Copertina
Autore Giorgio Nebbia
Titolo Ambientiamoci
SottotitoloRacconti di ecologia
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2011, Ecoalfabeto , pag. 236, cop.fle., dim. 12x16,8x1,4 cm , Isbn 978-88-6222-156-6
LettoreSara Allodi, 2011
Classe ecologia , beni comuni , energia , storia della scienza , storia della tecnica
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Indice


Introduzione di Edgar Meyer                               5

Pionieri                                                  9

Occam e l'elogio della semplicità                         9
Maria Curie e la scoperta del polonio                    12
Vladimir Ivanovich Vernadskij: la biosfera e la noosfera 16
Cecil Pigou e le radici dell'economia ambientale         21
Girolamo Azzi e la prima cattedra di ecologia            24
Georgescu-Roegen, padre dell'economia ambientale         27
Barry Commoner: chiudere il cerchio della natura         31

Ecologia                                                 35

Ecologia e storia                                        35
George Perkins Marsh                                     40
Garret Hardin e la parabola della mucca                  45
Robinia                                                  49
Sprecare meno natura                                     52
Agosto torrido: commerci e clima                         56
Io amo la ginestra                                       59

Acqua                                                    63

La virtù della solidarietà                               63
L'acqua intorno a noi                                    66
Guerre per l'acqua                                       71
Il costo in acqua delle merci                            74
Il mare intorno a noi                                    77
Di chi la colpa?                                         80
Veleni nel mare                                          84

Energia 88

Le "cinque lampadine" e l'inizio dell'energia geotermica 88
Eugenio Barsanti e l'invenzione del motore a scoppio     91
Il picco di Hubbert                                      96
Nucleare: nessun sito adatto in Italia                   99
L'energia osmotica                                      103
Vita, morte e miracoli del petrolio                     107
Gassificazione sotterranea del carbone                  110

Merci e ambienti                                        115

Fiammiferi e veleni                                     115
Goodyear e la scoperta della vulcanizzazione            118
Plastica                                                121
La guerra delle terre rare                              124
Olio di palma                                           128
L'auto elettrica e il litio                             131

Lavoro e Ambiente                                       136

Love Canal: una bomba a orologeria                      136
La premiata ditta Bossi                                 140
Seveso                                                  145
La trappola dell'amianto                                148
Le ragazze del radio                                    152
La tragedia di Marcinelle                               157

Rifiuti                                                 162

La riciclo-logia                                        162
L'oro nelle fogne                                       166
Quanto cibo buttato via                                 170
Carburanti dal pattume                                  174
Lana verde                                              178

Solare                                                  182

La scoperta della fotoelettricità del selenio           182
Il Sole eliminerà tutta la povertà                      186
Rudolf Diesel e il motore a olio di arachide            189
Il Sole, il vento e il buio                             193
Non c'è pace                                            199

Pace                                                    203
Voglia di pace                                          203
Tecnica e cultura: Lewis Mumford                        206
Scienza e pace: Linus Pauling                           216
L'uomo del futuro                                       224
Pace e ambiente                                         227

Gaia Onlus, il pianeta che vive e che legge             233


 

 

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Pagina 2

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Pagina 5

Introduzione


L'ecologia è una disciplina scientifica - o forse una maniera di vedere il mondo - che si occupa dei rapporti degli esseri viventi fra loro e col mondo circostante.

Giorgio Nebbia, pioniere dell'ecologia, scienziato, giornalista e lucido divulgatore delle tematiche ambientali, propone in questo libro una serie di riflessioni - che abbiamo voluto chiamare "racconti" perché hanno il fascino e la scorrevolezza delle narrazioni - tra le più argute della sua vasta produzione intellettuale e saggistica. Attraverso gli articoli, divisi in capitoli tematici, si spazia su (quasi) tutto lo scibile della sostenibilità ambientale: dalle origini del termine "ecologia" ai ritratti di alcuni pionieri, dalle considerazioni sull'importanza dell'acqua e del sole alla necessità della riciclo-logia.

In questi articoli, in questi "racconti", in queste "lettere" Nebbia (collaboratore di Gaia, l'associazione che in partnership con Stampa Alternativa promuove questa collana: altri suoi gustosi scritti si possono trovare nella sua rubrica all'interno del portale www.gaiaitalia.it ) si rivolge agli insegnanti, agli studenti, alla classe dirigente, ai cittadini attenti ai destini del nostro piccolo pianeta. Con parole semplici. Ricordando fatti e persone. Avanzando proposte. Unendo analisi scientifica e buonsenso.

[...]

In Ambientiamoci si ritrova tutta la verve ma anche la profondità del pensiero di Nebbia, la densità delle riflessioni eppure la leggerezza di lettura, il rigore scientifico eppure la capacità di raccontare e appassionare. Spero che ai lettori questo libro faccia lo stesso effetto che fa a me: la sensazione di aver ascoltato le parole di un maestro saggio e paziente.

Edgar Meyer, presidente Gaia Animali & Ambiente

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Pagina 9

Pionieri



Occam e l'elogio della semplicita'

Un bravo studente di liceo (ce ne sono di bravi, anche molto bravi, e ci sono dei bravi insegnanti) mi ha scritto chiedendo che cosa c'entra con l'ambiente il frate francescano inglese Guglielmo Occam che avevo citato in un articolo. Secondo me c'entra e molto, perché molti problemi ambientali possono essere risolti proprio adottando scelte, o azioni, o processi "semplici" e della virtù della semplicità si è fatto propugnatore proprio questo Occam.

Guglielmo di Occam era nato a Ockham, nel Surrey, in Inghilterra, alla fine del XIII secolo. Aveva studiato al Merton College di Oxford, che a quel tempo era un importante centro intellettuale, poi è diventato francescano e ha studiato e insegnato a Parigi e Oxford fino al 1323. La sua vita successiva è stata in gran parte occupata dalla controversia col papa Giovanni XXII, e i suoi successori, su temi come il concetto di povertà evangelica e il quesito se l'imperatore potesse deporre il papa. Nel 1324, Guglielmo fu convocato come imputato ad Avignone, dove il papa era esiliato; riuscì a scappare e a rifugiarsi presso Ludovico IV il Bavaro a Pisa e Roma e finalmente a Monaco. Morto circa nel 1349, probabilmente scomunicato perché eretico, è stato sepolto nella chiesa francescana di Monaco, distrutta all'inizio dell'Ottocento.

Guglielmo di Occam è noto per il suo principio di parsimonia, o di semplicità, spesso chiamato "rasoio di Occam", che afferma l'inutilità di fare con più, quello che si può fare con meno; in latino: "quia frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora". Risparmio al lettore la ricostruzione di dove e quando è stato scritto questo passaggio, ma sta di fatto che il principio di Occam ha influenzato Lutero e molti filosofi successivi, da Locke a Bertrand Russell. E ancora oggi, in un periodo di scetticismo verso la saggezza francescana, su internet si trova addirittura un sito dedicato ai seguaci del pensiero di parsimonia e semplicità: www.ilrasoiodioccam.it.

