Copertina
Autore David F. Noble
Titolo Un mondo senza donne
SottotitoloLa cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 1994, Saggi , Isbn 978-88-339-0865-6
OriginaleA World Without Women. The Christian Clerical Culture of Western Science [1992]
TraduttoreGiovanni Ferrara degli Uberti
LettoreRenato di Stefano, 1997
Classe storia , storia della scienza , scienze naturali , scienze sociali , femminismo , universita'
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Indice


  9 Introduzione
 15 Ringraziamenti

    PARTE PRIMA    UN MONDO CON LE DONNE

 19 1. Madri, figlie, sorelle, mogli
 44 2. Risvegli

    PARTE SECONDA  UN MONDO SENZA DONNE

 63 3. Santi: l'avvento dell'ascetismo
              clericale
 84 4. Padri: dall'angoscia patristica
              all'agenda papale
110 5. Fratelli: la militarizzazione
                 del monachesimo
140 6. Preti: la monasticizzazione
              della Chiesa
175 7. Celibi: il chiostro scolastico

    PARTE TERZA    LA SCIENZA

205 8. La rivelazione nella natura
255 9. La restaurazione scientifica
302 10.Le donne in un mondo senza donne

343 Epilogo
353 Note
383 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 180 [ Eloisa, Abelardo ]

[...] Una di loro fu Eloisa, poi amante e moglie di Abelardo, maestro della scuola cattedrale di Notre-Dame e padre dell'Università di Parigi. La storia di Abelardo ed Eloisa illustra con scultorea evidenza gotica le promesse e i limiti della nuova concezione del sapere.

Pietro Abelardo era un giovane nobile bretone, che rinunci= al suo rango e alla vocazione cavalleresca per la battaglia intellettuale, e divenne uno dei leggendari dotti erranti dell'epoca. I suoi talenti d'insegnante e di dialettico lo portarono presto a Parigi, di cui egli avrebbe fatto il vigoroso centro della vita intellettuale europea del secolo XII. Grazie alla sua opera pionieristica in campo logico, etico e teologico, Abelardo divenne il fondatore della scolastica medievale; e nella sua veste di maestro della scuola cattedrale parigina fu il progenitore defl'Università di Parigi. Era famoso anche per la sua poesia e i suoi canti d'amore. Se c'è un individuo che abbia incarnato l'alba medievale della cultura occidentale, tanto spiritualmente quanto istituzionalmente, questi fu Pietro Abelardo. Al tempo stesso, egli fu la metà maschile della storia d'amore forse più tragica, e sicuramente la più celebre e rivelatrice, di tutto il Medioevo. Se la sua esperienza come maestro e studioso rispecchi= l'evoluzione del profilo culturale del sapere occidentale, lo stesso è vero della sua sventurata storia con Eloisa (la cui carriera fu anch'essa emblematica dell'epoca).

Eloisa era la brillante e dotta nipote di Fulberto, uno dei canonici di Notre-Dame. Non sappiamo chi fossero i suoi genitori. Benché non fosse destinata a una vita religiosa, fu allevata ed educata nel convento di Argenteuil, nei pressi di Parigi; e secondo Abelardo si era già guadagnata una reputazione di grande dottrina quando lui, Abelardo, arriv= a Parigi. L'ambizioso zio la trasferì a Notre-Dame, verosimilmente allo scopo di combinare un matrimonio vantaggioso, e provvide alla continuazione dei suoi studi assumendo come precettore privato il già famoso Abelardo. Come Abelardo ci racconta quindici anni dopo, egli aveva i suoi disegni: attirato dai talenti della ragazza e reso imprudente da un egotismo ch'era il frutto della fama, aveva praticamente deciso di esporre la sua onorata castità alle fiamme della lussuria. In breve tempo, gli studi cedettero il passo agli amoreggiamenti, e poi questi alla passione. Non pass= molto, che gli amanti vennero scoperti; e ben presto emerse che avevano concepito qualcosa di più di semplici idee.

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Pagina 190 [ latino ]

Di conseguenza - l'ha notato Ong - «il latino divent= una lingua con un segno sessuale, usata soltanto da maschi», e insegnata esclusivamente in scuole interamente maschili. «Chiuse alle ragazze e alle donne, le scuole, incluse le università (...) erano luoghi d'incontro maschili che ricordano fortemente i ritrovi per maschi celibi delle società primitive(...). Questo ambiente peculiarmente chiuso dell'università era mantenuto da un lungo apprendistato, o celibato (...). Ma non bisogna sottovalutare il ruolo psicologico del latino nel contribuire a conservare l'ambiente maschile chiuso. Il latino era la lingua di chi "stava dentro", e perci= l'apprendimento del latino (...) era il primo passo sulla via dell'iniziazione a quel mondo chiuso (...); una lingua segreta che alimentava il suo spirito di corpo». Il contenuto tipico dei corsi di latino - «i poemi epici, e storie piene di violenza e di atti di valore» - insieme con i metodi argomentativi propri dell'insegnamento e le punizioni corporali che accompagnavano regolarmente lo studio del latino (e che ricordano la flagellazione monastica), contribuiva ulteriormente alla formazione del «legame maschile». Il possesso esclusivo del latino, forniva dunque una identità collettiva a questo mondo di dotti omosociale e celibatario.

