Copertina
Autore Sandro Nannini
Titolo L'anima e il corpo
SottotitoloUn'introduzione storica alla filosofia della mente
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 2002, Biblioteca di Cultura Moderna 1160 , pag. 238, dim. 140x210x17 mm , Isbn 978-88-420-6597-5
LettoreCorrado Leonardo, 2002
Classe filosofia , scienze cognitive , mente-corpo
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Indice

    Introduzione                                       VII

1.  La filosofia antica e medievale                      3

    1.1 Mente, anima e spirito, p. 3
    1.2 L'anima da Omero a Platone, p. 4
    1.3 Aristotele, p. 6
    1.4 L'atomismo e lo stoicismo, p. 11
    1.5 La tarda antichità e il medioevo, p. 14

2.  La filosofia moderna                                19

    2.1 Descartes, p. 19
    2.2 Spinoza, p. 26
    2.3 L'"occasionalismo" di Malebranche e l'"armonia
        prestabilita" di Leibniz, p. 27
    2.4 Il materialismo da Hobbes agli illuministi, p. 30
    2.5 L'empirismo di Locke, Berkeley e Hume, p. 34
    2.6 L'idealismo trascendentale di Kant, p. 42

3.  La filosofia contemporanea: da Hegel a Heidegger    50

    3.1 Lo spirito in Hegel, p. 50
    3.2 L'Ottocento tra spintualismo e positivismo, p. 53
    3.3 Lo psicologismo e la nascita della psicologia
        scientifica, p. 58
    3.4 Bergson, Husserl e Heidegger, p. 65

4.  La filosofia contemporanea: la filosofia analitica e
    post-analitica                                      72

    4.1   La filosofia analitica classica, p. 72
    4.1.1 Frege e la 'svolta linguistica', p. 72
    4.1.2 Il monismo neutrale di Russell, p. 73
    4.1.3 Il comportamentismo logico degli empiristi
          logici, p. 76
    4.1.4 Processi psichici e 'linguaggio privato'
          nell'ultimo Wittgenstein, p. 80
    4.1.5 Il comportamentismo analitico di Ryle e i
          neo-wittgensteiniani, p. 88
    4.2   Gli anni della svolta cognitiva, p. 94
    4.2.1 La crisi dell'empirismo logico: Quine e i
          post-empiristi, p.94
    4.2.2 La filosofia della mente e le scienze cognitive,
          p. 97
    4.2.3 Il fisicalismo e la teoria dell'identità: Feigl,
          Place e Smart, p. 105
    4.2.4 La teoria causale della mente e il materialismo
          dello stato centrale: Lewis e Armstrong, p. 110
    4.2.5 Il funzionalismo del primo Putnam, p. 113
    4.2.6 Il primo eliminativismo: Quine, Feyerabend,
          Feigl e Rorty, p. 120
    4.2.7 Il monismo anomalo di Davidson, p. 124
    4.2.8 La teoria computazionale e rappresentazionale
          della mente di Fodor, p. 126
    4.2.9 Le critiche al materialismo di Kripke, Nagel e
          Jackson, p. 133
    4.2.10. Le critiche  al funzionalismo e alla teoria
          computazionale della mente, p. 138
    4.3   Il ritorno del dualismo e la naturalizzazione
          della mente, p. 147
    4.3.1 Il ritorno del dualismo: Popper, Eccles e
          Chalmers, p. 147
    4.3.2 Neuroscienze e connessionismo, p. 156
    4.3.3 Il naturalismo biologico di Searle, p. 160
    4.3.4 Dennett tra neo-comportamentismo, funzionalismo
          ed eliminativismo, p. 166
    4.3.5 Il neo-eliminativismo di Paul e Patricia
          Churchland, p. 182
    4.3.6 La naturalizzazione dell'intenzionalità e della
          coscienza, p. 194

    Conclusione                                        204
    Riferimenti bibliografici                          209
    Indice dei nomi                                    229
 

 

