Autore Sante Notarnicola
CoautoreMarco Perroni [disegni]
Titolo L'anima e il muro
EdizioneOdradek, Roma, 2013 , pag. 192, ill., cop.fle., dim. 22x22x1,3 cm , Isbn 978-88-96487-29-7
CuratoreDaniele Orlandi
PrefazioneDaniele Orlandi
LettoreCristina Lupo, 2014
Classe poesia italiana , paesi: Italia: 1960












 

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Indice


Il secolo breve di Sante Notarnicola
di Daniele Orlandi                                           3

Bibliografia essenzale                                      39
Note ai testi                                               41

"Tentammo di gettare l'anima al di là del muro..."
Poesie (1955-2012)                                          45

Dopo la Grande Svolta                                      147


 

 

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Il secolo breve di Sante Notarnicola
di Daniele Orlandi



                                                    Se comprendere è impossibile,
                                                          conoscere è necessario.

                                                                       Primo Levi



1.

Maggio 1988. Cuneo. Perché è stata rimandata la decisione? Per integrare la documentazione, ha stabilito il Tribunale di Sorveglianza. In realtà si tratta di una perplessità del Giudice che scrive: "[...] Vero che i vecchi rapporti sul comportamento del condannato lo definiscono di condotta pessima. Ma [...] dal 1978 ha mostrato una netta inversione di tendenza [...] Nel corso della lunga carcerazione si è particolarmente distinto per il suo impegno culturale: ha scritto dei libri e in base all'avvenuta politicizzazione, ha mutato radicalmente anche il suo modo di vita".

Quale la ragione che lascia interdetto il magistrato? Il detenuto non ha mai chiesto "permessi".


Benché egli stesso si ritenga «un ragazzo con poca cultura, tanta buona volontà [...] e basta», nel trentennio abbondante in cui è stato ospite sgradito delle patrie galere, Sante Notarnicola classe 1938, tarantino emigrato a Torino ma anche a Milano, a Genova, in Toscana, in Sicilia, in Sardegna, di nuovo in Puglia... tante cittadinanze quanti furono i toponimi della sua reclusione ha scritto molto: prosa, poesia, articoli, lettere private e politiche, "fogli di lotta". Arrestato il 3 ottobre 1967 quale componente della famigerata Banda Cavallero e condannato all'ergastolo, è stato suo malgrado capostipite di quel grosso ramo della moderna letteratura carceraria che potremmo definire "Novecento armato". Un sottogruppo, riconoscibile e separato, del vasto genere autobiografico che non è stato ancora oggetto di critica accademica, pur avendo costituito la fonte di numerosi studi storici, sociologici, pedagogici. Non stupisce il motivo di tale indifferenza. Il ventennio 1969-1989, definito per i primi dieci via via "anni di piombo", "anni degli opposti estremismi", "anni del terrorismo" è costato al paese centinaia di morti e migliaia di feriti, determinando una serie di misure emergenziali fuori della costituzionalità. A oggi, questo bollettino resta un trauma non sufficientemente elaborato nell'inconscio nazionale. Siamo di fronte a «un rimosso sociale tra i più coriacei della storia recente», un periodo che appare instoricizzabile a causa di emozioni fisse agli anni dello scontro.

Sulla base di questa immodificabile realtà, sottolineare gli aspetti artistici delle opere di uomini e donne per lungo tempo considerati nemici pubblici, non vuol dire esaltare i "cattivi" della storia o simpatizzare col loro passato sanguinoso. Molti percorsi di militanza e galera sono divenuti libri che hanno per lo più generato indignazione, anche quando si è trattato di testi letterariamente complessi. «Alla richiesta di legittimazione umana», si scriveva emblematicamente ancora nel 2005, «si affianca quella politica: richiesta che, per evidenti motivi di opportunità, si risolve spesso in un ambiguo "avevo torto ma avevo ragione", e alla fine ne esce solo una narrazione ambigua, irrisolta, impossibile». Non si teneva conto del panorama piuttosto eterogeneo di questi autori, anzitutto composto da coloro che vissero la scelta della dissociazione e dai cosiddetti "irriducibili", sia pure ormai su posizioni non violente. Differenza che per prima cosa si traduce in più anni di carcere — talvolta il doppio — che inevitabilmente si riversano sulle pagine, sul significato e sui toni della scrittura dietro le sbarre.


