Copertina
Autore Mário Novello
Titolo Qualcosa anziché il nulla
SottotitoloLa rivoluzione del pensiero cosmologico
EdizioneEinaudi, Torino, 2011, Saggi 919 , pag. 178, ill., cop.ril.sov., dim. 15,5x21,5x1,7 cm , Isbn 978-88-06-20153-1
OriginaleO que é Cosmologia. A revolução do pensamento cosmológico [2006]
TraduttoreUgo Moschella
LettoreCorrado Leonardo, 2011
Classe cosmologia , fisica , epistemologia , filosofia
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Indice

 IX Prefazione all'edizione brasiliana
 XI Prefazione all'edizione italiana
XII Prologo


    Qualcosa anziché il nulla


  3 Prefazione


  7 Introduzione

 16 Commenti

 19 I.  Cosmologia secondo Einstein

 20     Le diverse forze del mondo
 24     L'oggetto della cosmologia
 24     Il Programma Cosmologico di Einstein
 27     Gravitazione: geometria o campo?

 34 II. Il modello cosmologico di Einstein

 34     Abbandonare le strutture assolute?
 38     Proprietà basilari dell'universo di Einstein
 43     Il mondo è chiuso?

 45 III.Alcune definizioni

 50     Cosmologia fisica

 54 IV. La fondazione della fisica

 54     Fondazione regionale
 58     Rifondazione globale
 59     Tre periodi della cosmologia moderna
 62     Unificazione, contenuto e forma: rifondazione regionale
 64     Perché la cosmologia è la rifondazione della fisica?

 66 V.  Lo stato fondamentale

 67     Le differenti forme di materia e la simmetria
        fondamentale dello spazio-tempo
 68     Adroni e leptoni, mesoni, fotoni e gravitoni
 70     Osservatori inerziali e il gruppo di Poincaré
 73     Le origini geometriche delle simmetrie
 74     Osservatori accelerati
 75     Il gruppo di simmetrie dello spazio-tempo di De Sitter
 76     Stato fondamentale
 80     Minkowski o De Sitter?

 82 VI. La Grande Lambda (ovvero i diversi volti della

        costante cosmologica)
 84     La Grande Lambda come un fluido perfetto?
 87     La Grande Lambda come energia del vuoto dei campi della fisica?
 89     La Grande Lambda e il vuoto dei campi fisici
 92     La Grande Lambda e la massa del gravitone
 93     Teoria di Yukawa

 96 VII.Cosmologie

 96     Cosmologia secondo De Sitter
 99     Cosmologia secondo Friedmann
106     Tre momenti della cosmologia
107     Cosmologia secondo Dirac

113 VIII. Miti cosmogonici

113     Mito scientifico della creazione
116     Ipotesi del big-bang come inizio del mondo
117     Piccolo resoconto storico
118     I teoremi della singolarità
121     Dall'accelerazione dell'universo alla singolarità

124 IX. Cosmologia secondo Gödel

126     Tempo nell'universo di Gödel
127     Rivoluzione dentro la rivoluzione
128     Piccola descrizione dell'universo di Gödel
135     Un breve confronto tra i modelli di Einstein e di Gödel

137 X.  Dal vuoto con Lambda al vuoto senza Lambda

137     Il vuoto
139     Cosmologia secondo Kasner
140     Belinski, Khalatnikov e Lifšic
142     La geometria di Kasner

145 XI. Modi di creazione di un universo

145     Modi di creazione
146     Universo eterno o big-bang?
147     Creazione spontanea: universo quantistico
151     Scenari di universo eterno
156     L'eternità è instabile?

161 XII.L'irresistibile attrazione per l'esistere

162     Il mondo lineare e quello non lineare
165     Piccolo intermezzo matematico

169 Conclusione


172 Riflessione finale

177 Bibliografia

 

 

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Pagina 3

Prefazione


Negli ultimi anni la cosmologia si è guadagnata una popolarità enorme. Sono state pubblicate molte opere di divulgazione, quasi tutte a proposito dei suoi progressi alla luce delle conquiste degli ultimi decenni.

Questo libro non seguirà tale percorso, anche se un breve esame di questi progressi sarà necessario. Mi limiterò soltanto ad alcuni commenti per rendere la mia esposizione piú trasparente. Questo non è neanche un libro sulla storia della cosmologia del XX secolo, sebbene sia sicuramente attraente l'idea che qualcuno un giorno riprenda questa storia dal punto in cui Jacques Merleau-Ponty l'ha lasciata nel 1950. Non è questo il mio progetto: affronterò un compito diverso. Condurrò il lettore per un percorso speciale, accurato e pieno d'incanto, per rispondere alla domanda principale: che cosa è la cosmologia?

Vorrei tuttavia precisare sin da adesso che non sono interessato a una definizione formale della parola «cosmologia» come si potrebbe trovare nei dizionari. Desidero invece far trasparire la tensione che esiste tra i differenti punti di vista che i cosmologi adottano nella definizione della loro scienza e - nel chiarire l'origine del conflitto che ne deriva - rendere manifesta la funzione della cosmologia proprio partendo da questo punto.

Qualsiasi discorso, scientifico oppure no, che coinvolga questioni riguardanti la totalità - qualunque cosa essa sia - penetra in una terra di nessuno dove saperi differenti come la logica, la metafisica e la mitologia s'incontrano e si scontrano per la supremazia e il possesso del territorio. Questa non è una battaglia frontale, poiché la scelta per un determinato sapere è un'opzione individuale che si fa in un momento determinato. Presa la decisione, scelto il modo con cui si va alla lotta, si tratta allora di screditare tutte le altre possibilità.

Mentre ogni disputa tra saperi conflittuali è interrotta soltanto quando uno di questi è dichiarato vincitore, nel caso in esame un'altra soluzione sembra possibile. La cosmologia, nella maniera in cui io la intendo e descriverò, permette di inaugurare un atteggiamento nuovo: l'abbandono dell'arroganza che ogni sapere efficace comporta.

Per chiarire questo punto è necessario esaminare la prassi di chi chiameremo cosmologo e quale deve essere il suo atteggiamento dinanzi alle altre rappresentazioni dell'universo create dai saperi particolari - sia all'interno della stessa cosmologia, sia nelle cosmogonie elaborate nel corso della storia dalle civilizzazioni che hanno prodotto e manifestato i propri modi di concepire la creazione di tutto-ciò-che-esiste -: riconoscere questi saperi come legittimi e, nel contestualizzarli, comprendere la funzione dei miti cosmogonici della creazione. Cosí facendo e attraverso una profonda immersione nella sua prassi, il cosmologo realizza un compromesso tra saperi tradizionali differenti e potrebbe essere portato a dichiarare che la sua funzione non ha come obiettivo la distruzione del sapere altrui, ma il discredito del binomio sapere-potere. Tale affermazione richiederebbe un commento piú esteso, che però lascerò per un'altra occasione. Il mio proposito, nell'avere osato anticipare qui quest'aspetto, deve essere inteso come una dichiarazione di principio il cui fondamento non va ricercato nella logica, ma nello scontro quotidiano tra gli uomini di scienza, che è di natura politica.

Un passo importante e anzi essenziale per capire che cosa sia la cosmologia consiste nel riconoscere che l'unione di tutta la fisica, e cioè l'insieme di tutte le differenti parti della fisica, non consente di capire l'universo, non produce una descrizione unitaria dell'universo. Manca qualcosa. Ma cosa? Che cosa manca quando consideriamo l'insieme delle conoscenze della fisica? Perché il fatto è che nell'applicare la fisica a ognuno dei suoi oggetti di studio - dagli atomi alle galassie, e oltre ancora, dalle particelle elementari agli agglomerati di galassie - continua a mancare qualcosa. Che cosa manca? Come mai possiamo affermare che, nell'applicare in modo coerente e solidale le parti della fisica all'immensità dell'universo, non riusciamo ancora a descrivere quest'unità? Dove sta ciò che non possiamo capire con la fisica? Quale pezzo, che parte dell'universo non ammette comprensione? Dove trovare, nell'insieme d'idee e di concetti ben definiti e verificati che questa scienza offre, ciò che sta mancando?

