Copertina
Autore Alireza Naser Eslami
Titolo Architettura del mondo islamico
SottotitoloDalla Spagna all'India (VII-XV secolo)
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2010, Sintesi , pag. 406, ill., cop.fle., dim. 17,3x22x2,2 cm , Isbn 978-88-6159-421-0
LettoreGiangiacomo Pisa, 2010
Classe architettura , citta' , urbanistica
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Indice


  1 Parte prima. Problematiche, temi e fonti

  3 1. Un altro Medioevo. Temi e problemi di metodo nello studio
       della storia dell'architettura del mondo islamico
 14 2. La storiografia
 30 3. Le fonti antiche
 49 4. L'organizzazione del cantiere, l'architetto e il disegno architettonico
 62 5. I materiali e le tecniche costruttive

 75 Parte seconda. Architettura islamica delle origini

 77 1. Le origini e le realizzazioni del periodo dei primi califfi
 89 2. Gli Omayyadi di Damasco (661-750)
123 3. L'impero degli Abbasidi (749-1258)
142 4. Al-Andalus: gli Omayyadi di Cordova (756-1031)

161 Parte terza. Architettura nel mondo islamico dal IX al XV secolo

163 1. Il Maghreb e l'Egitto (IX-XII secolo):
       dagli Aghlabidi (800-909) ai Fatimidi (909-1171)
189 2. Il crocevia siciliano: l'architettura sotto il dominio
       arabo e normanno, tra il IX e il XII secolo
204 3. Architettura islamica in Persia e in Asia centrale
       dal IX al XIII secolo
236 4. Il Maghreb e l'Andalusia tra l'XI e il XV secolo:
       dagli Almoravidi e gli Almohadi ai Nasridi
268 5. Gli Ayyubidi e i Mamelucchi in Egitto e in Siria (XII-XV secolo)
294 6. L'architettura nel mondo iranico e in Asia centrale
       tra il XIII e il XV secolo: dagli Ilkhanidi ai Timuridi
320 7. L'architettura turca in Anatolia, dai Selgiuchidi di Rum
       ai Beylik e ai primi Ottomani
343 8. L'architettura islamica nel subcontinente indiano dal XII al XV secolo

367 Glossario
375 Bibliografia
393 Indice dei luoghi


 

 

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Pagina 3

1. Un altro Medioevo

Temi e problemi di metodo nello studio della storia dell'architettura del mondo islamico

Tra tutte le suddivisioni in cui solitamente viene articolata la storia dell'architettura, quella definita "architettura islamica" costituisce un'eccezione, e ha una collocazione del tutto anomala. Con questa denominazione risulta evidente la pretesa di racchiudere in un'unica nozione dodici secoli di un'esperienza architettonica che comprende molteplici forme artistiche e culturali: si sviluppa infatti in circa quaranta nazioni e si estende su tre continenti (Asia, Africa, Europa). Questa nozione erronea di "architettura islamica" prende dunque corpo attraverso un discorso che non tiene conto della specificità di ogni periodo storico e dei fattori caratteristici delle culture regionali.

La diffusione di tale concezione è dovuta soprattutto all'elaborazione fatta tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX dal mondo accademico europeo. Esso era infatti profondamente influenzato da principi eurocentrici e da prospettive orientaliste, correnti di pensiero a loro volta impregnate di idee forgiate in ambito colonialista, che in questo periodo conosceva un grande sviluppo (cfr. il capitolo successivo "La storiografia"). Infatti sino alla fine del XIX secolo termini diversi venivano utilizzati per definire gli stili presenti in regioni differenti e si parlava quindi di architettura araba, turca, persiana, moresca o indiana. Gli studi più recenti stanno mettendo in discussione la validità di questo modello, evidenziando il fatto che il mondo islamico non può essere interpretato come un universo monolitico, statico e unitario.

In altre parole, con la definizione di "architettura islamica" la specializzazione artistica di ogni singola cultura afferente al mondo islamico perdeva la sua identità specifica all'interno di un imprecisato continuum spazio-temporale. Questa concezione monolitica dell'arte nel mondo islamico contrastava decisamente con la visione sviluppata dagli studi sui monumenti e l'architettura europea. Questi, infatti, rispettavano il confronto e la verifica delle esperienze artistiche nel contesto delle loro specifiche articolazioni storiche e geografiche.

