Copertina
Autore Arto Paasilinna
Titolo L'allegra apocalisse
EdizioneIperborea, Milano, 2010, n. 189 , pag. 320, cop.fle., dim. 10x20x2,4 cm , Isbn 978-88-7091-189-3
OriginaleMaailman paras kylä
EdizioneWSOY, Helsinki, 1992
TraduttoreNicola Rainò
LettoreSara Allodi, 2011
Classe narrativa finlandese
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Il grande bruciachiese Asser Toropainen si preparava al trapasso. Era la settimana di Pasqua, la vigilia del Venerdì santo.

Asser aveva da poco compiuto gli ottantanove anni, e aveva l'aria di uno che ai novanta non ci sarebbe arrivato. Non c'è niente da fare, la morte finisce per abbattere anche i tronchi più solidi.

Il vecchio giaceva nella grande sala centrale della sua fattoria di legno ingrigito, nella frazione di Kalmonmäki, in mezzo alle foreste del Sud del Kainuu. Una vecchia pendola ticchettava nella cassa di betulla temprata, scandendo gli ultimi istanti del suo proprietario. Le donne di casa, due sorelle attempate e una nipote, si aggiravano ormai solo senza scarpe e in punta di piedi. La settimana prima era venuto il medico del dispensario di Sotkamo per misurargli la pressione. L'apparecchio era esploso. Era stato visto come un brutto segno.

Con circospezione, avevano fatto capire al padrone di casa che quello rischiava di essere il suo ultimo inverno, e accennato a un pastore da convocare al suo capezzale. Con l'avvicinarsi della morte, certi rapporti era meglio curarli. Un feroce comunista del suo stampo aveva tutto l'interesse a pentirsi, se non altro per la salvezza della sua anima.

Dal giaciglio sfuggì un gemito. Di peccati, nel corso della sua lunga esistenza, Asser ne aveva commessi tanti, inutile negarlo. Erano stati tempi travagliati per tutto il secolo. E di occasioni per compiere azioni non proprio irreprensibili, in tanti decenni, non ne erano certo mancate. Asser Toropainen aveva partecipato a sei guerre. Aveva difeso la propria causa in vari continenti, da Murmansk all'Alaska, dal Ladoga a Vladivostok. Tanti fatti lontani che cercava di riconnettere nella sua testa canuta. Gli tornavano in mente immagini e suoni: steppe innevate, binari sgangherati, fumo di bivacchi, crepitare di mitraglie. Il fragore di zattere che si schiantavano nel mugghiare delle rapide, carri armati in fiamme e chiese ridotte in fumiganti rovine. Grattacieli e transatlantici. Canne da zucchero falciate e gonne rovesciate nei campi di granoturco. Del buono e del cattivo, una vitaccia dura, momenti di vanagloria ma anche la miseria più nera. La lotta per l'esistenza di un militante comunista. Un corpo a corpo con Dio, i preti e la Chiesa. Ecco cos'era Asser Toropainen, un ateo dei nostri giorni. L'ultimo bolscevico.

"In nome di dio, non portatemi qui un prete a biascicare... cercatemi piuttosto un uomo di legge. Voglio fare testamento come si deve."

Gli portarono un notaio, che registrò nel testamento le sue ultime volontà. Fu anche redatto all'occasione lo statuto della Fondazione funeraria Asser Toropainen. Il moribondo scarabocchiò la sua firma in calce al documento, poi incaricò il notaio di rintracciare suo nipote, Eemeli Toropainen, e di chiedergli di passare a vedere il nonno. C'era bisogno di lui per l'esecuzione testamentaria.

L'alba del Venerdì santo si levò grigia e deprimente. Pioveva nevischio. Dei corvi aleggiavano alti sopra le nere pinete di Kalmonmäki. Alla radio trasmettevano una funzione religiosa. Il predicatore denunciava con veemenza la morte crudele di Cristo di duemila anni fa. Dalle sue parole si deduceva che il crimine fosse in qualche misura imputabile ai finlandesi. Asser ordinò di spegnere l'apparecchio. Di problemi ne aveva a sufficienza anche senza doverci aggiungere quella crocifissione. Tanto più quando toccava già a lui di morire.

Verso mezzogiorno comparve il nipote di Asser, Eemeli Toropainen, un quarantacinquenne rubizzo e ben piantato, ex amministratore delegato della Nordica Assi e Tronchi Spa. L'impresa di modeste dimensioni, specializzata nella costruzione di rustici in legno, era fallita sei mesi prima per colpa della crisi. Con una gran sventola contro la stufa della stanza, Eemeli scrollò la neve bagnata dal suo berretto di pelo di procione e andò a stringere la mano del vegliardo.

