Copertina
Autore Joyce Carol Oates
Titolo Una famiglia americana
EdizioneMarco Tropea, Milano, 2003, Le Gaggie , pag. 510, dim. 137x213x33 mm , Isbn 978-88-438-0103-9
OriginaleWe Were the Mulvaneys [1996]
TraduttoreVittorio Curtoni
LettoreAngela Razzini, 2003
Classe narrativa statunitense
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Pagina 9

La casa da fiaba



Eravamo i Mulvaney, vi ricordate di noi?

Forse pensavate che la nostra famiglia fosse più grande. Ho incontrato spesso persone convinte che noi Mulvaney fossimo virtualmente un clan, ma in realtà eravamo solo sei: mio padre, che era Michael John Mulvaney Sr., mia madre Corinne, i miei fratelli Mike Jr. e Patrick e mia sorella Marianne, e io, Judd.

Dall'estate del 1955 alla primavera del 198O, quando mio padre e mia madre furono costretti a vendere la proprietà, i Mulvaney sono stati alla High Point Farm, sulla High Point Road, undici chilometri a nordest della cittadina di Mt. Ephraim nella parte settentrionale dello stato di New York, nella valle di Chautauqua, circa centodieci chilometri a sud del lago Ontario.

High Point Farm era una proprietà molto nota della valle, destinata con il tempo a essere definita un luogo di interesse storico, e "Mulvaney" era un cognome molto conosciuto.

Per parecchio tempo ci avete invidiato, poi ci avete compianto.

Per parecchio tempo ci avete ammirato, poi avete pensato Bene! È quello che si meritano.

«Troppo esplicito, Judd!» direbbe mia madre, torcendosi le mani a disagio. Ma io credo nel dire la verità, anche se dolorosa. Soprattutto se dolorosa.

Per tutta la mia infanzia di Mulvaney sono stato il piccolo di famiglia. Essere il piccolo di una famiglia simile significa rendersi conto di essere l'ultimo minuscolo vagone di un lungo treno ruggente. Mi volevano bene, per cui, quando mi prestavano una qualche attenzione, ero una creatura abbagliata e accecata da luci intense, ardenti, che potevano spegnersi di colpo e lasciarmi al buio. Non riuscivo a capire chi fossi, se avessi un nome preciso o molti nomi, tutti quanti affettuosi e molti scherzosi, come Fossette, Belfaccino oppure, in alternativa, Musone o Ranger, il mio preferito. Quasi sempre, sono stato Piccolo o Piccino. Judd era un nome legato a una certa dose di severità, serietà, anche se noi bambini Mulvaney venivamo rimproverati di rado e ancora più raramente puniti; Judson Andrew, il mio nome di battesimo, era un nome di tale dignità e ambizione che non sono mai riuscito a sentirlo mio. Era soltanto una cosa presa in prestito, come una maschera di Halloween.

Si poteva avere l'impressione, o almeno l'avevo io, che Judd, o meglio Piccolo, per poco non ce l'avesse fatta. A nascere, intendo. Il treno stava per lasciare la stazione, l'ultimo vagone veniva trascinato velocemente sui binari. Non che Corinne Mulvaney fosse così vecchia quando sono nato; aveva solo trentatré anni. Il che di certo non significa essere vecchi in base agli standard di oggi. Io sono nato nel 1963, l'anno che, diceva papà scrollando cupo la testa con uno sguardo di profonda tristezza, «ha spezzato in due la storia» per gli americani. A me preoccupava essere arrivato tanto in ritardo; c'erano già tutti! Una famiglia Mulvaney completa senza Judd.

Ho sempre avuto quella sensazione. Per quanto mi sforzassi non potevo sperare di arrivare a condividere i loro bei giorni, i segreti, le battute. I ricordi. Che cos'è una famiglia, dopo tutto, se non ricordi? Casuali e preziosi come il contenuto del cassetto che in cucina serve da ripostiglio generico (a casa nostra si chiamava "cassetto della robaccia", per buone ragioni). Il mio handicap, capii gradualmente, stava nel fatto che quando io ero sul punto di nascere mio fratello Mike aveva già dieci anni, e tra bambini questo equivale a una generazione. Dov'è Piccolo? Chi ha preso Piccolo? Gli strilli cominciavano, e il più vicino mi raccattava e si partiva. L'abbaiare di una mischia di cani, con la loro ansia di non essere lasciati lì che scimmiottava la mia, esagerata perché spesso gli animali sono esagerazioni degli esseri umani, emozioni svelate senza pudori. Chi ha preso Piccolo? Non dimenticate Piccolo!