sobillatore
sovversivo
rivoltoso
nappista
brigatista
terrorista
irrecuperabile.
Mi pareva di avere percorso
tutto l'arco della trasgressione.
Non è così. Di recente
hanno coniato un'altra categoria:
irriducibile,
e il carceriere ha dato una triplice
mandata al blindato della mia cella.
(marzo 1985)



Quando e se si farà la storia della letteratura dagli anni di piombo (fatta di memoriali, poesie, romanzi, racconti), questa distinzione sarà imprescindibile. Notarnicola appartiene, giocoforza, alla seconda categoria. Da rapinatore, in carcere divenne un detenuto politico. Contribuì in modo decisivo a creare quella sorta di sindacato autonomo dei detenuti che fu il movimento delle carceri (la cosiddetta "libertà di lottare"), conobbe lo Stato Maggiore degli anni di piombo, si confrontò con la maggior parte delle organizzazioni armate del tempo, dalle Br ai Nap a Prima Linea ma restando autonomo dalla "disciplina di partito", organizzatore senza organigramma, militante senza sigla. Già dal 1972 scriveva: «Non rimpiango di essermi ribellato contro i padroni, rimpiango di averlo fatto fuori tempo, in modo sbagliato». (EI, p. 15)

A una riuscita editoriale dei diari degli anni Settanta non ne corrisponde un serio dibattito né una sistematica analisi filologica o storico-letteraria. Si potrebbe citare un giudizio tranchant apparso all'indomani dell'uscita della seconda raccolta di poesie di Notarnicola: «Come tutti i libri dei poeti non "laureati", anche questo è stato praticamente ignorato dalla critica ufficiale», per lo più a causa di quel peculiare amalgama di forma e di un contenuto per sua natura "ribelle". Il nome di Sante Notarnicola poeta e scrittore compariva infatti solo brevemente accennato e con qualche imprecisione nel Dizionario degli autori Einaudi di Alberto Asor Rosa, a suo modo già un piccolo riconoscimento. È fatale: dopo aver sacrificato tutto alla politica rivoluzionaria e aver suddiviso il mondo in aguzzini e vittime, si vorrebbe oggi che questa letteratura scontasse lo stesso manicheismo ma rovesciato, come sulla tomba del suonatore Jones, nell' Antologia di Spoon River, dov'era scritto: «E se la gente sa che sai suonare / suonare ti tocca, per tutta la vita». Nondimeno, le cose si complicano quando al racconto degli anni illegali segue quello della galera, «tra chi non ne conosce le torsioni di corpo e anima [...] racconto impossibile e infecondo», com'è stato scritto. Al tempo del delitto segue quello del castigo e la scrittura si assume l'incarico di demiurgo in una vita in condizioni estreme. Nelle prigioni fatiscenti degli anni Sessanta o nei luciferini "speciali" del decennio successivo, in un saldo finale destinato a non tornare o, nella migliore delle ipotesi, la cui sommatoria è uguale a zero.