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Pagina VII

Introduzione



La filosofia della mente è un settore, oggi in rapida crescita, della filosofia analitica e post-analitica che va diffondendosi dalla Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Australia anche nel continente europeo, dove viene a contatto con tradizioni filosofiche molto diverse dal suo terreno d'origine. Le introduzioni a essa sono numerose, alcune anche tradotte o scritte direttamente in italiano. Quella che viene qui presentata è rivolta a un pubblico di studenti, studiosi e persone colte che, muovendo da una formazione culturale sia umanistica sia scientifica, abbiano interesse per l'incontro tra le teorie sull'anima, la mente o lo spirito della tradizione filosofica con gli studi sull'intelligenza che da quarant'anni vanno conducendo le 'scienze cognitive', nate dalla collaborazione della psicologia cognitiva con l'intelligenza artificiale, le neuroscienze, la linguistica, l'antropologia cognitiva, l'economia cognitiva e la stessa filosofia della mente. Tale introduzione aspira a differenziarsi dalle altre per il suo carattere storico e, di conseguenza, per l'attenzione che, almeno in parte, rivolge alle dottrine dei classici del pensiero filosofico. Da qui la scelta, volutamente un po' provocatoria, di usare nel titolo per prima la parola 'anima', carica di connotazioni metafisiche e religiose, invece del termine 'mente', più consueto tra i filosofi analitici.

Il lettore può quindi trovare qui una sintesi delle principali concezioni filosofiche sull'anima, la mente, l'io e lo spirito dall'antichità ai giorni nostri. Particolare attenzione è stata rivolta alle teorie che i filosofi hanno sostenuto riguardo al rapporto dell'anima con il corpo, nella convinzione che, nella maggior parte dei casi, è la natura attribuita a questo rapporto che rivela la concezione che si ha dell'anima stessa.

Può sembrare strano che l'introduzione a una disciplina filosofica che affonda le proprie radici nel pensiero analitico, tradizionalmente ostile alla metafisica e indifferente alla storia della filosofia, dedichi uno spazio non irrilevante a entrambe. Ciò si giustifica per due ragioni tra loro connesse. In primo luogo è probabile che chi conosce già la storia del pensiero filosofico riesca più facilmente a familiarizzarsi con l'odierna filosofia della mente se essa viene presentata in modo tale da rendere evidente come nel dibattito contemporaneo sulla natura del mentale si ritrovino molte dottrine già discusse dai classici. In secondo luogo è opportuno che, anche in Italia, la barriera tra coloro che provengono da una formazione storicistica e i filosofi analitici si assottigli: i primi dovrebbero riconoscere che la filosofia non è riducibile alla sua storia; i secondi che, un filosofo senza formazione storica si trova a imboccare vicoli ciechi che il pensiero umano ha già esplorato in passato.

Non è inutile infatti - sia per i filosofi analitici sia per gli scienziati cognitivi - rendersi conto che le fondamentali concenzioni dell'anima (o mente) e del suo rapporto con il corpo oggi prevalenti sono le stesse che ritroviamo nei filosofi dell'antica Grecia. Ovviamente, nell'arco di 2500 anni, esse si sono presentate in forme diverse, talvolta lontanissime da quella odierna e per questo per noi non facilmente riconoscibili. Si sono mescolate con problematiche etiche e religiose che lo scienziato cognitivo sente oggi estranee al suo ambito di ricerca. E anche quando hanno fatto da sfondo a teorie 'scientifiche', queste ultime erano spesso coaì diverse da quelle odierne che la loro implausibilità fa da schermo al riconoscimento del fatto che la loro cornice ontologica di riferimento ci è invece ancor oggi familiare. Tuttavia, se lo storico della filosofia riesce a presentarle in un modo che le renda comprensibili anche a chi non abbia una formazione filosofica, lo scienziato cognitivo può ricavare dalla loro conoscenza un duplice vantaggio. In primo luogo può vedere con maggior chiarezza quali siano i presupposti ontologici che, spesso implicitamente e inconsapevolmente, guidano la sua stessa ricerca scientifica e, al tempo stesso, può guardare a essi con maggior distacco critico. In secondo luogo cogliere la somiglianza tra dottrine filosofiche del passato e i suoi propri presupposti teorici può indurlo a considerare questi ultimi meno innocenti di quanto prima credesse.

Niente è più ovvio, ad esempio, che contrapporre lo spirito al corpo. Il linguaggio ordinario stesso lo suggerisce. Ma esso, all'insaputa di molti di coloro che lo parlano, non è filosoficamente neutro. Non potremmo trovare naturale il contrapporre lo spirito al corpo se una lunga tradizione filosofica e religiosa, divenuta nei secoli senso comune, non ci avesse insegnato a considerarli come due sostanze distinte. È ingenuo credere, perciò, che i nostri concetti, teorie e credenze sull'anima, la mente o lo spirito rispecchino la realtà 'come veramente è'. Sono inevitabilmente solo un modo particolare di organizzare l'esperienza umana. Un modo che dipende, almeno in parte, da valori morali, credenze religiose e dottrine metafisiche affermatesi nel corso della storia di una particolare civiltà: quella nata in Grecia più di venticinque secoli fa. Ripercorrere questa storia, divenirne consapevoli, è l'unico strumento che abbiamo per non restarne acriticamente prigionieri.

