Copertina
Autore Amélie Nothomb
Titolo Mercurio
EdizioneVoland, Roma, 2002 [2000], Amazzoni 13 , pag. 122, cop.fle., dim. 145x205x9 mm , Isbn 978-88-86586-96-2
OriginaleMercure
EdizioneAlbin Michel, Paris, 1998
TraduttoreAlessandro Grilli
LettoreAngela Razzini, 2004
Classe narrativa francese
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Pagina 9

Diario di Hazel



Per abitare in quest'isola bisogna avere qualcosa da nascondere. Sono sicura che il vecchio ha un segreto. Non ho idea di cosa potrebbe essere; a giudicare dalle precauzioni che prende, parrebbe una cosa seria.

Una volta al giorno una barca lascia il porto di Nodo e arriva a Morte Frontiere. Gli uomini del vecchio aspettano al molo; le provviste, l'eventuale posta e la povera Jacqueline vengono perquisiti. È lei che me l'ha raccontato, reprimendo a fatica lo sdegno: di cosa la possono sospettare, lei che è al servizio del vecchio da trent'anni? Mi piacerebbe saperlo.

Quella barca io l'ho presa una volta sola, ormai quasi cinque anni fa, per un viaggio di sola andata. Mi capita a volte di pensare che non ci sarà mai un ritorno.

Quando parlo fra me e me lo chiamo sempre il vecchio: non è giusto, perché l'età non è affatto la caratteristica principale di Omer Loncours. Il Capitano è l'uomo più generoso che io abbia mai incontrato; a lui devo tutto, a cominciare dalla vita. Eppure, quando la mia voce interiore si esprime in tutta libertà, lo chiama 'il vecchio'.

C'è una domanda che mi faccio di continuo: non sarebbe stato meglio per me morire cinque anni fa, nel bombardamento che mi ha deturpata?

A volte non posso impedirmi di dirlo al vecchio:

- Perché non mi ha lasciata crepare, Capitano? Perché mi ha salvata?

S'indigna sempre:

- Quando si ha la possibilità di non morire, restare in vita è un obbligo!

- Perché?

- Per i vivi che ti vogliono bene!

- Chi mi voleva bene è morto nel bombardamento.

- E io? Io ti ho amata come un padre fin dal primo giorno. Sei mia figlia da cinque anni.

Non c'è niente da ribattere. Però nella mia testa c'è una voce che grida:

"Se lei è mio padre, come osa venire a letto con me? E poi ha più l'età per essere mio nonno che mio padre!"

Non avrò mai il coraggio di dirgli una cosa del genere. Nei suoi confronti mi sento divisa in due: una metà di me che ama, rispetta e ammira il Capitano, e un'altra metà nascosta a cui il vecchio dà il vomito. Quest'ultima sarebbe incapace di esprimersi ad alta voce.

Ieri era il suo compleanno. Credo che nessuno sia mai stato così felice di avere settantasette anni.

- Il 1923 è un anno meraviglioso. Il primo marzo io compio settantasette anni; il 31 marzo tu ne avrai ventitré. Un mese fantastico, il marzo 1923, che ci permette di fare un secolo in due!

Questi cent'anni in comune che tanto rallegrano lui tendono invece a riempire me di costernazione. E, come temevo, ieri sera è venuto a trovarmi nel mio letto: era la sua maniera di festeggiare il compleanno. Vorrei che avesse cent'anni: desidero non tanto che muoia, ma che non sia più capace di venire a letto con me.

Quello che mi fa impazzire è che riesca a desiderarmi. Che razza di mostro bisogna essere per avere voglia di una ragazza il cui volto non ha più niente di umano? Se almeno spegnesse la luce! Invece, mentre mi carezza, mi mangia con lo sguardo.

- Come fa a guardarmi così? - gli ho chiesto stanotte.

- Vedo solo la tua anima, che è bella.