Nella ricerca scientifica, il rasoio di Occam invita a tagliare via, con un rasoio appunto, le teorie e gli esperimenti eccessivi e inutili nella ricerca della verità. In ecologia invita a ricercare i fenomeni che influenzano la natura e l'ambiente semplificando le teorie, le operazioni e le analisi.

Prendiamo il caso della raccolta dei rifiuti solidi: una buona soluzione consisterebbe nel cercare di rendere minima la richiesta di discariche e di inceneritori e di recuperare tutto quello che è possibile dai rifiuti stessi. Non sono ubbie, anzi questo principio è imposto dalla legge italiana ed europea; per raggiungere questo obiettivo, come è noto, occorre convincere le persone a riconoscere che una parte delle componenti dei rifiuti può essere trasformata in nuove merci a condizione che le varie frazioni siano separate correttamente: tutto il vetro a parte, tutta la plastica a parte, tutta la carta e i cartoni a parte.

L'operazione è un po' scomoda e fastidiosa e richiede un po' di impegno personale. Più comodo è fare una finta raccolta differenziata, come purtroppo spesso avviene.

Prendiamo il caso degli imballaggi: si trovano in molte città dei contenitori che invitano a mettere insieme bottiglie di vetro e plastica. Il principio di semplicità richiederebbe ai cittadini di mettere da una parte le bottiglie di vetro e dall'altra le bottiglie di plastica, in modo da consentire il riciclo di ciascuna delle due materie separate con processi semplici ed efficienti e ben noti. Quando vetro e plastica sono miscelati, occorre un complicato processo di separazione e la frazione del vetro così recuperato è contaminata da parti di plastica che rendono meno efficiente il recupero e generano altre scorie inquinanti. Lo stesso vale per la plastica che è più difficile da recuperare e trasformare in nuovi manufatti di plastica riciclata se è contaminata da tracce di vetro o metalli.

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Pagina 27

Georgescu-Roegen, padre dell'economia ambientale

Se qualcuno mi chiedesse quale testo leggere per imparare qualcosa di economia dell'ambiente, un insegnamento che da alcuni anni a questa parte si sta diffondendo fra le discipline economiche anche in Italia, suggerirei un libro il cui titolo in italiano potrebbe essere "La legge dell'entropia e il processo economico" , anche se il libro in italiano non è mai stato tradotto. L'autore è un professore di origine romena, Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1990); in italiano sono comunque disponibili vari altri suoi libri che spaziano dall'economia agraria, al comportamento dei consumatori, a varie rielaborazioni delle idee contenute nel libro fondamentale prima ricordato. Una raccolta dei saggi più "ambientalisti" fu pubblicata da Bollati Boringhieri nel 1998 col titolo Energia e miti economici, con una breve biografia. Georgescu-Roegen ha avuto una lunga vita avventurosa; nato a Costanza, in Romania, vinse giovanissimo una cattedra di statistica nell'Università di Bucarest e, come brillante professore, visitò varie università in Inghilterra e negli Stati Uniti nei turbolenti anni Trenta del secolo scorso. Nel 1937 rifiutò una cattedra negli Stati Uniti e ritornò in Romania con l'idea di essere utile al suo Paese. Oltre all'insegnamento, diresse il Ministero del Commercio estero in un periodo in cui la Romania era corteggiata dai sovietici e dai nazisti per le sue ricchezze petrolifere. Nell'agosto 1944 Bucarest fu occupata dall'esercito sovietico e nel 1944-45 Georgescu-Roegen fu segretario generale della commissione romena per l'armistizio; nel 1948 si trasferì negli Stati Uniti e ottenne una cattedra di economia nell'Università Vanderbilt di Nashville, nel Tennessee, una sede abbastanza decentrata rispetto al circuito delle grandi facoltà economiche americane.

Georgescu-Roegen è stato un economista dissidente, eterodosso; non lo sentirete mai nominare dagli economisti seri ufficiali, perché è andato a esplorare dei territori di confine fra l'economia, la fisica e l'ecologia e perché da tale esplorazione ha tratto la sua critica, appunto, ai "miti" dell'economia tradizionale. Nella seconda metà dell'Ottocento, e nella prima metà del Novecento, vari studiosi hanno messo in evidenza alcune analogie fra fenomeni biologici e fisici e fenomeni economici. L'economia è la scienza di come soddisfare i bisogni umani di cibo e di merci, in un mondo, in una società, in cui sono limitati lo spazio, le risorse energetiche e minerarie, la fertilità dei campi, limiti descritti esattamente proprio dalla biologia e dalla fisica. Come è possibile allora far crescere continuamente il benessere, il numero e la massa dei beni materiali, come richiede l'economia, quando esistono degli oggettivi limiti fisici e biologici nelle risorse naturali? Gli economisti seri rispondono che è possibile perché le risorse dell'ingegno, della scienza, della tecnica, sono illimitate: basta investire denaro ed energia per dilatare i beni che la Terra può offrire.

Georgescu-Roegen non è d'accordo e ha elaborato una sua teoria, che ha chiamato di "bioeconomia", mettendo in evidenza i vincoli imposti all'economia dalle ineluttabili leggi fisiche della termodinamica, quelle che descrivono la contabilità, la ragioneria, delle trasformazioni dell'energia. È infatti l'energia che tiene in moto tutti i fenomeni economici e produttivi, è il flusso dell'energia che sta alla base del flusso di denaro. L'energia, quella del Sole e quella richiesta per fabbricare i concimi e per muovere i trattori, fornisce i raccolti agricoli; l'energia occorre per trasformare i pomodori nella conserva che arriva nei negozi; l'energia occorre per trasformare i minerali in acciaio e per far muovere le automobili e i treni e per far funzionare i computer.

Possono cambiare i prezzi del petrolio o dell'elettricità, ma la quantità di energia necessaria per produrre una tonnellata di grano o di plastica o per tenere accesa una lampadina, pur variabile a seconda della tecnologia dei processi o dei prodotti, non può scendere al di sotto di una soglia, fissata dalla fisica. E, una volta usata per un processo, l'energia non si recupera più, non torna più disponibile per rifare lo stesso processo; se ne perde sempre un poco. Si dice che ogni processo trasforma l'energia a bassa entropia in energia a più alta entropia, e l'economia deve fare i conti con questa continua perdita e dissipazione di energia utile, con questo continuo aumento dell'entropia.

Georgescu-Roegen ha ampliato questa visione sostenendo che si deve tenere conto non solo dell'energia, che si degrada sempre, ma anche della materia. Si ha un bel dire del riciclo dei materiali usati; raccogliere separatamente la carta usata è certamente virtuoso perché si evita di tagliare nuovi alberi per fare nuova carta, ma non ci si illuda del riciclo illimitato. L'atto stesso di usare la carta, o un qualsiasi altro bene, ne altera e peggiora la qualità; un giornale usato è fatto di carta ma è anche "contaminato" con inchiostri e additivi; quando si ricicla un chilo di giornali si può stare certi che la carta riciclata recuperata sarà sempre meno di un chilo; la differenza è costituita da inchiostri, sporcizia, eccetera. Insomma, nel produrre e nell'usare una merce "si perde" sempre un poco, sia dell'energia, sia della materia utili. Il messaggio non è di disperazione: è possibile soddisfare i bisogni materiali di cibo, merci, servizi, conoscenza, mobilità, se si tiene presente che le quantità e il tipo dei beni necessari devono essere scelti tenendo conto della disponibilità non solo di denaro, ma di risorse naturali e di energia. La legge dell'entropia stimola, non frena, innovazione e progresso.

