Copertina
Autore Patrick O'Brian
Titolo Buon vento dell'ovest
EdizioneTEA, Milano, 1999 [1997], tea due 718 , Isbn 978-88-7818-609-5
OriginaleH.M.S. Surprise [1973]
TraduttorePaolo Merla
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe viaggi , mare , narrativa inglese , narrativa irlandese
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Pagina 7 [ inizio libro ]

CAPITOLO I


«Ma vi faccio presente, my Lord, che il denaro delle prede è di importanza capitale per la Royal Navy. La possibilità, per quanto remota, di realizzare una fortuna grazie a qualche colpo ben riuscito è un incentivo che non ha uguali per quanto riguarda la disciplina, la solerzia e la disponibilità continua di ogni uomo a bordo. Sono certo che i membri militari di questa assemblea saranno d'accordo con me», disse, guardandosi in giro. Parecchie tra le figure in uniforme sedute intorno al tavolo alzarono gli occhi e ci fu un mormorio di consenso: non universale, tuttavia; qualche civile assunse l'aria di chi non voleva pronunciarsi e uno o due fra gli ufficiali di marina continuarono a fissare i fogli di carta assorbente posati davanti a loro. Difficile cogliere l'orientamento di quella riunione, ammesso che un indirizzo preciso si fosse già delineato. Non si trattava della solita riunione ristretta dei Lords Commissioners dell'ammiragliato, ma della prima assemblea della nuova amministrazione, la prima dopo le dimissioni di Lord Melville, alla quale partecipavano numerosi nuovi membri, molti capi di dipartimento e rappresentanti di altre commissioni; tutti stavano saggiando il terreno, comportandosi con educata riservatezza, trattenendo il fuoco. Difficile afferrare l'atmosfera, ma pur sapendo di non avere tutti dalla sua parte, Sir Joseph non avvertiva una decisa opposizione, nemmeno un'incertezza, e sperava, con la forza della propria convinzione, di potere ancora far prevalere il suo punto di vista, nonostante la scarsa propensione del Primo Lord. «Uno o due casi clamorosi di questa specie nel corso di una guerra prolungata sono sufficienti a stimolare lo zelo dell'intera flotta durante anni e anni di dura vita sul mare; laddove un rifiuto, d'altro canto, non potrebbe non avere un... produrrebbe certamente l'effetto contrario.» Sir joseph era un abile e sperimentato capo dei servizi d'informazione della marina, ma non era un oratore; in particolare, davanti a un pubblico così numeroso, non aveva saputo toccare la corda giusta, gli era sfuggita la parola chiave e ora si rendeva conto di un clima vagamente negativo che si era andato instaurando.