Questa risposta mi fa uscire di senno. È un bugiardo: lo so io quanto è brutta la mia anima, io che provo tanto schifo per il mio benefattore. Se l'anima mi si vedesse in faccia, sarei ancora più repellente. La verità è che il vecchio è perverso: è la mia deformità a ispirargli un tale desiderio nei miei confronti.

Ecco che la mia voce interiore ridiventa astiosa. Come sono ingiusta! Quando il Capitano mi ha raccolta, cinque anni fa, non aveva certo supposto che avrebbe finito col desiderarmi. Ero solo un relitto fra migliaia di vittime di guerra che morivano come mosche. I miei erano stati uccisi e io non avevo più nessuno al mondo: è un miracolo che mi abbia presa sotto la sua protezione.

Fra ventinove giorni sarà il mio compleanno. Vorrei che fosse già passato. L'anno scorso, per la stessa occasione, il vecchio mi aveva fatto bere troppo champagne; la mattina dopo mi sono svegliata sulla pelle di tricheco che uso come scendiletto, senza il minimo ricordo della notte. Non ricordare è ancora peggio. Cosa mi succederà per la ripugnante celebrazione del nostro centenario?

Non ci devo pensare perché mi fa stare male. Sento che sto per vomitare un'altra volta.

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Pagina 47

Il giorno dopo il Capitano la fece chiamare nel fumoir.

- Sono deluso, signorina, molto deluso. Mi ero ingannato sul suo conto.

L'infermiera impallidì.

- Avevo davvero fiducia in lei. Adesso però è distrutta per sempre.

- Non ho scusanti, signore. Avevo bisogno di soldi, per questo ho aperto i cassetti della scrivania.

Loncours la guardò con stupore.

- Ah, così ha anche frugato nella scrivania?

L'infermiera fu presa da un panico terribile, ma continuò a fare la parte della ladra:

- Speravo di trovarci dei soldi, o magari oggetti preziosi da rivendere. Siccome niente mi è sembrato di valore, non ho preso niente. Mi licenzi pure.

- Non se ne parla nemmeno. Al contrario.

- Ma se le dico che non le ho preso niente!

- Smetta di fare la commedia. Non sono i soldi quello che la interessa. Per fortuna sono andato a Nodo ieri; se no avrei ancora fiducia in lei.

- Ha preso informazioni sul mio conto?

- Non è stato necessario. Passavo per strada quando mi ha visto il farmacista: è uscito dal negozio per dirmi cose molto, molto interessanti. Così, pare che lei compri un termometro nuovo ogni giorno.

- E allora?

- E allora quel brav'uomo si è chiesto che cosa ci facesse lei con quel termometro quotidiano. Non poteva imputare la cosa alla sbadataggine. Rompere un termometro al giorno poteva essere solo intenzionale. Ne ha dedotto che lei stava cercando di avvelenare qualcuno col mercurio.

La donna rise:

- Io un'avvelenatrice?

- Il farmacista si è informato meglio e ha saputo che in questo momento lei stava dedicando a me le sue cure più assidue. Ha pensato che stesse tentando di assassinarmi. L'ho dissuaso dicendogli ogni bene di lei. Sfortunatamente per lei, sembra che mi abbia creduto.

- Sfortunatamente per me?

- Sì. Se avesse continuato a ritenerla una criminale avrebbe forse avvertito la polizia, che si sarebbe insospettita per la sua sparizione.

- Non c'è mica solo la polizia. La gente all'ospedale si chiederà qualcosa.

Il Capitano sorrise.

- Questo dettaglio è già sistemato. Ho annunciato stamattina alla sua superiora che ci saremmo sposati, e che non sarebbe più tornata a lavorare da loro.

- Cosa?

- Il bello è che quella ha esclamato: 'Lo dicevo io! Che sfortuna per me, e che fortuna per lei! Una persona così buona, bella e retta.'

- Mi rifiuto di sposarla.

Il Capitano rise.