Un celebre esempio di questa visione accademica è rappresentato dal lavoro di Banister Fletcher, A History of Architecture on the Comparative Method for the Student, Craftsman and Amateur, del 1896. Il successo di quest'opera è testimoniato dalla pubblicazione, nel 1996, della sua ventesima edizione, un secolo dopo la prima. In uno studio che percorre le varie tipologie dell'architettura per oltre 1300 pagine, ben poco spazio è dedicato all'architettura islamica, presa in considerazione per una trentina di pagine. In questo contesto, risulta significativo che le architetture del mondo islamico vengano indistintamente raggruppate, insieme a quella indiana, cinese e giapponese, sotto il titolo The non-historical style, del tutto paradossale in un libro dedicato alla storia dell'architettura.

L'opera di Fletcher era stata criticata da Bruno Zevi , circa trent'anni fa, in un intervento intitolato Una coscienza mondiale della storia architettonica, in cui lo studioso sottolineava «l'anacronismo di un metodo di classificazione e di lettura critica irrimediabilmente ottocentesco», mettendo in evidenza l'urgente «esigenza di procedere a una ristrutturazione dei nostri orizzonti storici». Il retaggio negativo di questa concezione ha indubbiamente pesato anche sulle tendenze successive della ricerca. Non è difficile constatare ancora oggi come la maggior parte degli studi consacrati alla storia dell'architettura o della città siano condizionati da un arco di indagine limitato all'Europa. Nei casi in cui l'architettura del mondo islamico rientra nel quadro generale di una determinata ricerca storica, essa è trattata sommariamente al di fuori di un concreto inquadramento storico che descriva il succedersi delle stratificazioni artistiche avvenute di epoca in epoca. L'architettura islamica ci appare così in una dimensione statica e isolata.

Le più recenti tendenze della ricerca stanno mettendo in evidenza l'inattualità di questa visione eurocentrica, che concepisce l'esperienza artistica e architettonica del mondo islamico all'interno di un universo unitario e monolitico. Non è più possibile, infatti, negare la pluralità geografica e culturale dell'architettura islamica, semplificando la variegata esperienza di elaborazione artistica attraverso la lettura esotica dell'Oriente.

In questo contesto di esclusione dell'architettura islamica dalla storia, non dobbiamo del resto dimenticare che, all'interno dello stesso mondo islamico, alcune tendenze ideologiche, con le visioni totalizzanti, hanno sviluppato un'analoga e simmetrica concezione della propria cultura come di un mondo immutabile ed eternamente uguale a se stesso. Il fenomeno ha dato adito a diverse manifestazioni pubbliche orientate al consolidamento di questa visione monolitica. Ne è esempio il "Festival of Arts of Islam" organizzato in Gran Bretagna nel 1976. All'evento sono seguite diverse pubblicazioni, tese a consolidare la concezione unitaria della cultura islamica, una dimensione storica immutabile e fissa, scaturita da un'esperienza umana lunga quattordici secoli. Proprio sulla scorta di questo schematismo senza tempo viene meno la ricchezza interna di una cultura presentata come sempre uguale a se stessa e alla quale è precluso ogni dialogo con l'esterno.

La storia dell'Islam si caratterizza, al contrario, come un complesso fenomeno articolato in tappe e sviluppi successivi e per un eccezionale dinamismo testimoniato da modelli di movimento e mutevolezza. Fu Braudel , in primo luogo, a mettere in evidenza questo aspetto, affermando che l'Islam è «la civiltà del movimento e della transizione per eccellenza».

Infatti, la nascita dell'architettura islamica è segnata dall'immediata ricerca di un dialogo e di un confronto con le civiltà esterne. L'Islam guarda subito ai modelli del mondo bizantino e a quelli della Persia sasanide, due mondi culturalmente e artisticamente avanzati. Dal contatto con queste due fonti importanti e dalla sintesi che ne scaturisce, si sviluppa in varie fasi un modello specifico da esse imprescindibile, che porta con sé tutta la ricchezza delle singole culture locali, attraverso cui costituisce il dialogo storico con la realtà del tempo. Distinguiamo infatti gli apporti ellenistico-romani, quelli del mondo mesopotamico e quelli derivati dall'Asia centrale; il patrimonio condiviso con i Copti, i Berberi e gli Armeni nell'area mediterranea; la sintesi scaturita dall'incontro tra l'Islam e il mondo indo-buddista nell'area indiana. Questa predisposizione al movimento e al dialogo sarà evidente anche nell'incontro dell'Islam con la cultura cristiana da cui deriva l'originale fusione tra romanità e gusti visigotici nella penisola iberica. O ancora, nel contatto dell'Islam con la Sicilia dei Normanni assisteremo alla creazione di opere eccezionali.