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Pagina 36

Una volta tanto non fu necessaria una grande urgenza; una volta tanto quella «logorante impressione di fretta, di non poter perdere un solo minuto, invero» della quale Stephen si lamentava così spesso, era assente. Era la stagione dei venti da settentrione quasi permanenti nel Mediterraneo occidentale, del mistral, del gargoulenc e della tramontana, tutti venti favorevoli per Minorca e per l'appuntamento della Lively; ma era importante non arrivare al largo dell'isola troppo in fretta, per non dover incrociare avanti e indietro, destando sospetti; e poiché gli ordini di Jack, con le istruzioni generali di «disturbare il naviglio, le installazioni e le comunicazioni del nemico» gli lasciavano ampio spazio di manovra, la fregata stava ora attraversando il golfo del Leone verso la costa della Languedoc con tutte le vele che poteva portare e l'impavesata di sinistra che ogni tanto scompariva sotto la bianca spuma ribollente. L'esercitazione del mattino ai cannoni, una bordata dopo l'altra contro il mare aperto, e adesso quella magnifica corsa nel brillare del sole avevano fatto scomparire gli sguardi e i mormorii di scontento del giorno precedente: niente provviste e niente missione; quei maledetti ordini li avevano privati di entrambe le cose proprio quando sarebbe toccato a loro, ed essi imprecavano contro lo sciagurato Weasel per lo scherzo fuori luogo, per la sua stupida mania di correre e di esibirsi, così tipica di quei leccapalle di velieri non classificati. «Se fosse arrivato da cristiano invece che da turco qual è, a quest'ora saremmo già quasi all'Elba», si era lamentato Giava Dick. Ma questo avveniva ieri; adesso l'esercizio fisico, la facilità di dimenticare, la possibilità di qualcosa di piacevole che poteva presentarsi all'orizzonte a ogni nuovo miglio percorso e, soprattutto, la deliziosa aspettativa della ricchezza l'indomani avevano riportato il buonumore a bordo della fregata. Il suo comandante se ne accorse mentre finiva l'ultimo giro in coperta prima di ritirarsi nella sua cabina per accogliere gli ospiti, e provò una certa emozione, difficile da definire: non era invidia, dato che lui sarebbe stato il più ricco di tutti loro messi insieme, più ricco in posse, soggiunse fra sé, incrociando come al solito le dita. Eppure si trattava di invidia, anche: loro avevano una nave, facevano parte di una comunità unita da forti legami. Loro avevano una nave, e lui no. E tuttavia non proprio invidia, non nel senso comune del termine... Le definizioni appropriate se ne volarono via col vento mentre la clessidra veniva girata, il fante di marina si portava a prua per suonare i quattro colpi e l'allievo di guardia gettava il solcometro. Jack si affrettò nel proprio alloggio, lanciò un'occhiata alla lunga tavola disposta per madiere, ai suoi piatti d'argento scintillanti nel sole che inviavano altri piccoli soli a raggiungere i riflessi del mare sul bottazzo (fino a che punto il metallo solido avrebbe resistito a tutte quelle lucidature?), ai bicchieri di cristallo, ai piatti, alle scodelle, tutti perfettamente assicurati e in perfetto ordine nei loro ritegni, al famiglio e ai suoi aiuti, in piedi accanto alle bottiglie di cristallo con aria impassibile.

«Tutto a posto, Killick?» domandò.

«Tutto a posto, signore», rispose il famiglio, guardando alle spalle di Jack e alzando il mento a mo' di segnalazione.

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Pagina 44

Fece una pausa, lasciando asciugare l'inchiostro. L'impressione era ancora fortissima: i cinesi che sciamavano sulle barche cannoniere, saltando all'ultimo istante per evitare il fuoco dei fucili, e affrontavano l'avversario in coppia: uno lo faceva cadere, schivando i colpi, l'altro gli tagliava la gola fino all'osso, abbandonandolo subito per passare a un altro: un lavoro sistematico, efficiente, da poppa a prua, senza chiasso, se non qualche richiamo in falsetto. Niente furia cieca, niente rabbia violenta. E, immediatamente dopo il primo assalto, i giavanesi che saltavano su dall'acqua dall'altro lato della barca cannoniera, essendovi passati sotto, le mani scure bagnate che si afferravano al filareto per tutta la lunghezza dell'imbarcazione: i francesi che urlavano correndo avanti e indietro sulla coperta sdrucciolevole, la grande vela latina che sbatteva, e sempre quel corpo a corpo silenzioso, usando solo il coltello e pezzi di fune, in una frenesia terribile e quieta. Dopo aver finalmente scaraventato in mare a prua il suo diretto avversario - un robusto e tenace marinaio con il berretto di lana sul quale l'acqua si richiuse, rossa -, Jack risentì se stesso gridare: «Dare volta a quella scotta, laggiù. Poggia! I prigionieri al boccaporto di prua», e la risposta di Bonden, sconvolto: «Non ci sono prigionieri, signore». Poi il ponte di un rosso vivo, lucido nel sole: i cinesi accovacciati a coppie, in fila, che spogliavano velocemente i cadaveri, i malesi che impilavano le teste in mucchi ordinati come palle di cannone, una piantata nel ventre di un cadavere. Due uomini già alla ruota del timone, il bottino accanto a loro in un fagotto: la scotta ben fissata. Aveva già visto più di un brutto spettacolo: il macello a bordo di un vascello da settantaquattro cannoni durante un duro combattimento della flotta, arrembaggi a dozzine, la baia di Abukir dopo che l' Orion era saltata in aria, ma in quel momento si era sentito rivoltare lo stomaco: la cattura della barca cannoniera era stata portata a termine in un modo che più professionale non poteva essere, e questo lo nauseava del suo mestiere. Un'impressione forte: ma come renderla quando non si era niente di eccezionale con la penna? Alla luce della lampada osservò la ferita all'avambraccio, con il sangue fresco che ancora bagnava la benda, e si mise a riflettere; d'un tratto gli balenò il pensiero che non aveva nessun desiderio di renderla in modo efficace, niente affatto. Per quanto riguardava la sua cara Sophia, la vita in mare doveva essere... be', se non proprio un continuo picnic, perlomeno qualcosa di non molto diverso: disagi temporanei, senza dubbio, quali mancanza di caffè, latte fresco o verdura, e cannoni che ogni tanto sparavano, e un cozzare di spade qua e là, ma senza che nessuno si facesse veramente male, [...]