- Davvero divertente. Stamattina ho perquisito le stanze della mia pupilla e nel bagno, in fondo a un armadio, ho scoperto i suoi altarini: la conca con il mercurio dentro. Non so se mi meraviglia di più la sua intelligenza o la sua stupidità. L'intelligenza, perché la trovata non è male: ogni giorno lei veniva perquisita dai miei uomini, che avevano ricevuto l'ordine di non lasciar passare nessun materiale riflettente. Ma chi poteva pensare al mercurio del termometro! Niente male nemmeno la trovata della conca per il finto clistere.

- Non capisco quello che dice.

- E cosa contava di fare con quel mercurio?

- Niente. Quando mi capitava inavvertitamente di rompere un termometro, per sicurezza, raccoglievo il mercurio in un recipiente.

- Molto spiritoso. Ne ha dovuti rompere più di dieci per avere tanto mercurio. Ed è qui che salta fuori la sua stupidità, o perlomeno la sua ingenuità: secondo lei quanti termometri bisogna rompere, per averne abbastanza da formare una vera e propria pellicola riflettente?

- Come faccio a saperlo?

- Almeno quattrocento. Ma Hazel non ha più febbre. Ho verificato: ce l'ho anch'io un termometro. E dica: non l'ha delusa constatare che il mercurio, lungi dal raccogliersi in un solo punto sul fondo del recipiente, si ostinava a restare disperso in goccioline? È una delle sue proprietà.

- A partire da una certa massa, questa proprietà sparisce.

- Mi fa piacere che lei smetta alla fine di negare i fatti. È vero, quella proprietà sparisce, a condizione che non ci si metta un anno e mezzo a riempire il recipiente. Perché il mercurio ha anche altre proprietà. Cara signorina, non ho davvero dubbi sulle sue qualità di infermiera, ma mi permetto di dubitare del suo talento per la chimica. Sono più di vent'anni che i fabbricanti di specchi hanno smesso di utilizzare il mercurio. In primo luogo perché non è indispensabile, ma soprattutto perché è molto tossico.

- Nascosto in fondo a un armadio, non poteva far male a nessuno.

- A nessuno tranne che al recipiente, cara mia. Fra un mese o due la ceramica della conca sarebbe stata intaccata, liberando così le sue preziose scorte. E tutti i suoi sforzi sarebbero andati distrutti. Quando se ne fosse accorta, avrebbe avuto una crisi di nervi.

- Non sono tipo da crisi di nervi. E poi, lei non è del tutto sicuro di quello che sta affermando: la conca avrebbe anche potuto resistere. E se il farmacista non le avesse messo la pulce nell'orecchio, sarei riuscita nel mio scopo.

- Certo, bisogna essere proprio sempliciotti per credere di poter comprare un termometro al giorno senza attirare l'attenzione, e per più di un anno! Comunque non le ho ancora raccontato la parte più divertente. Di specchi me ne intendo.

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Pagina 54

Hazel rise.

- Non sono i suoi massaggi, Françoise, anche se non ho dubbi sulla loro efficacia. È proprio lei. È la sua presenza. Questo mi fa venire in mente un racconto indiano che ho letto quando ero piccola: un potente rajah aveva una figlia che adorava. Ma una malattia misteriosa colpì la bambina, che deperiva senza che nessuno capisse perché. Fecero venire i medici di tutto il paese con questo avvertimento: 'Se riuscite a guarire la principessa, sarete ricoperti d'oro. Se fallite, vi sarà tagliata la testa, per aver dato false speranze al rajah.' I più grandi dottori del regno sfilarono nella camera della bambina, ma non riuscirono a farla stare meglio e furono decapitati. Presto in India non ci fu più un solo medico vivo. Si fece avanti allora un ragazzo povero che dichiarò di voler curare la piccina. Le persone di palazzo gli risero in faccia: 'Ma se nella bisaccia non hai nemmeno una medicina o uno strumento! Stai andando incontro alla rovina!' Fecero entrare il ragazzo nelle lussuose stanze della principessa. Lui si sedette al suo capezzale e cominciò a raccontarle favole, leggende, storie. Era un narratore meraviglioso e il viso della piccola malata si illuminò. Qualche giorno più tardi era guarita: si resero conto che il male di cui aveva sofferto era la noia. Il ragazzo non la lasciò mai.