"Allora, nonno, molliamo le ancore?"

"Così dicono le vecchie sottane."

Eemeli Toropainen diede una bella strattonata alla mano del vecchio prima di lasciarla ricadere sulle coperte. Poi estrasse una bottiglia di cognac dalle profondità della sua pelliccia e ne fece assaggiare un sorso al moribondo. Che reagì tossendo.

"Grazie, figliolo."

I due uomini si guardarono commossi. Eemeli riassettò il cuscino di Asser. Il povero vecchio era tutto grinzoso e rinsecchito. Lui che da giovane era stato un provocatore indomabile, lavoratore indefesso, uomo d'affari, gran viaggiatore, uno sempre lanciato a mille all'ora. Ah, mondo infame!

"Il notaio mi dice che avresti messo in piedi una fondazione religiosa", esordì Eemeli. "Hai per caso trovato la fede, o come la mettiamo con questo ribaltone?"

Il nonno ordinò alle donne di togliersi di torno. Della sua fondazione voleva parlare con il nipote a quattr'occhi. Quando le sorelle e la nipote si furono a malincuore ritirate, il vecchio estrasse da sotto il cuscino una copia del testamento e i documenti della fondazione.

"Leggi."

Eemeli diede una scorsa alle carte. Si trattava dell'atto costitutivo di una fondazione, redatto secondo tutti i crismi, e di un testamento che legava alla suddetta fondazione ottocento ettari di terreno e un po' più di due milioni di marchi in liquidi, oltre a qualche titolo per un valore che si aggirava intorno a un altro milione. Era previsto anche un lascito per i congiunti stretti, le sorelle e la nipote.

Lo statuto della fondazione precisava che suo scopo era la costruzione e la gestione di almeno 1 (un) tempio di legno.

L'ex amministratore delegato della Nordica Assi e Tronchi Spa dedusse che il nonno avesse l'intenzione di affidare alle sue cure l'adempimento di tale missione.

Eemeli Toropainen rivolse uno sguardo compassionevole a quel corpo disteso sul letto, ormai prossimo al trapasso. Era il corpo di uno che aveva incendiato dio sa quante chiese, un fervente comunista militante che nella sua esistenza aveva percorso più continenti. Ma ormai le forze l'avevano abbandonato. Breve è la vita umana, un centinaio d'anni di grattacapi, ad andar bene. E Asser Toropainen era lì a ennesima testimonianza della sua natura effimera.

"E così, dunque, hai intenzione di far costruire un tempio. Be', si può fare, almeno credo."

Il moribondo tirò fuori da sotto le coperte un pesante volume illustrato. Le mani gli tremavano e a momenti il tomo gli cadeva a terra. Eemeli diede un'occhiata al titolo: era una monografia di Esa Santakari, Le chiese di legno in Finlandia, che presentava una serie di vecchie chiese contadine fatte di tronchi d'albero. Edifici armoniosi dalle pareti di legno ingrigito, i sereni tetti di assi, e commoventi statuette di mendicanti, con una fessura all'altezza dell'ombelico per le elemosine, in cima ai gradini che portano all'austero portale.

Eemeli Toropainen sfogliò quelle illustrazioni piuttosto disorientato. La chiesa di Kiiminki aveva un'aria abbastanza accogliente. Quella di Yläne, opera di Mikael Piimänen, aveva un non so che di spigoloso, forse per via del tetto spiovente. Gli affreschi sulla volta della chiesa di Keuruu facevano venir voglia di impratichirsi nell'arte della marezzatura.

Eemeli richiuse il libro. La proposta era senza dubbio allettante. Ma cosa c'era dietro? Che il vecchio fosse del tutto rimbambito? O quel bruciachiese era stato colpito dalla fede? Nella sua giovinezza rivoluzionaria, Asser aveva dato fuoco a un bel numero di edifici sacri in varie parti del paese e del mondo intero. Aveva voluto far pagare al Padreterno il conto della fame e della miseria patite dal proletariato. Ed ecco che, sul letto di morte, si metteva a creare una fondazione per edificare un tempio.

"Con tutto il rispetto, non sarà che sei un po' fuori di testa?"