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Pagina 119

«Stavo riflettendo sugli ufficiali di marina poco fa», osservò Stephen, «stavo cercando di definire le qualità che fanno esclamare: "Ecco un marinaio nel senso migliore della parola". Da quello sono passato a considerare che l'ufficiale di marina tipico è raro come il classico cadavere dal punto di vista anatomico; vale a dire che esso è confuso fra quelli che, per mancanza di un termine più soddisfacente, definirei esemplari insoddisfacentí o sub specie. E così sono stato indotto a pensare che, se esistono molti bravi o perlomeno amabili sottufficiali, i buoni ufficiali sono in numero minore, di buoni comandanti ce ne sono ancor meno e non esiste quasi nessun buon ammiraglio. Una spiegazione possibile può essere la seguente: oltre alla competenza professionale, alla capacità di sopportare con allegria, a un fegato in ottime condizioni, a una naturale autorevolezza e a un centinaio di altre virtù, questi devono possedere la qualità assai più rara di resistere agli effetti, disumanizzanti, dell'esercizio del potere. Il potere è il solvente delle qualità umane: basta considerare un marito, un padre di famiglia per constatare come la persona venga assorbita dal personaggio, l'individuo dal ruolo. Se si moltiplicano la famiglia e l'autorità di molte centinaia di volte, si potranno osservare gli effetti su un comandante di mare, per non parlare di un monarca assoluto. Di sicuro l'uomo in generale è costretto a essere oppresso o solitario, se vuole essere del tutto umano; a meno che non sia immune dal veleno del potere. Nel servizio in marina questa immunità non la si individua se non tardi, ma certamente esiste. Come si spiegherebbero altrimenti ammiragli rari, ma pienamente umani e perciò di valore, quali Duncan e Nelson?»

Stephen si accorse che l'attenzione di Nicolls si era distratta. e lasciò quincli finire la frase in un monnorio indistinto; preso uß libro dalla tasca della giacca si rnise.a leggere, il cielo sopra ch loro essendo per il momento vuoto. I remi cigolavano contro gli Sc@, affondando nell'acqua a un ritmo regolare, e il sole picchiava mentre la barca avanzava lentamente sul mare.

Di tanto in tanto Stephen alzava lo sguardo, ripetendo le fra- si in urdu e studiando la faccia di Nicolls. Era chiaro che non stava bene e che era così ormai da un po' di tempo. Da Gibd- 120 terra, da Madera, ed era andato peggiorando dopo St jago. Lo scorbuto era fuori questione, nel suo caso: sifilide, allora, vermi?

«Vi chiedo scusa», disse Nicolls con un sorriso sforzato. « Temo di aver perso A filo. Che cosa stavate dicendo? »

« Stavo ripetendo alcune frasi da questo libriccino, l'unico che ho trovato, a parte la grammatica di Fort Williams che è nella mia cabina. t un frasario, e credo che sia stato compdato da un individuo deluso: 'Il mio cavallo è stato mangiato da una tigre, da un leopardo, da un orso; vorrei noleggiare un palanchi- no; non ci sono palanchini in questa città, signore; mi è stato ru- bato tutto il mio denaro; vorrei parlare con il fimzionario an-uni- nistrativo della colonia; il funzionario è morto, signore; sono stato aggredito da uomini malvagi'. Eppure è anche salace, il poveretto: 'Donna, vuoi tu giacere con me?'»