All'alba di questa letteratura stanno le poesie di Sante Notarnicola e lo spaccato di una generazione in lotta – quella che precede il connubio sessantottino tra studenti e operai – che è L'evasione impossibile, insieme autobiografia e preromanzo, memoriale e manifesto politico, edito da Feltrinelli nel 1972, nella collana «Franchi Narratori», con la prefazione figlia dei tempi dell'allora direttore di «Lotta continua», Pio Baldelli:

Notarnicola, ha sbagliato, nessuno lo nega: la chiave politica dell'errore ce la offre lui stesso: ma certamente non ha nessuna colpa che possa essere giudicata e rimproverata dai tribunali dello Stato, e da un potere che si fonda sulla sopraffazione, sulla violenza, sulla rapina e sulla frode. (EI, p. XVI)

Piergiorgio Bellocchio tra i primi recensori ne parlava come di un libro e una vita che sembrano fatti «apposta per ispirare a narratori, psicologi, sociologi, cineasti, pagine e immagini più o meno suggestive, più o meno intelligenti» e poneva l'accento sulla parte centrale come resoconto di un «periodo assurdo e disperato, non tanto per i rischi che le rapine comportano, ma perché segna la rottura con l'organizzazione politica e un allontanamento dalla sua classe». Mario Spinella, su «Rinascita», pur riconoscendo a questo primo libro di una lunga serie un «contenuto di attiva fierezza», non mancava di considerare nel complesso «squallida» l'adornata vicenda di Notarnicola, da proletario a rapinatore. Era la marcatissima distanza di un Partito abituato a emarginare i dissidenti interni e/o i fuorusciti come prassi politica: espressioni come «la elementarità del giovanissimo immigrato» ne sono la prova. La quarta ristampa, per Odradek nel 2005, sarà prefata — con tutt'altri colori e accenti — da un altro protagonista di quegli anni, lo scrittore Erri De Luca, per il quale Notarnicola

è rimasto Sante, un compagno a parte [...] Sono quelli che si sono alzati per ultimi dalla tavolata in fuga, sono gli acciuffati dall'oste, sbattuti alla risciacquatura fino all'età anziana. Chi vuole conoscere il millenovecento italiano deve sfogliare gli anni settanta. Questo libro, in quello scaffale è inevitabile.

Se questo testo inevitabile, non solo per lo studio di quella storia ma anche e soprattutto per l'influsso esercitato sugli altri scritti dal carcere, ha avuto poche edizioni, la più cospicua e continuativa produzione di Notarnicola, quella in versi, è ormai introvabile. Il suo primo editore fu lo svizzero Eco-Verlag (Zurigo) che pubblicò la raccolta Attica & andere Gedichte nel 1978. Molta di questa produzione è andata perduta nella quotidianità della prigione, per sua natura contraria a forme di proprietà personale o di conservazione. Sparita dai cataloghi editoriali, resta qua e là in sperduti esemplari, difficilmente reperibili, in qualche grande biblioteca o in collezioni private. Già negli anni della loro apparizione, i volumi restavano precauzionalmente occultati nei retrobottega di poche librerie, mentre oggi gli editori di Notarnicola non ci sono più. Parliamo di contro-editoria, come il "Collettivo Senza Galere" che pubblicò nel 1979 la prima raccolta, Con quest'anima inquieta, o Giuseppe Maj, teorico dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo), editore per cui uscì nel 1986 La nostalgia e la memoria. Attive sono invece le Edizioni della Battaglia, per cui venne pubblicato Materiale Interessante nel 1997 a cura di Pino Cacucci. Sempre per i tipi di Odradek, nel 2001 è uscito un volume collettivo, Mutenye. Un luogo dello spirito, con finalità benefiche per Emergency agli inizi della guerra in Afganistan. In questo libro, che ruota intorno all'osteria bolognese gestita da Notarnicola, si possono leggere una manciata di poesie scritte in occasioni diverse, dopo la sua definitiva uscita dal carcere. Il resto è silenzio, a conferma di come spesso nel mondo dei libri non esista nulla di più inedito dell'edito.

Da qui: dalla necessità di "manutenere" una memoria esorcizzata che invecchia insieme ai suoi portatori; mettere un primo tassello per una futura storia letteraria di questo periodo; da una bibliografia fortunosa che si fa su pochi ritagli di giornali e dalla convinzione che Notarnicola innervi un notevole lirismo (in un contesto di cattività in cui la lirica costava cara) sul tronco di una poesia agonistica, è nato questo libro. Una fusione di alcuni suoi classici irreperibili con poesie inedite, a costituire una sorta di autobiografia in versi del poeta-detenuto, del militante e dell'ex bandito, nella doppia accezione di appartenente a una banda e proletario messo al bando dai primi meccanismi capitalistici del dopoguerra.