I cani, i gatti, i cavalli, persino le automobili e i furgoni che papà e mamma guidavano prima che io nascessi, quei grandi modelli sexy e sgargianti degli anni cinquanta: ho scrutato tutto nei gonfi album fotografici di mamma, deciso a incollarmi a quei ricordi. Ma certo, ricordo benissimo! Ma certo, c'ero anch'io! Il primo pony di Mike, Crackerjack, che era un sauro con chiazze color sabbia. Il nostro setter Foxy da cucciolo. La volta che papà finì in un fosso con il trattore. La volta che mamma lanciò torsoli di pannocchie per spaventare certi strani cani che pensava minacciassero le galline e poi si scoprì che i cani erano un orso nero con i suoi due cuccioli. La volta che papà invitò centocinquanta persone al pranzo all'aperto dei Mulvaney del quattro luglio convinto che ne sarebbe arrivata solo la metà, e invece si presentarono tutti, e anche qualcuno in più. La volta che un amico leggermente discutibile di papà venne a High Point Farm partendo da un aeroporto di Marsena su un Piper Cub giallo canarino e atterrò («Quasi un atterraggio d'emergenza» aveva commentato secca mamma) in uno dei pascoli, e anche se il neonato nelle foto che celebravano l'evento doveva essere mia sorella Marianne, nel luglio 1960, sono riuscito a convincermi Sì c'ero, ricordo. Ricordo!

E quando in anni successivi parlavano dell'episodio, narrando di come il vento sballottasse il piccolo aereo quando Wally Parks, l'amico di mio padre, aveva fatto fare un breve volo a papà, io ero certo di esserci stato, ricordavo la mia grande eccitazione, la grande eccitazione di tutti noi, Mike, Patrick, Marianne e me, e ovviamente mamma, lì a guardare il Piper Cub che saliva sempre più su scosso dal vento, diventava più piccolo in distanza sino a essere non più grande di uno sparviero, alto sopra la valle, e pareva che un solo, forte soffio di vento potesse trascinarlo giù. E mamma aveva pregato: «Dio, riportami quei balordi vivi e non mi lamenterò mai più di nulla, prometto! Amen».

Potrei giurarlo anche adesso: io c'ero.

Perché i Mulvaney erano una famiglia nella quale tutto ciò che accadeva era prezioso e tutto ciò che era prezioso era immagazzinato nel ricordo e tutti avevano una storia.

Per questo molti di voi ci invidiavano, credo. Prima degli eventi del 1976, quando tutto per noi andò in pezzi e non venne mai più ricomposto nello stesso identico modo.

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Pagina 116

Corinne non fu lieta dell'invito, e ancora meno dell'eccitazione del marito all'averlo infine ricevuto. Dov'era il suo orgoglio? Dov'era il suo carattere? Perché doveva buttare soldi guadagnati con il sudore della fronte (duemilacinquecento dollari per "tasse d'ammissione", seicento dollari di quota annuale!) quando High Point Farm richiedeva esborsi continui, per non parlare dei ragazzi? Una famiglia con quattro figli che scoppiano di salute costa. «Siamo andati avanti per quasi vent'anni senza fare parte del Country Club di Mt. Ephraim. Perché iscriverci adesso? A chi importa?» chiese Corinne.

Chiaramente, a Michael Mulvaney importava.

Corinne, democratica e liberal, il tipo di protestante che non permetteva a nessuno di intromettersi tra sé e Dio, passò a sostenere che il club era antiamericano, anticristiano, immorale. «Solo per bianchi! E solo maschi! Le donne sono accettate soltanto come ospiti di mariti o parenti di sesso maschile!»

«E con ciò?» chiese Michael.

«E con ciò? Non capisci?»

«Corinne, è un club privato. In sostanza si tratta di amici che stanno bene assieme e vogliono avere una sede dove ritrovarsi. Quando il club è stato fondato, nel 1925, c'erano solo dodici uomini. Erano amici. E con il tempo...»

«Stop! Non credo a quello che sento! Tu, Michael Mulvaney, un bigotto. Un sessista. Uno snob.»

«Ma che diavolo, Corinne? Non posso iscrivermi al Club femminile del giardinaggio o alla Lega delle elettrici. Non posso entrare in una confraternita di neri o nei Cavalieri di Colombo. Esistono country club riservati esclusivamente agli ebrei, club per italoamericani. Qual è il problema?»

«È antiamericano, ecco qual è il problema!»

