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| << | < | > | >> |IndicePrefazione alla seconda edizione ix Prefazione alla prima edizione 1 Il ciclo di vita della tecnologia 3 Il libro 5 Ringraziamenti 7 Capitolo 1 — Molla tutto quel che stai facendo 9 Gli errori di Edison 13 Perché essere i primi e i migliori non è sufficiente 16 Ma è un prodotto orribile! 22 Il cambiamento tecnologico è semplice; difficile quello sociale, culturale, organizzativo 26 Capitolo 2 — Da prodotti centrati sulla tecnologia a prodotti centrati sugli esseri umani 31 I cicli di vita della tecnologia e i consumatori 33 Dalla fase giovanile basata sulla tecnologia alla fase matura centrata sui consumatori: descrizione grafica 40 Come operare la trasformazione verso un'azienda centrata sui clienti 46 Verso uno sviluppo produttivo centrato sugli esseri umani 48 Le tre gambe dello sviluppo produttivo centrato sugli esseri umani: la tecnologia, il marketing, l'esperienza dell'utente 50 La tecnologia 53 Il marketing 55 L'esperienza dell'utente 58 Capitolo 3 — La via verso gli infodomestici 61 L'infodomestico 64 Esempi di infodomestici 68 I pro e i contro 71 Famiglie di infodomestici e sistemi integrati 74 La visione d'insieme 75 Flessibilità trasparente 76 Aggiramento del controllo monopolistico 77 Principi di design per gli infodomestici 78 I tre assiomi degli infodomestici 78 Capitolo 4 — Cos'è che non va nel PC? 81 Le prime due generazioni di PC 85 Cos'è che non va nelle interfacce grafiche? 86 Perché non vorremmo mai usare il computer (anche se crediamo di volerlo fare) 87 Perché il personal computer è così complesso 90 Il paradigma commerciale del PC rende inevitabile la complessità 91 Un computer centrato sul compito 95 Capitolo 5 — Non esiste la cura magica 101 Il mito del mese-uomo 103 Cinque soluzioni alla difficoltà di utilizzo 108 Riconoscimento vocale 109 Ambienti tridimensionali e realtà virtuale 113 Agenti intelligenti 117 Network-computer 120 Dispositivi portatili e tascabili 122 La soluzione arriva grazie agli infodomestici 124 Capitolo 6 — Il potere dell'infrastruttura 125 Due tipi di economia di mercato: merci sostituibili e non sostituibili 129 L'impatto dell'infrastruttura non sostituibile nel mondo del PC 134 Le proprietà dei media 136 Affordance dei media 136 Tecnologie intrusive e migliorative 139 Non c'è un momento di silenzio 141 Aree Vietate alla tecnologia 143 Le lezioni dell'mtrastruttura 145 Capitolo 7 — Essere analogici 147 Dare senso al mondo 148 Esseri umani contro computer 153 Evoluzione tecnologica e biologica a confronto 156 Il frenetico ritmo del cambiamento 158 Trattare le persone come macchine 160 Il mondo non è semplice e ordinato 163 Comprendere il mondo 166 Errore umano 171 Esseri umani e computer come sistemi complementari 173 Capitolo 8 — Perché è tutto così difficile da usare? 177 La lama a doppio taglio della tecnologia 180 Complessità e difficoltà 182 Le origini della difficoltà tecnologica 184 Che cosa rende le cose più facili da usare? 188 Il modello concettuale 192 Perché è meglio evitare le metafore 195 Realizzare computer di facile utilizzo 197 Capitolo 9 — Verso uno sviluppo centrato sugli esseri umani 199 Prendere sul serio lo sviluppo centrato sugli esseri umani 202 Le sei componenti che concorrono a definire l'esperienza dell'utente 204 Metodi approssimati 208 È veramente necessaria una disciplina a sé che si occupi dell'esperienza dell'utente? 210 La triade del successo: integrare tecnologia, marketing, esperienza dell'utente 215 Capitolo 10 — Per uno sviluppo centrato sugli esseri umani, riorganizzare l'azienda 219 La struttura del team produttivo 224 La "polizia" del design 225 Come comporre il team di produzione 229 La struttura organizzativa di un'azienda 231 Quando il sistema degli incentivi aziendali diviene un intralcio 234 A chi "appartiene" il prodotto? 236 Requisiti aziendali per uno sviluppo centrato sugli essere umani 238 Qual è la migliore struttura organizzativa a sostegno dell'esperienza dell'utente? 239 È facile solo quello che non vale la pena di fare 246 Capitolo 11 — Tecnologie dirompenti 249 Tecnologie dirompenti 250 Infodomestici come tecnologie dirompenti 256 Perché è così difficile vedere il mondo dall'interno dell'azienda 259 Quando i clienti hanno torto 262 Non parlare soltanto con i clienti, ma anche con i non-clienti 265 Capitolo 12 — Un mondo di infodomestici 267 Il modello imprenditoriale degli infodomestici 270 Gli apparecchi 272 Merci di consumo, contenuti, servizi 273 La tutela della privacy 275 Come bilanciare privacy e usabilità 278 La visione: un mondo di infodomestici 279 Appendice – Esempi di infodomestici 283 La rivoluzione degli infodomestici nella fotografia 283 Un consulente medico a domicilio 285 Previsioni del tempo e del traffico 286 Il perfetto giardiniere 287 Manuali e guide intelligenti 287 Controllo di gestione familiare 289 Infodomestici per Internet 289 Anche i muri avranno orecchie 290 Infodomestici estremi: intessuti negli abiti, impiantati nei corpi 292 Note 295 Bibliografia 313 Postfazione all'edizione italiana 319 |
