solo gli Stati Uniti, ma anche i paesi europei si sono mossi nella prospettiva che l'unica strada per i paesi asiatici fosse quella di «copiare» passivamente il modello occidentale. L'esperienza della Cina e soprattutto il progetto di Xi Jinping dimostrano chiaramente che non è e non sarà così. Non è ancora chiaro se l'Europa si rende conto che è necessario uno sforzo comune per reagire a questa situazione, ed evitare un'ulteriore emarginazione internazionale che andrebbe inevitabilmente a vantaggio del progresso egemonico della Cina.

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Conclusioni



Xi Jinping è un uomo discusso. In Occidente l'immagine prevalente che se ne ha oscilla tra la critica e il timore. Se ne critica l'autoritarismo, attribuendogli il titolo di «imperatore» come se fosse una sorta di reincarnazione degli imperatori cinesi fino al XIX secolo; se ne ha paura, visti gli indiscutibili risultati della Cina come potenza economica globale. Si cerca di cogliere ogni minimo segnale di possibili crepe sia nel sistema economico e finanziario, sia nel sistema di potere da Xi Jinping così saldamente tenuto in pugno.

Quanto esposto nelle pagine precedenti dovrebbe aver mostrato che la Cina di Xi Jinping è una realtà complessa, sulla quale giudizi troppo drastici e previsioni eccessivamente ottimistiche o pessimistiche dovrebbero essere evitati. Tale complessità va riconosciuta e prima di tutto deve essere fatto lo sforzo di capirla. Per offrire un contributo a questo fine, nelle pagine precedenti si è tenuto conto in particolare di quattro aspetti: l'aspetto economico, quello sociale, quello politico-istituzionale e quello del ruolo internazionale della Cina. In tutti e quattro questi i campi ci sono aspetti positivi e critici. La capacità di Xi Jinping di far prevalere i primi deciderà sul successo e la continuità della sua missione.

La realtà della Cina è indiscutibile: è un paese la cui economia procede a un ritmo inarrestabile dopo essere definitivamente uscita dalla condizione di paese in via di sviluppo per avviarsi a diventare un'economia avanzata. Xi Jinping ha saputo valorizzarne trasformazioni avvenute peraltro già prima di lui, puntando a fare della Cina una potenza economica all'avanguardia del progresso tecnologico; ha dato spazio e incoraggiato un'imprenditorialità privata dinamica e orgogliosa di contribuire al successo del paese, sapendo gestire con equilibrio, almeno finora, la delicata situazione che vede la stessa imprenditorialità privata condizionata dall'egemonia del Partito comunista; ha anche fatto significativi, anche se ancora non sufficienti, passi avanti per ridurre le inefficiente nelle imprese di Stato; ha fatto progressi importanti nella direzione di una riforma del sistema bancario e finanziario mettendo quindi le premesse per affrontare in modo strutturale il problema dell'eccessivo indebitamento dell'economia cinese.

Ma non è detto che tutto proceda senza incertezze in una direzione positiva. Nella realtà cinese il rapporto tra mercato e Stato rimane non chiaro. È evidente il rifiuto da parte di Xi Jinping di prendere a modello il capitalismo americano: Xi Jinping ha dato spazio al mercato, ma non ha rinunciato a un predominio pubblico nell'economia; e il modo con il quale questo predominio si esercita comporta ambiguità che non sono ancora risolte, specialmente per quanto riguarda gli assetti proprietari delle imprese, con rischi che questo predominio del pubblico possa compromettere i risultati positivi che il mercato può raggiungere.

Per quanto riguarda gli aspetti sociali, oltre a quelli relativi a sicurezza sociale e sanità, rimane ancora aperto il problema del superamento degli squilibri tra aree urbane e aree rurali e degli squilibri territoriali, nonché quello relativo alle tematiche ambientali. Xi Jinping sta facendo molto per arrivare a una maggiore omogeneità della situazioni nella città e nelle campagne, e per ridurre lo squilibrio territoriale tra le zone orientali costiere più sviluppate e quelle occidentali soprattutto attraverso gli investimenti infrastrutturali e l'espansione dell'urbanizzazione. Prosegue anche un'azione di miglioramento ambientale che però ancora in troppi casi non è in armonia con la politica di espansione infrastrutturale. Dove lo sforzo deve essere maggiore è nella direzione di dotare la Cina di moderni sistemi di sicurezza sociale e sanitari in modo tale però che gli spazi dati al mercato non ne compromettano la finalità fondamentale di equità sociale.