Durante i secoli immediatamente successivi all' egira si ha pertanto la formazione di una civiltà nuova che, sulla sintesi di molteplici elementi di diversa derivazione, fonda la sua tendenza a creare modelli architettonici profondamente caratterizzati da una natura artistica composita. Proprio questa caratteristica determina l'esigenza costante dell'Islam di mettersi a confronto con le civiltà altre, di interpretare i fatti storico-artistici con cui entra in stretto contatto. Non va dimenticato che, sempre nei primi secoli dell'Islam, avviene un cambiamento epocale determinato dal "movimento delle traduzioni" della Bayt al-Hikma (Casa della Sapienza), un'istituzione scientifica e filosofica nata a Baghdad nell'832 ad opera del califfo al-Ma'mun. Da questo centro si diffusero in numero considerevole le traduzioni in arabo di opere di filosofia, astronomia, matematica, medicina ecc., testi originariamente scritti in greco, siriaco, sanscrito e persiano. Il movimento delle traduzioni consentì di riunire e di mettere in reciproco contatto studiosi provenienti da molteplici ambiti culturali e votati a diverse confessioni religiose. E proprio questa commistione, questa vocazione al sincretismo culturale, che sottolinea la volontà dell'Islam di caratterizzare la propria formazione attraverso l'apporto di elementi ad esso estranei.

Questa tendenza si manifesta anche nel campo artistico e architettonico, dove la concezione di una "architettura islamica" deve liberarsi di ogni ambiguità derivata da una concezione esclusivamente religiosa dell'arte. Nel contesto di una concreta storicizzazione, infatti, non esiste testimonianza alcuna che un artista o un committente di quest'area abbia mai pensato all'arte formatasi dopo la rivelazione dell'Islam in termini di arte "islamica". L'unica arte che in qualche modo può essere concepita in un contesto strettamente islamico è quella della calligrafia e dell'illustrazione dei libri. Non potremmo infatti comprendere l'architettura islamica nelle sue diverse culture subordinandola a un quadro esclusivamente religioso e ideologico; al contrario, la creazione di nuovi modelli architettonici nasce dal superamento di tale quadro.

Le diverse regioni del mondo islamico hanno assorbito queste esperienze autoctone, confrontandosi al contempo con l'architettura cristiana occidentale, con quella bizantina e con quella del mondo persiano. La predisposizione dell'Islam all'interscambio non deve però essere fraintesa nel senso di una mancanza di originalità interna e di una indubbia specificità, psicologica e istituzionale, fortemente presente nelle sue realizzazioni nei diversi campi. Lévi-Strauss si espresse in proposito affermando che tale inclinazione porta a una «théorie de la solidarité de toutes formes de la vie humaine: technique, économique, sociale, spirituelle».

Orientando il nostro punto di vista a una lettura liberata dall'assoluto condizionamento religioso e ideologico, apprendiamo che la concezione dell'architettura islamica si è trasmessa attraverso semplici elementi ripetuti nel tempo e conservati da una sorta di memoria tecnica. Ci accorgeremo infatti che la struttura di una moschea è profondamente più semplice di quella di una chiesa cristiana, carica di riferimenti simbolici alla semantica religiosa. Dal punto di vista religioso riscontriamo la presenza di diversi elementi ricorrenti, come il mihrab, e le decorazioni calligrafiche che richiamano il fedele all'arte della "sacra scrittura". Ma addentrandoci nel riscontro della tipologia costruttiva e delle soluzioni architettoniche emerge in tutta la sua originalità il repertorio tecnico derivato dalla continuità con le tradizioni autoctone, custodite e tramandate dalla pratica artigianale e dalla sedimentazione di elementi costantemente sottoposti alla sperimentazione di nuovi contributi provenienti dall'esterno.

In questa prospettiva, i problemi che si pongono dal punto di vista metodologico e concettuale non sono pertanto limitati alla denominazione da adottare in sostituzione di "architettura islamica". Si tratta del resto di un termine convenzionale paragonabile ad altre categorie, come "romanico" o "gotico", in qualche modo necessarie a descrivere il vastissimo percorso storico dell'architettura nel senso più ampio. Il problema, semmai, si pone nei termini della necessità di chiarire in che modo e con quale atteggiamento l'architettura islamica trova posto all'interno dello stesso percorso storico che molto spesso tende ad escluderla: detto altrimenti, dobbiamo collocarla nel più ampio contesto della "Storia dell'architettura". Dovremo allora distinguere quelle peculiarità specifiche che conferiscono un'identità all'architettura islamica, da una parte in quanto compartecipe di altre esperienze della storia dell'architettura in senso generale, e dall'altra, in quanto processo culturale originale basato sullo sviluppo interno di diverse fasi.