| << | < | > | >> |Pagina 24A ben vedere, verrebbe da chiedersi che razza di mondo sia mai questo, dove non importa se un prodotto è orribile o meno. Ebbene, è il mondo del fanatici della tecnologia, degli utenti sofisticati, dei modaioli, e della credenza secondo cui la tecnologia viene prima di tutto. Ma è anche il mondo reale, dove i prodotti non esistono in un vuoto assoluto, dove per far sì che un prodotto venga accettato dal pubblico occorre che vada a occupare un qualche tipo di nicchia riconoscibile ai più, che offra funzioni che i consumatori siano in grado di comprendere. Lanciato in un momento sbagliato, anche il prodotto giusto può fallire. Ci vollero decenni prima che il telefono venisse compreso e apprezzato. Inizialmente la radio fu considerata un giocattolo. Il fax venne inventato oltre un secolo prima di diventare strumento essenziale in ambito aziendale. Lo stesso è accaduto con l'automobile. Lo stesso avviene pressoché con ogni nuova tecnologia.Quando s'inventa e si sviluppa una nuova categoria di prodotti, non è che questa vada a occupare un posto nella vita delle persone in maniera naturale. Per poter sopravvivere deve essere introdotta gradualmente. Deve riuscire a dimostrare quei particolari vantaggi in grado di compensare i problemi e le tribolazioni inerenti a tutte le tecnologie. Di conseguenza, le varie categorie di prodotti seguono uno speciale ciclo vitale in cui inizialmente offrono capacità innovative in cambio di complessità, funzioni limitate, alti costi. In un periodo calcolabile in decenni o più, avviene poi la transizione in oggetti d'uso quotidiano in grado di offrire quelle capacità divenute essenziali con semplicità, funzionalità appropriata, costi ridotti. Quando vengono lanciate sono dominate dalla tecnologia, e interessano soltanto quei pochi temerari che decidono di pagarne il prezzo in cambio dei benefici attesi. Successivamente finiscono col divenire oggetti per i consumatori quotidiani, dotati di qualità positive per tutti. È stato questo il percorso dell'automobile, del telefono, del fonografo. Sarà il percorso del personal computer, pur essendo al momento nei suoi primi giorni di vita, ancora complicato e costoso. Il computer deve ancora compiere la trasformazione in articolo d'uso quotidiano, semplice ed economico. Il personal computer non è ancora un oggetto dotato di pregi validi per tutti. Per effettuare tale transizione occorre una visione del mondo molto diversa da quella sostenuta dagli entusiasti della tecnologia. Richiede una concezione centrata sui consumatori. Edison, ad esempio, si oppose a tale concezione, e le sue società fallirono. Una volta, nell'epoca in cui l'industria informatica era ancora imberbe, forse si poteva attuare il miracolo di costruire un piccolo apparecchio in grado di offrire qualcosa di veramente utile. Lavorando in garage e cantine, qualche ragazzotto poteva assemblare prodotti innovativi destinati a dar vita a rigogliose aziende. La tecnologia dominava: chi era in grado di padroneggiarla non poteva fallire. Gli innovatori diventavano subito vere star del mercato, ricche e influenti. Motore trainante era lo sviluppo di tecnologia sempre migliore e più sofisticata, la creazione di marchingegni geniali e inarrivabili, un'invenzione dopo l'altra, tutte salutate dall'esultanza degli appassionati. Un fuoco su cui soffiava sapientemente il capitalismo: investi nell'aziendina giusta e vedrai decuplicare i guadagni. Tutti lottavano per prendere parte all'azione, e l'azione era ogni nuova tecnologia in arrivo. Non importava se poi nessuno avrebbe potuto farne uso. Non importava se il prodotto diventava sempre più complesso, sempre più difficile da costruire e da gestire, da capire e da usare. Tutto ciò non aveva alcuna importanza. La gente continuava a comprare, in parte perché tutti erano soggiogati dalla febbre tecnologica, in parte perché si era costretti a farlo.
Il principio secondo cui è il mercato a decidere, si applica soltanto
laddove esiste la possibilità di effettuare scelte reali. Agli albori di una
tecnologia, l'unica discriminazione che si pone è tra l'acquisto di una
tecnologia immatura e costosa, difficile da usare e gestire, e la decisione di
farne a meno. Per gli appassionati, ogni nuova tecnologia, quali che ne siano i
difetti, offre vantaggi a cui semplicemente non è possibile rinunciare.
Nell'avanzare senza sosta dell'attività commerciale, è sempre presente l'oscuro
timore che la nuova tecnologia offra un vantaggio competitivo superiore, e se
non ne tieni il passo la concorrenza può sorpassarti.