Le critiche maggiori a Xi Jinping riguardano il suo atteggiamento per quanto riguarda gli aspetti politico-istituzionali. Si è detto che con Xi Jinping è finita l'era delle riforme economiche e si ritorna sostanzialmente a un'ideologia «maoista» (Minzner 2018). Nelle pagine precedenti si è cercato di far vedere come l'ideologia di Xi Jinping non vada letta secondo le lenti con cui l'ideologia viene considerata nella cultura occidentale. In Xi Jinping prevale la preoccupazione di lanciare una visione progettuale che possa coinvolgere la popolazione della Cina (in Cina e dovunque i cinesi si trovino nel mondo), una visione che però è caratterizzata dalla continuità storica in un duplice senso: da un lato nel senso di una valorizzazione del ritorno a un'epoca precedente a quella del XIX secolo e della prima metà del XX nella quale la Cina si era sentita umiliata nel suo rapporto con l'Occidente, e dall'altro nel senso di una valorizzazione dell'intera storia dell'esperienza del Partito comunista cinese, con le sue luci e con le sue ombre, e quindi includendovi anche l'esperienza del maoismo, il cui merito principale è considerato la liberazione dalla Cina dalla dipendenza delle altre potenze (Brown 2018b).

Xi Jinping conferma, oltre ogni ombra di dubbio come quelle che potrebbero essere state lasciate dalla leadership precedente, un modello politico-istituzionale alternativo a quello della democrazia rappresentativa di tipo occidentale. Riafferma invece con più forza ancora delle varie leadership che lo hanno preceduto la convinzione che la guida del sistema politico cinese vada cercata nel Partito comunista, che deve essere in grado di tener conto di tutte le istanze presenti nella società.

Ci sono almeno tre aspetti critici di questa posizione. Il primo riguarda la possibilità che le diverse voci presenti nella società trovino effettiva presenza all'interno del Partito; nella Cina di Xi Jinping non si è certo ridotta la stretta contro le forme di libertà di espressione sia all'interno del Partito sia all'esterno nella società, soprattutto da parte di intellettuali e di organizzazioni non governative. Il secondo riguarda la visione della rule of law, spesso invocata da Xi Jinping: l'affermazione che il governo della legge deve essere garantito dal Partito comunista cinese piuttosto che da un progetto costituzionale dove tutta la società si riconosca e da maggioranze politiche che approvano le leggi mette in discussione l'oggettività dell'invocazione del predominio della rule of law. Il terzo riguarda il rischio, che per molti non è solo un rischio, che uno dei messaggi cardine di Xi Jinping, la lotta alla corruzione, venga utilizzato in modo soltanto strumentale al mantenimento del suo potere.

Bisogna riconoscere che l'autoritarismo che sta caratterizzando la politica cinese con la giustificazione di garantire il ruolo guida del Partito, nonostante per ora appaia evidente come esso possa contare sul sostegno della maggioranza della popolazione, e nonostante la preoccupazione di Xi Jinping che la stessa popolazione venga sempre più «educata» a sentire come propria la «visione» da lui proposta, implica il rischio di entrare in conflitto con una società che sta diventando economicamente più ricca e che sarà quindi sempre meno disposta e rinunciare a esprimersi su quello che Ronald Coase ha chiamato un «mercato delle idee». Un «mercato delle idee» non può alla lunga riguardare solo quelle sulle iniziative economiche e tecnologiche più appropriate, senza coinvolgere anche le idee sull'organizzazione sociale e politica. Come si è ridordato nelle pagine precedenti, non si può non riconoscere che a favore della visione di Xi Jinping giocano le molte debolezze e contraddizioni che attraversano oggi le stesse democrazie rappresentative occidentali.