Il primo periodo (VII-X secolo) è caratterizzato dall'espansione e dalla formazione, il secondo periodo (X-XV secolo) dall'affermazione delle culture regionali: questi due periodi, dal punto di vista storico, rientrano nel Medioevo; il periodo successivo rientra nell'età moderna, e si distingue per la divisione del mondo islamico in tre grandi imperi: quello safavide in Persia, quello Moghul in India, quello ottomano esteso in Anatolia, nei Balcani e in gran parte del mondo arabo. Tale quadro generale consente poi di sottolineare quelle fondamentali esperienze di contatto e di scambio culturale che portano all'incontro dell'Islam con diverse civiltà esterne. Si tratta di un fenomeno che sviluppa nuove forme di rapporti che, come aveva sottolineato Bruno Zevi (cfr. l'editoriale già citato), «emergono spontaneamente una volta rotta la barriera psicologica che chiude la storia nell'area europea».

Con la rivelazione a Maometto della religione monoteista (620-630) inizia il percorso di formazione dell'Islam. Tra il 661 e il 750 si afferma il primo impero, quello degli Omayyadi. Situato nel cuore del Mediterraneo, sviluppava i suoi centri di potere in grandi realtà urbane e commerciali come Gerusalemme e Damasco, entrando in contatto con le grandi civiltà del passato, quella classica ed ellenistico-romana, e in seguito bizantina. La vitalità creativa degli Omayyadi trae la sua forza da questo sfondo eclettico, rafforzando la continuità dei temi e dei motivi tardo-antichi soprattutto attraverso il contatto con Bisanzio. L'innegabile natura multiculturale di tale contesto e il forte contributo derivato dalla componente ellenistica costituirono due fattori fondamentali per la formazione dell'architettura islamica. Non a caso, all'inizio del Novecento, uno studioso come Becker poteva affermare: «senza Alessandro niente Maometto». Si tratta di un'asserzione molto importante, poiché sottolineava il profondo debito della cultura artistica islamica con quella ellenica, e di conseguenza bizantina. Si stabiliva in tal modo un importante legame con la civiltà europea, mettendo in discussione l'esclusiva classificazione dell'arte islamica in quella genericamente definita orientale.

Lo spazio storico del Medioevo, e la sua stessa identità mediterranea, è infatti inconcepibile se non si tiene conto dei profondi rapporti di interazione costituitisi per secoli tra mondo islamico e bizantino da una parte e latino cristiano dall'altra. Questa nozione è stata avvalorata solo di recente dai diversi settori di ricerca afferenti alla medievistica e agli studi sul Mediterraneo. Qui, il ruolo esercitato dall'Islam è stato riconosciuto come fondamentale, modificando gli approcci a un campo di interesse scientifico a lungo trascurato. A tale proposito, Geo Pistarino affermava: «Ci siamo chiusi a lungo nella torre d'avorio d'un giudizio ritenuto imparziale e superiore, in realtà restrittivo e sbilanciato. Abbiamo proposto una specifica centralità al medioevo europeo, respingendo tutto ciò che con essa non concordava, anche se storicamente ineccepibile come materiale costruttivo di prim'ordine». Quando Pistarino fa riferimento alla pluralità culturale che caratterizza la civiltà mediterranea, e in particolare all'apporto islamico, sottolinea il fatto che tutte queste culture «entrano di pari diritto in una considerazione unitaria del passato».

La critica all'eurocentrismo era stata affrontata da Jacques Le Goff , che ne denunciava a più riprese l'approccio unilaterale e il peso «sempre troppo potente nella storiografia». Nel quadro della storia medievale, infatti, lo studioso richiamava l'attenzione sul ruolo fondamentale dell'Islam e di Bisanzio, che trovavano un interlocutore imprescindibile soprattutto nell'Italia dell'epoca. Il Mediterraneo si presenta in tal modo come «un mondo in cui la cristianità medievale fu solo una parte» e l'Italia costituì «la cerniera di tre mondi, il cristiano latino, il cristiano greco e il musulmano».