Molti ritengono che, per la sua opera, Georgescu-Roegen avrebbe meritato il premio Nobel per l'economia. Non l'ha avuto, ma in compenso ancora oggi è riconosciuto come padre dell'economia ambientale e viene letto e discusso.

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Pagina 31

Barry Commoner: chiudere il cerchio della natura

Nel 1972, in coincidenza con la prima conferenza "ecologica" delle Nazioni Unite, quella di Stoccolma sull'"Ambiente umano", apparve un libro del biologo americano Barry Commoner (nato nel 1917) intitolato Il cerchio da chiudere. Il libro ebbe un successo mondiale grandissimo, fu pubblicato subito in italiano dall'editore Garzanti e una seconda edizione italiana, ampliata, apparve nel 1986. Il "cerchio" è quello della natura, nella quale i fenomeni della vita vegetale e animale si svolgono secondo cicli chiusi; nella natura non esistono rifiuti perché le spoglie dei vegetali e degli animali e gli escrementi riportano in ciclo gli elementi chimici che essi contengono e che diventano fonti di vita per altri vegetali; si può dire che nella natura non esiste la morte perché la materia di qualsiasi essere, alla fine del suo ciclo vitale, ritorna ben presto materia per altri. La vita è il fine unico della natura e della vita stessa.

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Pagina 52

Sprecare meno natura

Il primo decennio del 2000 è stato caratterizzato da eventi meteorologici (apparentemente) fuori dal comune: siccità seguite da alluvioni, avanzata dei deserti e allagamento di pianure fertili, diminuzione della superficie e del volume dei ghiacci considerati "permanenti". Ciascuno di questi eventi ha destato chiacchiere senza fine, ma ben poco si è fatto per dare una risposta a tre domande: si tratta di eventi veramente fuori dal comune? In caso affermativo, qual è l'origine? Se le alterazioni derivano da azioni antropiche, ce la farà la Terra a sopportare il "peso" di una popolazione umana crescente e di un crescente impoverimento delle risorse naturali?

La "vita", quella vegetale e animale e quella "economica" (cioè l'insieme della produzione e dell'uso di beni materiali e di servizi), è resa possibile da una grande circolazione di materia e di energia dai corpi della natura — l'aria, le acque, il suolo, il sottosuolo — agli esseri viventi, umani compresi, e da un ritorno, negli stessi corpi della natura, dei prodotti di trasformazione della vita: gas della fotosintesi, delle respirazioni e delle combustioni, rifiuti solidi, eccetera. Mentre i cicli della vita vegetale e animale comportano l'emissione di "rifiuti" che vengono riassorbiti dalla natura e addirittura diventano nuove materie "utili" — gli escrementi animali diventano concime per le colture vegetali, l'anidride carbonica emessa dalle respirazioni animali diventa materia prima per la fotosintesi dei vegetali –, i cicli della vita "economica", la produzione di alimenti industriali, di metalli, macchine, edifici, eccetera, comporta una sottrazione di materie dalla natura — sabbia e ghiaia e argilla per i cementi e i laterizi, minerali, sostanze nutritive per i vegetali asportate dal suolo – che non si rigenerano mai più, e un ritorno nei corpi naturali di scorie spesso non assimilabili, che alterano la qualità delle acque e dell'aria, rendendole meno utilizzabili dalla vita. Producono cioè inquinamento.

Tutto comincia dal Sole che, attraverso la fotosintesi, "fabbrica" ogni anno sui continenti circa cento miliardi di tonnellate di biomassa vegetale secca: amido, cellulosa, proteine, grassi, eccetera. Di questa biomassa, circa cinque miliardi di tonnellate ogni anno sono utilizzati come materie prime commerciali dall'industria agroalimentare, dalla zootecnia, dalle industrie del legno e della carta, della gomma, dei tessuti, eccetera. Gran parte dei "prodotti" alimentari e industriali ritornano abbastanza presto nella natura, ma per lo più come scarti che vengono sepolti nelle discariche o bruciati.

La grande macchina "economica" che fornisce prodotti di "consumo" — sia pure in quantità e di qualità molto diverse da Paese a Paese — ai quasi 7.000 milioni di abitanti del pianeta Terra, all'inizio del secondo decennio del 2000, richiede inoltre, per il suo funzionamento, circa 12 miliardi di tonnellate ogni anno di carbone, petrolio, metano, eccetera. Anche questi derivano dal Sole e dal ciclo del carbonio, ma si sono formati centinaia di milioni di anni fa e la natura ce li ha tenuti da parte nel sottosuolo, per ere geologiche lunghissime: riserve che le nostre società umane stanno svuotando in pochi secoli per far funzionare macchine e industrie. E con questo siamo ad una sottrazione di circa 17 miliardi di tonnellate all'anno di materiali organici.

Gli "alimenti" derivati dal ciclo del carbonio attuale e quelli fossili, necessari per l'economia, restituiscono nell'atmosfera gran parte del loro carbonio sotto forma di anidride carbonica. Nel caso dei prodotti derivati dall'agricoltura si tratta dell'anidride carbonica sottratta pochi mesi o pochi anni prima, ma nel caso dei combustibili fossili — carbone, petrolio, metano — l'anidride carbonica immessa "oggi" nell'atmosfera è quella sottratta dall'atmosfera milioni di anni fa. Da qui, il graduale aumento della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera, con conseguente lento graduale riscaldamento della superficie terrestre per effetto serra e modificazione del clima planetario. La costruzione di macchine, strade, edifici, abitazioni, eccetera, richiede altre materie tratte dalla natura sotto forma di rocce e minerali in quantità che si può stimare di circa venti míliardi di tonnellate all'anno. Gran parte di questi materiali resta immobilizzata negli edifici, nelle fabbriche, nelle strade, per tempi lunghi o lunghissimi.

Da questo conto è esclusa l'acqua che attraversa la "tecnosfera" — case e città, fabbriche, campi, eccetera — in ragione di circa mille miliardi di tonnellate all'anno, prelevata dal flusso continuo di acqua che scorre sulla superficie della Terra. L'acqua che esce da ogni casa, fabbrica o campo coltivato e ritorna alla natura è più o meno nella stessa quantità dell'acqua entrata, ma è stata addizionata con agenti chimici, residui di concimi, pesticidi, scorie alimentari, polveri, escrementi e la sua qualità — la sua possibilità di utilizzazione a fini biologici, e non solo umani e commerciali — peggiora. Ogni persona del peso medio di sessanta chili "pesa" sulla Terra, movimentando ogni anno quasi sei tonnellate di materiali (acqua esclusa, come si è detto).