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Pagina 197 [ Aristotele, Tommaso D'Aquino ]

Nel Duecento, la cultura celibataria dei nuovi dottori - retaggio di un millennio di sviluppo ascetico-clericale - era ormai saldamente insediata nell'università medievale. Soltanto adesso, con la riscoperta europea, per il tramite degli arabi, dell'intero corpus di Aristotele (il Simposio platonico non divenne disponibile fino al Quattrocento), la misoginia di questa cultura essenzialmente monastica conquist= quella legittimazione classica, naturalistica, apparentemente scientifica, che l'avrebbe perpetuata per secoli. Nel suo "De generazione animalium", tradotto nel Duecento su richiesta di Tommaso d'Aquino, Aristotele aveva affermato che «le femmine sono per natura più deboli e più fredde» dei maschi, e che «si deve supporre che la natura femminile sia come una menomazione», anche se si tratta di una menomazione conforme al corso ordinario della natura. Nel processo della generazione le donne fornivano soltanto la materia, mentre gli uomini fornivano l'elemento decisivo: la forma. Sebbene divergesse da Aristotele quanto al ruolo effettivamente svolto dalla donna nella procreazione, Galeno rafforz= (basandosi anche sulla teoria degli umori) l'idea della sua natutale inferiorità biologica. E queste opere influenzarono profondamente il grande maestro parigino Alberto Magno, il quale sostenne che la donna godeva e ricercava i rapporti sessuali più dell'uomo perché, essendo un essere imperfetto, desiderava congiungersi con colui che invece era perfetto, ossia l'uomo. Successivamente, il discepolo di Alberto, Tommaso d'Aquino, incorpor= queste idee classiche della donna nella sua "Summa theologica", l'autorevole compendio scolastico dell'ortodossia cattolica. Sulle orme di Aristotele, Tommaso sostenne che, siccome il seme maschile produce «una forma perfetta» - ossia un bambino maschio - una femmina è necessariamente il frutto di un seme difettoso.

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Pagina 200 [ Christine de Pisan ]

E fu l'amore del sapere che fece rimpiangere a Christine de Pisan di non essere nata uomo, e che in seguito - divenuta una donna di lettere isolata, ancorché di successo - la condann= a una vita di «dolorosa estraniazione dalla società». Christine fu istruita in casa dal padre, un umanista italiano e medico di corte che aveva studiato all'Università di Bologna; ma le fu negata una educazione formale. Non solo, ma quello che apprese lo impar= da opere scritte da uomini che denigravano le donne in quanto «abominevoli», «il vaso, come dicono gli uomini, di ogni male e di tutti i vizi». Così la sua rudimentale istruzione ebbe il solo effetto di farle «disprezzare se stessa e tutto il genere femminile», d'indurla a prendersela con Dio che non l'aveva fatta «nascere in questo mondo (... ) maschile». Ma Christine super= questa disperazione giovanile, riconoscendo che a condannare in quel modo lei e il suo sesso non erano né la natura né la giustizia, ma soltanto una cultura misogina maschile.

«Siccome ero nata femmina scrisse nel 1400 - non potei ereditare ci= che altri attingono alla fonte preziosa [del sapere] in forza più dell'usanza che del diritto. Se fosse la giustizia a regnare, né il maschio né la femmina ne scapiterebbe; ma perlopiù, ne sono certa, è l'usanza che regna e non la giustizia, e per questa ragione io non ho potuto, per mancanza di dottrina, cogliere foss'anche soltanto una briciola di questo preziosissimo tesoro. E quest'usanza mi addolora, perché presumo che, se le cose stessero diversamente, fino all'orlo del tesoro attinto alla fonte (...)». Armata di questa comprensione, Christine decise di indagare e illustrare, per meglio contrastarla, «quella che potrebbe essere la causa (...) la quale fa sì che tanti uomini diversi, chierici e non chierici (...), pensino e scrivano tante calunnie e ingiurie a danno delle donne e della loro condizione». «Cominciai a esaminare me stessa e la mia condizione di donna», scrisse nel "Libro della città delle dame", esortando le altre donne a fare lo stesso, ossia a confrontare criticamente ci= che leggevano sulle donne con la realtà della loro esperienza femminile. «Se queste cose le hai lette sulla pagina scritta - chiarì - non le hai per= viste con i tuoi occhi; [e pertanto non devi credere] ci= che non senti, che non vedi, che non conosci se non attraverso una molteplicità di strane opinioni». E non bisogna dimenticare che «i libri che dicono così, non li hanno scritti le donne».

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Pagina 205

Capitolo 8
La rivelazione nella natura

Per quanto alcuni storici possano caratterizzarla, retrospettivamente, come una intrapresa laica, la scienza occidentale fu sempre, nel fondo, una professione religiosa: più una continuazione della tradizione cristiana che non una deviazione dal suo cammino. Comunque sia, espressione clericale della Chiesa costituita o veicolo di una ribellione laica, la scienza rimase soprattutto uno strumento di devozione cristiana. I primi adepti della scienza guardavano a se stessi non come ai precursori di un futuro secolare, ma come agli eredi del passato cristiano, che li ossessionava. Ragionavano secondo categorie religiose, ed erano interamente, fervidamente impegnati in una contesa epocale tra l'entusiasmo religioso, la rivelazione e l'eresia da un lato, e la mutevole ortodossia cattolica (e in seguito protestante) dall'altro. Così, nel corso della sua evoluzione come attività religiosa, la scienza fu segnata da tendenze (già ben note) verso il revivalismo iconoclastico e il consolidamento clericale: modelli che riflettevano e influenzavano, tra le altre cose, i rapporti tra i devoti e le devote.