Possiamo pertanto affermare che il mondo islamico e quello cristiano si caratterizzano non solo per il costante intreccio di rapporti reciproci, ma soprattutto per la loro capacità, in particolare nel corso del Medioevo, di condizionare ognuno la cultura dell'altro. Per usare un'affermazione di Albert Hourani, l'Islam ha sempre costituito «un evento importante della storia europea: confinante con essa geograficamente, ha sempre, soprattutto nel Medioevo, rappresentato una sfida tanto filosofica o culturale quanto militare o politica». I rapporti tra i musulmani e i cristiani d'Europa nel Medioevo non furono soltanto in termini di "guerra santa", di crociate e jihad: anche i conflitti tra diverse parti all'interno dello stesso mondo "cristiano", come precisa Franco Cardini , non erano meno intensi. Malgrado la separazione prodotta dal conflitto religioso, cristiani e musulmani erano uniti da infiniti legami di varia natura, lanciavano gli uni agli altri sfide filosofico-religiose e intellettuali. A partire dal XII secolo il Corano era disponibile in traduzione latina, eseguita per la prima volta per volontà di Pietro il Venerabile, abate di Cluny, e questo è solo un esempio dei processi di interazione culturale fra le diverse civiltà. Come è noto, il vasto fenomeno di assimilazione della scienza greca e islamica entra a pieno titolo nel processo di formazione della scienza europea medievale. Nello specifico artistico e architettonico, l'ingresso della cultura islamica nel sapere occidentale ebbe profonde ripercussioni, come si può constatare, ad esempio, nell'apporto alla geometria della dottrina euclidea. La traduzione fu in questo senso uno strumento fondamentale: gli Elementi di Euclide esistevano in due importanti traduzioni arabe, dalle quali derivarono le molteplici traduzioni latine del XII secolo. Fra queste troviamo le traduzioni di Ermanno di Carinzia e di Gerardo di Cremona, ma ebbero grande rilievo soprattutto le tre versioni di Adelardo di Bath.

L'influenza islamica è già rilevabile nella famosa Geometria incerti auctoris, attestata alla metà del X secolo, opera attribuita a Gerberto di Aurillac, futuro papa Silvestro II (940-1003). Qui si palesa l'uso consapevole di nuovi strumenti scientifici. Si veda ad esempio il riferimento all'uso dell'astrolabio, denominato horoscopus, che nel secondo capitolo della Geometria incerti auctoris domina le riflessioni sulla misurazione del terreno. La fonte da cui deriva la conoscenza di questo strumento rimanda al mondo islamico, presso il quale esso ebbe una vasta diffusione, contrariamente a quanto si può riscontrare nel mondo latino. Gerberto di Aurillac fu anche promotore della rivoluzione nel campo del calcolo. Il suo metodo prevedeva l'uso di un abaco appositamente costruito, che consentì una notevole semplificazione del calcolo grazie all'impiego delle cifre arabe.

L'influenza della scienza arabo-islamica è ancora riscontrabile nelle traduzioni latine delle opere sull'ottica. Una delle più celebri è il Kitab al-manazir (Libro sull'ottica) di Ibn al-Haytham (conosciuto in Occidente con il nome di Alhazen, 965 ca.-1039). Il trattato è stato tramandato in latino con il titolo di Perspectiva o De aspectibus, attraverso diverse versioni. E soprattutto ad esso che si deve la grande fioritura degli studi sull'ottica in Occidente, in particolare intorno agli anni sessanta-settanta del Duecento. L'opera di questo studioso ebbe notevoli ripercussioni sulla cultura tardomedievale nel senso più ampio, come dimostra lo spazio considerevole dedicatogli da Jean de Meung (1240 ca.-1305 ca.) nel suo celebre Roman de la Rose (vv. 18023-18538). Molti furono i grandi artisti e scienziati italiani che si riferirono ad Alhazen per le loro teorie e i loro studi. Basti ricordare lo scultore fiorentino Lorenzo Ghiberti, che riporta una parte dell'opera di Alhazen nei suoi Commentarii, e ancora Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci e Filippo Brunelleschi, la cui camera obscura era già stata sperimentata da Alhazen durante l'XI secolo.

Un altro importante elemento di vicinanza tra il mondo cristiano e quello islamico è la somiglianza dei manuali medievali di geometria pratica. Tali opere costituirono la comune eredità derivata dalla civiltà classica, tramandata e rielaborata da traduttori dell'ambiente scientifico islamico. I tre secoli di studio che supportarono questa elaborazione furono di eccezionale importanza per la fruizione della geometria e dell'aritmetica, materie fondamentali anche per l'architettura. Senza questa trasmissione, l'arte gotica non sarebbe stata in grado di raggiungere la maturità tecnica che l'ha contraddistinta in ambito europeo. Si veda per esempio il motivo geometrico "a stella", a sei, a otto o a dodici punte, che rientra nel repertorio esplicativo dei manuali di architettura medievali sia islamici sia europei. Questo particolare disegno si riscontra frequentemente nell'architettura gotica, ad esempio in molte piante di pinnacoli, ed è basato su una tecnica comune, vale a dire la sovrapposizione di due quadrati disposti a 45° l'uno rispetto all'altro.