    Sulla tomba di mio nonno
    c'è scritto:
    "Eroe, morto per la patria".
    Sulla tomba di mio padre c'è scritto:
    "Eroe, morto per la libertà".
    Sulla tomba di mio zio
    c'è scritto:
    "Eroe, morto per il lavoro".
    No, imbecille, sulla mia tomba
    scriverai: "Bandito!".

                            (marzo 1970)

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Pagina 8

2.


Si abbassarono le sbarre del passaggio a livello. Arrivarono delle macchine. Poi si fermò una 1100, scesero dei carabinieri, più in là c'era un gippone, si avvicinarono al casello con i mitra spianati. Lui (Pietro Cavallero, ndr) sentì dei rumori, mi chiese cosa fosse. «Niente», risposi. «Contadini». Pochi secondi, un lampo, il riflesso di tanti anni di addestramento a combattere in sincronismo, l'istinto di avvertirlo, tentare la sorte, ancora una volta. Poi immediatamente la stanchezza, il rifiuto, il distacco psicologico ebbero il sopravvento. «Basta, questa volta basta, sono affari suoi, io non c'entro in questa sua guerra privata...». E tacqui. Pochissimi secondi, il rumore degli scarponi nella stanza di sotto, poi su per la breve rampa di scale. Balzò, convinto che fossero dei contadini, mi guardò, vidi una luce di stupore e poi di allarme nei suoi occhi. Girò lo sguardo e si trovò la canna del mitra davanti. Tutto era veramente finito. Dietro il carabiniere sbucò il vecchio maresciallo. Mi guardò. «Tu chi sei?». «Sante Notarnicola, ...bandito!». (EI, p. 106)


Pochi anni dopo, a una simile domanda i rivoluzionari avrebbero risposto col più solenne "mi dichiaro prigioniero politico". Come scrisse Giorgio Bocca, «il segno c'era nella storia di Cavallero e di Notarnicola, ma solo Notarnicola gli resterà fedele passando in carcere nelle file della lotta armata». Pur se non è esatto chiamarlo brigatista, poiché non entrò mai a far parte delle Brigate Rosse o di altre organizzazioni armate, quel "segno" fece di Notarnicola un precursore di tante cose: degli espropri proletari, del Sessantotto, dell'idea di guerriglia urbana (italiana ed europea – la RAF tedesca, alle cronache Banda Baader-Meinohf, nasce nel 1970), del movimento delle carceri, dell'antagonismo a oltranza, della poesia politica del dopoguerra. Di gran parte di ciò che oggi diamo per scontato parlando di anni Settanta. Iniziò con un passato premonitore, almeno nelle intenzioni, e sfociò, a conti fatti, in rapine a mano armata dai risvolti tragici e, agli occhi della pubblica opinione, assolutamente impolitici. Lo ammette egli stesso: «Forse abbiamo continuato la Resistenza, forse abbiamo anticipato le Brigate Rosse, vallo a sapere». Ma dentro uno scontro sociale così vasto e duro, sarebbe stato, vien fatto di chiedersi – il Sante Notarnicola che oggi racconta mite quell'angoscioso ieri durato mezza vita –, capace di mirare e sparare per uccidere? Inenarratum quaestio, evidentemente.