Il nonno parve per un istante interdetto. Nessuno si era mai permesso di dubitare del suo equilibrio mentale. Spiegò con un filo di voce che desiderava sistemare i suoi conti col Padreterno, visto che aveva messo da parte ben più del necessario durante la sua esistenza. Non credeva in Dio né tanto meno in Gesù, pure erigere una chiesa gli sembrava un'azione dovuta. L'idea gli era venuta così, senza nessuna malizia.

"Un monumento, in un certo senso. E tu che sei nelle costruzioni, avresti anche del lavoro, tanto per cambiare."

Il morente spiegò che non vedeva motivo perché il suo progetto avesse bisogno di una pubblica giustificazione. A quanto ne sapeva, tutti edificavano stalle, scuole, fabbriche, e perché allora non chiese? A uno che era sul punto di crepare, che importava cosa si costruiva? Se avesse finanziato a Kalmonmäki l'impianto di una fabbrica di compensati, sarebbe con tutta probabilità fallita subito dopo la sua morte. Quindi a che pro?

"Una chiesa, per lo meno, non rischia la bancarotta."

"A meno che non venga qualcuno a darle fuoco, alla tua chiesa."

"Fa lo stesso. Incassi i soldi dell'assicurazione e ne costruisci un'altra."

Eemeli Toropainen passò ai dettagli. Voleva capire bene che genere di edificio il nonno avesse in mente. Dove andava costruita, in che parrocchia, e chi bisognava assumere come pastore.

Il vecchio lo rimandò allo statuto della sua fondazione. Lì era chiaramente prescritto che spettava al presidente, ovvero a Eemeli Toropainen, scegliere un luogo adatto a suo piacimento. Era libero, se gli andava a genio, di costruire il tempio a Tahiti. Quanto alla parrocchia, non era poi indispensabile istituirne una. La chiesa bastava.

"Ispirati a un modello di questo libro. Fosse per me, non sceglierei uno di quegli scatoloni moderni, non sembrano per niente delle chiese."

Nel frattempo le donne avevano fatto la loro apparizione per servire ad Asser la sua vellutata. Aveva lo stomaco in condizioni così disastrate che era impensabile qualcosa di più consistente. Eemeli andò a sedersi al grande tavolo per scegliere un progetto adeguato. In un'atmosfera di grande e silenzioso raccoglimento il nonno venne imboccato col cucchiaio. Da dietro la stufa un topolino domestico dal pelo bluastro e le orecchie tondeggianti seguiva la scena. Il suo proposito era di intrufolarsi sotto le coperte di Asser non appena fosse morto. I topi hanno un gran fiuto per certe cose.

Eemeli Toropainen continuava a leggere, seduto al tavolo. Le donne asciugarono le labbra del moribondo e lo lasciarono riposare in pace. Il nipote sfogliava quel testo illustrato con interesse, a tratti perfino con passione. Quando l'occhio gli cadeva su una bella chiesa, rivolgendosi verso il letto lanciava una proposta: non era il caso, magari, di costruire sul modello di quella di Keuruu? E del santuario di Petäjävesi, che ne pensava il nonno? O della chiesa di Pietarsaari, Houtskari, Paltamo? Dal letto arrivavano grugniti d'approvazione. Andavano bene tutte.

Una buona ora più tardi, finito di sfogliare il libro dalla prima all'ultima pagina, Eemeli Toropainen era giunto alla conclusione che la chiesa di Kuortane poteva essere un ottimo modello.

L'aveva eretta Antti Hakola nel 1777. Secondo la didascalia della foto, era l'opera più ambiziosa realizzata dal celebre costruttore. Aveva ben milleduecento posti a sedere, mica uno scherzo. Si trattava della prima costruzione a croce greca con tutti gli angoli tagliati, per cui il perimetro contava complessivamente ventiquattro angoli, cavi e convessi.

"Questa è davvero una bellezza!"

Preso dall'entusiasmo, Eemeli andò a mostrare la sua scoperta al nonno. Aveva deciso di edificare a memoria del vegliardo un tempio almeno altrettanto sontuoso. Se gli restava ancora qualche giorno di vita, bisognava approfittarne per andare a Kuortane a prendere le misure. Non era il caso di partire già l'indomani mattina? Eemeli posò il libro aperto sotto gli occhi del moribondo per la scelta definitiva.

Fu allora che il vecchio orologio nella cassa si fermò. La mano inerte di Asser Toropainen scivolò dal letto spenzolando verso il pavimento. Negli occhi baluginò uno sguardo remoto, che a poco a poco si smorzò. Il grande bruciachiese era morto.