Ce la farà la Terra a sopportare una tale pressione umana sulle risorse naturali? Le società umane potranno soddisfare le proprie necessità di beni, di progresso, di sviluppo individuale e sociale, di liberazione dalla povertà, di maggiore giustizia distributiva, a condizione che tengano conto dei precedenti numeri e che modifichino i modi di produrre e di consumare, adattando i cicli economici a quelli della natura, utilizzando energie e materie rinnovabili che il Sole ricostruisce continuamente, depurando i rifiuti prima che tornino nei corpi riceventi naturali. Un compito non facile, ma che alcuni Paesi stanno già adottando; la storia mostra che quando le società umane hanno dovuto cambiare le proprie abitudini, non sono diventate più povere, ma anzi hanno migliorato le proprie condizioni, con minore "spreco di natura". Un compito che richiede ai governanti e ai cittadini lungimiranza, coraggio e solidarietà.

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Pagina 56

Agosto torrido: commerci e clima

Davanti ai sempre più frequenti e vistosi segni di bizzarrie del clima ci sono due scuole di pensiero; alcuni ritengono che ciò dipenda da un lento continuo riscaldamento planetario dovuto all'immissione nell'atmosfera di gas a "effetto serra" da parte delle attività umane di produzione e di consumo; altri ritengono che in certe stagioni ci sia stato da sempre "un gran caldo" e in altre "un gran freddo", indipendentemente dal numero di automobili, dal consumo di carbone e petrolio, dalla distruzione delle foreste, dal numero delle mucche che, con il metano che emettono durante il metabolismo, alterano l'equilibrio energetico del pianeta, insomma dal lodato e vituperato Prodotto Interno Lordo. Chi avrà ragione?

La storia delle modificazioni umane della superficie del pianeta ha interessato, fortunatamente, molti studiosi. Citerò soltanto l'americano George Marsh, autore del famoso libro L'uomo e la natura, ossia la superficie terrestre modificata per opera dell'uomo e gli atti di un convegno sulle modificazioni della Terra ad opera dell'uomo, pubblicati a Chicago a cura di William Thomas Jr. nel 1956, un tema ripreso nel 2008 dal geografo Virginio Bettini , nel volume L'uomo cambia la faccia del pianeta. Mezzo secolo dopo il simposio internazionale "Man's role in changing the face of the Earth". Un interessante contributo al dibattito sui rapporti fra attività umane e clima è contenuto nel libro di Mike Davis Olocausti tardovittoriani. El Niño, le carestie e la nascita del Terzo Mondo, pubblicato da Feltrinelli nel 2002. L'autore è uno storico e geografo americano, autore, fra l'altro, di due libri sulla crescita e fragilità di Los Angeles, La città di quarzo (manifestolibri), e Geografia della paura (Feltrinelli).

In Olocausti tardovittoriani, Davis passa in rassegna le cause delle carestie, della fame e dei relativi olocausti che hanno colpito l'Asia, specialmente l'India e la Cina, ma anche l'Africa e il Sud America, nella seconda metà dell'Ottocento, dominato dalla grande regina Vittoria che ha regnato sull'Inghilterra e sul suo grande impero coloniale dal 1837 al 1901, quasi un secolo, appunto, quello "vittoriano". Anche quelle carestie sono state provocate dal brusco cambiamento delle secolari successioni di piogge e di periodi secchi, a sua volta dovuto contemporaneamente, sia a fenomeni "naturali", sia a profonde modificazioni delle condizioni del suolo provocate dai cambiamenti delle coltivazioni agricole e della copertura vegetale e forestale. Fra i fenomeni "naturali", un ruolo importante hanno le oscillazioni della temperatura degli oceani centrali e meridionali con conseguenti alterazioni del ciclo dei monsoni, attribuite all'influenza delle oscillazioni periodiche (ogni undici anni) dell'intensità e del numero delle macchie solari. Tali oscillazioni si verificano verso Natale e possono essere verso il "caldo" (El Niño) o verso il "freddo" (La Niña).

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Acqua



La virtù della solidarietà

La sete in Italia e nel mondo aumenta sempre per la concomitanza di vari eventi.

Da alcuni decenni sono in corso mutamenti climatici che hanno fatto diminuire le piogge; apparentemente la quantità totale di pioggia diminuisce di poco, ma il carattere delle piogge, spesso intense ma concentrate in brevi periodi, impedisce la ricarica con acqua dolce delle falde sotterranee e dei laghi artificiali. Un secondo importante evento riguarda le migliorate condizioni di vita delle popolazioni, un evento da salutare con gioia, senza dubbio, ma che comporta crescenti richieste di acqua che deve essere sottratta da riserve – fiumi, falde sotterranee, laghi naturali e laghi artificiali – che sono limitate. Un terzo aspetto riguarda la svolta culturale e politica degli ultimi anni: la diffusione della cultura degli affari finanziari e del libero mercato fa guardare con fastidio ad una pianificazione da parte dello Stato, anche quando si tratta di risorse naturali collettive ed essenziali come l'acqua. Anzi, "pianificazione" è diventata una parolaccia.

Il libero mercato può andare bene per le imprese che producono merci e servizi, le quali possono acquistare materie prime – agricole, energetiche, minerarie, forestali, mano d'opera, tecnici – dove si trovano abbondanti (finché durano) e a basso prezzo, in qualsiasi parte del globo, ma il libero mercato fallisce quando una comunità può fare i conti soltanto con le risorse locali, come l'acqua. Le imprese possono acquistare plastica o petrolio o pellami in Russia, nel Sud Africa o in Argentina, ma la comunità italiana può trarre acqua soltanto dalle riserve che la natura gli assicura nel suo territorio o a non grande distanza.

Questo lo sapevano già nell'Ottocento, quando i governi nazionali decisero, con una pianificazione nazionale, di chiedere alla Campania di rinunciare ad una parte delle sue acque per dissetare la Puglia attraverso il gigantesco Acquedotto Pugliese; lo sapevano gli economisti di mezzo secolo fa quando hanno deciso di creare in Puglia, Basilicata e Molise, una serie di laghi artificiali che avrebbero dovuto essere collegati fra loro per raccogliere razionalmente ogni goccia di pioggia utilizzabile per le città e i campi. Lo sapeva il Parlamento, negli ultimi anni prima della trionfale pressione del libero mercato, quando varò, nel 1989, la legge n. 183 che stabiliva l'amministrazione delle acque secondo i bacini idrografici.

L'acqua di ciascun fiume non è di proprietà delle regioni attraversate dal fiume, ma di tutti gli abitanti che gravitano nel bacino idrografico del fiume, dalle sorgenti al mare, valli e affluenti compresi. La "183" era basata sul principio di solidarietà: le autorità di ciascun bacino idrografico, dopo aver redatto degli accurati inventari (che non sono mai stati fatti) delle disponibilità idriche, avrebbero dovuto stabilire come distribuire quest'acqua, come renderne disponibili le eccedenze ai bacini idrografici vicini. La "183" stabiliva inoltre che ciascuna autorità di bacino avrebbe dovuto realizzare opere per regolamentare il deflusso (irregolare nel tempo e scarso) delle acque attraverso la pianificazione (sono parole di tale legge) di opere per la difesa del suolo e per il rimboschimento.