Diverse tecniche costruttive impiegate nell'Europa medievale si ricollegano all'esperienza islamica. Si vedano per esempio l'arco acuto, la cupola "archiacuta", i raccordi gradonati per le cupole o gli archi a imposta rialzata, l'uso di bande bianche e nere nel rivestimento: tutti questi elementi sono stati sperimentati nell'architettura islamica diversi secoli prima dell'affermazione del romanico e del gotico. Non vi è dubbio, pertanto, che determinate esperienze artistiche, fondamentali per tutta la civiltà europea, non avrebbero potuto costituirsi come tali senza i diversi processi di contaminazione che ne prepararono l'accettazione. Come afferma Paolo Cavalieri, del resto, «le origini del Gotico europeo, ben lungi dall'essere un miracolo senza spiegazioni, sono proprio il frutto delle geniali intuizioni di coloro che seppero fondere insieme le tematiche costruttive del tardo-Romanico e la geometria sacra araba». In questa prospettiva, non dobbiamo dimenticare che l'arte islamica successivamente si arricchisce in Sicilia e nella penisola iberica, dando vita a una propria storia secolare. Analogamente, non possiamo fare a meno di tenere presente lo sviluppo degli influssi islamici in molteplici direzioni, come avviene in particolare per l'Italia, dove l'arte islamica si combina con quella europea, romanico-gotica e bizantina, realizzando modelli di straordinario equilibrio e fecondità. Ma questo argomento, decisamente vasto, merita di essere trattato in una sede più appropriata.

Richiede un discorso a parte il tema relativo alle città, alle importanti realizzazioni urbanistiche e alla straordinaria ricchezza tipologica dell'architettura del mondo islamico.

Sul ruolo rilevante dell'urbanistica nel mondo islamico, abbandonata ogni romantica teoria ottocentesca che vedeva l'Islam come una religione di popoli nomadi e di tribù accampate ai margini dei deserti, concorda ormai quasi tutta la critica contemporanea, impegnata a collocare il precoce, rapido e intenso sviluppo urbano dei territori toccati da questa cultura. Anche per quanto riguarda l'origine, si ritiene oggi superato il diffuso pregiudizio secondo cui, prima di passare all'Islam e prima delle conquiste nell'area mediterranea e nel mondo iranico, il popolo arabo fosse esclusivamente dedito alla vita nomadica e pastorale e quindi non conoscesse né architettura monumentale, né vita urbana. Tali pregiudizi, presenti, se non dominanti, ancora negli anni sessanta del Novecento, venivano proposti anche da alcuni autorevoli studiosi come K.A.C. Creswell, secondo il quale l'Arabia presentava «un vuoto architettonico quasi totale, e il termine araba non si dovrebbe mai usare per definire l'architettura dell'Islam».

In realtà, molte popolazioni arabe si erano urbanizzate già secoli prima dell'avvento dell'Islam, erigendo popolose città le cui architetture non avevano molto da invidiare a quelle di città dell'antichità più famose. Vanno ricordate Petra dei Nabatei e Damasco ghassanide, Hira, centro dei Lakhmidi cristianizzati nella Bassa Mesopotamia; Main dei Minei e Marib dei Sabei nello Yemen; infine Taif e naturalmente La Mecca e Medina preislamiche, che restano gli esempi migliori per lo Hijaz.