A dire la verità, la risposta a questa domanda non si trova in nessuna parte della fisica. Si trova oltre la fisica. Al di qua, all'interno della fisica, non possiamo neanche renderci conto dell'assenza di una risposta, poiché è precisamente quest'assenza che permette di separare la fisica dalla cosmologia e dipende in modo indissolubile da quella totalità che chiamiamo universo. È precisamente ciò che prenderemo in esame nelle pagine che seguono.

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Pagina 7

Introduzione


Nel febbraio del 1917 Albert Einstein fece il primo tentativo di applicare la sua recente teoria della relatività generale - in realtà nient'altro che una nuova teoria della gravitazione - all'universo. Nel far questo ha inaugurato la profonda trasformazione di una disciplina che, durante tutta la prima metà del XX secolo, sembrava destinata a non essere mai accreditata come scienza: la cosmologia.

Einstein diede vita al Programma Cosmologico, che avrebbe guidato l'evoluzione di questa scienza durante tutto il XX secolo, stabilendo come dovesse essere posta la questione cosmologica in termini precisi, e comunque interni ai parametri convenzionali della scienza dell'epoca, e su quali basi dovesse essere costruita una risposta. Per mostrare la coerenza della sua formulazione e le possibili conseguenze, Einstein concluse la sua introduzione a questo programma con un esempio completo di modello cosmologico: una descrizione congiunta di geometria e contenuto di materiale dell'universo. Queste due entità - geometria e materia - non sono indipendenti, ma sono messe in relazione dalle equazioni della nuova teoria che determinano l'evoluzione dei processi gravitazionali.

Il modello cosmologico offerto da Einstein era semplice, anche troppo, ed era incapace di una qualsiasi previsione degna di nota. Pochissimo tempo dopo, altre descrizioni dell'universo di maggior successo hanno relegato quel primo modello a un ruolo secondario, quasi senza importanza, a tal punto che oggi la comunità scientifica lo considera come se non rappresentasse altro che un pezzo sorpassato della storia della cosmologia. Nel suo studio epistemologico e storico delle teorie cosmologiche della prima metà del XX secolo, Jacques Merleau-Ponty è arrivato addirittura a dire che quest'inizio, questo primo tentativo di fondare una cosmologia, fu un fiasco completo, non soltanto per via delle difficoltà concettuali del modello, ma anche a causa della sua incapacità di spiegare i fatti osservati - il piú importante dei quali è la dinamica cosmica, cioè l'evoluzione temporale della geometria e della distribuzione della materia contenuta nell'universo.

E, tuttavia, bisogna separare chiaramente il Programma Cosmologico di Einstein dal suo modello cosmologico. Anche con il pesante fardello dell'incapacità esplicativa, anche con tutte le sue evidenti difficoltà formali, siamo portati ad affermare l'attualità dell'ossatura sulla quale questo modello fu basato. Ancora oggi, tutta la cosmologia si fonda sulla formulazione originale del Programma Cosmologico di Einstein.

Ma come è possibile? Per quali ragioni una descrizione del mondo ormai sorpassata può ancora essere considerata viva, importante, degna di essere esaminata, rimanere perfino fondamentale? Quali argomenti bisogna invocare, su quali proprietà o su che interpretazione ci si può basare per dare un significato a quest'affermazione?

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Pagina 11

Questa era la situazione nei primi decenni del XX secolo fino a quando nel 1929 e, piú tardi, nel 1964, due esperienze decisive hanno cambiato radicalmente il punto di vista della comunità scientifica rispetto alla questione cosmologica. La prima, alla fine degli anni Venti, quando l'astronomo nordamericano Edwin Hubble ha condotto una serie di osservazioni che hanno permesso di interpretare certe alterazioni nel comportamento della luce proveniente da sorgenti luminose al di fuori della nostra galassia come la dimostrazione che l'universo nel suo insieme sperimenta un processo d'espansione. Il volume totale dello spazio tridimensionale starebbe variando con il tempo cosmico. Nel 1964, altre osservazioni condotte dagli astrofisici Arno Penzias e Robert Wilson hanno mostrato che l'universo è immerso in un gas di fotoni in equilibrio termico; questo gas potrebbe essere interpretato come la radiazione di un corpo nero a una temperatura di 2,7 gradi Kelvin. Come conseguenza di questa interpretazione, nel passato l'universo sarebbe stato piú piccolo e piú caldo.

Queste osservazioni hanno in comune il fatto di non riferirsi a proprietà locali, non parlano di questa galassia o di quell'altra, non trattano di processi localizzati in porzioni finite dello spazio e del tempo, ma, al contrario, pretendono di fornire affermazioni sull'universo nel suo insieme, costituendolo cosí come oggetto formale. Esse devono dunque essere tenute a garanzia del fatto che la totalità di ciò che esiste può essere osservabile come tale, proprio in quanto totalità. Da queste osservazioni dovrebbe scaturire l'accettazione della cosmologia come scienza da parte della comunità scientifica, giacché essa è dotata di metodo, di oggetto di lavoro e di teoria e potrebbe infine costituire un quadro teorico-osservativo coerente e compatibile con le caratteristiche della fisica.

È sorta allora una situazione paradossale. Le osservazioni di Hubble, Penzias e Wilson sembravano fare dell'universo un oggetto di studio accettabile nella costituzione della cosmologia. Curiosamente, fu chiaro fin da subito che questa scienza nascente, che pretendeva di articolare un discorso scientifico sull'universo, per riuscire a essere trattata effettivamente come scienza, avrebbe dovuto rinunciare alle sue pretese originali descritte nel Programma Cosmologico di Einstein. Essa avrebbe dovuto lasciare da parte il suo obiettivo principale - visto da molti scienziati come metafisico - di formulare una descrizione completa dell'universo come un tutto. Tale ampiezza era considerata inaccettabile da fisici e astronomi.

Dopo che le osservazioni cosmiche avevano rivelato le proprietà nascoste dell'universo profondo, una reazione irresistibile ha preso piede all'interno della fisica. Questo movimento, che ha subito conquistato la maggior parte della comunità scientifica, consisteva nel restringere l'attuazione della cosmologia: per essere accettata come scienza essa avrebbe dovuto abdicare alla sua pretesa di descrivere la totalità per riferirsi a questioni piú convenzionali. La sua specificità non sarebbe stata in relazione a un discorso totalmente nuovo e senza paragoni nel mondo della scienza - era necessario, per esempio, resistere alla tentazione di utilizzare concetti storicamente associati alla totalità da altri saperi - e avrebbe dovuto limitarsi a trattare di quantità convenzionali, utilizzando l'armamentario tecnico acquisito esattamente come fa la fisica.

Mentre quest'ultima si occupa di processi e di fenomeni che avvengono sulla Terra o di oggetti astronomici nelle nostre vicinanze, potendo anche estendersi agli astri fino ai confini della Via Lattea, alla cosmologia sarebbe stato riservato il compito di allargare questi confini e di trasformarsi in una fisica delle grandi scale spazio-temporali, una fisica delle galassie. Nel gergo degli specialisti, un'astrofisica extragalattica e nient'altro. Questa era la formula trovata per fare della cosmologia una scienza: limitarne il campo di attuazione, togliendole qualsiasi possibilità di penetrare in regioni tradizionalmente considerate come appartenenti ad altri saperi, ad altre pratiche umane, come ad esempio l'esame della questione della creazione dell'universo, tradizionalmente pertinente alla metafisica razionale o alla teologia razionale.