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Pagina 210

Alla fine del Trecento, il centro d'irraggiamento della filosofia naturale aveva ormai cominciato a spostarsi a sud, verso Bologna e Padova, i grandi fari intellettuali d'Italia. Le facoltà italiane erano diverse dalle loro omologhe transalpine sotto parecchi e importanti aspetti. Innanzi tutto, erano diventate una sorta di rifugio per l'aristotelismo averroista radicale espulso da Parigi. Secondariamente, qui la facoltà delle arti era associata non alla teologia (lasciata al clero regolare, e specialmente agli ordini mendicanti), ma alla medicina; e l'orientamento era pratico piuttosto che contemplativo. Così, «a Bologna e a Padova accadeva più frequentemente (rispetto a Oxford o a Parigi) che lo studio della matematica e della fisica venisse intrapreso con finalità professionali». In terzo luogo, l'ininterrotta tradizione italiana in fatto di educazione laica, insieme con quest'orientamento più accentuatamente professionale, dette a questi centri, per dirla con William Wallace, «un'atmosfera maggiormente secolarizzata».

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Pagina 211

A quanto sembra, nelle università italiane l'influenza laica rese possibile una certa partecipazione femminile all'istruzione superiore, specialmente quando si trattava delle mogli e delle figlie di docenti di medicina laici (Christine de Pisan, per esempio, era la figlia di un medico e astrologo bolognese). La misura e la rilevanza di questa partecipazione rimangono tuttavia oscure. Sembrano esserci state donne nella facoltà medica di Salerno, il più antico centro occidentale per la formazione di medici (soppiantato nel Duecento da Bologna). Secondo Rashdall, «a Salerno i medici donne erano una istituzione riconosciuta». Della leggendaria Trotula si pensava fosse stata moglie e madre di medici, e che avesse insegnato e scritto a Salerno. Quantunque un trattato di ginecologia porti il suo nome, Paul Kristeller sottolinea che non ci sono prove del suo "status" professionale e delle sue relazioni familiari, e anzi neppure della sua esistenza storica.

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Pagina 216 [ Ficino, Leonardo ]

[...] Marsilio Ficino, che fini con l'esser ordinato sacerdote, «parafrasando Platone quando asseri che le relazioni omosessuali sono superiori a quelle eterosessuali sul piano così intellettuale come spirituale». «Alcuni uomini - scrive Ficino nel suo commento al Simposio - sono meglio dotati per generare una prole dell'anima piuttosto che una prole del corpo, (... ) pertanto è naturale che amino gli uomini più delle donne». Una siffatta relazione tra uomini è preferibile, perché gli uomini «sono molto più forti quanto a perspicacia della mente»; non solo, ma «la sua superiore bellezza è assolutamente essenziale ai fini della conoscenza».

Il carattere omosociale della cultura dotta rinascimentale si riflette chiaramente nella vita di Leonardo da Vinci, che fu per due volte accusato (anonimamente) di sodomia. Saslow ha osservato che questi episodi, e il fatto che «avesse tollerato, soffrendone lungamente, il suo assistente, il bellissimo ma privo di scrupoli Gian Giacomo de' Caprotti, suggeriscono che gli interessi emotivi ed erotici di Leonardo fossero orientati principalmente verso gli uomini». Contemporaneamente, la vita di Leonardo indica che gli ideali ascetici e celibatari della Chiesa facevano presa al di là degli ambienti ecclesiastici e accademici strettamente intesi.

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Pagina 222 [ alchimia ]

Ma, sebbene ricordasse il ripristino della perfezione androgina in cui credevano i primi cristiani, la dottrina degli alchimisti, impegnati nello sforzo di diventare non già angeli, ma padroni della natura, implicava non tanto una riunificazione primordiale dei se quanto un'appropriazione di uno dei due sessi da parte dell'altro. Nel loro studio della natura, gli alchimisti miravano ad «arrogarsi i poteri del femminile», segnatamente i poteri della procreazione. «Malgrado l'insistenza sull'equilibrio dei due sessi - hanno osservato due studiosi recenti dell'alchimia - gli scritti tanto dei critici quanto degli adepti rivelano, forse inavvertitamente, che in realtà l'unione non avviene su un piede di parità. Nella cornice cristiana in cui l'alchimia occidentale si sviluppò, il femminile relegato nel regno interno della natura, in cui lo spirito si trova intrappolato». La qualità femminile-passiva della natura trova la sua liberazione e il suo compimento soltanto neb'asservimento allo spirito maschile. Nelle parole di Jung, «così il superiore, lo spirituale, il maschile, si protende verso l'inferiore, il terrestre, il femminile; analogamente la madre, anteriore al mondo paterno, viene incontro all'elemento maschile e per mezzo dell'istrumento dello spirito umano (la "filosofia") procrea un figlio (...). Benché sia decisamente ermafrodito, ha un nome maschile». In conclusione, «nell'opus alchemico l'eguaglianza del maschile e del femminile si crea per produrre un essere maschile, per correggere uno squilibrio maschile in termini maschili». Così, nella rinascita ermetica un'altra subcultura maschile aveva dato origine a un progetto nuovo, ma ancora una volta d'impronta decisamente maschile.

Al tempo stesso, come già nel caso degli umanisti, in questo nuovo progetto degli alchimisti c'era molto che potenzialmente contestava la cultura omosociale costituita. Come gli umanisti, gli alchimisti si muovevano al di fuori degli ambienti accademici e clericali, esercitando il loro mestiere di astrologi, medici e maghi nelle corti rinascimentali, molto spesso su iniziativa e sotto la protezione di donne. In questa maniera istituzionale, venivano incontro all'interesse per la nuova cultura delle donne delle aristocrazie e delle corti. Cosa più importante, la ostanza del loro contributo intellettuale spezzava il monopolio clericale sul mondo della cultura e della perfezione spirituale. E soprattutto il movimento ermetico era una parte essenziale della nuova rinascita religiosa del Cinque e Seicento; una rinascita che produsse il movimento riformatore umanistico in seno alla Chiesa di Roma, l'emergere di Chiese protestanti rivali e la vigorosa ripresa di sette religiose radicali.