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Per la festa di San Giovanni sulla riva del Lago delle Tempeste fu acceso un falò gigantesco, preparato dai carpentieri accatastando i residui della squadratura dei tronchi e altri scarti della costruzione. Parecchi curiosi erano venuti dalle zone boschive intorno per festeggiare la Mezz'estate e ammirare la nuova costruzione. I muri dritti e bianchi della chiesa si riflettevano sulla superficie immobile del lago e il falò crepitava, proiettando scintille in alto nel cielo della chiara notte estiva. E ancor prima che il rogo precipitasse in un cumulo di braci, il sole radioso del solstizio si levò a indorare le cime dei pini secolari del colle.

La mattina dopo l'ex moglie del presidente Toropainen abbandonò il cantiere di umore piuttosto nero. Chissà, forse quella partenza era stata affrettata dalla voce secondo cui pareva che la signora che aveva temporaneamente ospitato Eemeli a Vantaa avesse intenzione di venire a vedere come se la passava il suo inquilino lì in riva al lago. Da dove veniva la notizia? Come nascono queste voci, come crescono, si diffondono, agiscono? La maldicenza è come un virus che si trasmette da un individuo a un altro infettando ognuno dei colpiti prima di procedere oltre. È come una iettatura che circola con l'effetto di una valanga, di cui ogni vittima accresce la forza e la velocità nel tentativo di liberarsene, finché la diceria raggiunge dimensioni così insensate che più nessuno ci crede.

Ma questa volta la voce non era infondata: poco dopo San Giovanni, la signora Taina Korolainen, quarantenne divorziata, madre di due figli ormai grandi e capo del personale di pulizia dei treni, assunse la gestione della mensa del cantiere. Spiegò che era in ferie e che aveva in più preso un congedo non retribuito per tutta l'estate, al fine di alleviare la dura vita silvestre di Eemeli con le sue attenzioni muliebri. Ai carpentieri non restò che felicitarsi.

Per tutto il corso dell'estate, le foreste del sud del Kainuu risuonarono dei colpi d'ascia e delle energiche grida dei boscaioli, mentre l'orditura del tetto della chiesa saliva sempre più in alto. Si posavano i puntelli, si assemblavano i puntoni e gli arcarecci di colmo, e dio sa quanti ce ne volevano.

Animali selvatici venivano a spiare il cantiere, soprattutto di notte: le volpi si aggiravano sospettose intorno al basamento della costruzione, mentre i leprotti appena nati brucavano innocenti le foglie d'acetosella nell'area dove si squadravano i tronchi.

Amiche fiduciose e poco esigenti dei carpentieri, le ghiandaie svolazzavano silenziose tra le altezze cigolanti di travi e centine. Era piacevole dedicarsi a quel compito impegnativo in loro compagnia da mattina a sera, e spesso addirittura la notte.

Almeno due o tre volte un'orsa delle foreste di Kuhmo si spinse incuriosita fino al cantiere. Si avvicinava nel buio come puntando a una carogna, fissava sbalordita quella lattea architettura dal profumo di resina, annusava la puzza di sudore e le invitanti esalazioni delle scatolette di carne di maiale e di manzo che aleggiavano intorno alle tende dei boscaioli. Drizzandosi sulle zampe posteriori cercava di scoprire se nel campo assopito ci fosse qualcosa di buono da mettere sotto i denti. Ed era insolente al punto da permettersi di sbirciare, ovviamente con la massima circospezione, attraverso la finestra della sacrestia, spingendo lo sguardo fino a Toropainen e alla sua cuoca che dormivano della grossa. La regina della foresta non aveva comunque l'ardire di fare irruzione all'interno: la sagoma villosa di Toropainen che ronfava sonoramente nella penombra aveva qualcosa di troppo terrificante, anche per un'orsa. Le chiappe bianche di Taina Korolainen che spuntavano da un angolo della coperta le facevano certo venire l'acquolina alla bocca, e ci aveva pure fatto un succulento pensierino, ma alla fine, saggiamente, aveva preferito abbandonare l'ispezione del cantiere e ritirarsi nei suoi territori, dalle parti di Valtimo.