Non si potrà mai cancellare la sete dalle case, soprattutto del Mezzogiorno, fino a quando non si farà un "piano" basato sulla conoscenza di quanta acqua è disponibile, di come viene usata, di come si possono aumentare (sia pure di poco) le disponibilità, almeno regolando la corsa delle piogge verso il mare, piano basato su una coraggiosa compartecipazione delle risorse idriche esistenti fra regioni vicine.

La solidarietà è la chiave per la soluzione del problema. Solidarietà significa, intanto, revisione e correzione degli errori compiuti, dei laghi artificiali lasciati abbandonati e diventati depositi di fango, significa volontà delle autorità di governo, locali e nazionali, di superare le logiche municipali e di decidere di lavorare con gli enti vicini o lontani in un comune servizio civile per la comunità. Solidarietà significa spiegare a tutti i cittadini, cominciando nelle scuole, che l'acqua è scarsa non solo nei villaggi sperduti o nei mesi estivi; che bisogna consumare meno acqua possibile: ogni metro cubo sprecato nelle case, nei bagni, nelle fontane a perdere, è acqua "tolta" a qualche altra persona, da qualche parte. Perché l'acqua circola nel corpo fisico di ciascuna regione e dell'intero Paese come il sangue circola nel corpo umano; ogni rubinetto, ogni persona, è legato alla vita di un'altra persona.

Oggi, in una società basata sull'ideologia del consumo e dello spreco, può sembrare fuori luogo parlare di un'etica del "consumare di meno", del limitare i consumi, eppure chi visita molti Paesi della Terra, a cominciare dagli stessi Stati Uniti, vede spesso avvisi o pubblicità o francobolli che ricordano che l'acqua è scarsa e preziosa e se ne deve consumare il meno possibile. "Save water", risparmiate l'acqua, avverte un dirigibile che percorre il cielo di alcune grandi città americane. Senza contare che la progettazione di rubinetti, docce, gabinetti, capaci di svolgere la stessa funzione consumando meno acqua, potrebbe stimolare invenzioni, innovazioni e nuove attività produttive e occasioni di lavoro.

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Di chi la colpa?

L'acqua amica e nemica: anche il primo decennio del XXI secolo è stato caratterizzato, in numero crescente, da frane e alluvioni che spazzano via vite umane, povere case e le loro suppellettili e ricordi. Qualcuno dice che non è colpa della natura, ma dell'"uomo", quasi genericamente malvagio e nemico della natura; in realtà la colpa è della forza del denaro e della speculazione e di un potere politico attento agli interessi degli affari e dei soldi, anche a costo del disprezzo della vita umana e della natura.

L'acqua fa il mestiere per il quale è stata predisposta dall'inizio del pianeta, come fonte della vita, non di morte: cade ogni anno sulla superficie della Terra in quantità abbastanza costante e abbastanza prevedibile da luogo a luogo, da stagione a stagione. L'acqua raggiunge il terreno e scorre verso il piano lungo i pendii, e poi nei canali e nei torrenti e poi nei fiumi più grandi fino al mare; nel cadere sulla superficie della Terra, l'acqua viene a contatto con le rocce e il terreno e ne sposta le parti più leggere che diventano sabbia e limo, che scendono per gravità, depositandosi nelle parti più basse, creando quei beni utili agli esseri umani come le fertili pianure alluvionali e le spiagge. In questo suo istancabile e provvidenziale andare, l'acqua dà vita ai vegetali, disseta gli animali, assicura la vita umana. E la vegetazione, in tutte le sue forme, dai prati agli alberi, alla macchia spontanea, è anche fondamentale nel regolare la forza che l'acqua esercita nel disgregare e spostare il terreno. Le foglie sono state inventate dal Padreterno proprio perché attenuano la forza erosiva dell'acqua. Nel corso dei millenni e dei secoli, le acque si sono assicurate lo spazio in cui muoversi a seconda della loro velocità, cambiando talvolta il loro corso e riservandosi degli spazi in cui adagiarsi nei periodi di piogge più intense e di piene dei fiumi.

"Purtroppo", le pianure e le zone lungo i torrenti, i fiumi e i laghi sono quelle più pregiate per gli insediamenti umani; i terreni agricoli si sono estesi anche sulle rive dei fiumi, nelle zone che la natura aveva riservato a se stessa per far espandere le acque di piena; case e villaggi e poi città e fabbriche hanno occupato pendii e fondo valle e le rive dei fiumi, dei laghi e del mare, creando ostacoli al moto delle acque; così quando cadono piogge più intense, le acque aumentano di velocità e di forza erosiva e cercano con violenza uno spazio per scendere a valle, spostando masse di terra, alberi e addirittura edifici e ponti e strade.

Tutto qui. Le frane e le alluvioni e i costi e i dolori e i morti sono dovuti all'avidità di alcuni "soggetti economici" che, nel nome del proprio interesse "economico", hanno edificato od occupato gli spazi che dovevano essere lasciati liberi per il moto delle acque, incanalando fiumi e torrenti in prigioni di cemento; altri, sempre per motivi "economici", per guadagnare spazi edificabili hanno distrutto, anche col fuoco degli incendi, gli alberi e la vegetazione spontanea e le macchie, di conseguenza le acque hanno finito per muoversi con maggiore violenza sul suolo; molte pratiche agricole intensive hanno reso il terreno più esposto all'erosione che sposta a valle la terra fertile.

Terra, fango, detriti, ramaglie, alberi, rocce, trascinati dalle acque sempre più veloci, diventano un "tappo" fisico dei corsi d'acqua e ne facilitano l'uscita dalle loro vie naturali. È il quadro che appare dopo frane e alluvioni che divorano da decenni, ogni anno in Italia, miliardi di euro di ricchezza e centinaia di vite umane. L'unica nostra difesa dovrebbe essere lo "Stato" che, se operasse per il bene pubblico, dovrebbe impedire, con le leggi e con il loro rispetto, dal livello nazionale a quello delle amministrazioni locali, la costruzione di opere, private e pubbliche, edifici e strade e ponti, eccetera, nei luoghi da riservare al moto delle acque; che dovrebbe ricostruire la copertura vegetale, vietando la distruzione del verde e dei boschi e dovrebbe provvedere alla pulizia del greto di canali, torrenti e fiumi per assicurare il regolare fluire delle acque.

Purtroppo le leggi, che sono giustamente attente a punire la violenza ai privati, sono silenziose, talvolta compiacenti, quando si tratta di impedire la violenza di privati — e talvolta dello stesso Stato — contro la natura, cioè contro la vita di altri cittadini. Anche se è certo che tale violenza si manifesterà periodicamente, sotto foiuua di disastri e morti e dolori. Ogni volta che lo Stato dovrebbe dire a un cittadino che "non deve" costruire in una golena o in una lama o sul greto di un torrente o in una zona franosa, sta zitto, perché bisogna "fare", costruire, anche se ciò sarà pagato da altri e da tutti, oggi e in futuro. Eppure, con leggi e con una buona amministrazione, si può "fare" e assicurare lavoro e case e strade, costruendo diversamente, in altri luoghi, proteggendo il suolo contro l'erosione con il rimboschimento, combattendo gli incendi.

