Copertina
Autore Peter Nilson
Titolo Il Messia con la gamba di legno
EdizioneIperborea, Milano, 1998, Iperborea 76 , pag. 136, dim. 100x200x12 mm , Isbn 978-88-7091-076-6
OriginaleMessias med träbenet
EdizioneNorstedts Förlag AB, Stoccolma, 1990
TraduttoreMaria Cristina Lombardi
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe narrativa svedese , libri , fantascienza
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Indice


Introduzione                                  7

Il Messia con la gamba di legno              17

Una ricchezza al di là di ogni immaginazione 37

Un morto con tante piume bianche             53

Un episodio a Parigi                         71

L'acqua della vita a Kristianstad            89

La macchina onnipotente                     103

 

 

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Pagina 17

IL MESSIA CON LA GAMBA DI LEGNO



La mattina in cui Ola di Hjortakullen doveva morire, entrò nella stanza della figlia e la pregò di spostare il gatto per potersi coricare sul divano. La tranquillizzò dicendo:

"Non ti preoccupare, figliola, non è che la morte."

Poco prima della fine, la pregò di bendargli gli occhi; gli pareva che la luce del giorno fosse così forte da splendere anche attraverso le palpebre. La figlia si tolse allora il suo fazzoletto e l'ebbe appena fatto che Ola esalò l'ultimo respiro.

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Pagina 37

UNA RICCHEZZA AL DI LA' DI OGNI IMMAGINAZIONE



C'erano momenti in cui il pastore di Hjälmseryd amava più i morti che i vivi. Una volta, una sera dell'Ottocento, se ne stava tra i suoi libri a leggere le annotazioni su Lutero di Aurifaber, quando udì lo scalpitare di un cavallo e il rumore di un carro fuori dalla fìnestra. Seccato di essere strappato alla beatitudine della lettura, uscì sulla scala esterna, schermendosi il volto con la mano per ripararsi dal sole. C'era una vettura ferma vicino alla recinzione di abeti: un calesse con una coppia di vecchi dai capelli bianchi seduti sulla panchetta e, dietro di loro, una strana cosa legata con una corda, che pareva un grande letto a baldacchino.

Li riconobbe subito: se li vedeva proprio sotto al pulpito quasi ogni domenica fin da quando era ancora un giovane vicario. Erano il contadino Kristian di Möcklehult e la sua piccola moglie Ellika, una coppia decrepita sopravvissuta a molti pastori. Erano così vecchi che la loro data di nascita non era mai stata segnata nel registro parrocchiale.

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Pagina 71

UN EPISODIO A PARIGI



L'avarizia ha molti volti: uno si chiama bibliomania. Fra tutti i grandi collezionisti di libri a Parigi, il notaio Antoine-Marie-Henri Boulard era uno dei più importanti, si diceva possedesse sei intere case stipate fino all'orlo del tetto di centinaia di migliaia di libri, acquistati senza discernimento né criterio alcuno. Le stanze erano polverosi labirinti con stretti corridoi tra le cataste di libri. Una giovane domestica vi si perse in mezzo e fu trovata morta di fame tre settimane dopo. Perfino nelle cantine, nelle stalle e nelle lavanderie, i libri stavano su tutti i banchi e su tutte le mensole. Quando Boulard sognava il Paradiso, vedeva un'immensa galleria di libri che si estendeva dall'alba al tramonto. Correva voce tra i vicini che il Diavolo andasse abitualmente a trovarlo travestito da vecchio bibliofilo gobbo, con le guance imbellettate, i vestiti impolverati e la coda macchiata d'inchiostro drappeggiata sul ventre come la catena di un orologio.

Su Boulard, l'avaro, si raccontavano molte storie e aneddoti già mentre era in vita. Fatemi provare a riferirne uno, come mi sembra di ricordarlo.

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Pagina 74

Gli pareva che i saggi e gli eruditi avessero torto, era portato a ritenere l'avarizia di natura diversa dai peccati capitali. Voleva darle un altro nome che non fosse macchiato di disprezzo, ma la lingua non lo soccorreva. L'avarizia, pensava, è forse una delle forze che tengono insieme l'esistenza, può costruire opere grandiose e portare ordine nel caos. Perché non si riesce a capire che l'avarizia viene da Dio, che può essere parte del Suo spirito creatore?

Così Boulard, principe dei bibliomani, decise di comporre lui stesso l'unico libro che rimaneva da scrivere sulla terra: l'elogio dell'avarizia.