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Pagina 255

Capitolo 9
La restaurazione scientifica

La convergenza del revivalismo iconoclasta e della filosofia naturtale raggiunse il culmine all'alba della rivoluzione scientifica. Alimentata e incoraggiata dalla riforma umanistica e protestante, dalle dottrine ermetiche, dal patronato delle corti, dalle reti informali delle "élites", dall'entusiasmo delle sette, dal radicalismo sociale, dalla cultura artigianale e dalla magia popolare, questa fortuita combinazione aveva temporaneamente deviato la corrente principale della cultura occidentale, facendola fluire al di fuori delle mura delle istituzioni ecclesiastiche e accademiche costituite, e aprendola con ciò stesso alle donne. Ma questa sfida aveva semplicemente aggirato, e non già trasceso, l'autorità clericale, offrendo alle donne non più che un accesso temporaneo.

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Pagina 258 [ stregoneria, streghe=donne ]

Secondo la concezione ecclesiastica, la stregoneria è una faccenda di donne. In tutta Europa si parla di streghe, al femminile. Il "Malleus Maleficarum", per esempio, usa il sostantivo femminile, e lo stesso fa la maggior parte degli altri manuali. Sprenger e Kramer citano Seneca: «Una donna, quando pensa da sola, pensa cose malvage». Se la stregoneria è soprattutto un affare di donne, è perché «le donne per natura a causa della duttilità della loro costituzione sono più facilmente impressionabili, più inclini a ricevere le rivelazioni attraverso il marchio degli spiriti separati (...); siccome le donne sono difettose di tutte le forze tanto dell'anima quanto del corpo, non c'è da meravigliarsi se operano molte stregonerie contro gli uomini, che esse vogliono emulare». La donna è «mendace (...) di natura», ammoniscono i due demonologi; «è un nemico subdolo e occulto». Come ha sottolineato Rosemary Reuther, «questo modello misogino non era esclusivo dell'opera dei due domenicani (...). Nei trattati per i cacciatori di streghe era normale riferirsi appunto alle streghe, ossia alla stregoneria come a un fenomeno femminile, e includere una sezione in cui si mostrava, basandosi sulla "natura" delle donne, il perché le streghe fossero di sesso femminile». Keith Thomas ha osservato che «gli autori colti mai nutrirono dubbi circa il fatto che il sesso debole fosse più esposto alle tentazioni di Satana». Questa femminilizzazione della stregoneria era solamente il rovescio della demonizzazione delle donne operata dal mondo ecclesiastico senza donne. In attrocento donne. In questa questa concezione, le donne erano per definizione sessualmente insaziabili, e non c'era dunque niente di strano nell'immaginarle che si accoppiavano con il Diavolo. Thomas ha sottolineato che «indubbiamente, esisteva una forte intonazione antifemminista in fantasie fratesche come il "Malleus Maleficarum"». A questo proposito, è molto notevole che l'unico posto in Europa in cui si parlasse di stregoni, al maschile, fosse l'Islanda, il solo paese in cui il celibato ecclesiastico non era mai stato accettato, neppure nell'alto clero.

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Pagina 262 [ More, Accademia dei Lincei ]

Nel prendere a bersaglio con tanta durezza le simpatie femminili di Webster (non dissimili da quelle che, in una epoca precedente, erano state le sue), More rispecchiava bene la reazione degli uomini di scienza agli imperativi del momento. Nella loro fuga dall'eresia, essi fuggivano altresì dalle donne. Si preoccupavano di identificare la stregoneria femminile per poter meglio prenderne le distanze, e per la stessa ragione condannavano maghi e alchimisti. Abbandonarono l'animismo della magia popolare e ridicolizzarono la risoluzione alchemica di corpo e spirito professata dai filosofi ermetici. Negarono la possibilità che la natura fosse, come la Scrittura, uno strumento della rivelazione, mediante il quale uomini e donne rigenerati potessero nuovamente diventare una cosa sola dinanzi a Dio. A queste nozioni revivaliste sostituirono il meccanicismo e il dualismo, purificando una volta per tutte il mondo naturale delle sue invisibili simpatie e separando irrevocabilmente lo spirito dalla terra, la mente dal corpo, il soggetto dall'oggetto, il maschio dalla femmina. Si ritrassero dalle confusioni dell'entusiasmo e dell'esperienza, e si volsero alle certezze astratte della matematica. Alleati con i governanti pontifici e secolari, e con uno Stato rinvigorito, questi nuovi Agostini, Benedetti e Dunstani cercarono, in parallelo con la restaurazione dell'ordine politico, una restaurazione dell'ordine spirituale e intellettuale. E, come i loro gloriosi predecessori, trovarono quest'ordine, e con esso un rifugio durevole, in un mondo senza donne.