E le leggi ci sono state: nel 1985 la legge 431 stabiliva che dovevano essere sottoposte a vincolo le rive dei torrenti e dei fiumi e del mare, la legge 183 del 1989 stabiliva regole di difesa del suolo e delle acque; e così prevedevano le leggi "Sarno" (267 del 1998), e "Soverato" (365 del 2000), emanate dopo i rispettivi disastri idrogeologici. Tutte leggi non applicate o violate, o rimandate o vanificate da condoni, o abrogate. Si sentono promesse e programmi prima di ogni elezione, ma non sento nessun impegno per aggiornare e far rispettare le leggi che impediscono gli interventi sul territorio, nocivi per la vita futura degli italiani.

Se proprio i governi locali e nazionali non hanno "il coraggio di dire no" alla speculazione, all'egoismo, all'avidità che si mangiano il territorio italiano, alla violenza contro la natura, almeno abbiano il pudore di smetterla con i piagnistei sui cadaveri che sono generati dalla loro incapacità di prevedere e prevenire le cause, che sono sotto gli occhi di tutti, delle morti e dei dolori e dei costi di ieri, di oggi, di domani e dopodomani.

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Rudolf Diesel e il motore a olio di arachide

"L'uso degli oli vegetali come carburanti per i motori può sembrare insignificante oggi, ma tali oli nel corso del tempo possono diventare altrettanto importanti quanto il petrolio e il carbone; la forza motrice potrà essere ottenuta col calore del Sole anche quando le riserve dei combustibili liquidi e solidi saranno esaurite". Queste parole non vengono da qualche esponente ecologista fautore dei biocarburanti, ma sono state pronunciate nel 1912 da un "certo" Rudolf Diesel (1858-1913). Fra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, l'energia per tutte le società industriali era fornita dal carbone, di cui esistevano grandi giacimenti in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Russia (che allora includeva la Polonia), negli Stati Uniti. Col carbone si otteneva calore e venivano alimentate le centrali elettriche; dalla distillazione del carbone si ottenevano le materie prime per l'industria chimica, il gas illuminante e dei liquidi adatti come carburanti.

La quantità del carbone estratto dalle miniere aumentava così rapidamente che un economista inglese, Stanley Jevons (1835-1882), aveva scritto un libro intitolato Il problema del carbone (1865), in cui prevedeva che un giorno le miniere di carbone avrebbero potuto esaurirsi. Davanti allo spettro di una possibile scarsità di energia, inventori e scienziati si diedero da fare per utilizzare l'enorme energia che il Sole rende disponibile ogni anno, dovunque, sempre nella stessa quantità: una fonte di energia, come si dice oggi, rinnovabile e inesauribile.

La storia dell'energia mostra che l'attenzione e i progressi nel campo dell'energia solare sono figli dei periodi di scarsità. Un secolo fa, alla fine dell'Ottocento, appunto, davanti al rischio dell'esaurimento del carbone e in questo inizio del Duemila davanti agli alti costi del petrolio e al pericolo del suo esaurimento. Negli anni 1880-1910, in quella che si può chiamare l'"età dell'oro" dell'energia solare, c'è stato un fermento incredibile di ricerche. L'italiano Antonio Pacinotti ha descritto la possibilità di ottenere elettricità per effetto fotovoltaico (usando la radiazione luminosa del Sole) e per effetto termoelettrico (sfruttando il calore solare). L'ingegnere cileno Carlos Wilson dissetò per oltre trent'anni i minatori che lavoravano nell'assolato e arido altopiano del Cile, trasformando, per distillazione col calore solare, l'acqua salmastra, disponibile sul posto, in acqua dolce. I distillatori solari di oggi sono ispirati a quell'impianto che produceva 22.000 litri di acqua potabile al giorno.

Grandi fisici e chimici, come il tedesco Friedrich Kohlrausch (1840-1910) e l'inglese Joseph John Thomson (1856-1940), scrissero dei trattati indicando come le società del futuro avrebbero potuto essere alimentate per sempre dall'inesauribile forza del Sole. I1 francese August Mouchot (1825-1912), lo svedese John Ericsson e gli americani Aubrey Eneas (1860-1920) e Frank Shuman (1862-1918) costruirono macchine e pompe per sollevare l'acqua, azionate dal vapore prodotto concentrando con specchi l'energia solare su adatte caldaie. Nel primo decennio del Novecento, il grande chimico italiano Giacomo Ciamician, professore nell'Università di Bologna, descrisse gli esperimenti di fotochimica, mostrando che la radiazione solare alla base della fotosintesi clorofilliana, e quindi della produzione di tutti i vegetali, avrebbe consentito di istallare grandi fabbriche chimiche nei deserti assolati. Tutta questa multinazionale della scienza e della tecnica pensava che il Sole, disponibile in uguale maniera per tutti i popoli della Terra, avrebbe potuto diffondere benessere e sviluppo con una migliore distribuzione della ricchezza e una maggiore giustizia internazionale.

Il tedesco August Bebel (1840-1913) scrisse che l'energia solare avrebbe consentito la realizzazione di una società socialista e la liberazione delle donne e degli uomini dalla fatica del lavoro. Gli anni di cui stiamo parlando, fra il 1890 e il 1910, videro, oltre a molte altre invenzioni, anche la nascita di veicoli capaci di muoversi da soli, "automobili", appunto, le cui ruote potevano essere tenute in movimento dal motore a scoppio inventato dai toscani Eugenio Barsanti e Felice Matteucci. Per alimentare il suo motore a combustione interna, Barsanti utilizzò il gas illuminante che veniva introdotto in un cilindro, insieme all'aria; la miscela era poi compressa con un pistone, bruciata mediante una scintilla elettrica e la massa di gas caldi che si formava spingeva in basso il pistone e faceva girare le ruote.

I progressi nella raffinazione del petrolio misero a disposizione la benzina con cui era possibile migliorare il rendimento dei motori a scoppio che, comunque, avevano dimensioni e potenza limitate. Arriva, a questo punto, il giovane chimico e ingegnere franco-tedesco Rudolph Diesel. Diesel pensò di costruire dei motori a scoppio che non avessero bisogno di accensione con una scintilla, che potessero essere di maggiori dimensioni e potenza e che non avessero bisogno di benzina. I suoi primi motori – poi conosciuti col nome "diesel", quello dell'inventore, e che così si chiamano ancora oggi – furono presentati con successo all'Esposizione universale di Parigi del 1900 e attrassero molta attenzione, anche perché funzionavano con olio di arachide, con un carburante ottenuto dall'agricoltura. Diesel, che guardava al futuro, come dimostra la frase citata all'inizio, era di idee progressiste e pacifiste e pensava che i suoi motori avrebbero potuto generare forza motrice per far viaggiare grandi treni e navi, capaci di trasportare merci e persone facendo progredire i commerci e l'umanità.