Soddisfatta era la curiosità, ma non la fame. Così l'orsa pensò bene di rimediare sfilettando con cura l'ex addetto alle poste di Valtimo in pensione, intento a raccogliere mirtilli in uno scenario, la Palude di Rimminkorpi, che si prestava magnificamente a un omicidio. Quel diavolaccio peloso tenne a marinare la preda nell'acquitrino, e se la godette poi spilluzzicandola a poco a poco per ben tre settimane. Che prelibatezza! La sola cosa che le fece storcere un po' la bocca fu la suola di gomma delle scarpe da ginnastica del piccolo funzionario, che sputò via con garbo come un intenditore le lische del suo pesce fritto.

Nelle giornate torride di fine estate, intorno al lago si ammassavano nubi minacciose foriere dei ben noti temporali: i cieli si squarciavano e si aprivano le cateratte, il carro di Ukko, dio delle tempeste, rimbombava sul tetto del mondo. I lampi illuminavano la terra oscurata dalla cupa nuvolaglia. Il suo nome il lago se l'era ben meritato. Violenti nubifragi si abbattevano a spegnere incendi appiccati dai fulmini, e sulla superficie dell'acqua scatenata si levavano onde alte un metro. Eppure ogni volta che la divinità manifestava il suo volto più irato nella furia dell'uragano, si verificava un fenomeno strano, un miracolo: nemmeno una goccia d'acqua cadeva sul cantiere dell'eremo, né sul colle, e nemmeno sul sito del futuro cimitero, anche quando le onde si schiantavano schiumando sulla riva, e cadeva più acqua di quanta si sarebbe creduto potessero portare quei muraglioni neri. Il cielo mi è testimone.

Un bel giorno d'agosto, mentre Eemeli Toropainen e i suoi uomini stavano sistemando le ultime bretelle alla croce del transetto per posarvi la lanterna, e un camion consegnava le scandole incatramate ordinate alle Åland, arrivarono al cantiere dell'eremo anche inquietanti notizie: il presidente dell'Unione Sovietica era stato spodestato e confinato in residenza coatta sul Mar Nero, l'esercito jugoslavo aveva imposto iniquamente il suo dominio alla piccola Croazia e l'Ufficio lavori pubblici di Sotkamo aveva ufficialmente sollecitato l'intervento della polizia.

In Unione Sovietica il colpo di stato fallì prima di degenerare in un bagno di sangue, ma in Jugoslavia e nel Kainuu le operazioni continuarono. Il comandante della polizia rurale di Sotkamo diede avvio all'azione coercitiva che gli era stata richiesta. Arrivò al cantiere sull'auto di servizio con faldoni di documenti, armi d'ordinanza e attrezzi, deciso a mettere fine ipso facto a quella costruzione illegale.

A parte il comandante in persona, la squadra comprendeva anche una guardia e un brigadiere. Quest'ultimo, Sulo Naukkarinen, era un quarantacinquenne sui cento chili che era stato per ben tre volte alle Baleari, e poteva quindi considerarsi navigato. Nel suo curriculum brillava l'arresto a mani nude, nel 1977, con tanto di inseguimento e placcaggio, di quattro detenuti evasi dal carcere di Sukeva. Solo uno dei criminali era stato ferito al punto da non poter più pensare a fuggire, né per altro a deambulare, senza la sua sedia a rotelle.

Eemeli Toropainen si trovava in quel preciso istante a lavorare di trapano per fissare i perni dell'armatura della lanterna, sul lato ovest del tempio, a più di quindici metri d'altezza. L'ultimatum posto dalle autorità intimava "la sospensione immediata di ogni lavoro in corso e l'applicazione delle sanzioni conseguenti l'esercizio di attività illegali fino al corrente giorno".

Toropainen diede ordine ai suoi carpentieri di raggiungerlo in cima al transetto muniti del materiale previsto per la circostanza: grosse catene di una buona lunghezza, solidi catenacci, nonché sbarre chiodate, ganci e mazze.

Piantati velocemente i ganci alle travi di colmo, ogni uomo si incatenò agli altri in maniera indissolubile. L'apprendista ingoiò l'unica chiave che apriva tutti i lucchetti.

Non poteva ovviamente mancare la stampa, una timida praticante della Gazzetta del Kainuu, il caporedattore in persona della Carelia del Nord, Kivioja, e diversi altri. La giornata era bella, l'ideale per le foto.

Si tentò invano di negoziare. I fuorilegge restavano sulle loro posizioni, incatenati là in cima, irremovibili come vecchi stalinisti in sciopero selvaggio.

Ma lo Stato finlandese non arretra davanti a nulla quando si tratta di applicare la legge in tutto il suo rigore. E nel caso particolare, spettò a Sulo Naukkarinen rappresentare il potere pubblico, e il brigadiere si dedicò con zelo alla sua missione.