La cosmologia avrebbe dovuto dunque subordinarsi alla fisica, senza introdurre nessun concetto nuovo, nessuna proprietà che non fosse già contenuta in quella disciplina. Per questo, alla fine della seconda metà del XX secolo, la cosmologia si è guadagnata un aggettivo qualificativo e ha cominciato a essere chiamata cosmologia fisica, abbandonando l'idea di Einstein che per comprenderne l'oggetto siano necessarie proprietà e nozioni nuove. In questo quadro l'universo sarebbe un sistema fisico convenzionale, come qualsiasi altro oggetto con cui gli scienziati hanno a che fare nel loro quotidiano. Non ci sarebbe nessuna proprietà straordinaria che esiga un cambiamento profondo nella fisica, se non - come succede in qualsiasi nuovo territorio di qualsiasi scienza - quelle proprie a uno specifico sistema fisico. Per questi scienziati il Programma Cosmologico di Einstein non introduceva nessuna novità oltre a quelle che si aveva l'abitudine di trovare in fisica nel trattare un nuovo processo, una nuova configurazione, per complicata che fosse. Secondo questa interpretazione, il modello cosmologico di Einstein sarebbe uguale al suo Programma Cosmologico, vi sarebbe identità fra i due. Cosí, Merleau-Ponty avrebbe avuto ragione nell'affermare che Einstein aveva fatto fiasco con la sua impresa. Nel programma einsteiniano non c'era niente di speciale se non il discredito dovuto all'inadeguatezza del suo modello cosmologico riguardo alle osservazioni astronomiche (si veda il Commento 3 alla fine del capitolo).

E, tuttavia, ho la pretesa di andare con i miei argomenti nella direzione opposta: la cosmologia deve essere pensata come qualcosa di piú che una fisica per le grandi scale spazio-temporali, ed essere trattata come la scienza della totalità, recuperando in questa maniera la sua formulazione originale. La cosmologia è certamente anche fisica extragalattica, ma non si esaurisce in questa. Le sue conseguenze sono piú ampie e profonde, si distaccano dalla fisica, penetrano oltre la superficie dove la fisica situa il suo argomentare, e toccano le radici del discorso razionale sul mondo penetrando in quel territorio comune disputato con altri saperi.

Per capire questa funzione addizionale e grandiosa, e per presentare le ragioni a sostegno di questa tesi, seguiremo un metodo d'analisi diretto. Ripercorreremo il cammino della fondazione della cosmologia nel XX secolo. Avremo l'opportunità di seguire i passi iniziali di Einstein che dànno origine alla cosmologia moderna, il suo modo di concepire quello che in seguito si è convenuto di chiamare modello cosmologico. Proporremo una rilettura del suo lavoro e di quelli che seguirono. Vedremo cosí che la cosmologia possiede all'interno della scienza una funzione simile alla critica kantiana riguardo alla metafisica. Questa prossimità strutturale tra i due saperi mi sembra una conseguenza inevitabile della funzione che dobbiamo attribuire alla cosmologia.

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Pagina 50

Cosmologia fisica.

Tutte le definizioni che abbiamo prima elencato propongono una concezione specifica e particolare della funzione del cosmologo. Ciascuna indica ciò che il cosmologo deve fare per essere riconosciuto come tale. Tutte le definizioni date contengono un poco di ciò che è il cosmologo, ma non ne esauriscono una definizione completa. Il suo ruolo appare comunque secondario. Perché è cosí difficile trovare tra i cosmologi una definizione che superi queste difficoltà? Che cosa impedirebbe o inibirebbe una definizione non limitante per la cosmologia?

Sembra che con queste definizioni si cerchi di evitare tutte le implicazioni conseguenti alla possibilità che la cosmologia tratti della totalità, dell'universo inteso come tutto-ciò-che-esiste. E, nel trattare la totalità, ci si imbatte nella difficoltà della sua contestualizzazione. Alcuni anni fa in un altro libro ho segnalato quali siano queste difficoltà e come si manifestino nella costruzione di una cosmologia razionale. Qui ci limitiamo ad associarle all'inibizione degli scienziati nell'affrontare la questione principale con la quale Einstein ha iniziato la cosmologia moderna, in altre parole, rispondere alla domanda leitmotiv di questo libro: la fisica esaurisce la cosmologia?

Prima di avventurarci verso una definizione alternativa piú coerente, che sia al tempo stesso adatta alla teoria, alla prassi e agli intendimenti della cosmologia partendo da un approfondimento delle critiche alle precedenti proposte, dobbiamo domandarci perché queste definizioni non ci soddisfino e che cosa le renda limitate. La ragione è che tutte riducono il ruolo della cosmologia a una semplice «applicazione della fisica a grandi porzioni di spazio e di tempo». Ma la cosmologia, come argomenterò in questo saggio, è di piú: consiste nella rifondazione della fisica.

Abbiamo esaminato una prima caratterizzazione della cosmologia fisica. Questo ci conduce a chiederci quale sia l'altra cosmologia, quella che non merita nemmeno di essere qualificata. Che cosa avrebbe di cosí speciale e singolare, di cosí differente, di cosí lontano dalla cosmologia fisica da non meritare nemmeno una critica? Che cosa avrebbe quest'altra cosmologia per essere, allo stesso tempo, non fisica e irrilevante, come sembra affermare Peebles?

Il mio proposito qui è precisamente scoprire quella funzione nascosta, per capirla. Anticipando la risposta possiamo dire che si tratta precisamente della famosa domanda con la quale Einstein apre il libro della cosmologia del XX secolo, e cioè, ancora una volta: la cosmologia si esaurisce nella fisica? Einstein non ha saputo rispondere a questa domanda, ma la considera di importanza decisiva per la realizzazione della scienza che cerca una descrizione completa dell'universo. Con il passare del tempo, riconosciamo che c'è stata una grande differenza di atteggiamento. Ciò che Einstein vedeva come l'oggetto di una ricerca è diventato una certezza negli ultimi decenni del XX secolo, sebbene il problema non fosse stato risolto.

La risposta di Peebles è un tentativo di delimitare il territorio della scienza lasciando fuori le questioni di frontiera che implicano i suoi fondamenti per il futuro. In verità, la proposta di riduzione della cosmologia alla fisica deve essere intesa come un comportamento politico all'interno della comunità scientifica. Nella visione positivista ci sono soltanto due possibilità alternative e che si escludono a vicenda. O la cosmologia è scienza - e, in questo caso, deve essere cosmologia fisica - o è metafisica.

Tra tutti i problemi che la cosmologia si propone di esaminare, tuttavia, alcuni non hanno un significato all'interno del corpo formale della fisica, dove non possono neanche essere formulati. Tra questi c'è quello che molti scienziati dichiarano essere il loro obiettivo maggiore: l'origine dell'universo. L'universo ha avuto un inizio, o invece è eterno? In questa concezione, la cosmologia supera i limiti della fisica poiché avrebbe come obiettivo la descrizione dell'origine della materia, dell'energia e persino dello spazio e del tempo. E, infine, la cosmologia permette di porre la domanda piú importante di tutte: perché esiste qualcosa anziché il nulla?