Sforzandosi di essere gentile, NícoRs domandò: « t la lingua che parlate con Achmet? »

«Proprio così. Tutti i nostri lascarí la parlano, anche se pro- vengono dalle più diverse parti dell'India: è la loro lingua fran- ca. Ho scelto Achmet perché è la sua madrelingua; e lui è un giovanotto paziente e servizievole. Ma non sa leggere e scrivere, e per questa ragione uso la grammatica, nella speranza di fissare ciò che apprendo con la conversazione. Non trovate che una lingua parlata si dimentica più facilmente se non è ancorata allo scritto? »

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Pagina 120

«Non posso dire che sia così per me; non valgo niente a parlare forestiero, sono sempre stato così. Rimango sbalordito quando vi sento chiacchierare con quegli indiani. Persino in inglese, quando si tratta di qualcosa di più delicato dei termini marinari, io trovo...» Si interruppe, si girò verso terra e disse che da quel lato non esisteva un approdo; la scogliera era troppo ripida, meglio provare dall'altra parte. La quantità di uccelli era andata crescendo man mano che si avvicinavano all'isolotto, e ora, mentre doppiavano la punta meridionale, le sterne e le sule, stranamente silenziose, si affollavano sopra il loro capo, volando avanti e indietro nei loro territori di pesca in un intrico stupefacente di rotte che si incrociavano. Stephen le contemplava, anche lui silenzioso, perduto nell'ammirazione di quello spettacolo, finché la carena della barca non urtò leggermente uno scoglio ricoperto di alghe e Nicolls non la portò in una caletta riparata dall'onda lunga dell'oceano, aiutando poi Stephen a scendere.

«Grazie, grazie!» esclamò Stephen, arrampicandosi sulla roccia, scura dove l'acqua la bagnava, e di un bianco abbagliante sopra. E là si fermò impietrito. Proprio di fronte al suo naso, che quasi lo toccava, una sula stava covando. Due, quattro, sei sule, candide come la roccia nuda sulla quale erano accovacciate: un tappeto di sule, giovani e adulte, e fra loro una quantità di sterne. L'uccello più vicino lo guardò senza grande interesse: una lieve irritazione fu tutto ciò che riuscì a individuare in quella lunga faccia di serpente e in quell'occhio rotondo e brillante. Allungò il dito e toccò la sula, che si mosse appena; in quel momento un gran fruscio di ali sopra il capo di Stephen e un'altra sula atterrò con la preda per il suo piccolo che aspettava a becco spalancato sulla roccia nuda a pochi piedi di distanza. «Gesù, Giuseppe e Maria», mormorò Stephen, raddrizzandosi per esplorare con lo sguardo l'isolotto, una montagnola arrotondata simile a un enorme molare malandato, con gli uccelli che si ammassavano in ogni cavità. L'aria calda era piena dei loro stridii, del loro andirivieni; piena dell'odore di ammoniaca dei loro escrementi e del fetore del pesce, e tutta la superficie dura e bianca tremolava nel calore e nel riverbero insopportabile, così che era impossibile mettere a fuoco gli uccelli che si trovavano a cinquanta iarde di distanza sul pendio, e il profilo dell'altura vibrava come una corda tesa che fosse stata pizzicata. Un mondo senz'acqua, totalmente arido. Non un filo d'erba, non un lichene: puzzo, rocce abbaglianti e aria immobile. «Ma questo è un paradiso!» gridò Stephen.

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Pagina 132

«Ah, non credere che non abbia esaminato la mia coscienza!» protestò Stephen, posando una mano sul petto di Jack. «Non pensare che non sia consapevole del mio desiderio smanioso di poter mettere piede sul Nuovo Mondo quanto prima, ma vieni a vedere la mia amputazione di cinque anni fa che ora è in suppurazione, le mie ferite già guarite che ora si riaprono, le gengive purulente, gli ascessi, le febbriciattole, i lividi da stravasi ematici!»