Quella di Notarnicola è una storia che appartiene forse a una fase remota: «Sono entrato in galera che avevo 11 mila lire in tasca», scrive, «e ne sono uscito con un biglietto dell'autobus. La vita. Ma mi sono salvato». Mescola miti resistenziali e politica rivoluzionaria, sangue e violenza, tradimenti e rappresaglie, catene e isolamento, durezza e poesia. Speranza poca, e non certo per se stesso, convinto ormai di morire all'ergastolo. Una vicenda biografica fatta in parte di dolorose antinomie, in parte di svilenti conseguenze sullo sfondo di un ferreo determinismo. Una storia che si snoda in tre capitoli legati insieme dal filo rosso di un' "anima inquieta" che attraversa quarant'anni di vita italiana, di cronaca nera, giudiziaria e culturale. La giovinezza di militanza operaista tra anni '50 e '60 terminata nel vortice delle rapine; il carcere e il coronamento di un'attitudine ribelle e la scoperta della poesia. Infine, una ruvida libertà riconcessa al termine di un'epoca storica. Seguita da un ruolo di attivo testimone in incontri, interviste, convegni e mille e mille conversazioni private al Mutenye, quel pub "movimentato" punto di raccolta di pensieri e notti, nella storica via del Pratello a Bologna: «Se gli studenti devono fare una tesi sul carcere o sono interessati agli anni '70 vengono a discuterne con me, io presto loro dei libri. Non scrivo più tanto, ma se mai andrò in pensione, potrei radunare i tanti pensieri che ho chiuso in un cassetto».

Dagli anni Settanta ai primi anni Ottanta. La morte del Che Guevara appresa sui ritagli di giornale nel bagno alla turca di San Vittore. Il Sessantotto, Piazza Fontana e "il romanzo delle stragi". Le Br, Moro, il Riflusso, il passaggio dall'Eskimo al Moncler. Una storia che Notarnicola ha vissuto in tutte le sue contraddizioni, nei momenti eroici e in quelli deprecabili, ma da un osservatorio insieme privilegiato e scomodo come la galera. Un non-luogo, un buco esistenziale, per dirla con Hegel, che amplifica e ovatta, focalizza e distorce, illumina e rabbuia. Da dietro il cordone sanitario delle sbarre, ha visto lo "sviluppo senza progresso" del paese, il vetro delle bottiglie di vino mutarsi in triste tetrapak per improbabili eucarestie. Notarnicola ha scontato vent'anni, otto mesi e un giorno di carcere totale — di cui undici anni nella variante degli "speciali" —, poi la lunga dissonante semilibertà e la condizionale. Ha lavorato in una cooperativa di ex detenuti nel sotterraneo di un grande magazzino, piegando e accatastando cartoni. Alle nove di sera il rientro in cella: le sue regole d'ingaggio. Al ritorno nel consorzio civile è stato una "mina vagante" in un sistema che faticava a riconoscere e si è salvato grazie a uno spazio di affetti mantenuti a caro prezzo fin dagli anni del carcere più nero. Quando, nel Duemila, lo Stato gli restituisce definitivamente il passaporto, gran parte delle frontiere europee sono abolite. Interrotto bruscamente e poi distillato goccia a goccia, il secolo "breve" e lunghissimo del sessantenne Notarnicola era finito, quasi interamente visto "dall'altra parte": del tempo, della gente, della Storia di cui ha cucito e scucito ogni risvolto. «Imprigionati qui», scriverà in una delle sue poesie più politiche, «noi viviamo, sapete...» (NM, p. 154).

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Pagina 19

Il circuito rimaneva cieco: violenza estremista contro violenza "socialdemocratica". Negli anni peggiori, tra il '77 e l'83, la risposta furono dieci agenti e tre magistrati morti. La Legge Gozzini, del 1986, sancirà una situazione di fatto: il fenomeno del pentitismo e di quel singolare concetto giuridico trasformatosi poi in vero e proprio movimento politico che passerà alla storia come "dissociazione" produrrà arresti in massa. Insieme alla polverizzazione dell'organizzazione (Br, Br-Pg, Br-PCC, UCC...) determineranno il passaggio dall'attesa di «quando sarebbe giunto il momento» (EI, p. 150) alla «idea che ormai non avremmo più vinto». La scontro continuerà almeno fino alla fine degli anni Ottanta ma saranno ultime artigliate di un periodo terminale che Notarnicola intimamente definiva la Grande Svolta.