Questa domanda è stata tradizionalmente esaminata, in tutte le culture, in discorsi non scientifici, di natura filosofica, mitica o religiosa. La possibilità di portarla all'interno della scienza da una parte e, dall'altra, l'incapacità di svincolarsi dal forte carattere speculativo che ha segnato l'inizio della cosmologia moderna durante alcuni decenni, hanno creato le condizioni necessarie per la supremazia del concetto limitatore contenuto nell'idea di «cosmologia fisica» e il corrispondente tentativo di ridurre il ruolo di questa scienza a niente altro che «una fisica applicata a una gran quantità di materia e di energia in grandi regioni di spazio e di tempo». In verità, il successo di quest'approccio tra i fisici ha di fatto impedito - e per molto tempo - il riconoscimento della vera funzione della cosmologia, offuscando cosí il ruolo piú importante che questa può svolgere: quello di rifondare la fisica.

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Pagina 68

[...] L'idea che l'universo sia un sistema autoconsistente e che, di conseguenza, le strutture locali e globali debbano compenetrarsi nella formazione di queste proprietà, non era allora prevalente. Anche una versione leggera e ingenua delle idee attribuite a Ernst Mach - cioè che alcune proprietà locali della materia devono dipendere dalla struttura globale dell'universo - seppure non totalmente rifiutata, non faceva parte del nucleo duro centrale del pensiero scientifico vigente. La relatività speciale ha segnato un primo cambiamento di atteggiamento. Mentre essa veniva a poco a poco assorbita e accettata dai fisici, l'idea della possibile relazione tra le proprietà delle particelle elementari e la struttura dello spazio-tempo ha cominciato ad acquistare vigore.

Per chiarire questa relazione dobbiamo esemplificare il modo di rappresentare i costituenti della materia, cioè le particelle elementari. La sintesi che segue, breve e non esaustiva di queste proprietà, vuole mettere in evidenza gli aspetti che sono direttamente in relazione con la nostra questione che, ricordiamolo, è esaminare la dipendenza delle proprietà intime della materia dalla struttura globale dello spazio-tempo.


Adroni e leptoni, mesoni, fotoni e gravitoni.

Durante il XX secolo i fisici sono riusciti a isolare un gran numero di particelle elementari mediante le quali è possibile descrivere ogni sostanza materiale e le sue interazioni. L'elenco delle particelle elementari è adesso enorme; queste possono essere classificate in diversi modi. Nella nostra descrizione semplificata distingueremo due grandi categorie di particelle: in un caso parleremo di «sorgenti» e nell'altro di «agenti intermediari delle forze» o semplicemente «agenti intermediari».

Le particelle intermediarie sono quelle che portano l'informazione dell'interazione. Si tratta dei fotoni (intermediari per le interazioni elettromagnetiche), dei gravitoni (per le interazioni gravitazionali), dei bosoni vettoriali (per le interazioni deboli) e dei mesoni (per le interazioni forti). Questo non esaurisce tutti i processi, ma è sufficiente per una descrizione semplificata delle interazioni.

Le «sorgenti» sono le particelle che generano i processi d'interazione: si tratta dei protoni e dei neutroni (detti adroni) per l'interazione forte, gli elettroni e i neutrini (detti leptoni) per l'interazione debole; i protoni e gli elettroni per l'interazione elettromagnetica e qualsiasi di queste particelle per l'interazione gravitazionale.

Esiste un altro modo di raggruppare le particelle secondo una proprietà chiamata spin e rappresentata dalla lettera s. Le sorgenti (protoni, elettroni, neutroni) hanno spin semi-intero (in unità di misura opportunamente scelte tale spin vale 1/2), e le particelle intermediarie hanno spin intero - zero per il pione, uno per il fotone e i bosoni vettoriali e due per il gravitone. Oltre a questa quantità intrinseca, ciascuna particella possiede un valore caratteristico per la massa. Si suppone che le particelle intermediarie delle interazioni a lunga portata, e cioè i fotoni e i gravitoni, abbiano massa uguale a zero.

È possibile classificare le particelle specificando il valore dello spin e della massa di ognuna di esse. Cosí, il protone può essere identificato come la particella di spin 1/2 e massa Mp=1,67x10^-24 grammi; l'elettrone come la particella di spin 1/2 e massa Me=9,1x10^-28 grammi. Può forse essere sorprendente il fatto che questa caratterizzazione sia intimamente associata, in modo diretto e univoco, alla struttura geometrica dello spazio-tempo della relatività speciale. Com'è possibile tutto ciò? Come si è giunti ad affermare che la caratterizzazione delle proprietà piú intime delle particelle elementari sia in relazione con la struttura metrica del mondo?

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Pagina 82

Capitolo sesto

La Grande Lambda (ovvero i diversi volti della costante cosmologica)


L'introduzione della costante cosmologica nella costruzione teorica con la quale Einstein voleva descrivere l'universo non richiede spiegazioni di carattere fisico. Si tratta di una proprietà specifica della totalità, una caratteristica della struttura globale dell'universo. Einstein la introdusse in aggiunta alla geometria ma senza identificarla con quest'ultima e senza neppure metterla in relazione con la materia. Infatti, la grande Λ non s'identifica con la materia e non è nemmeno associata a qualche altra forma di funzionale geometrico o di curvatura dello spazio-tempo, né è descritta come dipendente da quest'ultima.

È utile dare una spiegazione tecnica, ma che potrà chiarire la posizione di Einstein rispetto alla costante cosmologica e che ci permetterà anche di capire una delle interpretazioni recenti di questa costante. Nell'esaminare la questione cosmologica, Einstein si è visto obbligato a modificare le equazioni scritte originariamente per adeguare la sua teoria della gravitazione allo scenario che immaginava per l'universo. Le equazioni originali consistono di due termini che, uguagliati, provvedono la dinamica necessaria per descrivere un qualunque processo gravitazionale. Nel membro di sinistra dell'equazione compaiono soltanto i termini indipendenti dalla geometria. Nel membro di destra Einstein ha posto invece la sorgente del campo gravitazionale, in altre parole, ciò che dà origine alla geometria di ciascun punto dello spazio-tempo: la materia e ogni altra forma di energia di carattere non-gravitazionale. Chiediamoci allora dove Einstein abbia collocato il nuovo termine cosmologico. Vale a dire, le equazioni originali sono state modificate aggiungendo un termine di «materia» al membro di destra ovvero uno di «geometria» a quello di sinistra?

È sintomatico della concezione che sta alla base del modello di Einstein il fatto che il termine addizionale sia stato aggiunto al membro di sinistra dell'equazione, come se riguardasse soltanto la geometria dell'universo e non il suo contenuto materiale. Il termine Λ non deve essere considerato materia e nemmeno geometria ma Einstein ha preferito metterlo accanto alla geometria piuttosto che alla materia. E cosí ha fatto.

Questo passo iniziale, questo tentativo ardito e senza sostegno altrove nella scienza, deve essere interpretato e compreso come la prima strategia per affrancare la cosmologia dalla fisica. È il passaggio che conferisce al movimento d'idee che parte da Einstein la sua singolarità e la sua unicità nella fisica moderna fin dalla sua nascita con Galileo. Non esiste nessuno schema concettuale cosí innovatore fin dall'inizio della fisica moderna, niente di simile tra le diverse proposte di descrizione della realtà a tutti i livelli. Non si tratta qui di una proprietà speciale della materia quanto piuttosto del primo atto volto a mostrare la novità del procedimento che, in modo analogo a quanto fatto da Kant nella metafisica, inaugura la rifondazione della fisica. Tale rifondazione ci avverte del fatto che, nel trattare le questioni che riguardano la totalità di ciò che esiste, dobbiamo essere preparati ad accettare proprietà e modalità di esistere che non possiedono una contropartita locale, che non si riducono a qualche specifica declinazione delle leggi della fisica con le quali descriviamo il mondo che ci è prossimo. Einstein l'ha reso esplicito precisamente con l'introduzione di questa quantità, che gli ha permesso di elaborare in modo coerente il primo modello cosmologico.