«Non dicevo veramente sul serio», disse Jack, «ma il fatto è che sono molte le cose che devo prendere in considerazione.» Erano molte, infatti. Il loro era un lungo viaggio e avevano già perso troppo tempo. Con il capo di Buona Speranza di nuovo in mano agli olandesi, Jack doveva assolutamente spingersi fino ai «buoni venti dell'Ovest» che lo avrebbero portato nell'oceano Indiano a duecento miglia al giorno, per poter prendere la coda del monsone di sud-ovest più o meno all'altezza del Madagascar. I suoi ordini prevedevano uno scalo a Rio, distante poco più di mille miglia: non una grande distanza, se gli alisei trovati con tanta difficoltà continuavano a soffiare, venti che, stando sotto costa, rischiava di perdere. Certamente avrebbe avuto problemi con le autorità portoghesi, se avesse fatto scalo a Recife, per esempio: ritardi interminabili nella migliore delle ipotesi e, nella peggiore, qualche brutto incidente, detenzione, persino violenza, data la difficoltà con la quale le navi da guerra straniere venivano accolte, tranne che a Rio. Ritardi, forse qualche rissa, e non c'era nemmeno la sicurezza di poter ottenere i rifornimenti necessari. E sebbene Stephen fosse certamente in buonafede, quella cara persona era un naturalista cosi appassionato, con i suoi insetti e i suoi vampirí... «Lascia che ci rifletta, Stephen», disse alla fine. «Verrò con te nell'infermeria.»

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Pagina 154

«Poverina», disse Jack, il pensiero ancora alla sua nave. «Sta diventando vecchia davvero; si può avere tutto lo spirito che si vuole, ma anno domini non perdona. Un albatro? Be', oso dire che potremmo vederne prima di arrivare all'altezza del Capo. Darò ordine che ti avvertano non appena ne avranno avvistato uno.»

Un giorno dopo l'altro le rilevazioni dell'altezza a mezzogiorno crescevano: 26°16', 29°47', 30°58'; l'aria si faceva più fredda, maglioni e berretti di pelo malridotti dopo i tropici e le uniformi degli ufficiali non costituivano più un tormento per loro; e ogni giorno, parecchie volte al giorno, Stephen veniva chiamato sul ponte per vedere procellarie, piccioni del Capo, poiché erano ormai nelle ricche zone dell'Atlantico meridionale, acque che avrebbero potuto nutrire - e in effetti nutrivano - il Leviatano, che spesso si vedeva tuffarsi in lontananza: una volta, anzi, un urto nella notte, una momentanea interruzione nella corsa della fregata, aveva rivelato un contatto diretto con una gigantesca balena.

Sud e sud per sempre, al di là della zona dove si svolgevano i traffici marittimi, avanzando costantemente con venti incerti e variabili; aria fredda, freddissima, verso i «quaranta ruggenti» dove il vento di occidente, che spazzava l'intero globo terraqueo senza incontrare ostacoli, li avrebbe portati verso levante, oltre l'estrema punta dell'Africa. Una settimana dopo l'altra di navigazione ostinata, con il sole ogni mezzogiorno più basso. Più basso e in certo modo più piccolo: brillante, ma senza calore. E al tempo stesso la luna sembrava essersi fatta più grande.

Strano constatare quanto rapidamente l'esistenza quotidiana si adattasse a quella navigazione incessante: la Surprise non aveva percorso mille miglia che già l'immutabile routine della giornata sulla nave, dal fischietto del nostromo che chiamava a riporre le brande nell'impavesata al tamburo che rullava Heart of Oak per chiamare a cena gli ufficiali, all'ordine di brandabbasso e le esercitazioni ai cannoni ripetute costantemente, i turni di guardia che si susseguivano, tutto questo cancellava sia l'inizio del viaggio sia la sua fine, cancellava perfino il tempo, così che appariva normale a tutti navigare per sempre in quel mare infinito e completamente vuoto, guardando il sole diminuire e la luna crescere.

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Pagina 166

Sul ponte il giorno stava morendo, se mai quelle tenebre grigiastre e urlanti potevano essere definite giorno. Eppure Jack riusciva ancora a vedere le montagne d'acqua correre verso la poppa della nave da mezzo miglio di distanza, le cime bianche ben stagliate; la loro intera lunghezza attraversò il cielo durante il rollio e due onde mostruose, troppo vicine l'una all'altra, si scontrarono rovinosamente vicinissime a poppa, per essere inghiottite da un'altra, enormemente più vasta e colossale, che sopraggiunse rombando. Al di sopra del rombo l'orecchio teso di Jack colse uno schianto secco simile a una fucilata e l'albero di parrocchetto volò fuoribordo. Il parrocchetto, strappato dal suo pennone, svanì lontano a prua, un biancore tremolante nell'oscurità.