Il cambiamento tecnologico è semplice; difficile quello sociale, culturale, organizzativo Quand'è che la posta elettronica sostituirà gran parte della posta cartacea attualmente consegnata a mano dai sistemi postali dei vari Paesi? Ci vorrà ancora molto tempo, perché un tale cambiamento richiede accordi con i sindacati, la risoluzione dei problemi concernenti i diritti dei lavoratori e l'orgoglio nazionale, il superamento della vera e propria inerzia che attanaglia la cultura in genere. Ci sono Paesi dove si legifera contro qualunque proposta potenzialmente in grado di interferire con il trasporto della posta. Non è detto che la posta elettronica sia necessariamente benvenuta. Vogliamo rendere più semplice l'invio di un fax nelle case? Bisogna combattere con gli attuali standard internazionali del telefono, originariamente concepiti per veicolare soltanto pochi segnali, quello di libero e di linea occupata, il segnale per la suoneria, quello vocale alle due estremità del doppino. Oggi potrebbe tornare utile l'attivazione di un segnale elettronico in grado di indicare se si tratti di un messaggio vocale, o se invece di un modem oppure di un fax, o ancora se tale messaggio possa essere inoltrato a una segreteria personale o direttamente a una casella vocale o fax. Ciò non è possibile, pur trattandosi di tecnologia relativamente semplice da sviluppare. Il problema è che l'attuale infrastruttura non è compatibile con tali segnali. Per la persona che utilizza queste tecnologie, l'infrastruttura è irrilevante. La segreteria telefonica è fatta per lasciarvi messaggi vocali. Grazie al fax è possibile inviare la copia dell'immagine di un documento. La posta elettronica ricorda il fax nel senso che si compone il messaggio e poi si istruisce il sistema per l'invio del documento visibile sul monitor, ma quel che viene inviato da una macchina all'altra è qualcosa di molto differente da un fax. Questo appare come una copia degradata dell'originale, mentre la e-mail invia il codice informatico relativo alle singole lettere del testo, con la parte ricevente che ricrea tale testo tramite un proprio set di font prestabilito. Il fax assomiglia all'originale, la e-mail no, pur contenendo le medesime parole. Quanti usano questi sistemi di comunicazione si chiedono come mai non sia possibile ricevere messaggi vocali via e-mail. Non riescono a capire perché il testo di un fax, così ben visibile su carta o su monitor, non possa subire modifiche o essere lavorato come accade con le parole contenute nelle e-mail. La realtà è che tali tecnologie fanno uso di infrastrutture tra loro molto diverse, a malapena compatibili. Una contingenza storica rende difficile la riconciliazione delle differenze. Il sistema di voice mail è la rappresentazione analogica delle onde sonore, codificate e archiviate secondo quanto stabilito dalle convenzioni riguardanti i network telefonici. Anche il fax rappresenta un segnale analogico, l'immagine di lettere e parole, codificata in maniera da poter passare nei network telefonici, pur se questi sono stati progettati per i messaggi vocali, non per la trasmissione dati. L'unico modo in cui questi ultimi possono essere inviati tramite le convenzionali linee telefoniche è grazie alla modifica del segnale digitale in tonalità audio in grado di passare attraverso il network, per venire poi trasformati nuovamente in dati all'altra estremità: ecco spiegato il perché di quegli strani suoni e tipici sibili emessi dal fax e dal modem. La e-mail contiene la rappresentazione digitale delle lettere, codificate in un formato binario dell'alfabeto secondo lo schema definito dall'acronimo ASCII: American Standard Code for Information Interchange. Si tratta di una sorta di reliquia storica che non funziona granché nella società internazionale di oggi, non potendo gestire correttamente tutte le lettere e i segni diacritici (accenti, dieresi e via dicendo) delle lingue europee, per non menzionare neppure i caratteri non-alfabetici delle lingue asiatiche. Il problema è insito nella prima lettera dell'acronimo ASCII: "A" sta appunto per "American". L'impatto delle influenze culturali diviene evidente considerando le differenti modalità in cui vengono utilizzati fax ed e-mail in ambito commerciale. Entrambi riguardano funzioni pressoché identiche, eppure vengono utilizzati in maniera alquanto diversa. La e-mail è il medium dell'informalità, il fax è più formale. La prima tende a essere composta rapidamente e direttamente da chi si occupa della corrispondenza. Il secondo segue le normali procedure d'ufficio, con segretarie o assistenti amministrativi che si occupano di redigere il testo da inviare, curando attentamente grammatica, punteggiatura e formattazione. Una serie di differenze che riflettono le rispettive origini storiche. Gli apparecchi e gli standard del fax odierno derivano da un processo di sviluppo gestito dalle grandi aziende a scopo commerciale. La tecnologia del fax risponde perfettamente alla routine standard dell'ufficio, seguendo le medesime procedure adottate per le missive, con repliche appuntate su carta o dettate alla segretaria che provvederà poi a comporle "in bella copia" con la macchina da scrivere o, meglio, al computer. In entrambi i casi, il risultato non è altro che una lettera formale. L'unica differenza consiste nel metodo di trasmissione e di ricevimento. Le lettere vengono inserite in una busta, spedite e consegnate dal servizio postale. I fax passano nell'apposito apparecchio dell'ufficio, componendo poi l'apposito numero per l'invio. La formalità del fax non fa altro che rispecchiare la formalità della lettera. La e-mail è nata dal mondo della computer sciene, in pratica nelle università, nei laboratori di ricerca industriali e statali. Venne ideata per il passaggio di veloci annotazioni tra ricercatori, talvolta relative all'ambito commerciale ma più spesso a faccende personali, ad esempio per darsi consigli sui ristoranti migliori o per organizzare riunioni di lavoro e incontri sociali. Informalità, scarsa attenzione alla grammatica, errori e refusi ne