Dopo il «fiasco» del modello cosmologico di Einstein e la scoperta di Friedmann che non serviva introdurre proprietà stravaganti per descrivere l'universo e che, in definitiva, il termine aggiuntivo di Einstein non era necessario per creare uno scenario cosmologico, la Grande Lambda non è stata tuttavia abbandonata e continua a figurare tra gli strumenti teorici che si utilizzano per produrre modelli del cosmo. Si è pensato alla costante cosmologica come a qualcosa la cui origine e il cui significato dovrebbe avere presto o tardi una spiegazione, con l'aspettativa di ridurla a schemi noti, descrivendola in termini di quantità fisiche convenzionali e ben conosciute. Effettivamente, la Grande Lambda ha conosciuto da allora diversi tentativi di spiegazione all'interno della fisica. Per chiarire con esempi la situazione, illustreremo alcune delle interpretazioni che hanno acquisito una certa popolarità presso la comunità scientifica.

La Grande Lambda è stata associata a diversi meccanismi, alcuni molto conosciuti e classici, altri piú complessi. Ci limiteremo qui a esaminare soltanto tre differenti proposte, partendo dalla sua misteriosa funzione cosmica originale fino a una interpretazione recente basata su una caratteristica speciale della particella mediatrice dell'interazione gravitazionale, il gravitone. Eccole riassunte schematicamente:

- Interpretazione classica: Λ non è altro che la rappresentazione formale di un fluido perfetto con un'equazione di stato che stabilisce una strana relazione tra la sua densità d'energia e la sua pressione;

- Interpretazione quantica: Λ rappresenta l'energia del vuoto di tutti i campi quantistici;

- Interpretazione geometrica: Λ è associata alla massa del gravitone.

Discutiamo brevemente ciascuna di queste interpretazioni.

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Pagina 113

Capitolo ottavo

Miti cosmogonici


Mito scientifico della creazione.

Presentare uno scenario della creazione del mondo che comprenda la descrizione nei minimi dettagli dei formidabili eventi che hanno forgiato una volta e per sempre il cosmo in cui viviamo è un compito al quale si sono dedicate tutte le civiltà fin dai tempi piú remoti. Per raccontare questo momento magico e unico, identificato con l'inizio di tutto-ciò-che-esiste, le differenti società hanno prodotto miti cosmogonici che descrivono il momento piú sublime che si possa immaginare. La scienza classica, stabilita alla luce della fisica newtoniana, non consente un equivalente scientifico di tali cosmogonie, giacché le sue strutture piú fondamentali sulle quali fondare l'idea della totalità, lo spazio e il tempo, non sono nient'altro che un palcoscenico, uno scenario eterno, statico e immutabile su cui gli eventi si svolgono obbedendo alle leggi della fisica.

D'altra parte, gli enormi e profondi cambiamenti del XX secolo, in uno sforzo teorico e osservativo formidabile, hanno dimostrato chiaramente che l'universo deve essere inteso come un processo in evoluzione. Contrariamente a quanto si pensava fino alla prima metà del XX secolo, viviamo in un mondo dinamico, caratterizzato dal continuo cambiamento dello spazio tridimensionale al trascorrere del tempo cosmico. Cosí, il volume totale dello spazio è stato minore nel passato e sta aumentando al passare del tempo. Da quest'osservazione scaturisce naturalmente una domanda: quanto è stato piccolo l'universo nel passato? Questa domanda fa pensare alla possibilità di un istante unico in cui il nostro universo è stato creato, il momento in cui il volume dello spazio è stato nullo. Questa è l'ipotesi, stabilita durante gli anni Settanta, della creazione del mondo attraverso una singolarità cosmica, una «grande esplosione iniziale» resa celebre con il nome suggestivo e curioso di big-bang.

In tempi piú recenti i cosmologi sono andati oltre questa visione semplicistica, stabilendo scenari alternativi per rappresentare la creazione del cosmo. Questa molteplicità di possibilità riproduce al livello piú generale della scienza le differenti modalità di guardare all'universo. Alcuni degli scenari sono organizzati in disaccordo con i concetti newtoniani con i quali costruiamo quotidianamente un discorso sul mondo - arrivando persino a farne diventare la comprensione concettuale in termini convenzionali gravemente problematica. Si potrebbe sperare che tra i diversi modi di rappresentare la creazione ce ne fosse uno piú efficiente degli altri, capace di realizzare una visione del mondo traducibile in termini semplici e comuni, quei termini con cui descriviamo i fenomeni di tutti i giorni alla nostra portata, tipici della fisica newtoniana. Bisogna dire però che non sembra essere questa la situazione oggi piú probabile.

Dobbiamo prepararci ad accettare che, per descrivere la formazione del nostro universo attraverso proprietà che sono e saranno probabilmente sempre oltre la portata della nostra sperimentazione quotidiana, la cosmologia utilizzi un insieme di simboli e un linguaggio distante dal dialetto newtoniano con il quale svolgiamo un discorso quotidiano sui fenomeni fisici a partire dalle osservazioni.

Cosí, inaspettatamente, come conseguenza naturale dell'uso continuato e senza limitazioni dell'approccio razionale alla descrizione della natura, i cosmologi offrono una descrizione completa dell'universo. Questa è data attraverso una formulazione intrinseca in un linguaggio simbolico speciale, all'interno della cosmologia; chi sia al di fuori del territorio di questa scienza può avere accesso a questa descrizione soltanto attraverso metafore. È in questo territorio di frontiera e di difficile accesso che appare una nuova descrizione dell'universo; questa genera una prassi che porta all'abbandono del modo convenzionale newtoniano di descrivere la natura - e che va oltre, trascende lo scenario del big-bang, questo modo definitivo e irrazionale di concepire un mito scientifico della creazione del mondo.

Prima di addentrarci nella descrizione dei modelli di creazione del mondo proposti dalla scienza negli ultimi anni, proponiamo un breve commento per situare tale descrizione in una prospettiva storica. La scienza, nel suo impegno naturale ed estremamente efficiente di desacralizzare il mondo, realizza - almeno cosí si pensava - un'attività che il germe della produzione di miti cosmogonici sembrava incapace di penetrare. Al contrario, la scienza ha sempre voluto essere guardata come produttrice di certezze, verità, visioni del mondo momentanee - ma a ogni momento definitive - che agiscono come potenti strumenti, vere macchine da guerra, con l'obiettivo esplicito di diminuire, ridurre, distruggere i valori dei miti tradizionali, caratterizzandoli come false descrizioni del mondo, facendoli cosí arretrare nei territori della fantasia. Ancor di piú, la scienza cerca di sottrarre ai miti cosmogonici qualsiasi valore che la società possa concedere loro.

Si tratta, ovviamente, di un atteggiamento politico. Era dunque molto difficile immaginare che questa stessa scienza, oggigiorno, nel nucleo piú duro delle sue certezze, nel gestire il comportamento degli agenti materiali del mondo, potesse avvicinarsi, pur mantenendo una grande distanza formale e circondandosi di molteplici precauzioni, alle tradizioni delle civiltà piú antiche, producendo ugualmente al suo interno una descrizione del modo in cui il mondo si sarebbe formato. Quelli che la pensavano cosí, dunque, sbagliavano.

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Ipotesi del big-bang come inizio del mondo.

Uno storico della scienza che volesse descrivere con serietà la situazione della cosmologia dagli anni Settanta fino alla metà degli anni Novanta avrebbe certamente enormi difficoltà nello spiegare le vere ragioni per le quali gli scienziati abbiano permesso che i mezzi di comunicazione di tutto il mondo diffondessero una notizia fantastica ed erronea: quella che loro, gli scienziati, avrebbero dimostrato che l'universo in cui viviamo ha avuto un momento unico di creazione, distante da noi pochi miliardi di anni.

