Copertina
Autore Amélie Nothomb
Titolo Il viaggio d'inverno
EdizioneVoland, Roma, 2010, Amazzoni 57 , pag. 96, cop.fle., dim. 14,5x20,4x0,8 cm , Isbn 978-88-6243-057-9
OriginaleLe Voyage d'hiver
EdizioneAlbin Michel, Paris, 2009
TraduttoreMonica Capuani
LettoreAngela Razzini, 2010
Classe narrativa francese
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Pagina 11

Negli aeroporti, quando passo al controllo, mi innervosisco come tutti gli altri. Non è mai successo che non facessi scattare il famoso bip. Così ho sempre diritto al pacchetto completo, mani maschili mi palpano dalla testa ai piedi. Un giorno non ho potuto impedirmi di dire loro: "Credete davvero che farei esplodere l'aereo?"

Pessima idea: mi hanno costretto a spogliarmi. È gente priva di senso dell'umorismo.

Oggi, passo al controllo e mi innervosisco. So che farò scattare il famoso bip e mani maschili mi palperanno dalla testa ai piedi.

Ma farò esplodere davvero l'aereo delle tredici e trenta.

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Pagina 23

Odio: la parola è tabù. Tra qualche ora un aereo esploderà a causa mia. Qualunque precauzione io possa prendere, ci scapperanno almeno un centinaio di morti. Vittime innocenti, lo scrivo senza ironia. Chi sono io per condannare l'odio provato dagli altri?

Ho bisogno di scrivere queste righe per me stesso: io non sono un terrorista. Un terrorista agisce in nome di una rivendicazione. Io non ne ho nessuna. Sono ben contento di distinguermi radicalmente da quella teppa che cerca un pretesto per il proprio odio.

Io odio l'odio, eppure lo provo. Conosco questo veleno che si inocula nel sangue con un morso e che infetta fino all'osso. Il gesto che mi accingo a compiere ne è la pura manifestazione. Se fosse terrorismo, inventerei per il mio odio un travestimento nazionalista, politico o religioso. Oso sostenere di essere un mostro onesto: non cerco di attribuire alla mia esecrazione una causa, uno scopo o un blasone di nobiltà. Attribuire a un dispositivo di distruzione un motivo, quale che sia, mi ripugna.

Da Troia in poi, lo hanno capito tutti: si uccide per uccidere, si brucia per bruciare, certi di trovare poi una legittimazione. Questo non è un tentativo di giustificarmi, visto che nessuno mi leggerà mai, ma un desiderio profondo di chiarire le cose: premeditato che sia, il crimine che sto per commettere è puro impulso al cento per cento. Mi è stato sufficiente conservare intatto l'impeto del mio odio, non lasciare che perdesse vigore, che diminuisse e sfociasse in un falso oblio di putrefazione.

Dopo la mia morte imminente, diranno di me ogni falsità ma non mi importa di non essere compreso da gente che disprezzo. Ogni male ha però una sua igiene e la mia mi spinge a dire che in seguito al disastro aereo sarò un farabutto, uno stronzo, un pazzo, una feccia - tutto tranne che un terrorista. Ci tengo.

Non si tratta neanche di un gesto compiuto per dare un senso alla mia vita: la mia vita ce l'ha, un senso. Confesso il mio stupore davanti alle innumerevoli persone che, se dobbiamo credergli, soffrono perché la loro esistenza è priva di senso. Mi ricordano quegli elegantoni che esclamano, davanti a un favoloso guardaroba, di non avere niente da mettersi. Il semplice fatto di vivere è un senso. Vivere su questo pianeta ne è un altro. Vivere in mezzo agli altri un altro senso ancora, ecc. Affermare che la propria vita non ha senso non è serio. Nel mio caso, bisognerebbe dire che fino a ora la mia vita non aveva uno scopo. E mi stava bene. Era una vita intransitiva. Vivevo in maniera assoluta e avrei potuto continuare così con piena soddisfazione. È là che il destino mi ha ghermito.

Il destino abitava in un sottotetto. Da quindici anni, il mio mestiere consiste nell'offrire, a chi si è appena trasferito, soluzioni energetiche non richieste. A seconda delle installazioni - o dovrei dire degli accrocchi? - consiglio la EDF o la GDF, le compagnie elettriche per cui più o meno lavoro; pianifico e concedo crediti quando mi imbatto in situazioni sociali che non si possono neanche più definire precarie. Svolgo questo mestiere a Parigi e ho avuto spesso modo di constatare cosa è capace di sopportare la gente pur di vivere in questa città.

Con un residuo di pudore, alcuni sostengono che le condizioni disastrose della propria abitazione sono solo temporanee: "Siamo appena arrivati, sa." Annuisco. So che nella stragrande maggioranza dei casi non ci sarà nessun miglioramento: l'unico cambiamento consisterà nel mettere su un tale guazzabuglio da ricoprire la baraonda originaria.

La versione ufficiale è che amo questo mestiere perché mi permette di incontrare individui sorprendenti. Non è una bugia. Sarebbe tuttavia più esatto precisare che questo lavoro alimenta la mia naturale indiscrezione. Amo scoprire la verità sui luoghi della vita, gli incredibili tuguri ai quali gli umani consentono a loro stessi di adattarsi.

Non c'è disprezzo nella mia curiosità. Quando vedo la mia, di stamberga, non faccio salti di gioia. Sono però consapevole di mettere il dito in una piaga inconfessabile che non è propriamente irrilevante: la nostra specie abita in tane non migliori di quelle dei topi. Nelle pubblicità, nei film, vediamo esseri che si muovono in loft sontuosi o in raffinati boudoir. In quindici anni di carriera, non ho mai visto nessuno trasferirsi in questi splendori dell'altro mondo.