In realtà le esperienze e le consuetudini di queste città, insieme alle tradizioni autoctone delle diverse aree non arabe e/o conquistate – ellenistica, bizantina, iranica ecc. –, hanno costituito nell'arco dei secoli il supporto per la formazione delle città dell'Islam, nella loro prima fase di fondazione e di sviluppo. In questo quadro complesso la civiltà islamica, nei suoi vasti ambiti di dominio o influenza e nel suo lento e articolato processo di formazione e trasformazione, modifica radicalmente, adattandoli alle esigenze della nuova società islamica, impianti urbani di origini diverse: i centri ellenistico-romani della Siria, í centri profondamente permeati di cultura berbera, quelli che conservavano una matrice indo-ariana e infine quelli sviluppatisi su uno schema tripartito iranico e centrasiatico. Inoltre, sempre nei primi secoli, vengono fondate ex novo numerose città di svariate forme: città circolari, a ferro di cavallo, a impianto rettangolare, a raggiera, radiocentriche e anche città doppie, tripolari e pluricentriche. Nel suo recente studio Storia dell'urbanistica. Il mondo islamico, Paolo Cuneo ha esaminato in dettaglio la ricca e vastissima portata dell'urbanistica nel mondo islamico. Tuttavia, un'analisi degli studi sulla "città islamica" degli ultimi cinquant'anni mostra un diffuso modello interpretativo con un'impostazione semplicistica della realtà urbana del mondo islamico. Tale modello tenta di interpretare le articolate realtà urbane utilizzando la disposizione di pochi elementi urbani e di un ridotto numero di tipologie architettoniche: avremo pertanto un tessuto urbano identificabile nella ristretta cerchia significante di Grande Moschea, suq-bazar, bagno pubblico (hammam) e un reticolo viario disegnato ad albero con i caratteristici vicoli ciechi (cul-de-sac). In realtà questa immagine fuorviante e stereotipata della "città islamica" contrasta profondamente con la realtà storica. La città del mondo islamico, al contrario, mostra una grande varietà di tipi edilizi destinati a particolari funzioni. La ricchezza tipologica è soprattutto quella dell'edilizia sociale e "pubblica": nelle città islamiche si svolgevano funzioni collettive complesse e variegate in misura superiore a quelle di molte città europee nel Medioevo. L'elenco è lungo e comprende innanzitutto il più venerabile degli edifici riservati allo svolgimento delle attività di culto, la moschea principale (Giami al-Kabir in arabo, Ulu Cami in turco e Masgid Jame in persiano), al quale vanno aggiunti altri edifici connessi al culto, come mausolei, conventi e tekke (luoghi di riunione degli ordini dei dervisci); edifici scolastici e destinati all'insegnamento, madrase; biblioteche e osservatori astronomici; edifici connessi alla beneficenza e alla salute pubblica come ospedali e cucine popolari; edifici legati al commercio: mercati coperti (bazar in persiano, suq in arabo e çarsi in turco), caravanserragli, negozi; grandi manifatture e fonderie come zecche, arsenali e cantieri navali; bagni pubblici; edifici governativi; castelli; cisterne e fontane per la distribuzione dell'acqua; ponti, e così via. A queste tipologie vanno poi aggiunti i grandi complessi architettonici urbani, insiemi unitari di edifici con funzioni diverse che andavano a costituire l'ambiente pubblico cittadino. Questo carattere polifunzionale e la polivalenza dello spazio pubblico collettivo caratterizzavano, soprattutto nei primi secoli, la Grande Moschea, una sorta di agorà dove si svolgevano diverse funzioni, dalla preghiera all'insegnamento e allo studio, dall'amministrazione della giustizia alle discussioni e agli incontri culturali. Questo carattere accentrato di multifunzionalità è tra l'altro enfatizzato sul piano architettonico dalla presenza di molteplici ingressi e dal grande cortile, molto spesso di vaste dimensioni, una vera e propria "piazza". In tutto l'Islam il culto e l'amministrazione del gruppo sociale, la dottrina religiosa e giuridica si sovrappongono trovando un comune e unico centro spaziale. Ma, se la tendenza alla concentrazione e alla sovrapposizione delle diverse istituzioni e funzioni è "islamica", tuttavia le risposte in termini architettonici e urbanistici in diverse aree culturali sono diametralmente diverse: si consideri, per esempio, la differenza tra i külliye ottomani più legati al concetto del naturalismo greco e i complessi architettonici dell'area culturale iranica, basati invece sul monumentalismo geometrico. Rientrano in tale contesto anche le relazioni architettoniche attorno all'ambito del meydan, la "piazza", la cui assenza fu erroneamente considerata una delle caratteristiche delle città islamiche: in realtà è già presente nella costruzione delle prime città; il suo "spazio" viene riproposto secondo variazioni di carattere informale (soprattutto nel caso di città sorte da accampamenti militari), oppure geometricamente definite, come nella Samarra abbaside, nel Cairo fatimide oppure in molte città persiane e dell'Asia centrale.

Dobbiamo poi tenere conto anche dell'importante ruolo dell'architettura dei giardini, anche come spazi pubblici, all'interno del tessuto urbano complessivo. Infine, per quanto riguarda l'architettura domestica, va sottolineato che la stessa tipologia definita "casa musulmana", con il cortile-patio centrale e uno sviluppo sostanzialmente orizzontale, non trova corrispondenza nella "casa a torre" del Marocco meridionale, dello Yemen, delle abitazioni d'affitto del Cairo o della "casa a legno" persiana senza cortile nella fascia meridionale del mar Caspio; per non parlare poi della "casa ottomana" con tutte le sue caratteristiche.