rappresentavano la norma. Un messaggio formale, accuratamente formattato, propriamente impaginato apparirebbe un po' fuori posto via e-mail. Inoltre, le ristrettezze del set di caratteri dei sistema ASCII e la mancanza di strumenti adatti alla formattazione, pongono ampie limitazioni allo stile di scrittura, portando quindi all'uso di speciali convenzioni, quali *gli asterischi* o le MAIUSCOLE per indicare *ENFASI*, oltre a simboli speciali come ;-) per segnalare che il testo precedente va inteso come una battuta (se osservato con la testa piegata a sinistra, il simbolo ;-) assomiglia a una strizzatina d'occhio, a una faccina sorridente). La differenza tra e-mail e fax mette a fuoco una questione importante: una volta che la tecnologia prende a radicarsi, è molto difficile riuscire a cambiarla. Di conseguenza, sarebbe utile poter formattare la e-mail, oppure inserire immagini e diagrammi direttamente nel corpo del messaggio, come in un libro o in una lettera. Allo stesso modo, sarebbe comodo poter codificare i caratteri di un documento inviato via fax, in modo da poter compiere ricerche sul testo, o fare operazioni di taglia-e-incolla dal fax ad altri file e viceversa. Il problema è che queste funzioni richiederebbero una serie di nuovi standard e accordi fra tutti i produttori e gli utenti delle tecnologie più diffuse, per arrivare all'adozione di nuovi apparecchi compatibili con tali standard. Operazioni praticamente impossibili da attivare una volta che certe tecnologie vengono impiantate su vasta scala. Troppe le strutture che dovrebbero riorganizzarsi interamente, troppo alti i costi per le necessarie modifiche all'infrastruttura globale. Ecco quindi che sono gli aspetti sociali, culturali, organizzativi di una tecnologia i più difficili da cambiare rispetto a quelli squisitamente tecnici. Oggi ci troviamo in un momento critico nello sviluppo delle tecnologie dell'informazione. Il mondo è dominato dal personal computer con annesse strutture e network di comunicazione. Il personal computer si è storicamente evoluto fino a diventare lo strumento standard per fare un po' di tutto, nonostante i non pochi difetti, nonostante l'eccessiva complessità, nonostante il fatto che sia poco adatto per molte attività che è chiamato a svolgere. Come illustrato in questo capitolo, non sempre il successo arride al migliore: possono essere gli aspetti non tecnici di una tecnologia a dominare. Una volta radicatasi, l'infrastruttura diviene difficile da modificare. Perfino quando appare evidente che l'applicazione di nuovi metodi porterebbe a risultati superiori, il vecchio sistema continua a prosperare, perché è così saldamente intessuto nella cultura di una società, così profondamente integrato nelle consuetudini che la gente ha seguito nella vita, nel lavoro, nel gioco, che il cambiamento può aver luogo soltanto in maniera molto lenta, talvolta nell'arco di decenni. Esiste un sistema migliore, un mondo di infodomestici. La questione, allora, sta nel considerare attentamente le possibili alternative. Prendiamo in esame gli infodomestici. Consideriamo il perché della complessità del computer, senza dimenticare le lezioni della storia: non sempre i prodotti migliori raggiungono il successo. I fattori sociali, culturali, organizzativi possono precludere i miglioramenti tecnologici. In ogni caso, il mondo della tecnologia odierna è troppo complicato; occorre trovare un sistema migliore. E il sistema migliore esiste. Partiamo con il prendere in esame la maniera in cui le forze del mercato condizionano il ciclo di vita di un prodotto. Nei vari passaggi di tale ciclo, un prodotto attira segmenti di mercato molto diversi tra loro, i quali richiedono qualità a loro volta differenti. Di conseguenza, le modalità secondo cui un prodotto viene progettato, sviluppato e commercializzato devono subire radicali trasformazioni nel cammino dall'età giovanile alla maturità. La natura di tali cambiamenti ci mostra quel che occorre fare per passare dal mondo odierno del personal computer alla potenza e alla semplicità degli infodomestici. | << | < | > | >> |Pagina 103Il mito del mese-uomoPer meglio comprendere le ragioni della difficoltà del computer, può essere d'aiuto considerare le modalità di funzionamento della programmazione su larga scala. Nel campo della computer science, le difficoltà della programmazione sono da tempo note come un problema a cui si va ancora cercando una soluzione. Il lavoro di programmazione è notoriamente lento. Scrivere programmi informatici non è soltanto questione di star seduti davanti al monitor e pigiare sulla tastiera. I sistemi odierni, così vasti e complessi, possono includere anche più di un milione di istruzioni: una complessità che va ben oltre la comprensione di un singolo individuo. Occorre un team per poter strutturare il tutto, organizzare l'operazione, scrivere le specifiche, e quindi partire con il concreto lavoro di programmazione: tale attività ha alle spalle una considerevole mole di riflessioni, un insieme di obiettivi precisi in materia di design e una pianificazione molto attenta e sistematica. Viene prima messa a punto l'architettura complessiva. Si procede quindi con la vera e propria scrittura delle istruzioni per il computer, il codice, accompagnato da prove, verifiche e attente analisi, altre prove e documentazione. La struttura viene progettata in modo che sia possibile lavorare in gruppi indipendenti, ma assicurandosi che i diversi contributi possano essere perfettamente integrati. Per esser certi dell'efficacia del lavoro, sono stati messi a punto diversi sistemi di verifica, inclusa la revisione del codice di un programmatore da parte di un collega, il quale ne passa in rassegna ogni stringa, tenendo traccia in maniera accurata e sistematica delle varie versioni del materiale. Il lavoro di ogni persona deve poi esser coordinato con quello di molte altre — talvolta si tratta di centinaia di individui, occasionalmente perfino migliaia — che lavorano sul medesimo problema. Coordinare il lavoro di tutte le persone coinvolte nel progetto può richiedere il