Un rifugio siffatto trovò nell'Italia della Controriforma il medico olandese Johannes Heckius, l'ispiratore dell'Accademia dei Lincei, la pioniera tra le società scientifiche italiane. Devoto cattolico, all'alba del Seicento Heckius fuggì il blasfemo ambiente protestante della natia Deventer, nei Paesi Bassi, preferendo il sicuro riparo offerto dall'Italia cattolica. E, certo di trovarsi tra amici, nella Roma papale scagliò contro l'eresia protestante il suo micidiale trattato. E invero l'Italia pontificia offriva a intellettuali come Heckius un ambiente religioso quasi medievale. Lo storico Wilbam R. Shea ha osservato che l'Italia della Controriforma «è famosa per il suo ritorno al rigore di una epoca precedente». Le turbolenze politiche e militari cinquecentesche erano sfociate in un crescente rafforzamento dell'autorità sia dei principi sia del papato (quanto a quest'ultimo, si era trattato quasi di una seconda riforma gregoriana). Inoltre, questa «riaffermazione dell'autorità pontificia» favoriva il perseguimento degli obiettivi fissati dal concilio di Trento: un severo irrigidimento della disciplina ecclesiastica, e una vigorosa controffensiva contro l'eresia protestante. «Appoggiato da nuovi, potenti ordini religiosi, come i gesuiti, e da una burocrazia riorganizzata ed efficiente, il papato s'impegnò in una campagna sistematica contro le pericolose idee politiche e filosofiche del Rinascimento e della Riforma». La Chiesa disponeva poi di nuovi, formidabili mezzi per imporre la sua autorità ideologica, tra i quali l'Inquisizione, che fu utilizzata, com'è ben noto, con grande efficacia. Tra quanti si trovarono presto fatti oggetto della sua attenzione (spesso letale) figurano non soltanto coloro che predicavano il sacerdozio di tutti i credenti, ma anche gli uomini che praticavano la magia rivale, gli alchimisti, e filosofi ermetici della natura come Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Giordano Bruno e il paracelsiano Jan Baptista van Helmont.

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Pagina 266 [ Accademia dei Lincei, Galileo ]

Se i lincei rassomigliavano ai gesuiti, i loro grandi rivali, nei legami con il potere pontificio, la cosa era ancor più vera per quanto concerneva quello che Marie Boas ha chiamato il loro orientamento «quasi-monastico». Il progetto originario dell'Accademia prevedeva la proliferazione missionaria in tutto il mondo di analoghi «monasteri scientifici non-monastici». Secondo la descrizione che ne ha fatto Redondi, l'Accademia dei Lincei «competeva con la cultura dei gesuiti, imitandone le stesse tecniche del successo: la disciplina e la solidarietà dei suoi membri, la dedizione assoluta li scopi di ricerca - fino al preteso celibato linceo -, la spiccata vocazione internazionale, la volontà di proselitismo e di decentramento». Come un gesuita non poteva pubblicare un libro se non era passato attraverso il vaglio di almeno tre teologi della Compagnia, così un linceo doveva sottoporre alla lettura di un certo numero di colleghi qualunque libro che aspirasse a pubblicare sotto l'egida dell'Accademia e con il beneficio dell'approvazione collettiva. La celebre contrapposizione tra i lincei e i gesuiti ha oscurato il fatto che si trattava di «due organizzazioni della cultura dai metodi simili». Tra queste somiglianze figurava un precoce impegno celibatario, senza dubbio su insistenza del devoto Heckius. Come ha notato Ada Alessandrini, «i lincei avevano espresso esplicitamente una posizione negativa verso il matrimonio nei confronti dei loro aderenti, i quali avevano deciso di organizzarsi in Accademia per condurre insieme un'attività culturale comunitaria. Il matrimonio era per loro una "trappola", un "effeminato legame", che distoglie dalla attività scientifica e limita la libertà dello studioso». L'indelebile impronta monastica di un mondo senza donne, passata dai monasteri alla Chiesa, e in seguito dalle scuole cattedrali alle università, si manifestava ancora una volta nelle nascenti istituzioni della scienza moderna.

L'importanza dell'Accademia dei Lincei sarebbe stata forse oscurata, eclissata dagli sviluppi successivi, non fosse stato per la fama del suo membro più illustre, Galileo Galilei. Nato l'anno successivo a quello in cui si concluse il concilio di Trento, Galileo trascorse tutta la sua vita nell'ambiente della Controriforma italiana. Le sue leggendarie disgrazie, dovute all'esser egli rimasto intrappolato negli intrighi politici della Chiesa e del Sant'Uffizio (l'Inquisizione), hanno oscurato il fatto che Galileo rimase un devoto cattolico fino al giorno della sua morte. Secondo William Shea, «l'idea popolare di Galileo come martire della libertà di pensiero e il frutto di una eccessiva semplificazione». Al dogma aristotelico egli sostituì «la sua fede altrettanto dogmatica nella validità di una interpretazione matematica della natura»; e lo fece rimanendo rigorosamente all'interno di quelli che riteneva essere i limiti della dottrina ortodossa.