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Pagina 19

Capitolo secondo
La filosofia moderna



2.1 Descartes

Le origini del concetto contemporaneo di mente vengono fatte risalire abitualmente a René Descartes (1596-1650). Non senza ragione, perché in effetti il filosofo francese pone su nuove basi, rispetto al pensiero antico e medievale, la riflessione sull'anirna e costituisce una svolta irreversibile nella storia della filosofia sui rapporti fra corpo e mente e sulla natura di quest'ultima. Tuttavia, per quanto profonda sia stata la rivoluzione da questi operata al riguardo, essa, lungi dall'essere l'obiettivo principale del suo autore, è stata piuttosto il prodotto collaterale di un disegno teso a sostituire la fisica aristotelica con il meccanicismo e a dare un fondamento metafisico ed epistemologico alla nuova scienza della natura. Se non si colloca Descartes nel contesto della rivoluzione scientifica inaugurata da Galileo Galilei, non si può comprendere nulla di nessuna delle sue teorie, comprese quelle relative all'anima.

Sulla natura della mente e sul suo rapporto con il corpo Descartes si pronuncia con particolare chiarezza nella seconda e nella sesta delle sue Meditazioni sulla filosofia prima (1641). Nella seconda meditazione egli, dopo aver provato con il celebre argomento del Cogito che, se dubito di qualcosa e quindi penso, allora necessariamente esisto, si chiede se tale argomento non mi riveli anche che cosa io sia, ossia quale sia la mia essenza. E la risposta è, almeno in parte, affermativa. Il Cogito, rivelandomi che unicamente il fatto di essere pensante mi garantisce che sono anche esistente, mi dice indirettamente che solo il pensiero, tra le mie proprietà, mi è essenziale e che io, qualunque altra cosa possa essere, sono comunque e in primo luogo una 'cosa pensante' (OF, 2, pp. 25-26).

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Pagina 72

Capitolo quarto
La filosofìa contemporanea:
la filosofia analitica e post-analitica



4.1 La filosofia analitica classica

4.1.1 Frege e la 'svolta linguistica'. In contrapposizione allo psicologismo di J.S. Mill e dei filosofi autori del 'ritorno a Kant' nasce alla fine dell'Ottocento non solo la fenomenologia di Husserl, ma anche quella corrente di pensiero, fondamentale nella filosofia contemporanea, che oggi si è soliti chiamare filosofia analitica. Essa non è una teoria unitaria, bensì piuttosto un modo d'intendere la filosofia (o meglio il filosofare) come un'attività - condotta con metodi e per scopi spesso assai diversi - volta a liberare gli uomini da perplessità di varia natura mediante un' analisi del linguaggio. In ciò consiste il nucleo fondamentale di quella che è stata chiamata la 'svolta linguistica' in filosofia.

Le forme nelle quali tale svolta è stata messa in atto, pur nella loro varietà, possono essere ricondotte a due gruppi fondamentali, che si distinguono per il diverso modo di praticare l'analisi del linguaggio quale strumento per la risoluzione o dissoluzione dei problemi filosofici. In un caso l'analisi di un enunciato, il cui significato appaia dubbio, ambivalente o paradossale, consiste nella sua traduzione nella 'lingua perfetta' della nuova logica simbolica di G. Frege e B. Russell (o comunque in una sua parafrasi più chiara e filosoficamente preferibile) al fine di evitare ambiguità o implicazioni metafisiche indesiderate, che siano contenute nella formulazione inizialmente data nel linguaggio ordinario. Nell'altro caso l'analisi illumina il significato di quelle parole che, sotto qualche rispetto, siano fonte di perplessità mediante la scoperta, attraverso esempi attinti dal linguaggio ordinario stesso, dei contesti nei quali esse sono usate in modo intuitivamente corretto. Mentre il primo modo d'intendere l'analisi filosofica può essere ritrovato in G. Frege, G. Moore, B. Russell, il Wittgenstein del Tractatus e gli empiristi logici, il secondo si afferma solo con il cosiddetto ultimo Wittgenstein, J.L. Austin, G. Ryle e P.F. Strawson (per citare solo i maggiori).