- È carino, ma il nostro caso è diverso: è lei a raccontarmi delle belle storie.

- È lo stesso: come le ho già detto, è l'interlocutore che fa nascere la conversazione.

- La aiuto ad ammazzare la noia, insomma.

- No. Non si può dire che io mi annoi. Ho accesso all'immensa biblioteca del Capitano e per mia fortuna adoro leggere. È di solitudine che soffrivo, prima del suo arrivo.

- Che cosa legge?

- Di tutto: romanzi, poesia, teatro, racconti. E rileggo: ci sono libri che sono ancora migliori a una rilettura. Ho letto sessantaquattro volte La Certosa di Parma, ogni lettura è stata più emozionante della precedente.

- Come si può leggere sessantaquattro volte un romanzo?

- Se lei fosse innamorata, vorrebbe passare una notte soltanto con l'oggetto della sua passione?

- Non sono cose che si possano paragonare.

- Sì, invece. Lo stesso testo o lo stesso desiderio possono offrire spunto a infinite variazioni. Sarebbe un peccato limitarsi a una sola, soprattutto se la sessantaquattresima è la migliore.

Ascoltandola, l'infermiera pensò che forse Loncours aveva ragione quando parlava del piacere della ragazza.

- Sarà che non sono colta quanto lei, - disse la massaggiatrice con una voce piena di sottintesi.


Due ore dopo il vecchio le ordinò di seguirlo.

- Beninteso, la mia pupilla ignorerà la sua presenza qui. Lei sarà reclusa nelle sue stanze, nell'altra ala della casa.

- E cosa farò del mio tempo, al di là delle due ore al giorno che passo al capezzale di Hazel?

- Sono fatti suoi. Ci doveva pensare prima di darsi alla fabbricazione di specchi.

- Sembra che lei abbia una grande biblioteca.

- Cosa le va di leggere?

- La Certosa di Parma.

- Sa che Stendhal ha detto: 'Il romanzo è uno specchio che si porta con sé lungo la via'?

- È l'unico tipo di specchio cui la sua pupilla ha diritto.

- Non ne esistono di migliori. Arrivarono a una camera in cui letto, poltrone e pareti erano tappezzati di velluto rosso scuro.

- Si chiama la stanza cremisi. Non è tanto il colore che mi piace: se l'ho scelto, è stato per via della parola, che mi piace, ma la vita non permette di utilizzarla spesso. Così ho l'occasione di pronunciarla. Grazie a lei, ne dovrò senz'altro fare un maggior uso.

- La mia camera di Nodo è luminosa. C'è una vera finestra con vista sul mare, non un lucernario irraggiungibile.

- Se vuole più luce, accenda le lampade.

- È la luce del sole che voglio. Nessuna illuminazione la può sostituire.

- Qui si preferisce la penombra. La lascio sistemarsi.

- Sistemarmi? Non ho bagagli, signore.

- Le ho preparato qualche vestito di ricambio.

- Avrò diritto anch'io al corredo di Adèle?

- Lei è alta e magra, dovrebbe andarle bene. C'è una stanza da bagno qui accanto. Un domestico le porterà la cena. E La Certosa di Parma, ovviamente.

Chiuse la porta a chiave e se ne andò. L'infermiera sentì gemere i gradini della scala. Dopo un po' rimase soltanto il rumore sordo delle onde.


Un'ora dopo un cameriere scortato da uno sbirro le portò un vassoio: brodo di aragosta, anatra all'arancia, babà al rum e La certosa di Parma.

"Che lusso! Cercano di riempirmi gli occhi," pensò. Ma non era abituata a mangiare da sola, e per questa ragione il cibo mediocre che divideva con le sue colleghe al refettorio dell'ospedale le sembrò più appetitoso.