«Al contrario, è molto americano. Ogni tipo di organizzazione, club privato, persino i club segreti. Si tratta di persone che decidono da sé quali amici vogliano avere.»

«Amici? Il punto è anche escludere altra gente! È crudele, è discriminatorio. Pensa solo a come ti hanno fatto aspettare per anni. A quanto ti sei sentito ferito. A come hai tentato di riuscirci, alle campagne...»

Michael si infiammò. «Lascia perdere il mio caso! Stiamo parlando di princìpi. Princìpi basilari. Il diritto di un gruppo di persone di...»

«Di escludere gli altri per promuovere se stessi. Per scopi "d'affari". E per bere. Ho sentito certe storie sulle baldorie al club...»

«Corinne, tutti bevono. Chiunque voglia farlo, beve. I nostri amici bevono.»

«I tuoi amici bevono...»

«Sono anche amici tuoi! Non credo proprio che bere sia monopolio dei soci del club.»

«Michael, questo ridicolo club discrimina due membri della tua famiglia! Marianne e io, essendo femmine, non possiamo nemmeno entrare dall'ingresso principale! Dovremmo passare da una porta laterale. L'ingresso per la famiglia. Lo sapevi?»

Continuarono il discutere. Per giorni, per una settimana. La lite avvampava, poi si placava; come un insidioso incendio nella palude che sembra estinto, e invece ribolle sotto le ceneri. Corinne si incupiva, e Corinne era sarcastica, e Corinne era moralmente, spiritualmente sgomenta. Sapeva, sapeva di avere ragione! Ma i figli non erano ansiosi di prendere le sue difese. E restava in sospeso la domanda che Marianne le aveva posto un giorno con folgorante semplicità: «Mamma, non vuoi che papà sia felice? Noi, sì».

Perché anche Marianne voleva appartenere al Country Club di Mt. Ephraim. Marianne soprattutto: tante delle famiglie delle sue amiche erano già iscritte.

Così Corinne, che a conti fatti era un tipo sportivo, comperò un biglietto d'auguri con la scritta CONGRATULAZIONI! per Michael, lo fece firmare dai figli, mise le impronte delle zampe di cani e gatti, con i rispettivi nomi; e aggiunse un avvertimento tra parentesi: Una donna convinta contro la propria volontà resta sempre della stessa opinione. Firmò il biglietto TI AMO COME SEMPRE, FISCHIETTO e lo lasciò, assieme a una bottiglia di champagne, alla Mulvaney Tetti e coperture.

Così, una sera del maggio 1973, Michael Mulvaney divenne socio del Country Club di Mt. Ephraim. E ne diventò ben presto un membro vivace, attivo, generoso con il proprio tempo, pronto a fare parte dei comitati, offrire consigli pratici su questioni come la manutenzione della sede, gli impianti idraulici, le relazioni pubbliche. «Verrebbe da pensare che vostro padre si sia candidato a un'elezione politica» commentò secca Corinne con i figli «si è trasformato in uno stringimani». Guardando l'affabile Michael Mulvaney che sorrideva, socievole, in blazer blu con bottoni nautici d'ottone e sgargiante cravatta a scacchi, che ai brunch domenicali si aggirava nel salone da pranzo a salutare amici, che veniva presentato a potenziali amici, stringeva mani, rideva, flirtava con donne che chiaramente lo adoravano, in maniera del tutto innocente, è ovvio (è ovvio!), Corinne dovette ammettere con un sospiro che il Country Club rendeva suo marito smagliante di felicità in un modo che High Point Farm, nonostante tutte le sue bellezze, non riusciva più a fare.

Mi ha deluso? Oh, solo un pochino.

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Pagina 187

[...] Patrick aveva diciotto anni, e presto avrebbe lasciato la casa. A volte Corinne vedeva nelle lenti dei suoi occhiali paesaggi distanti. Ormai era raro che lui, o gli altri, indugiassero in cucina con mamma come un tempo. Tutto ciò era svanito, all'improvviso.