È in questo contesto che Sante Notarnicola avrà il privilegio di scambiare una lettera con Primo Levi, autore da lui molto amato, al quale aveva spedito, tramite l'amica comune Bianca Guidetti Serra, la raccolta di poesie Con quest'anima inquieta. Levi risponderà il 5 settembre 1979.


Caro Notarnicola,

ho ricevuto le tue poesie solo adesso, alla riapertura degli uffici di Einaudi presso cui giacevano. Le ho subito lette con partecipazione intensa.

Tu mi conosci quanto basta per sapere che io non sono d'accordo né con l'introduzione del volume né con la premessa. La tua dedica mi ha toccato, e te ne ringrazio, ma non posso accettare l'equiparazione del carcere coi Lager: So bene (e i tuoi versi ne rendono tremendamente l'angoscia) quanto sia duro essere privati della libertà, ma in Lager questa era l'ultima delle sofferenze, percepibile solo nelle poche ore di tregua: prima venivano la fame, il freddo, la fatica, l'isolamento, la morte intorno. In Lager, solo ad Auschwitz, morivano 10000 persone al giorno, e queste non avevano commesso altra colpa se non quella di esistere. Il Lager non era una punizione: non c'era traccia di giustizia, neppure di quella giustizia borghese che tu, a ragione o a torto, rifiuti, e che certo, nel tuo caso, non sa riconoscere quanto tu sia migliore delle tue teorie, e quanto sproporzionata la misura della pena a quella della colpa.

Detto questo, devo subito aggiungere che le tue poesie (alcune, come sai, le conoscevo già) sono belle, quasi tutte: alcune bellissime, altre strazianti. Mi sembra che, nel loro insieme, costituiscano una specie di teorema, e ne siano anzi la dimostrazione: cioè, che è poeta solo chi ha sofferto o soffre, e che perciò la poesia costa cara. L'altra, quella non sofferta, di cui ho piene le tasche, è gratis. Memorabile fra tutte, addirittura miracolosa per concisione e intensità, è Posto di guardia. Ti ringrazio per avermele mandate: le rileggerò, le fàrò leggere e ci penserò sopra. Pensaci sopra anche tu: forse lo scrivere è il tuo destino e (in molti sensi) la tua liberazione.

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Pagina 56


Il guardiano delle macchine


Venni dal sud
con la mia valigia di cartone.

Il padrone gettò al volo cinquanta lire
al guardiano delle macchine:
"Tieni ragazzo, divertiti!".
Le cinquanta lire rotolarono
sull'asfalto e si fermarono
vicino ad un tombino.
Soddisfatto il padrone
entrò nell'Hotel con la sua puttana.
Guardai la moneta, allungai il piede,
la spinsi nel buco.

Pioveva. Lunga, lunga la strada
per la periferia. Quella sera
non presi il tram,
mi mancavano... cinquanta lire.

Venni dal sud
con la mia valigia di cartone.

(S. Vittore, 25 marzo 1970)

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Pagina 82


I miei amici sardi


Abbassammo tutta la linea
del bicchiere
e la vernaccia scivolò
sul formaggio forte.

E impastate
uscirono le parole, dure
alle orecchie mie
forestiere.

Poi, si fecero più nette:
storie di latitanze
di briganti e di lecci
con l'acqua che lambiva
la pietra morta.

Fu il più vecchio
che infine disse,
deciso come un punto
fermo: Antonio Gramsci!

(Procida, 10 ottobre 1972)

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Pagina 88


Esausto


Uno squarcio
di libertà
da invocare
su strade
con angoli
troppo acuti.

È sempre
urgente, l'urlo
di grandi voglie
di sterminati prati
di sterminati cieli
di sterminata calma.

(Favignana, 1 dicembre 1973)

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Pagina 95


Sdegno


Che luna, stanotte,
amore mio.