In verità, dall'osservazione fantastica e grandiosa fatta da Hubble - forse senza uguali nella storia dell'umanità, per lo meno per quanto riguarda lo sguardo scientifico sulla totalità di ciò che esiste - secondo cui viviamo in un universo che non è statico ma dinamico e caratterizzato dalla variazione nel tempo dello spazio tridimensionale, si conclude naturalmente che il nostro universo è in espansione, cioè che il volume totale dello spazio aumenta con il passare del tempo. Da una misura della velocità di espansione si potrebbe dedurre che c'è stato un momento nel passato, pochi miliardi di anni fa, in cui il volume totale dello spazio sarebbe stato nullo. Questa conclusione si ottiene estrapolando il movimento al passato, se le condizioni generali del comportamento globale fossero le stesse lungo tutta la storia dell'universo.

Se quelle condizioni idealizzate potessero davvero essere riportate al passato, la situazione sarebbe sull'orlo dell'irrazionalità, poiché, nel «punto singolare della creazione», tutte le quantità fisiche sarebbero infinite. Di conseguenza, non si potrebbe trarne nessuna informazione e il seguito della storia dell'universo non potrebbe essere razionalmente dedotto partendo dalle sue caratteristiche iniziali, tutto ciò che esiste dipenderebbe in maniera inaccessibile da quell'istante primordiale. Questo significa che il piú grande programma della scienza, fornire una descrizione razionale completa della natura, non potrebbe sussistere precisamente nella sua parte piú fondamentale: la questione cosmologica.

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Dall'accelerazione dell'universo alla singolarità.

Dalla seconda metà degli anni Novanta è profondamente cambiato l'atteggiamento della comunità scientifica rispetto allo scenario del big-bang e alla presenza di una singolarità iniziale, che, come già detto, imporrebbe un'insormontabile barriera limitante il discorso scientifico sull'universo. Alla virata del XXI secolo una scoperta decisiva ha permesso che i modelli di universo eterno smettessero di essere guardati come alternativi e cominciassero a essere accreditati presso l'establishment scientifico.

Per capire la ragione di questo cambiamento di atteggiamento dobbiamo esaminare, anche se superficialmente, alcune caratteristiche dei teoremi della singolarità. Siccome la questione è ancora una volta eccessivamente tecnica per essere trattata nel presente contesto, ci limiteremo ad alcune considerazioni semplici ma al cuore delle argomentazioni di base per chiarire la situazione.


Pressioni negative.

Le simmetrie del modello di Friedmann riducono il numero di equazioni della relatività generale a due soltanto, che coinvolgono precisamente due funzioni del solo tempo cosmico: la densità di energia ρ(t) e il parametro di espansione H(t). Nel modello standard basato sulla geometria di Friedmann, la funzione H assume valore infinito al momento del big-bang, lo zero del tempo cosmico. Perché ciò non avvenga, per evitare la divergenza del parametro di espansione sarebbero necessarie pressioni molto negative. In particolare, la possibilità di una fase anteriore di collasso dell'universo, che preceda l'attuale fase di espansione, esige che il valore di H nel momento del cambiamento di regime dal collasso all'espansione non sia infinito ma nullo! Questo equivale a proprietà insolite della materia, che i fisici non erano disposti né preparati ad accettare; in particolare la presenza di pressioni negative a controllare l'evoluzione della geometria. La situazione potrebbe essere riassunta cosí: dalla parte dello «scenario standard» una grande maggioranza di scienziati che rifiutavano di accettare la presenza di pressioni negative; dall'altra parte, pochi altri che studiavano modelli nei quali queste proprietà della materia apparivano descrivendo la materia mediante campi non lineari. L'assenza di argomenti capaci di convincere gli uni e gli altri ha lasciato la questione aperta per un certo tempo. Agli inizi del XXI secolo, l'irruzione di un fatto inaspettato ha dato rispettabilità all'argomento considerato fino ad allora come alternativo.

Osservazioni effettuate sulle supernove lontane hanno rivelato un comportamento piuttosto particolare di queste ultime, incomprensibile per gli astronomi, a meno che queste proprietà non ci stessero informando del fatto che, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare dallo scenario cosmologico standard, l'universo fosse entrato da poco tempo in una fase di espansione accelerata. L'espansione del fattore di scala, che determina la variazione del volume spaziale, non solo non stava rallentando, ma, al contrario, accelerava.

Si è entrati da allora in un periodo febbrile fatto di innumerevoli proposte nuove in riferimento al comportamento della materia-energia che genera la curvatura dell'universo. Tutte le proposte, per essere efficaci e compatibili con le osservazioni, dovevano avere una caratteristica comune, precisamente quella che imprime alla geometria dell'universo un'espansione accelerata: dovevano permettere la presenza di pressioni negative, poiché le equazioni di Einstein mettono direttamente in relazione l'accelerazione dell'universo con il segno (positivo o negativo) della pressione.

Possiamo dunque riassumere così la fase attuale della cosmologia: se si rivelerà vera l'interpretazione delle osservazioni sulle supernove, secondo la quale l'universo è entrato in una fase di espansione accelerata e le equazioni della relatività generale sono applicabili all'universo, allora il fluido perfetto che genera tale accelerazione deve possedere pressione negativa.

In analogia con l'accelerazione dell'universo, il lettore può già avere tratto la conclusione che l'esistenza di un valore minimo non nullo per il volume dell'universo faccia ormai parte delle possibilità accettate dagli scienziati. Tanto in un caso quanto nell'altro si mette in gioco la stessa proprietà della materia, cioè la presenza di pressioni negative che si è ormai obbligati ad accettare (si veda il Commento piú avanti).

L'assenza di osservazioni della fase estremamente condensata dell'universo lascia aperta l'alternativa teorica tra un inizio singolare (in questo caso in cui la pressione del fluido sarebbe sempre positiva) e il passaggio dolce da una fase di collasso all'attuale fase di espansione (con la pressione che sarebbe stata negativa). La scoperta dell'accelerazione ha dato rispettabilità ai modelli di fluidi che hanno pressione negativa. Cosí, curiosamente, da un dominio ben lontano dal problema della singolarità iniziale, è venuta fuori la possibilità di accogliere le proposte di un universo senza singolarità, possibilmente eterno, come seri concorrenti per la descrizione del comportamento della fase primordiale dell'attuale èra di espansione dell'universo.

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Capitolo undicesimo

Modi di creazione di un universo


                Questo mondo, lo stesso per tutti, nessun dio né nessun
                uomo l'ha creato, ma sempre fu, è e sarà.
                                                               Eraclito



Modi di creazione.

Quale significato dare all'espressione «modi di creazione»? Sappiamo che la possibilità di una descrizione razionale completa del mondo non è compatibile con l'esistenza di una singolarità (il cosiddetto big-bang), giacché ogni processo fisico ulteriore dovrebbe dipendere da quantità impossibili da definire nella singolarità.

Per aggirare la difficoltà e dare una visione razionale completa del mondo sono state adottate due strategie di indagine:

- L'esame della possibilità dell'esistenza di una fase di collasso dell'universo anteriore al big-bang.

- Possibili novità nella descrizione dell'universo nella sua fase estremamente condensata, grazie a processi di natura quantistica.

Non conviene entrare qui nei dettagli delle raffinate questioni tecniche necessarie per una descrizione completa dei due schemi. Bisogna tuttavia osservare che gli scenari di tutte e due le proposte hanno un punto in comune che semplificando può essere descritto come l'esistenza di uno «stato» anteriore al momento di massima concentrazione. Nell'approccio classico questo stato è rappresentato da una fase di collasso primordiale precedente l'attuale fase di espansione. La versione quantistica permette una descrizione nella quale l'idea stessa di spazio-tempo dovrebbe essere dedotta da strutture piú elementari: i fenomeni che hanno dato origine all'espansione dell'universo sono descritti da strutture non rappresentabili nello spazio-tempo.