medesimo livello di impegno necessario alla scrittura del programma. Il programmatore tipico riesce a scrivere una media compresa tra dieci e cento stringhe di codice al giorno: tra dieci e cento stringhe all'interno di un progetto che alla fine ne richiederà un milione o anche più. Mantenendo il ritmo di dieci stringhe al dì, occorreranno 100.000 giorni. Se un solo programmatore dovesse seguire la normale cadenza lavorativa, appena 250 giorni l'anno, impiegherebbe circa 400 anni. Per molti è impossibile aspettare così tanto per aver pronto un programma, e si decide quindi di risolvere il problema assumendo altro personale. "Vediamo un po'," rimugina tra sé e sé il manager, "se a una sola persona occorrono 400 anni, cento persone ne impiegherebbero quattro, e 400 programmatori potrebbero farcela in un solo anno." Tuttavia, la programmazione, come qualsiasi complesso lavoro di vaste proporzioni, non è semplicemente una questione di tempo e persone. Coinvolgendo più individui non si fa altro che aggravare il problema, anziché risolverlo. In un libro meritatamente divenuto famoso, The Mythical Man-Month, Fred Brooks sostiene correttamente che il problema viene acuito in maniera direttamente proporzionale al numero di persone chiamate ad occuparsene. Un passaggio ampiamente citato del libro così recita: "Se un programmatore riesce a completare un programma in un mese, quanto occorrerà se a lavorarci saranno in due? Risposta: due mesi". Come mai? Perché non appena due o più persone si ritrovano a lavorare sul medesimo problema, nasce l'esigenza di coordinare il lavoro in modo che non si giunga a situazioni conflittuali, che ci si ritrovi d'accordo sull'inquadramento generale, sulla filosofia d'approccio e sulle modalità con cui far interagire i diversi componenti su cui ciascuno sta lavorando. | << | < | > | >> |Pagina 160Trattare le persone come macchineL'avvio del nostro secolo dev'essere stato un periodo davvero esaltante. Gli anni a cavallo tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 hanno rappresentato un'epoca di rapido cambiamento, per molti versi parallela ai mutamenti che osserviamo ora. In un periodo di tempo relativamente breve, il mondo si trovò di fronte a una serie di invenzioni tecnologiche frenetiche e quasi miracolose nel loro susseguirsi, le quali cambiarono per sempre la vita dei cittadini e delle società, delle industrie e dei governi. Fu in questo frangente che venne inventata la luce a incandescenza e che spuntarono un po' ovunque sul territorio statunitense le fabbriche per la produzione di energia elettrica. Queste ultime vennero a dotarsi di appositi motori elettrici. Il telegrafo andava conquistando il continente nordamericano e il mondo intero, seguito a ruota dal telefono. Grazie al fonografo, per la prima volta nella storia era possibile preservare e riprodurre a proprio piacimento voci, canzoni, suoni. Contemporaneamente si andavano ampiamente diffondendo svariati dispositivi meccanici. Il sistema ferroviario si estendeva con sempre maggior rapidità. Le navi a vapore solcavano gli oceani. Fu inventata l'automobile, inizialmente sotto forma di veicoli fatti a mano e assai costosi, a partire da Daimler e Benz in Europa. Henry Ford realizzò la prima catena di montaggio per la produzione di massa di automobili relativamente economiche. L'aeroplano compì il primo volo e nel giro di alcuni decenni avrebbe trasportato posta, passeggeri e bombe. La fotografia acquistò popolarità e si iniziava a lavorare sulle immagini in movimento. Ben presto avrebbe fatto la sua comparsa anche la radio, consentendo la trasmissione dei segnali in tutto il mondo senza bisogno di cavi. Un periodo di mutamenti davvero straordinari. Oggi ci risulta difficile immaginare la vita in assenza di questi prodotti tecnologici. Di notte l'unica luce possibile era tramite la fiamma: candele, lampade a olio e a kerosene, e in alcuni casi, a gas. Mezzo di comunicazione primario erano le lettere manoscritte, e nonostante la consegna postale all'interno delle grandi città avvenisse in maniera rapida ed efficiente, nel caso di ampie distanze poteva richiedere diversi giorni o perfino settimane. Era difficile viaggiare, e molti non si avventurarono mai 50 chilometri oltre la propria dimora nel corso dell'intera esistenza. Ma, in quello che agli occhi di uno storico appare un breve periodo, il mondo mutò drammaticamente secondo modalità che influenzarono tutti: non soltanto i ricchi e le classi agiate, ma ogni ambito della società. Luce, viaggi, intrattenimento: tutto venne a mutare grazie alle invenzioni umane. Anche il lavoro cambiò, pur se non sempre in modo positivo. La fabbrica esisteva già, ma tecnologie e processi nuovi imposero requisiti nuovi, insieme a opportunità per trarne vantaggio. Il motore elettrico consentì di far funzionare le fabbriche in maniera più efficiente. Ma come sempre, l'impatto maggiore si registrò a livello sociale e organizzativo: l'avvento degli studi sui tempi di produzione, del "management scientifico" e della catena di montaggio. Questi approcci presero ad analizzare le modalità del lavoro umano frantumandolo in una serie di azioni meccanicamente coordinate. Si pensava che standardizzando ogni azione, rendendola funzionale "all'unico modo perfetto", allora le fabbriche automatizzate avrebbero potuto trarne vantaggi ancora maggiori a livello di efficienza e di produzione. Conseguenza di ciò fu la disumanizzazione del lavoratore. Adesso quest'ultimo veniva considerato nient'altro che un altro ingranaggio all'interno della fabbrica, analizzato e trattato in quanto tale, e gli veniva chiesto di non pensare mentre lavorava, poiché ciò ne avrebbe rallentato l'azione. L'era della produzione di massa e della catena di montaggio trasse origine in parte dall'efficienza delle "catene di smontaggio" realizzate nelle fabbriche dove si confezionava la carne. Gli strumenti del management scientifico presero in considerazione le proprietà materiali del corpo umano, ma sottovalutarono quelle mentali e psicologiche. Il risultato fu quello di stipare maggiore attività