Era tutto svanito, no? Corinne non se n'era resa conto. La chiassosa mezz'ora in cui tutti i figli, rientrati da scuola, si affollavano in cucina, ansanti ed eccitati, a scambiarsi le novità della giornata, prendersi in giro, scherzare, ridere, puntando al frigorifero, con i cani che abbaiavano in estasi, perché anche per loro era l'apice della giornata. (Di solito, i cani aspettavano l'autobus della scuola all'inizio del vialetto. I pomeriggi in cui Mikey Junior aveva gli allenamenti di football, il povero Seta restava a vigilare solo, mentre gli altri cani trottavano verso casa con gli altri ragazzi.) Gli anni meravigliosi in cui Mikey era ancora alle superiori e Judd alle elementari. Mikey Junior, P.J., Germoglio, Ranger. E la cara vecchia mamma sfolgorante di piacere anche mentre, com'è tipico delle madri, rimproverava: «Ehi! Razziatori! Non rovinatevi l'appetito prima di cena!». Come se ragazzi in crescita potessero rovinarsi l'appetito. Quei ragazzi sempre affamati, a divorare panini al burro d'arachidi, biscotti con le scaglie di cioccolato, fette di formaggio, vecchi biscotti al burro e latte spalmati di marmellata. Mikey, che era Mulo e Numero Quattro, aveva l'appetito di un giovane manzo, mandava giù mezzo litro di latte in cinque o sei sorsate. Marianne che stava di continuo a "tenere sotto controllo il peso" si univa a loro con bevande dietetiche, sgranocchiava carote, sedano. Tutti quanti flirtavano con mamma. Bramavano l'attenzione di mamma, cercavano di fare colpo su lei. Come i cani sempre pronti a scodinzolare e i gatti che tenevano la coda ritta come micini. Ehi mamma, guarda me! me, me!

Ora, tutto era cambiato. In modo irrevocabile?

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Michael Mulvaney Sr. riuscì a sfuggire al carcere maschile di Red Bank ma non sfuggì a quello che ormai definiva il proprio fato: essere trascinato pubblicamente nella merda, essere merda agli occhi altrui. Non credeva e non avrebbe mai creduto di avere commesso un reato quando aveva versato un po' di birra sulla faccia del giudice Kirkland, o tanto meno di avere commesso un reato quando, l'anno prima, aveva sbattuto Zachary Lundt contro un muro: erano reazioni "provocate" di cui non si pentiva affatto. Aveva pagato una multa di millecinquecento dollari, che però era solo quella che definiva una "mera frazione" del suo castigo. Perché si era messo ad assumere e licenziare avvocati come un ossesso: assumeva "l'errore iniziale", diceva, e ne licenziava "l'interesse composto". Però continuava ad assumerne, e per ogni nuovo avvocato che assumeva doveva pagare, pagare, pagare. Una settimana parlava in termini estatici di un certo Costello di Yewville, la settimana dopo di un Elder di Rochester; la settimana dopo, Costello ed Elder erano squalificati, ed era entrato in campo Fenwick, "un vero squalo". Gli avvocati terrorizzavano mia madre, perché secondo lei vivevano delle miserie altrui; era figlia di contadini e non poteva tollerare una professione che "non produce nulla, prende e basta". Lei, che non aveva pianto quando tre dei nostri cavalli erano stati portati via per essere messi all'asta (almeno, non aveva pianto davanti a me), pianse quando mio padre si gloriò con lei delle proprie strategie legali. Avrebbe intentato causa a quell'ipocrita di Kirkland! Avrebbe intentato causa al Country Club di Mt. Ephraim! Avrebbe intentato causa alla polizia di Mt. Ephraim per arresto ingiustificato! E al Patriot-Ledger per diffamazione! Ogni avvocato dava a mio padre la speranza di mettere una nuova medicazione alla sua terribile ferita; ma era una speranza letale come lo è il cibo solido per chi abbia lo stomaco ristretto dall'inedia. Per una settimana o più nel gennaio 1979 papà arrivò addirittura a promuovere una causa contro uno dei suoi ex avvocati, che accusava di incompetenza professionale, e in quel periodo i miei litigarono come mai li avevo sentiti litigare. Mia madre era furibonda nel vedere che mio padre buttava soldi per gli avvocati e mio padre sosteneva di poterli recuperare tutti, più altri: non aveva la giustizia dalla sua?

Al tempo stesso, papà sembrava non nutrire illusioni né speranze. Di giorno, sobrio, non sperava. Era un uomo che ne attaccava altri, un uomo disperato. Pareva essersi dimenticato del tutto di Marianne, di ciò che le era stato fatto, la radice di tutti i problemi; al centro della sua eccitata attenzione c'era un gruppo di individui di Mt. Ephraim che lo aveva trattato male, e continuava a farlo. Mi avvertì: «Appena ti trovi coinvolto nella macchina della legge, figliolo, sei fregato. Come un topo chiuso in un angolo dai cani. Innocente o colpevole, sarai punito perché dovrai assumere un avvocato, e appena assumerai un avvocato comincerai a pagare, pagare, pagare. Non importa che tu sia innocente e vinca. Hai già perso. Paghi, paghi, paghi».

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