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4.2 Gli anni della svolta cognitiva

4.2.1 La crisi dell'empirismo logico: Quine e i post-empiristi. La filosofia analitica è la corrente filosofica dominante nei paesi di lingua inglese durante gli anni Cinquanta, con una prevalenza dell'empirismo logico negli Stati Uniti e dell'analisi del linguaggio ordinario in Gran Bretagna. È una situazione di privilegio questa che tuttavia non durerà a lungo: agli inizi degli anni Sessanta soprattutto l'empirismo logico è ormai in aperta crisi; una crisi che nasce non tanto dagli attacchi scagliati contro di esso dai filosofi 'continentali' (come gli inglesi chiamano i loro colleghi d'Oltre Manica), vale a dire i marxisti, i fenomenologi e gli esistenzialisti seguaci di Husserl o di Heidegger, i neo-idealisti, i neo-tomisti e così via, quanto da un processo interno di approfondimento e ripensamento. Questo processo giunge a un punto di svolta, per un verso, col logico, matematico e filosofo statunitense W. van O. Quine, erede dell'empirismo e del pragmatismo di Peirce, James e Dewey, e, per un altro, con i cosiddetti 'post-empiristi', in primo luogo T. Kuhn e P.K. Feyerabend. Non esiste ancora una denominazione unica per le varie correnti di pensiero scaturite dalla progressiva dissoluzione dell'empirismo logico che sia accettata da tutti gli storici della filosofia. Qui comunque verrà usata per comodità, in un'accezione forse più larga di quella usuale, l'etichetta di 'filosofia post-analitica'.

Per il filosofo della mente è di particolare interesse, nell'ambito della filosofia post-analitica così intesa, il 'ritorno dell'ontologia' promosso da Quine. Questi ritiene impossibile dire se qualcosa esista (o sia reale) in assoluto, indipendentemente da una qualche cornice teorica di sfondo. Per gli empiristi logici la metafisica era un cumulo di assurdità: gli enunciati metafisici non erano né veri né falsi; erano semplicemente insensati. Quine è anch'egli un empirista; non ha certo alcuna simpatia per la metafisica tradizionale e condivide con gli empiristi logici una 'concezione scientifica del mondo'. Tuttavia ritiene, a partire da un saggio del 1948 intitolato Su che cosa vi è per giungere venti anni dopo a una più matura posizione in La relatività ontologica (1968), che non sia possibile distinguere nettamente e una volta per tutte quali teorie siano scientifiche e quali metafisiche, perché una parte della metafisica, quella che va sotto il nome di ontologia o 'teoria dell'essere', è in effetti elemento indispensabile di ogni teoria scientifica e può variare con il variare delle teorie scientifiche stesse: entro ciascuna teoria scientifica l'ontologia, determinando ciò che è reale, fissa la cornice generale entro la quale lo scienziato conduce le sue ricerche.

Questa concezione quiniana implica un'indissolubile continuità tra scienza e filosofia: l'ontologia è solo la cornice filosofica generale della scienza; e, poiché nessun enunciato appartenente a una teoria scientifica, per quanto possa essere lontano dall'esperienza e abbastanza immune dalle smentite di quest'ultima, lo è mai assolutamente, anche l'ontologia, al pari della logica e della matematica, è soggetta almeno in linea di principio a essere modificata alla luce dei risultati sperimentali. Esiste certo una differenza tra il grado di dipendenza della scienza empirica e dell'ontologia filosofica dalle prove sperimentali; ma si tratta, appunto, di una differenza solo di grado, non di natura. Secondo Quine, perciò, la metafisica (limitatamente all'ontologia) non è puro non senso, come pensavano gli empiristi logici. Ma affermare ciò non significa tornare alla concezione tradizionale, secondo la quale la metafisica è un sapere a priori di verità eterne e assolute: la metafisica stessa, se intesa come ontologia, si fonde per Quine, in un certo senso, con la scienza e, al pari di questa, costituisce un sapere rivedibde alla luce dell'esperienza.

In questa prospettiva di continuità tra scienza e filosofia l'epistemologia, lungi dall'essere - come era per gli empiristi logici - un'analisi filosofica (o 'concettuale') a priori della logica della scienza, diviene una scienza empirica essa stessa, descrittiva del modo nel quale gli uomini giungono a migliorare le loro conoscenze sul mondo; e perciò diviene un ramo della psicologia empirica entro un orizzonte di 'naturalismo epistemologico' (o 'metodologico)' (Quine 1969) che, come vedremo, avrà un grande impatto sulla più recente filosofia della mente.

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