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Pagina 286 [ Royal Society, Boyle, Hooke, Newton ]

In quanto asilo esclusivamente maschile, la Royal Society rappresentava la continuazione della cultura ascetico-clericale, ora rafforzata da quello che potremmo chiamare un ascetismo scientifico. I monaci medievali credevano che il sacrificio di sé fosse essenziale all'efficacia della preghiera e alla salvezza finale. Gli scienziati, sulle orme dei maghi oltre che dei monaci, dei chierici e degli scolastici, pensavano che la purificazione personale fosse essenziale anche alla loro nuova forma di culto. Per gli ecclesiastici, che avevano il controllo della Society, non si trattava certo di un gran cambiamento. Come sottolineò già molto tempo fa C. G. Coulton, in materia di ascetismo il protestantesimo, e in specie il puritanesimo, aveva molto in comune con il cattolicesimo medievale. Ma anche i laici presenti nella Society - e tra questi i più ardenti partigiani della nuova filosofia meccanicistica - furono pronti ad adottare la vita celibataria. Si rendevano conto anche loro che l'intrattenere intimi rapporti con le donne, specialmente nel clima religioso repressivo della prima Restaurazione, poteva facilmente dar luogo a sospetti di eresia. Come ha osservato Kearney, la Royal Society era in effetti la «Società di Boyle ». Furono la generosità e la devozione alla nuova filosofia dell'aristocratico laico Boyle a tenerla in piedi nei suoi primi anni. Contemporaneamente, fu il celibe Boyle, tanto venerato da Evelyn, che svolse il ruolo di modello del nuovo scienziato. L'assistente di Boyle, il laico Robert Hooke, addetto agli esperitnenti, e in seguito fellow e segretario della Royal Society, era il più appassionato dei suoi meccanicisti e sperimentatori, e anche per lui la meccanica divenne «la sua prima e ultima amante». Come Boyle, e forse a imitazione del maestro, Hooke s'impegnò in età ancor giovane a rimanere «celibe, e non sposarsi mai». Se si eccettua una inquietante storia con la pupilla e nipote Grace negli anni della vecchiaia, Hooke restò fedele al suo voto, e rimase anche una persona fervidamente religiosa. Ma, ancor più di Boyle e Hooke, fu il laico Isaac Newton che compendiò nella sua persona da un lato la filosofia meccanicistica e dall'altro l'ascetismo scientifico, ovvero le ortodossie gemelle del rinnovato mondo senza donne.

Newton entrò al Trinity College di Cambridge l'anno successivo alla Restaurazione, e la sua vita e la sua carriera rispecchiano in pieno gli imperativi del nuovo ordine. Egli condusse una esistenza spiccatamente schizofrenica, giacché a un fortissimo autocontrollo esterno corrispondeva una intensissima agitazione interiore. All'interno della sua persona si riproducevano le tensioni dell'epoca. Da un lato, in quanto pubblica incarnazione della nuova filosofia, egli era la pietra di paragone stessa defl'ortodossia; ma dall'altro, in quanto celato revivalista immerso in entusiasmi occultistici, alchemici e teologici, indulgeva correntemente all'eresia. Senza dubbio per effetto di questa precaria doppia vita, Newton sviluppò una personalità fortemente paranoide. Era attentissimo a occultare ogni segno delle sue preoccupazioni private, sopprimeva la pubblicazione dei suoi voluminosi scritti alchemici e teologici, e censurava scrupolosamente la sua opera scientifica pubblicata. Nel frattempo, manteneva un aspetto esterno rigorosamente, quasi patologicamente austero, ed evitava le donne come la peste.

Studente, il giovane Newton si trovò a subire la «decisiva influenza» del teologo di Cambridge Henry More, anch'egli nativo di Grantham, nonché membro illustre della Royal Society.

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Pagina 296 [ Newton, rivoluzione scientifica ]

Le «Boyle Lectures», create con un lascito di Boyle e amministrate da John Evelyn (che «era molto spesso a corte dopo la Restaurazione») e da Thomas Tenison, arcivescovo di Canterbury, divennero il principale centro di disseminazione della nuova apologetica newtoniana. Qui «la scienza quale l'intendevano Newton e i suoi seguaci offriva il modello di un universo stabile, ordinato, guidato dalla Provvidenza». Come ha sottolineato Margaret C. Jacob, «soltanto nell'Ottocento il darwinismo inferse un duro colpo, non già al cristianesimo, ma all'anglicanesimo liberale e appoggiato dalla scienza». Così «per quasi un secolo (... ) la scienza newtoniana aveva fornito la base intellettuale per una peculiare versione del protestantesimo europeo; una versione particolarmente adatta al mantenimento della stabilità politica (...)».

Secondo Frank Manuel, Newton, «con il suo genio e la sua energia straordinari, riuscì a imporre al mondo occidentale uno stile scientifico personale e un movimento che rispecchiava il suo carattere» - Nel corso di questa vicenda, «il giovanile senso newtoniano della fluidità della scienza - le fantasie della giovinezza che si dilettano di esplorare liberamente tutte le forme del sapere - [era] svanito con l'età», giacché il ventaglio delle indagini considerate rispettabili si era notevolmente ristretto. In sostanza, il trionfo del meccanicismo, come Mersenne aveva sperato, segnò la riclericalizzazione della filosofia naturale. In passato, i campioni clericali dell'ortodossia avevano lottato per conquistare (e allargare) il controllo sulla religione - e quindi sulla Chiesa, sullo Stato e sulla società - insistendo innanzi tutto e soprattutto sul loro indispensabile ruolo di mediatori, in quanto teologi, ecclesiastici e preti, tra gli uomini e Dio. Ora, dopo un risveglio religioso e filosofico che aveva identificato Dio con la natura, e offerto con ciò stesso agli uomini un più immediato collegamento con Dio attraverso la natura, senza l'intervento dei chierici, il ripristino dell'ortodossia esigeva una nuova forma di mediazione tra l'umanità e la natura. Fu soprattutto questo il significato della cosiddetta rivoluzione scientifica. Legato strettamente alle istituzioni religiose, il nascente establisbment scientifico costituiva in effetti un nuovo strato «clericale» (formato da ecclesiastici, ma anche, e in misura crescente, da laici) interposto tra umanità e natura, e quindi tra umanità e Dio.