Universo eterno o big-bang?

Alla fine degli anni Sessanta, i cosmologi hanno ripreso in maniera sistematica l'esame di quella che è forse la questione piú fondamentale della scienza: la creazione dell'universo. Sono state da allora esplorate varie proposte alternative tramite modelli costruiti a partire dalle leggi fisiche conosciute, senza fare appello a modifiche non controllate del comportamento della materia e dell'energia. Quest'atteggiamento da parte degli scienziati non deve provocare nessuna perplessità, giacché non si tratta di una novità, ma anzi scaturisce dalla tradizione dei tentativi di una spiegazione razionale del mondo completa. In generale, l'idea di un inizio singolare, esplosivo, dell'universo, che fissa i limiti oltre i quali l'investigazione scientifica deve cessare, sembra oggi meno attraente delle altre proposte. L'idea di accettare condizioni iniziali inaccessibili è stata messa da parte.

Il termine big-bang, usato per caratterizzare la presunta esplosione iniziale, possiede due connotazioni ben distinte dall'uso che se ne fa, con o senza rigore scientifico. Nel senso tecnico, l'espressione significa un universo molto concentrato dove potrebbero essere in gioco nuove leggi della fisica. Dall'altro lato, nel suo significato piú popolare, il termine big-bang sta a indicare l'inizio del mondo, una regione per sempre inaccessibile. È in questo secondo caso che si applica un limite alla razionalità del mondo.

Non faremo qui un inventario delle diverse proposte di creazione dell'universo presentate in tempi recenti. Concentreremo invece la nostra attenzione su due esempi caratteristici, rappresentativi delle correnti rivali piú importanti, l'una di natura classica, l'altra di natura quantistica. Sorprende l'osservazione che tanto l'una quanto l'altra fanno riferimento a un certo stato primordiale denominato «vuoto» o «niente». È anche vero che questo «vuoto» possiede significati distinti per i diversi modelli. Però, tutti i modelli hanno in comune la proprietà di riferirsi a uno stato fondamentale che è qualcosa che si avvicina parecchio al concetto intuitivo di vuoto, ovvero l'assenza di materia ed energia sotto qualsiasi forma, inclusa quella gravitazionale. Ci dedicheremo ora a commentare i possibili meccanismi di creazione dell'universo nelle due proposte qui di seguito:

- Proposta quantistica: basata sull'esistenza di un'era primordiale controllata da processi di natura quantistica.

- Proposta classica: basata su modifiche della struttura della geometria dello spazio-tempo durante tutta la sua storia, scenario wist.

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Il mondo lineare e quello non lineare.

Forse la caratteristica che meglio rappresenta l'opposizione tra la scienza del secolo XIX e quella del XX secolo è la linearità. Mentre il secolo XIX, nell'organizzare sistematicamente la conoscenza complessiva che la scienza aveva acquisito nei tre secoli anteriori, ha fatto appello alla linearità nelle sue grandi descrizioni sintetiche del mondo fisico, il XX secolo ha volto lo sguardo in direzione del non lineare. Questo movimento non si è limitato alla fisica, ma ha invaso anche le altre scienze, diffondendosi perfino - et pour cause - nelle scienze umane. Mi limiterò a considerarne alcuni aspetti nella fisica e nella cosmologia. Per fare questo è necessario presentarne, anche se sommariamente, alcune caratteristiche basilari, affinché il lettore mi possa accompagnare agevolmente.

Un processo è lineare se il suo attore non agisce su se stesso. Il trattamento matematico del mondo lineare non soltanto è semplice ma è anche accessibile e di facile manipolazione. Per di piú, il mondo lineare è prevedibile. Tra le caratteristiche piú notevoli c'è la possibilità di costruire una storia causale e deterministica del mondo. Alla fine, il modo comunque piú semplice di caratterizzare una teoria lineare è quello fatto attraverso il linguaggio matematico. Consideriamo una teoria caratterizzata da una certa equazione che determina l'evoluzione di un certo processo naturale di un'origine qualunque. I fenomeni osservabili che questa teoria permette di descrivere sono dati dalla totalità delle soluzioni di quell'equazione. Consideriamo due soluzioni distinte della stessa equazione; le due soluzioni corrispondono dunque a situazioni diverse e i particolari dei processi coinvolti sono mostrati in ciascuna delle due soluzioni.

Il punto cruciale capace di discriminare la linearità della teoria riguarda il comportamento congiunto di queste due soluzioni. Se tramite la semplice addizione delle soluzioni se ne ottiene una nuova della stessa equazione, allora questo segnala inequivocabilmente la linearità della teoria. Inoltre, la particolare coppia di soluzioni considerata non è importante e la proprietà di cui sopra deve essere generica: l'addizione di due o piú soluzioni dell'equazione originale darà origine a una nuova soluzione. Questa proprietà permette di generare ogni volta nuove soluzioni. Possiamo, con l'applicazione successiva di questo procedimento, generare infinite soluzioni.

Il lettore può riconoscere da solo la potenza della linearità e l'importanza che questa proprietà dovrebbe avere e che effettivamente ha. L'esempio piú notevole di una teoria lineare - e che è diventato il paradigma di descrizione di qualsiasi teoria che coinvolge interazioni descritte da qualche tipo di campo - è la teoria di Maxwell dei processi elettromagnetici della fine del XIX secolo. Questa teoria si è consolidata come paradigma della struttura lineare delle forze della natura, a tal punto che, per parecchio tempo, i fisici hanno pensato che l'apparente non linearità di alcuni processi fosse dovuta alla complessità degli agenti coinvolti, non dovesse essere associata a qualche struttura basilare e non potesse essere una proprietà di qualche interazione fondamentale. Tuttavia, all'inizio del XX secolo, la fisica della gravitazione ha cambiato completamente questo modo di pensare. Possiamo attribuire gran parte del cambiamento alla teoria della relatività generale. La nuova teoria della gravitazione che coinvolge processi di autointerazione ha aperto un cammino per consolidare la non-linearità come caratteristica dei processi fondamentali.

È possibile capire la situazione riprendendo un argomento utilizzato in precedenza per descrivere le due forze di lunga portata, quella elettromagnetica e quella gravitazionale. Le prime hanno come sorgente le cariche elettriche a riposo o in movimento, nelle differenti forme in cui esistono. Un corpo, una particella, per interagire attraverso la forza elettromagnetica deve possedere una carica elettrica. Questa carica è la proprietà essenziale che gli fornisce il passaporto per penetrare nel territorio dove questa forza si manifesta. Ad esempio una particella come il neutrino, che non possiede carica elettrica, non può interagire tramite il canale elettromagnetico.

Niente di simile succede con il campo gravitazionale. La ragione di questa differenza appare chiara nella teoria di Einstein. Secondo questa teoria, la sorgente della gravitazione non è soltanto la massa dei corpi materiali - come succedeva nella fisica newtoniana - ma l'energia sotto qualsiasi forma. Ebbene, il processo gravitazionale stesso, l'emissario della forza gravitazionale, consiste a sua volta in una forma particolare di energia e dunque deve anche partecipare all'interazione gravitazionale. Di conseguenza la teoria non può essere lineare. La forza gravitazionale costituisce dunque un esempio notevole, semplice e accessibile di un processo nello stesso tempo fondamentale e non lineare.