L'uso di carburanti di origine vegetale avrebbe contribuito, inoltre, allo sviluppo dell'agricoltura, soprattutto nei Paesi in cui si coltivano piante oleaginose. Adesso, dopo un secolo, si riscopre la "ricetta" di Diesel e viene incentivata la produzione di carburanti a base di oli vegetali e animali e di loro derivati, quelli che si chiamano "biodiesel", e che addirittura possono essere prodotti con gli oli residui di frittura. Rudolph Diesel fu un personaggio straordinario, un teorico nel campo della termodinamica e un inventore geniale. Fu un attento imprenditore e diventò ricchissimo, girò il mondo diffondendo, nei congressi e fra gli industriali, la conoscenza e i vantaggi del suo motore, ma poi perse tutti i propri averi e scomparve, cadendo da una nave nel mare durante un viaggio verso l'Inghilterra. I motori diesel muovono oggi centinaia di milioni di automobili, treni e navi nel mondo.

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Non c'e' pace

Non c'è pace neanche fra le fonti energetiche rinnovabili. A prima vista ci dovrebbe essere un generale accordo per passare dall'attuale dipendenza dalle fonti energetiche costituite da combustibili fossili come petrolio, gas naturale, carbone, o rifiuti, tutte inquinanti e non rinnovabili, a fonti energetiche rinnovabili, dipendenti dal Sole: calore solare, elettricità solare, elettricità dal vento o dal moto delle acque, calore dalle biomasse agricole e forestali ricreate ogni anno attraverso la fotosintesi solare. E invece, anche fra i sostenitori di questa transizione ci sono opinioni non solo differenti, ma spesso in vivace contrasto, quasi una volontà di distruggere quello che si sta faticosamente facendo, quasi una conferma di quello che diceva Pogo nel famoso fumetto: "Ho scoperto il nemico e il nemico siamo noi". I giornali, per un lungo periodo, sono stati pieni di notizie sullo "scandalo dell'eolico" che avrebbe portato ad illeciti arricchimenti nella costruzione di centrali eoliche. Nel caso dell'energia solare, vengono venduti pannelli fotovoltaici, in grado di trasformare la radiazione solare in elettricità, con contratti che assicurano, oltre a elettricità meno inquinante, un guadagno a chi li compra o agli enti o aziende che li istallano. A rigore, un utente dovrebbe spendere soldi per ottenere la merce-energia, ma adesso molti di quelli che istallano pale eoliche o pannelli fotovoltaici guadagnano dei soldi provenienti da vari incentivi finanziari, pagati da tutti i cittadini sia direttamente attraverso le tasse, sia con un sovrapprezzo nelle bollette dell'elettricità (la componente A3 del prezzo dell'elettricità). È giusto che soldi pubblici o anche dei singoli cittadini siano spesi per diffondere l'uso delle energie rinnovabili non inquinanti, con vantaggio per l'economia nazionale e per la salute, ma mi sembra meno giusto che tali incentivi finiscano nelle tasche di singoli privati o di speculatori. C'è qualcosa che non funziona.

I pannelli fotovoltaici sono venduti sulla base della "potenza di picco" (capacità di produrre energia) corrispondente a circa un chilowatt per pannelli di circa 10 metri quadrati. L'elettricità effettivamente prodotta da 10 metri quadrati di pannelli fotovoltaici, nel corso di un anno, ammonta a circa 1000-1200 chilowattore, circa un terzo del fabbisogno medio annuo di elettricità di una famiglia. Questa elettricità è però disponibile in maniera differente nelle varie ore del giorno e nei vari mesi dell'anno, per cui, se non si dispone di grandi batterie di accumulatori, scomodissime, l'elettricità solare, a mano a mano che viene prodotta, viene venduta alle reti elettriche "intelligenti" delle compagnie elettriche le quali si impegnano a fornire alla famiglia, o all'utente, l'elettricità corrispondente a mano a mano che ne hanno bisogno (quindi anche quando il Sole non splende nel cielo).

L'altra tecnologia solare è costituita dagli impianti a specchi che concentrano la radiazione solare su caldaie o tubi nei quali un fluido è scaldato ad alta temperatura e può, a sua volta, produrre vapore da avviare alle turbine, come avviene nelle normali centrali termoelettriche; in queste ultime, il vapore è generato dalla combustione di combustibili (carbone, gas naturale, prodotti petroliferi, rifiuti) inquinanti, responsabili dell'immissione nell'atmosfera di gas, soprattutto anidride carbonica, che provocano mutamenti climatici. Ottenere lo stesso effetto, senza danni ambientali, con il calore di origine solare è il fine della tecnologia del "solare termodinamico". Alcuni impianti usano specchi cilindro-parabolici, lunghe superfici riflettenti che si muovono continuamente per "seguire" il Sole nel suo moto apparente nel cielo: la radiazione solare viene concentrata su un tubo, posto nel "fuoco" della parabola, isolato con una copertura trasparente in modo che il calore così concentrato non venga disperso nell'aria circostante.

Le superfici riflettenti possono anche essere lunghi specchi piani che concentrano il calore solare su un solo tubo centrale sopraelevato, secondo una proposta fatta già mezzo secolo fa dell'italiano Giovanni Francia (1911-1980), come ricorda un articolo di Cesare Silvi pubblicato nella rivista Energia Ambiente Innovazione.

Il calore solare concentrato nel tubo ricevente dagli specchi scalda, a centinaia di gradi, un olio sintetico o una miscela di sali come nitrato di sodio e nitrato di potassio. In questo caso, i sali fusi caldi vengono avviati ad un deposito in cui restano caldi anche di notte, quando il Sole non c'è. Giorno e notte il calore solare "immagazzinato" nei sali fusi viene gradualmente trasferito al vapore acqueo che aziona una turbina, in modo simile a quanto avviene nelle centrali a combustibili fossili. Le centrali termoelettriche solari a specchi sono macchine ingegnose, ma delicate e complicate.

La citata rivista Energia Ambiente Innovazione fornisce i dettagli del più recente impianto solare a specchi costruito a Priolo, vicino Siracusa (simbolicamente chiamato "Archimede"), costituito da specchi cilindro-parabolici della superficie di 30mila metri quadrati. La potenza è di 4.700 chilowatt elettrici e la produzione di elettricità è prevista in 9.200.000 chilowattore all'anno, corrispondenti a circa 300 chilowattore all'anno per metro quadrato di superficie di raccolta del Sole. Il principale limite del "solare termodinamico" sta nel fatto che è possibile utilizzare soltanto la radiazione solare "diretta", quella che si ha quando il cielo è limpido. Se il cielo è nuvoloso, la radiazione solare non viene concentrata dagli specchi.

Il Sole è un'affascinante, ma scomoda, fonte di energia. Energia che può fornire agli esseri umani soltanto se gli si chiede di fare le cose che sa fare bene: produrre raccolti agricoli e alberi, scaldare corpi a bassa temperatura, dissalare l'acqua marina e produrre elettricità con i sistemi fotovoltaici o per effetto termoelettrico, per i quali sono possibili ancora grandi perfezionamenti.