Nell'antica, veneranda maniera del clero ortodosso, questa nuova casta clericale si costitui in unico agente della umanità per lo studio della natura, e ciò facendo escluse tutti gli altri. La sua filosofia naturale giunse ora a identificarsi con la ragione stessa, e tutte le altre con l'irrazionale; il suo sapere era la verità, tutti gli altri l'eresia. Nella fase iniziale del loro sviluppo, c'era stato un parallelismo tra i filosofi meccanicisti e i loro colleghi alchimisti, nel senso che anch'essi guardavano alla esperienza pratica per ricavarne lumi e ispirazione, e magari si associavano ad artigiani e uomini dei mestieri. Ma fu soltanto un momento di passaggio a un più sublime, e più astratto, livello di comprensione. Appropriarsi del sapere esperienziale era certo indispensabile; ma, come lo stesso Bacone aveva preconizzato, «bisogna abbandonare Vulcano per affidarsi a Minerva». Descartes legò il progresso autentico della scienza ai teorici, non ai pratici. E in Galileo, come ha mostrato Paolo Rossi, «è certo vivissima la consapevolezza che la elaborazione di una teoria trasferisce su un altro piano o, com'egli dice, "supera d'infinito intervallo", le attestazioni e le osservazioni degli empirici e dei tecnici».

Malgrado tutta la retorica giustificazionista in termini utilitaristici che circondò la nascita della scienza - e Westfall suggerisce che questa retorica restò in larga misura tale fino all'Ottocento - l'essenza della nuova filosofia era la trascendenza. Il sapere degli artigiani, come quello degli ermetici e degli alchimisti, come la rivelazione profetica e la magia popolare, era un sapere imperfetto, e perfino sovversivo. Deliberatamente, la meccanizzazione della natura, l'astrazione della mente dalla materia e la ricostruzione matematica dei fenomeni naturali squalificarono come inadeguati (e forse anche pericolosi) tutti gli altri modi di pensare, e offrirono il mezzo per ottenere la desiderata emancipazione dai disordinati particolari dello spazio e del tempo, della persona e dell'esperienza: un sapere spoliticizzato, impersonale, disincarnato, universale, assoluto e autorevole (simile a quello di Dio), perfettamente appropriato alle finalità ascetico-clericali.

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L'avvento delle professioni ingegneristiche e scientifiche fu accompagnato dal consolidarsi del controllo dell'impresa industriale sulla scienza e la tecnologia, che a sua volta trasformò la natura dell'istruzione superiore. Nel momento in cui Chauncey Depew, nel suo discorso per l'inaugurazione del Drexel Institute, esaltava le promesse di espansione e di emancipazione del progresso industriale, quelle promesse avevano già cominciato a impallidire, come silenziosamente testimoniava la presenza sul palco di Edison e Carnegie. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, a misura che l'indagine scientifica diventava una semplice componente organizzativa delle imprese, e le università venivano sempre più integrandosi, come centri di ricerca e di formazione, nella generale struttura industriale, gli artigiani-imprenditori e gli inventori solitari cedevano ormai il passo a un personale dipendente salariato e a ricercatori burocratizzati. Il fenomeno dell'integrazione della università nell'industria rendeva esplicito l'orientamento produttivistico-commerciale della nuova istruzione superiore. «Una istituzione educativa assomiglia, per certi aspetti, a un'azienda manifatturiera (... )», dichiarò Frederick Bishop, segretario della Società per la promozione degli studi ingegneristici e preside della facoltà d'Ingegneria dell'Università di Pittsburgh. «La merce prodotta dev'essere, per progettazione, finitura e materiale, tale da soddisfare i suoi clienti; analogamente, i diplomati delle istituzioni educative debbono soddisfare le esigenze delle imprese che li impiegheranno». L'orizzonte educativo di questi datori di lavoro fu chiarito dal responsabile della formazione alla Westinghouse, uno dei leaders della nuova ondata riformatrice (d'indirizzo industriale) in campo educativo. «Noi non sottovalutiamo la conoscenza e la formazione, ma vogliamo laureati che siano utili. Vogliamo uomini capaci di valutare le situazioni, e di adattarvici. Tutto dipende dalla capacità del singolo di armonizzarsi con il suo ambiente; quanto più completo ed efficace sarà questo adattamento, tanto più utile sarà la sua vita. [Gli studenti del "college" debbono imparare] a lavorare innanzi tutto per il successo dell'azienda, e solo in seconda istanza pensare a se stessi (...); debbono subordinare i loro ideali e credenze personali ai desideri e alle aspirazioni dei loro superiori. Ciò che occorre è l'oblio di sé».