Senza curarsi del suo quintale di peso, Naukkarinen si arrampicò su per le impalcature fino alle vertiginose altezze della costruzione, armato di un seghetto alternativo previsto appositamente per simili interventi. Intanto il comandante e la guardia semplice avviavano il generatore che forniva la corrente all'attrezzo. Le forze dell'ordine di Sotkamo disponevano di questo tipo d'attrezzatura dopo l'esperienza delle grandi battaglie ecologiste degli anni Ottanta nella riserva naturale di Talaskangas.

"Presidente Toropainen! Non si vergogna, lei, un industriale di esperienza e pioniere del commercio estero, a esibirsi così incatenato, e per giunta in una chiesa?" ruggì il capo della polizia.

Nessuna risposta.

Il brigadiere Naukkarinen nel frattempo si era arrampicato fino in cima all'impalcatura e aveva afferrato Toropainen per le spalle, dal dietro, reggendo in una mano il seghetto, collegato con un cavo al generatore che ronzava giù a terra.

Le torbiere paludose intorno al penitenziario di Sukeva offrono un terreno piano dove anche un uomo corpulento può compiere il suo dovere. Ma lassù, tra cielo e terra, imporre il rispetto della legge non è altrettanto semplice. L'intrepido Naukkarinen mancò la presa, perse l'equilibrio e precipitò da quell'altezza vertiginosa fendendo l'aria col suo attrezzo ronzante, atterrò con un rumore inquietante sulla tettoia che copriva il deposito di scandole, scivolò a tutta velocità oltre il pulpito su una pila di assi destinate a coprire la volta, e terminò la sua corsa a terra nel futuro cimitero. Con un femore rotto.

Mentre lo issavano su una barella, sollevato, rilasciò alla stampa la seguente dichiarazione:

"Immagino che questo mi garantirà la pensione anticipata per invalidità, e la foto sui giornali! Be', direi."

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Eemeli Toropainen andò in bestia. E dichiarò senza esitazione che mai e poi mai avrebbe potuto cooperare con simili mostri. Non c'era peccato più mortale ai suoi occhi che approfittare della disperazione altrui per distruggere la vita di poveri diavoli.

Non c'erano margini di negoziazione. L'americano, imbarazzato, tentò di minimizzare e ricordò a Eemeli che anche lui aveva avuto delle scaramucce con le autorità. Niente da fare. Il finlandese minacciò di denunciare quei criminali alla polizia danese.

Si scatenò un parapiglia. Le poltroncine di pelle della saletta finirono a gambe all'aria, un pesante candeliere sulla mensola del camino rotolò sul pavimento. I medici americani e l'avvocato scesero a precipizio dalle loro camere, e Toropainen si ritrovò a lottare per un po' solo contro quattro, finché non gli iniettarono un tranquillante nella chiappa. Lo trasportarono con discrezione fuori, dietro l'albergo, per poi scaricarlo nel retro del furgoncino che aveva affittato, sopra le canne dell'organo. L'uomo che si era presentato come il manager del gruppo stava per prendere a calci la vittima priva di sensi, ma i medici si frapposero.

"Attento a non ammaccarlo! Il compare ha ancora organi in buono stato, possiamo rifarci con pezzi di ricambio."

I chirurghi lo esaminarono con interesse professionale, stabilendo che dal suo corpo si potevano estrarre organi di tutte le specie: cuore, fegato, polmoni e reni sembravano in ottimo stato. Sezionato come si deve, e messo debitamente da parte tutto quel che serviva, il suo valore commerciale era vertiginoso. Per fortuna non era più tanto giovane, così i suoi organi li si poteva trapiantare nei corpi di plutocrati stagionati senza complicazioni. Un rene prelevato da un individuo troppo giovane può avere problemi di intolleranza nei confronti di un organismo che magari ha sessant'anni di più dell'organo innestato. Un po' come in quei matrimoni in cui uno dei coniugi ha vent'anni e l'altro viaggia verso gli ottanta. È un tipo di unione che in genere non scatena passioni ardenti e spesso finisce, per il più giovane, in un rigetto.

Mentre questa macabra conversazione andava avanti, Eemeli Toropainen riprendeva gradualmente i sensi. Si rese conto di trovarsi sdraiato sul pianale del suo furgoncino. Tutt'attorno quattro figuri si davano da fare tastando i suoi organi, e valutandoli in buone condizioni. Il che non lo riempì di particolare gioia, ma proprio per niente.