L'aspetto di maggiore innovatività della Cina di Xi Jinping è il suo ruolo internazionale. Nelle pagine precedenti si è cercato di mostrare come Xi Jinping continuamente si preoccupi di non limitare il ruolo internazionale della Cina solo a quello di potenza economica, ma di offrire una visione della Cina come attore per la costruzione di un mondo fondato sulla collaborazione. Il grande progetto della Belt and Road Initiative viene da lui sempre più insistentemente presentato in quest'ottica.

È diffuso invece in Occidente un sentimento di incredulità riguardo alle affermazioni di Xi Jinping in senso cooperativo. Si sostiene piuttosto che in lui prevale il rilancio di una posizione egemonica non solo economica, ma anche politica e addirittura militare; che quindi nei confronti della Cina non ha senso puntare su una prospettiva di collaborazione, bisognerebbe piuttosto prepararsi a contrastare iniziative cinesi verso un conflitto militare.

Queste posizioni non corrispondono alla realtà dei fatti. La Cina non va in guerra e non fomenta guerre da tempo; mentre non così si può dire della più grande potenza militare del mondo, gli Stati Uniti, sebbene formalmente dichiari di agire per esportare i valori occidentali nel mondo. La discrepanza di forze militari tra Stati Uniti e Cina è tuttora enorme. L'idea che la Cina si stia preparando a scatenare uno scontro militare con gli Stati Uniti e l'Occidente non ha quindi senso.

Per quanto riguarda specificamente una possibile egemonia politica a livello mondiale, si deve riconoscere che Xi Jinping non ha mai dichiarato di voler imporre agli altri paesi il modello che egli ritiene valido per la Cina. Ha sempre dichiarato che la Cina rispetta il modello politico degli altri paesi, ma che pretende che nessun altro paese pensi di esportare in Cina il suo modello politico giustificandolo come un modello di valore universale. Certo, è probabile che Xi Jinping, soprattutto di fronte alla crisi evidente dei sistemi politici prevalenti in Occidente, coltivi la speranza che il successo auspicato del modello cinese possa anche essere considerato con maggiore attenzione da altri paesi. Ma l'atteggiamento della leadership cinese sulla libertà di espressione e sul tema dei diritti umani costituisce un ostacolo insormontabile su questa strada.

La competizione tra Cina e Stati Uniti e, più in generale, tra Cina e mondo occidentale è quindi destinata a rimanere soprattutto sul terreno economico e su quello della egemonia nel campo delle nuove tecnologie digitali. Nelle pagine precedenti si è mostrato come sia impensabile da parte degli Stati Uniti e dell'Occidente fermare la corsa della Cina verso una posizione, se non egemonica, certamente determinante nel campo del progresso tecnologico. L'unica strada ragionevole sarebbe quella di una competizione volta al progresso reciproco e quindi garantita da regole internazionali comuni: non ci sono, almeno per il momento, segnali che una simile strada sarà seguita.

È comunque indiscutibile che in un mondo nel quale la geopolitica sta radicalmente cambiando e nel quale sta venendo meno la coesione, e quindi la centralità, dell'Occidente, fondate sull'integrazione tra Stati Uniti e Europa, l'emergere dell'Asia sulla scena geopolitica appare inevitabile, così come inevitabile appare un ruolo prevalente della Cina in quel continente, il cui consolidamento dipenderà peraltro anche dalla capacità della Cina di superare una serie di tensioni alle quali nelle pagine precedenti si è accennato, e sulle quali è ovvio che da parte degli Stati Uniti e dell'Occidente si cercherà invece di far leva in una strategia di contenimento dell'espansione della Cina.

In questo complesso quadro l'Europa appare oggi disorientata; in linea teorica dovrebbe cercare un suo ruolo in una prospettiva euro-asiatica, auspicabilmente in un rapporto di cooperazione anche con gli Stati Uniti. Date le dinamiche in atto, si tratta di una prospettiva che presenta grandi difficoltà; quanto una possibile collaborazione tra Unione europea e Cina potrebbe favorirla dipende dalla capacità degli Stati membri dell'Ue di superare la frammentarietà al suo interno, evidente sul piano politico e delle strategie economiche strutturali. Non possiamo non augurarci che questo avvenga, perché, se non avverrà, la stessa ancora indiscutibile forza economica dell'Europa non sarà in grado di contrastare l'inevitabile avanzata egemonica della Cina, e finirà per essere compromessa.

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