all'interno della giornata lavorativa, trattando chi lavorava in fabbrica alla stregua degli ingranaggi di una macchina, deprivando deliberatamente il lavoro del proprio significato, e tutto ciò in nome dell'efficienza. Queste credenze sono rimaste tra noi, e, nonostante oggi nessuno condivida più le tesi estremistiche sostenute dai primi seguaci del management scientifico, il dado era ormai tratto per il perseguimento della sempre maggiore efficienza, della sempre maggiore produttività da parte della forza-lavoro. Il principio alla base del miglioramento dell'efficienza è difficile da confutare. Il punto è: a quale prezzo? Secondo alcuni, il pensiero di Frederick Taylor ha prodotto un notevole impatto sulla vita delle persone di questo secolo più di qualunque altro. Egli riteneva che esistesse un "unico modo perfetto" di fare le cose. Il suo volume, The Principles of Scientific Management, apparso nel 1911, venne usato come guida per le modalità di sviluppo della fabbrica e del luogo di lavoro nel mondo intero, dagli Stati Uniti al tentativo di Stalin di implementare un luogo di lavoro comunista ed efficiente all'interno della nascente Unione Sovietica. Taylor va considerato il maggiore responsabile del moderno concetto di efficienza e delle prassi lavorative adottate dall'industria a livello mondiale, e perfino del senso di colpa che qualche volta ci assale quando ci dedichiamo a qualche diversivo invece di occuparci del nostro lavoro. Il "management scientifico" propugnato da Taylor si fondava su un attento e dettagliato studio del lavoro, in cui ogni attività veniva frammentata in varie componenti di base. Una volta conosciute queste ultime, era possibile mettere a punto la maniera più efficiente di fare le cose, per focalizzarsi su quelle procedure che avrebbero migliorato le prestazioni e incrementato l'efficienza dei lavoratori. Se i metodi di Taylor fossero stati seguiti alla lettera, il management avrebbe dato aumenti di stipendio ai lavoratori facendo contemporaneamente salire i profitti dell'azienda. In realtà, i metodi di Taylor imponevano al management di aumentare le paghe, dato che il denaro veniva inteso come incentivo per spingere i lavoratori ad aderire a tali procedure. Secondo Taylor, sarebbero stati tutti contenti: i lavoratori avrebbero guadagnato di più, il management ne avrebbe ricavato maggior efficienza e produttività. Sembra stupendo, nevvero? L'unico problema era che i lavoratori odiavano queste teorie, Taylor, è chiaro, considerava le persone come semplici macchine. Una volta che il management avesse trovato il modo migliore di fare le cose, avrebbe convinto i lavoratori a comportarsi di conseguenza, ora dopo ora, giorno dopo giorno. L'efficienza non consentiva deviazioni. Il pensiero andava eliminato. Secondo Taylor, quelli che sapevano solo scaricare terra, o i manovali, i contadini, quelli che facevano i lavori più umili, non erano in grado di pensare. Li considerava "bruti lavoratori." Inoltre, nel caso l'impulso a pensare si facesse avanti, doveva esistere qualche falla nelle procedure o nel processo, era un segnale che qualcosa non aveva funzionato a dovere. La questione del "pensare", spiegava Taylor, verteva non soltanto sul fatto che la maggior parte dei lavoratori fosse incapace di farlo, ma che ciò avrebbe rallentato il lavoro. Considerazione plausibile: basti immaginare, nel caso non dovessimo mai pensare, quanto riusciremmo a lavorare con ritmi più sostenuti. Per poter eliminare il bisogno di pensare, Taylor sosteneva la necessità di ridurre ogni cosa ad attività di routine: ovvero tutti al lavoro, eccetto quelli come lui che non dovevano rispettare orari fissi, che non dovevano seguire le procedure, che ricevevano salari centinaia di volte maggiori di quelli offerti ai cosiddetti bruti, e a cui l'atto di pensare era consentito, anzi incoraggiato. Nella visione di Taylor, il mondo era semplice e ordinato. Era sufficiente che ciascuno seguisse le procedure, e tutto avrebbe funzionato alla perfezione, generando un mondo armonico e preciso. Può darsi che Taylor avesse compreso le macchine, ma sicuramente non aveva capito le persone. In realtà, non aveva compreso appieno la complessità delle macchine o del lavoro, né la complessità del mondo. | << | < | > | >> |Pagina 173Esseri umani e computer come sistemi complementariDato che gli esseri umani e i computer costituiscono sistemi così diversi tra loro, dovrebbe essere possibile sviluppare una strategia finalizzata all'interazione complementare. In breve, è l'approccio odierno a rivelarsi errato. Un argomento centrale concerne la realizzazione di computer più simili agli esseri umani. Il sogno originale dell'intelligenza artificiale di stampo classico: simulare l'intelligenza umana. Un'altra posizione è quella che vorrebbe avere esseri umani più simili ai computer. E secondo tale teoria che viene progettata la tecnologia odierna; sono i designer a determinare le esigenze della tecnologia per chiedere poi alle persone di adeguarvisi. Il risultato è la sempre maggiore difficoltà nell'apprendimento della tecnologia stessa, e un livello di errore in continua crescita. Non c'è da meravigliarsi se nella società traspare una frustrazione sempre maggiore nei confronti della tecnologia.
Prendiamo in esame i seguenti attributi relativi agli esseri umani
e alle macchine, considerati dall'odierno punto di vista centrato su
queste ultime.
Visione centrata sulla macchina: - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Persone Macchine - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Vaghe Precise Disorganizzate Ordinate Soggette alle distrazioni Non soggette alle distrazioni Emotive Non emotive Illogiche Logiche - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Notiamo come siano gli esseri umani a risultare perdenti: tutti
gli attributi associati con le persone sono di segno negativo, tutti
quelli associati con le macchine di segno positivo. Passiamo ora a
considerare gli attributi relativi agli esseri umani e alle macchine,
considerati però da un punto di vista centrato sui primi.