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Ideologicamente e culturalmente, questa nuova «corrente principale della scienza» era fin troppo nota. Autolegittimandosi come le sole autorità della società per quanto concerneva la comprensione della vita, della natura e del cosmo (nonché di un Dio che restava ora largamente implicito), gli scienzati professionali divennero i «chierici» della società secolare. Se soppiantarono al centro della scena il clero, ora in declino, essi continuavano tuttavia le propensioni dei loro redecessori per un mondo senza donne. Un futuro siffatto fu suggerito, e il relativo passato invocato, in occasione del «Banchetto misogino dell'American Chemical Society ». Questo straordinario evento si svolse nell'estate 1880 per iniziativa di due dei più illustri membri dell'ACS: Henry Morton, presidente dello Stevens Institute of Technology e segretario del Franklin Institute, e Thomas Sperry Hunt, professore del MIT e fellow della Royal Society. Entrambi erano «figure eminenti della chimica ottocentesca, fondatore dell'American Chemical Society e tra i suoi primi dirigenti, uomini illustri e rispettati con credenziali scientifiche, accademiche e sociali impeccabili». All'avvenimento parteciparono i membri maschi defl'ACS (una delle prime e più ampie società scientifiche professionali), e i lavori furono debitamente verbalizzati e pubblicati. Secondo questi verbali, la serata trascorse in canti, battute e storielle a spese delle donne. Uno degli ultimi testi recitati fu - e la scelta era indubbiamente calzante - "La tentazione di sant'Antonio". Con tali versi questi scienziati, questi magnifici uomini nuovi, tradivano le loro ascendenze monastiche e il loro perdurante retaggio.
    Molti sono i diavoli che percorrono
            questo mondo -
    Diavoli grandi e diavoli piccoli;
    Diavoli smilzi e diavoli tozzi;
    Diavoli col corno e diavoli senza
            corno;
    Diavoli astuti che portano le code
            arricciolate all'insù;
    Diavoli spavaldi che le portano tutte
            spiegate;
    Diavoli mansueti e diavoli che si
            azzuffano;
    Diavoli seri e diavoli ridenti;
    Demonietti per la Chiesa e demonietti
            per la baldoria;
    Diavoli rozzi e diavoli garbati;
    Diavoli neri e diavoli bianchi;
    Diavoli sciocchi e diavoli accorti -
    Ma una donna che ride e ha due occhi
            lucenti
    E' il Diavolo peggiore di tutti.

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Pagina 343

Epilogo

Il termine «scienziato» (scientist) comparve per la prima volta nella recensione di un libro scientifico scritto da una donna. William Whewell, master del Trinity College, coniò la nuova parola nel 1834, nella sua calorosa ancorché anonima recensione del volume "On tbe Connection of the Physical Sciences", di Mary Somerville. La Somerville aveva tentato d'individuare alcuni sottostanti principi unificanti, e di definire quindi una identità comune per gli operatori dei diversi campi della filosofia naturale.

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Pagina 346 [ scienza moderna, Mary Shelley ]

Con la benedizione divina, e in assenza delle donne, gli autoconsacrati apostoli della scienza continuano a esercitare la loro signoria celeste sulla terra. Malgrado la sua retorica utilitaria, e le conseguenze che ne derivano, abbondantemente evidenti, la scienza si è dedicata a quella che è stata una impresa essenzialmente trascendente. Agli occhi dei suoi adepti, tutti di sesso maschile, la cultura clericale è infatti sempre esistita al di fuori e al di sopra della società. Essa era un fortino spirituale da cui il clero poteva giudicare e guidare il resto dell'umanità, per così dire, dall'esterno. In un'atmosfera così rarefatta, si fece presto ad associare la mascolinità con la separazione e la trascendenza, palesi nell'apparentemente univoca autorità dell'artificio e dell'astrazione. La più «terrestre» femminilità veniva intanto spregiata come disordine, e temuta come l'incarnazione della corruzione del mondo.

In quanto prolungamento della cultura clericale, la scienza occidentale ha ereditato e perpetuato queste associazioni, che continuano a segnare la missione e l'ambiente della scienza. In quali maniere specifiche esse abbiano concretamente foggiato il pensiero scientifico, è oggi materia di seria riflessione; e il presente studio può offrire soltanto qualche suggerimento. Sono state spesso notate talune abitudini e caratteristiche della scienza moderna: la rigorosa separazione di soggetto e oggetto; la priorità dell'oggettivo sul soggettivo; la natura spersonalizzata, e apparentemente disincarnata, del discorso scientifico; l'innalzamento dell'astratto al di sopra del concreto; l'autoidentità asociale dello scienziato; la devozione totale alla professione; l'incompatibilità di fondo tra carriera scientifica e vita familiare; e naturalmente l'alienazione dalle - e la paura delle - donne, ovvero il tema su cui questo studio si è aperto. In quale misura queste caratteristiche e abitudini contemporanee della scienza tradiscono il suo retaggio clericale? In quale misura la dominante ossessione della scienza per la conoscenza universale infallibile e per la dimensione strumentale-artificiale potrebbe rispecchiare un antico tentativo clericale di assoggettare il femminile nella società e nella natura, allo scopo di realizzare il riscatto dell'uomo dalla Caduta, «come se egli non avesse mai peccato»?

Questa temeraria ricerca è stata illustrata, con una efficacia a tutt'oggi ineguagliata, da Mary Shelley nel suo romanzo di fantascienza, Frankenstein. Con grande perspicacia, essa vide la radice della passione e della eccitazione della impresa nella solitudine, nella disperazione e nel sentimento d'orrore maschili. La Shelley comprese altresì che è la paura provata dallo scienziato nei confronti del disordine e della corruzione femminili che alimenta il tentativo non soltanto di assoggettare il femminile, ma di sostituirgli qualcosa di più attendibile, e pertanto di più attendibilmente maschile. Paradossalmente, a causa di questo sforzo, che comportava un'appropriazione da parte del maschio delle funzioni femminili, lo scienziato si trovò con una identità di genere ancor più ambigua. Mentre agli inizi del cristianesimo le donne devote «diventavano» uomini, successivamente, in assenza delle donne, e in un tentativo di replicare le loro essenziali funzioni produttive e riproduttive, gli uomini «diventavano» donne. Inoltre, in questo processo di appropriazione gli uomini trasformarono - gradatamente ma incancellabilmente - queste funzioni produttive e riproduttive (in precedenza femminili), fino a renderle irriconoscibili.

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