Gli uomini scesero dal furgoncino e sbatterono le portiere. Il veicolo si mise in moto, fece un breve tragitto e si arrestò. Eemeli udì un portone che si apriva, e poi il veicolo che entrava in una rimessa. Nonostante la scarsa lucidità, Toropainen riuscì a mettersi seduto e a intravedere dai finestrini che erano arrivati in una specie di fabbrica. Nel capannone c'erano una serie di convogliatori e vasche di acciaio inossidabile. Apparentemente un caseificio. Gli sorse il sospetto che fosse quello il posto dove uccidevano le vittime e procedevano agli espianti. Il pensiero lo fece rabbrividire. Non aveva nessuna intenzione di lasciarli fare. Per fortuna aveva a portata di mano una serie di canne d'organo di misure diverse.

Eemeli ne afferrò due e quando vennero ad aprire le portiere posteriori del mezzo, menò un fendente sulla testa del primo che gli capitò davanti. Con un urlo spaventoso l'uomo crollò a terra. Toropainen scelse altre canne più gravi di un paio di toni e balzò sul pavimento del caseificio per affrontare i suoi aggressori. Fu un concerto infernale quello che si scatenò nel capannone, durante il quale gli americani poterono sperimentare la consistenza delle cantorie danesi e la potenza di percussione di un costruttore di chiese finlandese irrobustito dal lavoro d'accetta. Quando uno dei criminali riuscì a strappargli di mano una canna, il finnico si precipitò di nuovo nel furgoncino per tornarne fuori armato di bassi.

Eemeli Toropainen inseguì i suoi assalitori fino alla sala di produzione del caseificio, dove li malmenò fino a ridurli quasi in fin di vita. Lanciò uno dei due medici dentro una grande vasca per la cagliata, e stava per fracassare la testa dell'avvocato con un barilotto intero di burro, quando il portone del caseificio si spalancò sotto la spinta di uno squadrone di poliziotti danesi giunti al galoppo sotto la guida del gestore dell'albergo. Eemeli Toropainen fu arrestato. Recuperarono quindi gli americani da vari angoli del capannone per sistemarli su barelle in attesa delle ambulanze. Gli yankee non davano che flebili segni di vita. Uno era interamente ricoperto di burro, un altro annaspava in un mare di yogurt. Su tutto l'impiantito del caseificio erano disseminate canne d'organo ritorte e ammaccate.

Seguì un processo, alla fine del quale Eemeli Toropainen fu condannato a quattro anni di prigione per violenza aggravata nei confronti di tre persone e omicidio involontario di una quarta. Era accaduto, in effetti, che uno degli americani era deceduto al rientro in patria per via delle ferite riportate.

Il processo durò due mesi, durante i quali Eemeli fu detenuto nella casa circondariale di Århus. Dopo il giudizio fu trasferito nella prigione dipartimentale che si trovava nella stessa città. Nel corso delle udienze tentò di denunciare gli americani per traffico di esseri umani ed espianto illecito di organi, ma non aveva prove. E poi quegli atti illeciti non erano stati compiuti in Danimarca, se mai in Messico e negli Stati Uniti, per cui la corte danese non si ritenne competente a giudicare. Trasmisero ovviamente le accuse di Toropainen ai paesi interessati, ma senza procedere in alcun modo. Le affermazioni dell'imputato furono comunque tenute in conto come circostanze attenuanti, il che gli valse la condanna per omicidio involontario.

Fu così che il presidente della Fondazione funeraria finlandese restò al fresco in una cella di Århus per tre lunghi anni. La pena comminata era di quattro anni, ma gli venne ridotta di un quarto per buona condotta.

Sistemato in una cella singola, gli fu dato il permesso di fare lavoretti a suo piacimento nell'officina del carcere. Nei tre anni a disposizione rimise in funzione il meccanismo dell'organo della chiesa di Trustrup, e raddrizzò e lucidò le canne danneggiate nella zuffa del caseificio. Quando, nell'inverno del 1995, fu finalmente liberato dopo tre anni di galera danese, poté portarsi in Finlandia un organo integralmente rimesso a nuovo e magnificamente tirato a lucido. Quanto di meglio esisteva nei paesi nordici.