«Tutti gli uomini sul ponte!» ruggì Jack. La nave era già ingovernabile e alambardava fuori rotta. Adesso stavano precipitando nell'avvallamento e, a meno di non riuscire a metterla col vento in poppa, a issare qualcosa a prua, la prossima onda l'avrebbe fatta traversare e la Surprise avrebbe quindi straorzato e abboccato.

«Tutta la gente in coperta!» Jack urlò così forte da farsi sanguinarela gola. «Pullings, degli uomini alle sartie di trinchetto! E' partito sopra la testa di moro. Vele di straglio! Vele di straglio! Venite con me. Le asce, le asce!»

Nella pausa momentanea sul fondo della cavità, Jack corse lungo il passavanti, seguito da venti uomini; un'onda trasversale li inondò al di sopra della murata; con l'acqua fino alla vita avanzarono ugualmente e furono sul castello prima che la nave, sbandando nel vento, cominciasse a sollevarsi, prima che l'onda successiva avesse superato la metà della distanza. Gli uomini si arrampicavano sulle griselle sopravvento, costringendosi a salire contro la forza della bufera, e i loro dorsi fecero da vela a sufficienza per farla virare appena prima che l'onda si abbattesse su di loro con uno schianto che tutto sommerse in un mare di schiuma; quanto bastava perché l'onda la investisse a poppa del traverso. E ancora stava a galla. Le asce fecero pulizia dei rottami. Bonden, sul bompresso, menava fendenti sullo strallo di parrocchetto che ancora teneva saldamente l'albero galleggiante che faceva alambardare la nave; trattenendo il respiro, Jack si portò al bompresso, la testa sommersa dalla schiuma, cercando con la mano i gerli della vela di straglio di trinchetto, trattenuti sotto lo strallo. Eccoli! Le sue mani, molte altre mani stavano cercando di sciogliere le legature, così strette che non cedevano... non cedevano.

«Attento! » ruggi una voce nel suo orecchio, e una mano forte gli premette il collo; poi uno scroscio d'acqua di una violenza inenarrabile, un macigno, una forza al di là di qualsiasi immaginazione, e la terza ondata fece traversare la fregata.

La pressione si allentò. Adesso Jack aveva la testa fuori dell'acqua e c'erano più uomini sulle sartie. Di nuovo la furia del vento fece virare la nave, aiutata da un mare selvaggio. Non potevano resistere a lungo, pochi minuti ancora e le sartie sarebbero state strappate via. La fregata tornò a tuffarsi e, facendo scorrere la mano lungo la vela, Jack trovò la causa del problema: il caricabasso si era impigliato nell'imbroglío, e gli stralli dei rottami nei canestrelli. «Un coltello!» ruggì quando ebbe la testa fuori dell'acqua. La mano lo incontrò, un taglio netto e tutto venne liberato di colpo.

«Tenetevi! Tenetevi!» e di nuovo il rombo della montagna d'acqua precipitò su di loro, l'intollerabile pressione sul torace, la certezza assoluta che non doveva mollare la presa sulla vela sotto di lui, le gambe avvinghiate al bompresso per resistere, resistere... la forza che diminuiva. Ma ecco l'aria che penetrava nei polmoni sul punto di scoppiare: Jack si tirò su, gridando a perdifiato: «Uomini alle drizze! Mi sentite a poppa? Alle drizze!»

A strattoni lenti la vela si innalzò, si gonfiò, venne bordata a segno. Adesso però la nave aveva il mare al traverso e rollava. Ah, avrebbero fatto in tempo? Con lentezza, pesantemente, la fregata ruotò mentre la vela di straglio si tendeva; l'onda oceanica stava per raggiungerla... Ruotò, ruotò abbastanza da ricevere l'urto immane sull'anca, si sollevò fino alla cresta e la raffica improvvisa sulla vela di straglio la mise col vento in poppa. La velocità aumentò, aumentò e ora la Surprise rispondeva al timone, poiché, sebbene gli uomini alla ruota fossero stati sbalzati via, i paranchini tenevano; e l'onda successiva passò senza far danni sotto la poppa.

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