Il notevole grado di sviluppo economico raggiunto dalle città musulmane nei secoli immediatamente successivi alla fase di conquista, che erano le più popolose del Mediterraneo, se si eccettua Costantinopoli bizantina, si riflette nelle differenti e variegate tipologie edilizie sviluppate dall'architettura islamica. È quindi ovvio che molti termini architettonici siano di origine araba: per esempio, dall'arabo funduq deriva "fondaco"; da sikka, la parola "zecca", dalle zecche arabo-normanne con la mediazione sveva e angioina, diffusasi quindi nell'Italia centro-settentrionale nel corso del XIII e del XIV secolo.

Un termine che ebbe notevole fortuna fu dar as-sina, che a Genova diede luogo a "darsena" e a Venezia a "terzana" o "arzana", per divenire quindi l'italiano "arsenale". Questa fortuna è dovuta probabilmente al fatto che si trattava di una struttura quasi sempre presente nelle città islamiche. Testimonianze di questi edifici sono sparse in tutto il Mediterraneo. In Marocco, nella città di Salé si possono ancora vedere due porte, risalenti al 1260-1270, che permettevano l'accesso al bacino di carenaggio. Nella penisola iberica, sottoposta per lungo tempo al dominio musulmano, gli arsenali cristiani si rifacevano alla tipologia islamica, con le navate destinate alla costruzione delle galee coperte da volte: sedici ne contava l'arsenale rettangolare fatto costruire nel 1252 da Alfonso X a Siviglia, fuori delle mura cittadine; il lato maggiore della pianta rettangolare raggiungeva i 182 m. Nella città di Mandiyya, a sud di Tunisi, l'arsenale non solo venne previsto sin dalla fondazione, avvenuta nel X secolo, ma venne anche posizionato vicino alla Grande Moschea.

Ma la testimonianza più importante e completa sugli arsenali islamici si trova nel Mediterraneo orientale, nel porto di Alanya, dove il monumentale cantiere navale fatto costruire dal grande sovrano dei Selgiuchidi di Rum, Ala al-Din Qayqubad (regn. 1219-1237), è giunto a noi praticamente intatto. Fu lo stesso sovrano che nel suo palazzo-città di Qubadabad fece costruire un piccolo arsenale (si veda il capitolo dedicato ai Selgiuchidi di Rum).

Sulla base di quanto abbiamo detto fin qui, possiamo a questo punto esporre in sintesi i criteri necessari a definire uno strumento metodologico in grado di affrontare un processo storico-artistico così complesso come quello prodottosi in seno alla civiltà islamica. Tre i punti che ci sembrano fondamentali:

1. La contestualizzazione dell'arte della costruzione nel mondo islamico nella storia dell'architettura in generale. Dobbiamo, in altri termini, inserire il periodo che va dal VII al XV secolo nel periodo medievale. A partire dalla fine del Medioevo, due date importanti segnano l'avvento di cambiamenti fondamentali nel campo dell'arte del mondo islamico: nel 1453 gli Ottomani conquistano Costantinopoli, mentre nel 1492 cade Granada e la penisola iberica torna sotto il dominio di sovrani cristiani. Questi eventi segnano il passaggio dal periodo "medievale" a quello "moderno". Il presente studio si occupa del periodo "medievale".

2. Il ruolo delle tradizioni autoctone preislamiche, secondo le modalità delle diverse aree di studio. Naturalmente bisogna evitare di cadere nell'errore di dedicare un'attenzione eccessiva alle tradizioni autoctone, alimentando la proliferazione di tendenze nazionalistiche. Si tratta di un fenomeno attualmente in crescita, soprattutto a causa della scarsa attenzione dedicata ai fattori di interazione esterna e all'esaltazione dei "tratti unici", tutti elementi riconducibili alla matrice del metodo eurocentrico.

3. Il costante processo di stratificazione e di sedimentazione di influssi e contaminazioni tra diverse aree culturali, o all'interno di ciascuna geografia culturale. Questo tema risulta costante in tutta la storia dell'architettura. Nel caso dell'Islam, tuttavia, esso assume un'importanza particolare, proprio in virtù del suo forte senso di ricerca di un'universalità su base pluriculturale. Inoltre, l'avvicendarsi al potere di molteplici dinastie in diverse sedi geografiche dislocate nel mondo islamico, e il continuo spostamento dei centri di potere, conferirono ai confini territoriali una fluidità tale da non farli mai identificare con quelli strettamente nazionali. In questa direzione, lo studio per dinastie e non per nazioni è il criterio seguito in questo lavoro. Insieme ai punti indicati precedentemente, anche questo criterio si presta a un'interpretazione più adeguata alla complessità dell'architettura sorta nei paesi di tradizione islamica e paragonabile al resto delle esperienze architettoniche della storia.

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