Confutò punto per punto Paolo e Seneca. Trattò con ironia re Salomone. Spedì Molière in una voragine di zolfo all'Inferno e fece a pezzi Dante. Contestò che l'avarizia potesse essere uno dei peccati capitali. Ne analizzò i nascosti benefici e dimostrò che Dio, anche se onnipotente, non sarebbe mai stato in grado di creare nessun universo senza. Senza l'avarizia nessun commercio, nessun sistema monetario e nessuna libera iniziativa esisterebbe tra gli uomini. Formulò una verità, più antica del vento e del salso mare, una verità per la quale i posteri l'avrebbero ricordato in eterno: So che sono avaro, dunque esisto e dunque esiste Dio.

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Pagina 81

Era da molti anni, ormai, che non si allontanava dalla città. Un giomo d'inizio estate, ricevette una lettera in cui si diceva che il suo decrepito zio stava per morire in un villaggio appena a sud di Parigi. Il vecchio aveva espresso il desiderio di vedere il nipote prima di chiudere gli occhi, e stringergli la mano per l'ultima volta. Controvoglia Boulard si preparò a raggiungerlo: indossò abiti da viaggio e ordinò di preparare cavallo e carrozza per andare in campagna.

Era una mattina chiara e senza vento, una di quelle mattine felici in cui si può credere di vivere in Paradiso. Già all'alba le allodole cantavano nei campi. La strada era nell'ombra, con impronte di ruote nel fango, il cielo era di un limpido azzurro da orizzonte a orizzonte, l'erba e le chiome frondose scintillavano di rugiada. I contadini si avviavano verso i coltivi con gli animali e i carri, le donne mungevano le vacche, i giovani pastori spingevano il bestiame davanti a loro. Boulard si sbottonò il cappotto e posò il cappello accanto a sé sul sedile. Sarebbe stata una giornata calda, sentiva già il tepore del sole attraverso gli abiti. Intorno a lui cinguettavano gli uccelli, una lepre evitò con un balzo la carrozza, un fagiano volò via con il collo teso, lungo il ciglio della strada. Lontano, nella foschia non ancora dissolta, apparivano come miraggi macchie d'alberi e fattorie. Le rondini volteggiavano. Una cicogna spiccò il suo volo solenne, dritto nel sole del mattino.

Agli occhi del bibliofilo Boulard il mondo era come un libro aperto, colorato e splendido, pieno di segni che si muovevano qua e là in un'allegra confusione. Il sole lo illuminava come una celeste lampada da lettura. Ma è solo l'uomo, pensava, che può addomesticare le lettere e decifrare i segni, è solo l'uomo che può generare ordine e chiarezza sulla terra. E' solo l'uomo che si crea libri e biblioteche. Si asciugò la fronte e si guardò intorno, leggermente disturbato da tutto quel brulicare e quell'agitarsi. Vide l'impetuoso volo dei rondoni, vide i buoi che si trascinavano dietro aratri ed erpici, vide un contadino avanzare a grandi passi sul suo campo seminando con entrambe le mani. Si chiese se quel contadino avesse mai sfiorato la pagina di un libro. I cavalli andavano al trotto e la carrozza sobbalzava. Mentre attraversava fragorosamente un villaggio, vide un becchino togliersi il panciotto e piantare la vanga nella terra del cimitero.

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Pagina 103

LA MACCHINA ONNIPOTENTE



Erano circa le tre del pomeriggio quando giunsi a Wenatchee, dove il dottor Sarkar voleva dare una dimostrazione della sua macchina onnipotente. Mi aveva telefonato a Monterey una settimana prima. Era autunno inoltrato, lo stesso anno della grande eruzione di Betelgeuze. I boschi di abeti si stagliavano scuri nello stato di Washington, una fredda pioggerella turbinava, i pochi alberi frondiferi lungo la strada avevano ormai da tempo perduto le loro foglie. Ricordo che avevo di recente discusso con il dottor Bankin sul motivo per cui gli alberi in generale perdono le foglie: Bankin aveva sostenuto che la natura avrebbe potuto organizzare il passaggio all'inverno degli alberi frondiferi in tutt'altro modo e che quella era una prova della sua irrazionalità.

Mezzo miglio fuori dal limite della città, vidi un'automobde che bruciava sul bordo della strada. L'ultimo tratto lo percorsi a piedi, dato che la via era quasi impraticabile. La casa del dottor Sarkar sorgeva in mezzo a una massa di casupole in un quartiere piuttosto fatiscente, verso ovest. La gente se n'era andata a migliaia quando la voce sulla macchina onnipotente era trapelata al pubblico. Mi chiedevo, leggermente angosciato, se quella macchina avrebbe spinto qualcuno a spararmi o rapinarmi, oppure neanche sapessero della mia esistenza.

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