Dopo il pasto si stese sul letto e cominciò il romanzo di Stendhal. Ne lesse parecchie pagine prima di lasciarlo: "Cosa potrà mai piacere a Hazel in queste storie di battaglie napoleoniche e di nobili italiani? A me sembrano noiose. Forse è perché non sono dell'umore adatto."

Spense la luce e si mise a pensare a un altro libro di cui Hazel le aveva parlato e che lei aveva letto: Il Conte di Montecristo. "Amica mia, il suo riferimento a quel romanzo era ben profetico: ormai eccomi qui, anch'io come lei prigioniera nel castello di If."

Si aspettava di soffrire d'insonnia. Al contrario, sprofondò in un sonno comatoso. Il giorno dopo fu svegliata da Loncours che le dava piccoli colpi su una mano. Lanciò un grido e fu rassicurata nel vedere dietro di lui il domestico che scambiava il vassoio della cena con quello della colazione.

- Ha dormito vestita, senza nemmeno infilarsi nel letto.

- Già. Non mi aspettavo di essere rapita da un sonno così fulmineo. C'era un sonnifero nel cibo?

- No, ha mangiato le stesse cose di noi tutti. Il fatto è che a Morte Frontiere si dorme bene.

- Sono davvero fortunata a essere ospitata in un simile paradiso. Perché è venuto? Avrebbe potuto mandarmi uno dei suoi uomini, se era solo per svegliarmi.

- Mi piace veder dormire le belle donne. Per un vecchio non c'è spettacolo più delizioso.

Fu di nuovo rinchiusa a doppia mandata. Dopo la colazione si coricò un'altra volta con La certosa di Parma. Con sua grande vergogna, continuava ad annoiarsi.

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Pagina 87

Françoise aspettò la mezzanotte. Quando il più profondo silenzio fu calato sul castello, si mise al lavoro.

- Vedremo adesso fin dove giunge il sottile potere della letteratura, il potere di liberare e di salvare, - sogghignò.

I mobili della stanza cremisi erano massicci e pesanti: l'infermiera riuscì a spostare solo la tavola dove prendeva i pasti, e la sistemò lungo una parete.

Come in tutte le stanze della casa, c'era un'unica finestra, collocata a un'altezza inaccessibile. Françoise sovrappose una sedia al tavolo: era ancora di gran lunga troppo basso per raggiungere l'apertura. Allora, come aveva previsto, utilizzò i libri.

Cominciò dai più larghi e spessi per ottenere una base stabile sulla sedia: le opere complete di Victor Hugo furono un ottimo materiale. Continuò con antologie di poesia barocca, ringraziando Agrippa d'Aubigné. Dopo Clélie della Scudéry fu la volta di Maupassant, senza che la brava edificatrice di muri si rendesse conto dell'enormità dell'accostamento. L'anacronistica scalinata coinvolse quindi san Francesco di Sales, Taine, Villon, Madame de Stael e Madame de La Fayette (pensava con piacere alla gioia di quelle grandi dame nel vedersi così ricongiunte), le Lettere di una monaca portoghese, Honoré d'Urfé, Flaubert, Cervantes, il Genji Monogatari, Nerval, i racconti elisabettiani di Lady Amelia Northumb, le Provinciali di Pascal, Swift e Baudelaire: tutto ciò che una ragazza d'inizio secolo, colta, sensibile e impressionabile, aveva il dovere di sfogliare.

Le mancavano appena uno o due volumi per arrivare alla finestra. Si ricordò di aver lasciato Carmilla e La Certosa di Parma nel cassetto del comò. La torre libresca raggiunse allora l'altezza necessaria.

"E adesso, se la pila crolla, vuoi dire che non c'è niente da sperare dalla letteratura," pensò.

La scalata fu perigliosa: senza le sue lunghe gambe e il suo senso dell'equilibro, non avrebbe avuto alcuna speranza: per affrontare il mondo dei libri, non c'è niente di meglio che avere i piedi ben saldi.

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