Visione centrata sugli esseri umani: - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Persone Macchine - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Creative Prevedibili Tolleranti Rigide Attente al cambiamento Insensibili al cambiamento Ricche di risorse Prive di immaginazione - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Notiamo come ora siano invece le macchine a perdere la partita: tutti gli attributi associati con le persone sono di segno positivo, tutti quelli associati con le macchine di segno negativo. La questione di fondo è che i due diversi punti di vista sono complementari. Le persone eccellono nei contesti qualitativi, le macchine in quelli quantitativi. Come conseguenza, per le persone le decisioni sono flessibili perché seguono valutazioni a livello sia qualitativo sia quantitativo, modificabili a seconda di circostanze e ambiti specifici. Per quanto riguarda le macchine, le loro decisioni sono coerenti, basate sulle valutazioni quantitative di variabili specificate a livello numerico e indipendenti dal contesto. Qual è l'approccio da preferire? Nessuno dei due: abbiamo bisogno di entrambi. È positivo che il computer non operi come il cervello. La ragione per cui mi piace usare la calcolatrice elettronica sta nella sua precisione; non sbaglia mai. Se fosse come il mio cervello, non sempre troverebbe la risposta giusta. Proprio tale differenza è quel che rende così utile quel dispositivo. Considero il problema e il metodo migliore per affrontarlo. Quello strumento è in grado di utilizzare proficuamente le sterili e desolanti procedure aritmetiche o (nel caso di macchine più avanzate) sofisticate funzioni algebriche. Insieme formiamo un team più potente di quanto possa fare ciascuno di noi separatamente. Il medesimo principio si applica a tutte le macchine; dovremmo fare tesoro delle differenze, visto che insieme ci completiamo a vicenda. Ciò può tornare utile, però, soltanto nel caso in cui la macchina riesca ad adattarsi ai requisiti umani. O meglio, gran parte delle macchine odierne, in modo particolare il computer, costringono l'uomo a usarle secondo i loro parametri, che risultano antitetici al modo di lavorare e di pensare degli individui. Il risultato è la frustrazione, l'incremento del livello di errore (generalmente scaricato sull'utente — il famoso errore umano — anziché sulle imperfezioni del design) e un generale allontanamento dalla tecnologia. Assisteremo forse in futuro a una corretta integrazione tra macchine e persone? Riusciranno i corsi di informatica a insegnare quell'approccio centrato sugli esseri umani che è necessario per invertire questa tendenza? Non vedo perché no. | << | < | > | >> |Pagina 202Prendere sul serio lo sviluppo centrato sugli esseri umaniDi che cosa si occupa il team di sviluppo centrato sugli esseri umani? Come lavora? La risposta dipende dalle circostanze, dall'impresa e dal prodotto. Si tratta di un prodotto nuovo, innovativo oppure la continuazione di una linea di prodotti precedentemente immessi sul mercato? Il cliente finale risulta ben definito oppure il prodotto mira a raggiungere una massa ampia e uniforme? Un unico articolo è destinato ad essere venduto a persone con esperienza, cultura e livello d'istruzione differenti? Si tratta di un prodotto destinato ai mercati internazionali? I fallimenti di alcuni prodotti correnti e le relative soluzioni proposte sono argomenti di studio ben noti e ben documentati. Esistono numerosi libri in proposito; io stesso ne ho scritti alcuni. Ci sono corsi di laurea, conferenze e consulenti, associazioni e riviste ad hoc. Il lettore interessato, non ancora edotto su tali argomenti, può documentarsi rapidamente. Le mie note ai capitoli forniscono alcuni punti di partenza, e sono numerosi i consulenti pronti a fornire aiuto. Nonostante ogni impresa abbia un suo stile operativo, esistono principi immutabili che andrebbero applicati a tutti i procedimenti di sviluppo centrati sugli esseri umani. 1. Partite con la valutazione delle esigenze dell'utente, utilizzando sia strumenti di marketing tradizionale sia osservazioni dirette. Osservate gli utenti mentre eseguono quelle attività che il nuovo prodotto dovrebbe semplificare. Ricorrete a un processo d'interazione strutturato sulla base delle informazioni contestuali tipiche del design omonimo. Cercate di non aiutare gli utenti nel caso incontrino dei problemi. Il vostro obiettivo è imparare. 2. Analizzate il mercato. Quali gli altri prodotti similari già in circolazione? Qual è la fascia di mercato più probabile alla quale è rivolto il prodotto? Se si tratta di un articolo nuovo, quali dovrebbero essere gli acquirenti della prima ondata? In quale maniera questi si differenziano dalla clientela finale? Quale prezzo possono permettersi di pagare? Quale il futuro previsto per il prodotto? Come deve presentarsi? Esistono dei limiti da rispettare nelle dimensioni? Bisogna imparare il più possibile. 3. Sulla base delle risultanze dei due punti precedenti, tracciate una descrizione delle esigenze degli utenti. Ogni osservazione dev'essere convalidata da osservazioni, dati e ricerche di mercato. 4. Dalle risultanze di quanto sopra, il team dovrebbe essere in grado di creare dei prototipi: modelli in polistirolo o altro materiale di prototipizzazione rapida: disegni su carta; prototipi visualizzati in formato elettronico. Mostrateli di nuovo al gruppo di utenti e annotatene le reazioni. Fate in modo che li provino, li usino a sostegno dell'attività concreta. Usate i clienti come veri e propri assistenti del design. Ripetete i passi dal punto 1 al punto 4 fino a quando non ve ne riterrete soddisfatti. 5. Avendo come base i modelli finali così realizzati e le descrizioni delle esigenze degli utenti, occupatevi della stesura del manuale, nel caso occorra. Assicuratevi che sia quanto più breve e semplice possibile. Ricompensate il team dei redattori tecnici in base alla sinteticità del manuale. L'obiettivo è farlo stare in una pagina; cinque pagine sono meglio di dieci. Presupponete che l'utente non leggerà neppure il manuale di una sola pagina. 6. Avviate il processo di design lavorando con manuale, prototipi e modelli. Chiedete ai tecnici di far sì che il prodotto corrisponda alla descrizione del manuale e rientri nelle dimensioni previste dai prototipi. 