Inteneriti
sono gli angoli
delle strade
e
ad ogni paracarro
è seduto il dolore.

Sdegnata notte,
dunque, non passi mai?

(Favignana, 29 settembre 1974)

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Pagina 146


Bilancio


Cominciò tutto diciotto anni fa.
Era il settembre
del millenovecentosessantasette.


Mostro, scrissero i giornali,
e la sentenza: bandito.


Poi l'ergastolo e la cartella
biografica su cui i carcerieri
tutt'oggi scrivono: sobillatore
                    sovversivo
                    rivoltoso
                    nappista
                    brigatista
                    terrorista
                    irrecuperabile.


Mi pareva di avere percorso
tutto l'arco della trasgressione.
Non è così. Di recente
hanno coniato un'altra categoria:
                    irriducibile,
e il carceriere ha dato una triplice
mandata al blindato della mia cella.


(Palmi, marzo 1985)

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Pagina 165


Consummatum est


A P. Levi


È stato freddo e feroce
l'inizio di questo aprile
deturpato dai silenzi
che
    scuotono-inseguono
e ci riportano
i ricordi originali
quando: leggendo il possibile,
tutti quanti ci schierammo.


Auschwitz, le fine dell'infanzia:
un'ombra lunga sui giochi
interrotti e mai più ripetuti.


Ma rimane il ricordo
del gallo di metallo: trafitto
dalla banderuola di latta
che vibrava al soffio del vento,
e
questo aprile così duro
ha il colore dello sterrato,
tarda a passare e ci costringe
spalle al muro al silenzio,
perché tutto possa consumarsi.


(Aprile 1987)

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Pagina 179

Rumori di catene, sedie spostate, avvocati, segretarie bellocce...

L'avv. Guidetti Serra mi vede. Veste un completo rosso e ricevo il primo sorriso del giorno, misurato, ma è un sorriso.

"Mi riconosce? Ho tutti i capelli bianchi".

"Che dice, non è cambiato".

Perdono la bugia. Lei si piega sulle carte.

"Potrei uscire di prigione, ma non è obbligatorio. Devo tutelare identità e dignità".

Dico frettolosamente. Estraniato penso:

Non ho niella da vendere. Ci ho messo 50 anni a diventare comunista. E 20 anni 8 mesi ed 1 giorno di prigione. E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E cinque anni di celle punitive. E la posta censurata. E i vetri divisori ai colloqui (per 3 anni non ho potuto accarezzarti, Severina). E le cariche dei carabinieri nei cortili delle prigioni. E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame all'Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a Cala d'Oliva. E i racconti dei torturati. E i colpi contro le porte per non farti dormire. E i colloqui respinti senza un motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del vicino di cella. E i vivere col cuore in gola. E la pressione che sale. E il cuore che senti ingrossare. E il compagno che se ne va con la testa. E le divisioni a cinque unità nei cortili. E le rotture politiche. E le divisioni che teoricamente avrebbero dovuto rafforzarci. E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui. E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica. E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti. E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra i compagni. E le demolizioni personali. E la disgregazione umana. E le perquisizioni anali. E le sei diottrie perse. E l'assalto coi cani nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa dei dissociati. E l'isolamento politico. E l'isolamento umano. E la piorrea che avanza. E gli anni che passano. E i silenzi, i silenzi, i silenzi...

"Questo, tutto questo ho pagato. Questo è altro ancora ho da difendere".

"Capisco", dice la Guidetti Serra.

[...] Erano le 19 del 25 luglio 1988. Alle 19 precise varcai il portone della prigione

[...] E una sola insicurezza, nell'attraversare una strada. (MI, p. 10)

"[...] Lei mi chiede se la lunga detenzione mi ha lasciato qualche segno particolare. Ebbene c'è una cosa che si è accentuata parecchio e credo sia una conseguenza, perdo il filo del discorso, mi succede molto spesso".

E sorride, mite.

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