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Pace e ambiente

Ogni anno comincia con le autorità politiche, morali e religiose che invocano la pace. Una pace che è indispensabile per salvare vite umane ed evitare dolori umani, ma anche per salvare il pianeta e l'ambiente. È la tesi di un dimenticato libro di Barry Commoner, Far pace col pianeta (Milano, Garzanti, 1990) e il tema è ripreso in un libro, Ambiente e pace: una sola rivoluzione (Milano, Edizioni Punto Rosso, 2008), di Carla Ravaioli , autrice di molti altri libri sul lavoro, sull'economia e sull'ambiente. Anche per tutto il primo decennio del XXI secolo, i cannoni e le bombe hanno fatto sentire la loro voce in tante parti del mondo: in Palestina, in Iraq, in Afghanistan, nel Myanmar, in Indonesia, nel Pakistan, in India, nel Darfur, nel Congo, in Nigeria, nello Sri Lanka, eccetera, uccidendo insieme persone e foreste, inquinando le acque e distruggendo abitazioni e campi coltivati.

Quante volte si è ripetuta la stessa storia! Sodoma e Gomorra, le ricche città sul Mar Morto in Palestina, sono state messe a ferro e fuoco (lo racconta il capitolo 13 della Genesi) da chi voleva impadronirsi dei loro giacimenti di sale (materiale strategico prezioso, quattromila anni fa, come oggi il petrolio). Ogni popolo invasore ha reso sterili le terre e i pascoli del nemico e anche in tempi più vicini a noi le stesse ricchezze della natura, che la pace e un'equa distribuzione potrebbero far utilizzare e godere da tutti i popoli della Terra, sono diventate la fonte della violenza e delle guerre. Gli europei del Cinquecento, con la scusa di portare la civiltà cristiana ai "selvaggi", miravano a conquistare materie prime preziose – le spezie, l'oro, l'argento – per le quali non esitarono a sterminare i nativi che avevano la pretesa di ritenere che tali beni naturali fossero loro. La stessa cosa avvenne nel Nord America, dove i coloni bianchi distrussero pascoli e boschi e sterminarono i nativi, quelli che noi chiamiamo "indiani" o pellirosse. Distruzione della natura per la conquista di materie preziose hanno caratterizzato le guerre, nella metà dell'Ottocento, fra Cile e Bolivia per il salnitro (1879-1883), fra Brasile e Bolivia per la gomma (1899-1903) e la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) per la conquista dei ricchi giacimenti di carbone, di minerali di ferro e di sali potassici dell'Alsazia-Lorena. Durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), le violenze ambientali hanno accompagnato la spinta dei giapponesi alla conquista del petrolio e della gomma del Sud-est asiatico e dei nazisti alla conquista dei giacimenti petroliferi sovietici del Mar Caspio.

I perfezionamenti tecnici hanno offerto sempre più "efficaci" mezzi di distruzione di vite umane e dell'ambiente: dalle armi chimiche usate nella Prima Guerra Mondiale, fino alle bombe atomiche, la superarma che può avvelenare persone e natura in tutto il pianeta per decenni e secoli. Durante la guerra del Vietnam (1959-1975), gli erbicidi usati dagli americani per distruggere la giungla in cui trovavano rifugio i partigiani Vietcong, non solo fecero scomparire centinaia di migliaia di ettari di foresta tropicale, ma contaminarono grandi estensioni di campi e terreno e il corpo degli abitanti e degli stessi soldati americani con la diossina, una sostanza tossica e cancerogena che era presente come impurità nei prodotti sparsi dagli aerei. La diossina, entrata con la guerra nel vocabolario mondiale, si sarebbe poi trovata nelle fabbriche di sostanze clorurate, come quella che avvelenò i campi di Seveso (1976), nei fumi degli inceneritori di rifiuti, e in molti altri luoghi.

Durante la lunga guerra Iran-Iraq (1980-1988) e nelle due guerre del Golfo (1990-1991 e 2003) i cieli furono invasi dai fumi degli incendi dei pozzi petroliferi, il petrolio ricoprì larghi tratti del Golfo Persico, il delicato ecosistema dello Shatt al-Arab, l'estuario del Tigri-Eufrate, fu sconvolto e sulle terre furono sparse polveri contenenti uranio impoverito. Durante le lunghe guerre nella ex-Jugoslavia (1991-1993), le esplosioni e gli incendi delle fabbriche bombardate sparsero veleni nei terreni e nei fiumi. Le guerre e guerriglie in Africa, nel Sud-est asiatico, in Afghanistan da anni provocano la distruzione delle foreste, immettono milioni di tonnellate di gas dannosi nell'aria, fanno finire i rifiuti tossici nei fiumi; la mancanza e l'inquinamento dell'acqua peggiorano le condizioni igieniche di milioni di persone e facilitano la diffusione di epidemie.

Ciascuna delle guerre per le materie prime si lascia alle spalle terre desolate, montagne di scorie tossiche e radioattive. Il valore monetario delle perdite di ricchezze economiche e ambientali che la pace avrebbe potuto e potrebbe evitare sono stimate in 2000 miliardi di euro all'anno, quasi una volta e mezzo il Prodotto Interno Lordo dell'Italia, a parte le perdite di vite umane e di beni della natura che non hanno prezzo. Mentre nei Paesi sviluppati ci si sforza, bene o male, di ridurre l'inquinamento dell'aria, di costruire depuratori, di salvaguardare e proteggere alcune zone di boschi e vegetazione, in molti Paesi sottosviluppati le guerre, in cui direttamente o indirettamente sono stati e sono coinvolti, lontano da casa propria, gli stessi Paesi sviluppati arrecano continui danni ad ecosistemi delicati e irriproducibili.

Sembra che i Paesi progrediti si sforzino di tenere pulita la propria casa contaminando la casa altrui, facendo finta di non accorgersi che l'ambiente è tutt'uno, che l'aria è la stessa, nei cieli di Londra o di Bassora, che il mare è lo stesso, sia esso il Mediterraneo o il Golfo Persico. Mentre a Roma o a Milano i laboratori giustamente controllano se la concentrazione delle polveri microscopiche sospese nell'aria urbana superano le soglie di sicurezza, nel qual caso scattano doverosi provvedimenti di limitazione del traffico, a Bagdad nel marzo-aprile 2003 cinque milioni di persone, donne e uomini come noi, hanno respirato per giorni interi aria carica non solo di polveri, ma di ossidi di zolfo, mercurio, diossine, furani, sostanze cancerogene. Non ci sarà mai pace con l'ambiente naturale se non ci sarà pace fra gli esseri umani che tale ambiente abitano, e non ci sarà mai pace fra gli abitanti della Terra senza un'equa distribuzione dei beni che la Terra offre. La pace è figlia della giustizia, lo diceva anche il profeta Isaia, tanti anni fa, e, parafrasandolo, si può ben dire che l'ambiente è figlio, a sua volta, della pace.

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