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Pagina 47

Innamorarsi d'inverno non è una buona idea. I sintomi sono più sublimi e più dolorosi. La luce perfetta del freddo incoraggia il cupo diletto dell'attesa. Il brivido esalta lo stato febbrile. Chi si invaghisce a Santa Lucia incorre in tre mesi di tremori patologici.

Le altre stagioni hanno le loro piacevolezze, germogli, grappoli e foglie su cui riversare i propri stati d'animo. La nudità invernale non offre alcun rifugio. Esiste qualcosa di più subdolo del miraggio del deserto: è il famoso miraggio del freddo, l'oasi del circolo polare, scandalo di bellezza reso possibile dalla temperatura negativa.

L'inverno e l'amore hanno una cosa in comune: fanno venire voglia di essere confortati per una simile prova; la coincidenza di queste due stagioni esclude il conforto. Alleviare il freddo con il calore disgusta l'amore per un senso di oscenità, alleviare la passione aprendo la finestra sull'aria fresca spedisce alla tomba in tempi record.

Il mio miraggio del freddo si chiamava Astrolabe. La vedevo ovunque. Vivevo mentalmente con lei le interminabili notti invernali che passava a tremare nel suo antro senza riscaldamento. L'amore bandisce la presunzione: invece di immaginare il fuoco che il mio corpo avrebbe potuto dare al suo, scendevo sottozero con la regina dei miei pensieri, non c'era limite alla glaciale ustione che potevamo raggiungere insieme.

II freddo non era più una minaccia, ma un'energia imperiosa che ci animava, che parlava in prima persona: "Io sono il freddo, e se regno sull'universo è per un motivo talmente semplice che nessuno ci ha mai pensato: ho bisogno di essere sentito. È il bisogno di ogni artista. Nessun artista ce l'ha fatta quanto me: tutto e tutti mi sentono. Quando il sole e le altre stelle si saranno spenti, io brucerò ancora, e i morti e i vivi proveranno la mia morsa. Quali che siano i disegni del cielo, l'unica certezza è che io avrò l'ultima parola. Tanto orgoglio non impedisce l'umiltà: io non sono niente se non mi si sente, non esisto senza il brivido degli altri, anche il freddo ha bisogno di combustibile, il mio combustibile è la sofferenza di tutti voi, nei secoli dei secoli."

Sopportavo eroicamente il freddo non solo per condividere la sorte della mia amata, ma anche per porgere il mio omaggio all'artista universale.


Mi rileggo con stupore: dunque colui che tra qualche ora farà esplodere un aereo con a bordo un centinaio di passeggeri quando ha occasione di scrivere i suoi ultimi pensieri inclina al più travolgente lirismo.

A che pro commettere un attentato se è per lamartinizzare come il primo venuto? Ma a pensarci bene, mi chiedo se la chiave non sia proprio questa: chi si butta nell'azione diretta spera di trovarvi la virilità che gli manca. La sorte di kamikaze perpetuerà il malinteso. Le madri illetterate si pavoneggeranno: "Mio figlio non era una femminuccia, è stato lui a dirottare il Boeing della Pan Am..."

Per fortuna i miei appunti periranno con me, è il genere di segreto di cui è difficile andare fiero.

Evidentemente sto cercando di stupire Astrolabe. So già che non sarà così. Vado verso il mio fallimento con stupido coraggio. A volte bisogna agire anche avendo la certezza che non si verrà compresi.

Sono le dieci e quarantacinque. Sono felice di avere il tempo di proseguire questo racconto nel quale mi sento. Sentirsi bene è un'ambizione irrazionalmente esagerata visto che sentirsi è già così raro. Scrivere mobilita un importante segmento del corpo: è un'applicazione fisica del pensiero. Da qualche settimana so che provocherò un disastro aereo, e lo organizzo. La novità è che adesso lo scrivo. Ebbene, scriverlo è molto più forte che il solo concepirlo nella propria testa.

La cosa migliore sarebbe scriverne dopo. Ahimè, non si scrive dall'oltretomba. Dispiace a tutti. Non ci saranno sicuramente superstiti, dunque nessuno potrà raccontare come mi sono comportato. Del resto è poco interessante.

Sono snervanti con le loro inutili misure di sicurezza. In realtà, quali che siano i loro divieti, esisterà sempre un modo per dirottare un aereo. L'unica precauzione sensata consisterebbe nel sopprimere l'aviazione. Come potrebbe un terrorista qualsiasi non sognare di arrivare, in una maniera o nell'altra, a quelle favolose macchine volanti? Il terrorista del treno, dell'autobus o della discoteca è uno sfigato. Il vero terrorista aspira al cielo - la maggior parte dei kamikaze vi aspira doppiamente, anticipando il proprio soggiorno nell'aldilà. Il terrorista terrestre è un marinaio d'acqua dolce.

Nessun terrorista agisce senza ideale - ideale atroce, ma sempre ideale. Che queste nubi siano un pretesto non cambia niente: senza pretesto non ci sarebbe passaggio all'azione. Il terrorista ha bisogno di questa illusoria legittimità, soprattutto se è un kamikaze.

L'ideale, sia esso religioso, nazionalista o altro, prende sempre la forma di una parola. Koestler dice a ragione che quello che più ha ucciso sulla terra è il linguaggio.

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