Cosí, provocando un certo spavento perfino negli scienziati, la natura è fondamentalmente non lineare nonostante essa possa avere un'apparenza lineare nel nostro quotidiano. A sostegno della generalità e dell'impatto di quest'affermazione, dobbiamo ricordare che non esiste niente di piú universale della forza gravitazionale. Alla luce delle conoscenze attuali sulle forze della natura, possiamo perfino dire che tutto ciò che esiste sente il campo gravitazionale. Questa caratteristica può essere utilizzata per una definizione operativa di ciò che significa esistere: qualche cosa esiste se sente l'interazione gravitazionale.

Nel nostro quotidiano, le relazioni umane della vita di ogni giorno e di ognuno con se stesso, il mondo sociale, sono fenomeni visti da sempre come altamente non lineari. Sembrava però che la non linearità fosse legata essenzialmente a processi complessi che coinvolgono strutture con molte componenti come l'uomo, la società, le relazioni politiche, le stelle e le galassie. Cosí, la percezione, all'inizio del XX secolo, che situazioni ben piú semplici e alcune perfino elementari e fondamentali come i processi gravitazionali hanno la caratteristica rimarchevole di essere non lineari è stata un enorme colpo culturale. Se mi dilungo in quest'apparente banalità, se ripeto quest'affermazione piú di una volta, è perché voglio fare in modo che il lettore percepisca assieme a me la difficoltà che ha rappresentato l'assimilazione, da parte della comunità scientifica, del passaggio dal paradigma lineare nella costruzione di una storia razionale e completa del mondo a quello non lineare.

Sorge cosí la domanda: come comprendere la creazione dell'universo da uno stato fondamentale? È possibile concepire altri stati che sarebbero in qualche modo connessi ad altri universi e mettere in relazione differenti soluzioni particolari delle equazioni della gravitazione? E questa sarebbe una proprietà caratteristica delle equazioni di Einstein, o piuttosto un esempio particolare di una situazione generale, tipica della non linearità? Per completare il compito di dare un significato al titolo di questo capitolo, esaminiamo ancora una volta un esempio concreto.

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Conclusione


L'esame dell'applicazione delle leggi della fisica all'universo, come anche dell'estensione intrapresa da Einstein, ci ha dato un'idea, per quanto superficiale, della funzione della cosmologia. Dopo questo lungo percorso possiamo guardare indietro e rivedere la strada sulla quale abbiamo camminato, se siamo riusciti a uscire dalla foresta o se ci siamo persi là dentro. In fin dei conti, un viandante che si addentra nella foresta può iniziare il suo percorso affidandosi al caso o seguire passo a passo le indicazioni della mappa. Che faccia l'una o l'altra cosa, egli può in ogni momento cambiare direzione: ad esempio, per adeguarsi piú correttamente alle indicazioni della mappa da cui ha in qualche modo deviato, o per osservare qualche particolare che richiama la sua attenzione, come l'apparizione di una nuova specie di pianta che gli pare particolarmente interessante e che non aveva mai visto. Nel secondo caso, egli è libero di errare, nel primo caso segue un piano che lo priva della gioia della scoperta, ma gli garantisce la sicurezza che lo aiuterà a uscire dalla foresta. La scelta dell'una o dell'altra di queste opzioni è un fatto personale. Anche noi abbiamo fatto la nostra scelta e adesso vogliamo fare un bilancio proprio di questa scelta.

Possiamo dire che la visione globale della struttura che si chiama universo occupa oggi una posizione di spicco nel pensiero scientifico contemporaneo. Per di piú, il concetto di totalità prodotto dalla cosmologia ha permeato sostanzialmente tutta l'attività della fisica fondamentale. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, per la grande comunità di scienziati formata da cosmologi, astronomi, fisici, astrofisici e altri ancora, questa nozione è divenuta abituale alla pari degli altri concetti e caratteristiche di cui fanno uso per elaborare i diversi fenomeni e processi osservati e dare loro significato. Questo rende possibile porre domande e fare indagini sul concatenamento formale di quei processi e fenomeni, domande e indagini che sarebbero ridotte, incomplete e di minore importanza senza questa nozione globale.

Per tutte le ragioni di cui abbiamo già discusso, non dobbiamo sottostare al tentativo, basato su un'ideologia pragmatica e strumentale, di riduzione della funzione della cosmologia al mero ruolo di fisica extragalattica, limitandone la portata e privandola della sua grandiosità. Questa funzione ridotta, come abbiamo visto, appartiene a una ontologia regionale, non possiede l'ambizione di stabilire una rifondazione globale e completa della fisica.

Quando si cerca di accantonare la funzione piú importante della cosmologia, si perpetra un atto di diminuzione del suo ruolo che non resta senza conseguenze. La piú drammatica sta nell'impossibilità di dare una spiegazione al momento della creazione, ad esempio nella versione originale del big-bang, il che condurrebbe all'accettazione dell'esistenza di un momento unico di creazione di tutto-ciò-che-esiste inaccessibile non soltanto all'osservazione, ma anche a qualsiasi descrizione razionale, portando inevitabilmente al suicidio della ragione cosmica.

La cosmologia è stata severamente criticata proprio per la sua ambizione di fare affermazioni sul mondo che la fisica non si è permessa di fare. E questo impedimento non è stato imposto da fuori. Non proviene da alcun tentativo di proibizione da parte di altri saperi. No, l'impossibilità, come abbiamo visto, è venuta da dentro, ha avuto origine nel nocciolo duro della fisica, riflettendosi sul tentativo di riduzione della cosmologia a fisica extragalattica. Tra le questioni tipiche del suo territorio di indagine, ce ne sono alcune che ricordiamo qui.

- Qual è l'origine dell'espansione globale dell'universo?

- Quali sono i dati iniziali dell'universo?

- Esistono altre dimensioni oltre alle quattro di spazio-tempo?

- Perché esiste piú materia che antimateria?

- Perché esiste qualcosa invece del nulla?

- Perché la massa delle particelle elementari, come il protone e l'elettrone, ha il valore che possiede, e non un altro valore?

- Perché l'entropia aumenta sempre?

La cosmologia produce un discorso su queste domande, permette che siano penetrate, inventando, costruendo e codificando la nostra conoscenza di questi temi. Ciò ci aiuta a capire perché affermiamo un modo nuovo di concepirne il ruolo. La vera dimensione della cosmologia deve essere ricercata precisamente laddove essa apre l'accesso a questo tipo di interrogativi. Per svolgere il suo compito, la cosmologia deve rifondare la fisica, riesaminare i fondamenti sui quali essa riposa e si regge.

La rifondazione della fisica richiede l'orchestrazione della totalità del mondo e questa è la funzione della cosmologia. Le differenti parti della fisica prese assieme non producono un discorso completo sul mondo. Manca qualcosa, manca la base sulla quale fondare e svolgere un discorso esauriente e completo sul mondo. È la cosmologia che può fornire ciò che manca, che può colmare la carenza che inibisce un progetto piú grande. È la cosmologia che ha la funzione di sostenere il discorso globale sull'universo. E senza questo discorso la fisica - la nostra conoscenza scientifica e razionale della natura - resta sfaccettata, divisa, non soddisfa le condizioni necessarie per una descrizione unitaria di tutto ciò che osserviamo e, ancora peggio, non permette l'organizzazione di tale conoscenza integrata partendo da un punto di sostegno che si trovi al suo interno.

Cosí, come la rifondazione della metafisica tradizionale è la funzione che i filosofi dell'ontologia assegnano alla critica di Kant, nel procedere alla rifondazione della fisica, incorporando tutte le forze della natura in una descrizione completa dell'universo, cercando di rispondere alle domande che abbiamo elencato sopra e ad altre ancora che appaiono alle frontiere della conoscenza, si realizza una vera critica della fisica. Diamo il nome di cosmologia a questa attività.

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