7. Sottoponete a test e rivedete il tutto in continuazione. Fate in modo che utenti ed esperti dei settori marketing e tecnologia assistano ai test, ma senza intervenire. Ogni difficoltà incontrata dai potenziali utenti costituisce una sfida per il team di sviluppo, non un'accusa verso i suoi componenti, e neppure il riflesso della scarsa intelligenza degli utenti. Il team di sviluppo deve trovarsi di fronte a continue sfide. | << | < | > | >> |Pagina 250Tecnologie dirompentiLa maggioranza dei settori tecnologici presenta un modello evolutivo che attraversa svariate generazioni. Gran parte di essi presenta uno sviluppo a carattere incrementale che offre tecnologie più efficienti per svolgere lo stesso lavoro all'interno del vecchio paradigma. Altri invece sono dirompenti, nel senso che cambiano l'intero corso industriale. Tali cambiamenti, dirompenti e rivoluzionari, sono quelli che trasformano la vita della gente e che creano le maggiori difficoltà per le aziende. La trasformazione dall'interno di un settore industriale non è mai facile. Dopotutto qualsiasi industria ha acquistato fiducia in sé: è grazie a tale fiducia che è riuscita a raggiungere il successo. Ogni nuovo approccio prende avvio sotto tono, in sordina. Ciò vale per tutti i nuovi sviluppi tecnologici, cioè quelle che vengono chiamate tecnologie dirompenti. Il fonografo è passato dai cilindri ai dischi, dalle macchine acustiche a quelle elettroniche dotate di amplificatori a valvole e motori elettrici. Lo standard in uso è passato da 78 giri al minuto a 33 giri (per la precisione, 33 1/3) e poi a 45 giri, con una lotta iniziale senza quartiere tra questi ultimi due "standard", fino a quando entrambi hanno trovato la propria nicchia di mercato. Col passare degli anni il settore fonografico ha subito trasformazioni talmente drastiche al punto che oggi non gli diamo neppure più questo nome: oggi si tratta dell'industria discografica, la cui tecnologia utilizza supporti su nastro e varie forme di compact disc (CD, mini-CD, DVD). Tutte queste trasformazioni sono state di natura incrementale, in quanto non hanno modificato il carattere di fondo della tecnologia e del mercato. La radio ha rappresentato una trasformazione dirompente e rivoluzionaria: riuscì quasi a dare il colpo di grazia all'industria fonografica. Prima dell'avvento della radio, l'unica possibilità per ascoltare a casa musica e altre forme di intrattenimento era il fonografo e, di conseguenza, quasi ogni famiglia ne possedeva uno. Invece con la radio era possibile ascoltare concerti, notiziari e diversi tipi di intrattenimento per ore e ore, per di più gratis. Il settore fonografico subì un netto declino. Quale fu la reazione di quest'ultimo di fronte all'arrivo della radio? Prese forse atto della minaccia che essa costituiva e agì di conseguenza per difendersi? Niente affatto. Una volta resasi conto che la sua vera funzione era di intrattenimento, con l'aspetto tecnologico in secondo piano, l'industria fonografica avrebbe dovuto cercare di introdursi nel settore radiofonico. Invece non solo non tentò di far fronte alla minaccia, ma non ci fece neppure caso. Fu Thomas Edison ad affermare che, per quanto gli risultasse, la radio "non aveva alcun futuro commerciale".
Si tratta di reazioni tipiche di fronte a tecnologie rivoluzionarie,
dirompenti. Si può attingere a una vasta collezione di dichiarazioni
di questo tipo. Eccone alcune.
- Edison respinse la radio dicendo: "non ha alcun futuro commerciale". - La Western Union bocciò il telefono: "Non sarà mai più di un giocattolo. Questo 'telefono' presenta troppi difetti per essere seriamente considerato un mezzo di comunicazione. L'apparecchio non offre alcun valore intrinseco." (Memorandum interno della Western Union, 1875). - Nei primi anni '20, David Sarnoff incitò i suoi soci a investire nel settore radiofonico. Essi replicarono che "questa scatola musicale senza fili non ha nessun valore commerciale immaginabile. Chi sarebbe disposto a pagare per ascoltare un messaggio rivolto a nessuno in particolare?" In seguito Sarnoff divenne presidente della RCA, che alla fine acquistò la più grande azienda fonografica, la Victor. - Thomas J. Watson Senior, fondatore e presidente dell'IBM, respinse il computer (Watson Junior invece perseverò). - L'impiego del computer nel mondo degli affari venne percepito come un fenomeno passeggero. Nel 1975 un redattore che curava libri di carattere aziendale presso la casa editrice Prentice Hall dichiarò: "Ho attraversato il paese in lungo e in largo, ho parlato con la gente più edotta, e posso assicurarvi che l'informatica non è che una moda passeggera incapace di resistere oltre la fine dell'anno". - Qual è il futuro del computer? "Non vedo alcuna ragione per cui qualcuno possa volere un computer in casa", dichiarò nel 1977 Ken Olson, presidente e fondatore della Digital Equipment Corporation. Per essere onesti nei riguardi di Ken Olson, circa trent'anni fa trascorsi una serata con alcuni tra i più eminenti specialisti di computer science cercando di capire per quale motivo la gente potesse mai volere un computer in casa. Tutti noi, io compreso, non riuscimmo a trovare una motivazione convincente. Naturalmente noi, gli addetti ai lavori, volevamo il computer in casa, ma non ci venne in mente quale impiego avrebbe potuto interessare la gente comune. Tra le migliaia di possibilità a cui non pensammo c'erano i videogiochi. Per quanto concerne Internet, naturalmente noi la usavamo per condividere programmi, dati scientifici, relazioni, messaggi di posta elettronica, ma cosa c'entrava tutto ciò con l'individuo medio? (Questo avveniva parecchi anni prima dell'avvento dei browser grafici; usavamo strumenti astrusi come Telnet, programmi a riga di comando e FTP, oggi nascosti elegantemente dietro le rassicuranti immagini e collegamenti ipertestuali tipici dei browser grafici.) - La Kodak bocciò la macchina fotografica Polaroid inventata da Land (sborsando più tardi alla Polaroid molti milioni di dollari per copiarne il brevetto). - La stessa Kodak mancò di prendere in considerazione la fotocopiatrice Xerox. - La Apple Computer non diede importanza al browser Mosaic, dopo aver contribuito a sovvenzionarne lo sviluppo presso il Supercomputer Center della University of Illinois. Si valutò che non potesse avere alcun valore commerciale. - Steve Jobs e Steve Wozniak portarono il loro computer fatto in casa alla Hewlett-Packard per cercare di convincerla a trasformarlo in un prodotto commerciale. La HP bocciò la proposta, e così i due decisero di fondare la propria azienda: la Apple Computer.
- "È impossibile far volare una macchina più pesante dell'aria," affermò nel
1895 Lord Kelvin, presidente della Royal Society. Non per dire, ma si trattava
del famoso Lord Kelvin che aveva dato il nome all'omonimo termometro e che, nel
1866, aveva fatto da supervisore alla posa in opera dei primi cavi stesi sotto
l'Atlantico.
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