Per gli standard danesi la cella di Eemeli era piuttosto austera: poco più di dieci metri quadri, brandina di ferro e tavolino imbullonato al muro di cemento, in un angolo il vaso da notte e, a una parete, un piccolo scaffale per i libri e gli oggetti personali. La finestra con un vetro blindato dello spessore di un centimetro, la porta rivestita d'acciaio con uno sportellino mobile dotato di spioncino, destinato non ai detenuti, ma ai guardiani, per tenere d'occhio dall'esterno la cella.

La vita da recluso fu comunque, all'inizio, relativamente tollerabile. Durante il giorno i detenuti potevano muoversi liberamente nel loro braccio, andare allo spaccio, guardare la televisione o giocare a ping pong. Eemeli non seguiva granché i programmi televisivi in lingua locale, e quanto al ping pong, troppo infantile per i suoi gusti, non lo ispirava.

Di tanto in tanto i detenuti beneficiavano di permessi speciali, e una volta Eemeli approfittò di due giorni che gli avevano concesso per tentare di raggiungere il Lago delle Tempeste. Ma proprio in quell'occasione, guarda la sorte, il personale di volo della SAS aveva deciso di incrociare le braccia, per cui Toropainen non poté imbarcarsi. Aveva pianificato di prendere un volo Firmai per Kajaani, via Helsinki, ma tutto l'aeroporto di Kastrup era in sciopero di solidarietà, per cui il traffico era interrotto. Così Eemeli passò la breve vacanza a guardare con occhio sconsolato la folla brulicante di Copenhagen.

Le donne di Eemeli, la vecchia e la nuova, vennero a trovarlo nella casa circondariale di Århus. Avevano un'aria rosea e fiorente, e tutt'e due un pancione prominente che presagiva lieti eventi. Eemeli le squadrò pensieroso all'altezza della vita. Le donne gli avevano portato in regalo schiacciatine d'orzo del Kainuu e formaggio di capra alla piastra da Colleverde, oltre ovviamente a libri e periodici recenti della madrepatria.

Il primo inverno arrivò in Danimarca anche Severi Horttanainen. Si dedicò per un po' di giorni al turismo alcolico nella capitale, prima di ricordarsi dello scopo principale del suo viaggio e di fare quindi un salto a Århus. Il maestro d'ascia riferì al detenuto che durante il suo soggiorno forzato, il potere a Ukonjärvi era passato in mani femminili. Per il resto le cose non andavano poi male, al Poggio del Diavolo era stata costruita una stalla che ospitava una ventina di bestie tra vacche da latte e buoi da tiro. In autunno avevano abbattuto una dozzina di alci e pescato con le reti una bella quantità di coregonini, messi sotto sale per l'inverno. L'Ufficio delle imposte di Sotkamo aveva inviato lettere di sollecito, i verdi, a quanto pareva, non avevano mai pagato tasse.

"E come farebbero a pagare, se non hanno un soldo? Hanno proposto alla Commissione tributaria di versare le loro quote in erbe aromatiche secche, ma non è stato accettato."

Eemeli aveva scontato due anni di pena quando nella sua cella portarono un altro detenuto. Era un russo sulla trentina, un certo Igor Sverdlov, arrestato mentre varcava clandestinamente i confini marittimi della Danimarca. Era arrivato a pagaia su un canotto gonfiabile dalla base russa di Zelenogradsk, sulla costa orientale del Baltico. Negli ultimi anni era stato ingaggiato come marinaio scelto sul cacciatorpediniere Rossia. L'imbarcazione era sempre sul punto di affondare per mancanza di manutenzione, ma ormai il bilancio della marina era così disastroso che neppure il vettovagliamento era assicurato. Il viaggio in mare di Igor era durato due settimane, nelle quali era dimagrito da settanta a quarantacinque chili.

In quel periodo la Danimarca e altri paesi dell'Europa occidentale erano stati invasi da migliaia di profughi provenienti dall'Est, soprattutto dalla Russia, ma in gran numero anche da Ucraina, Bielorussia, Polonia, Romania e Bulgaria. Ormai di profughi non se ne accettavano più da nessuna parte, e quelli che oltrepassavano illegalmente le frontiere venivano internati nelle prigioni locali. Igor era uno di questi, per la sua gran gioia. Le galere danesi rappresentavano per lui un netto progresso. Non doveva più temere per la sua vita e i pasti erano più che abbondanti.

Poco dopo il suo arrivo, tuttavia, le autorità carcerarie danesi resero più severe le condizioni di detenzione degli stranieri. E ne fece le spese anche Toropainen. Mentre prima il menù prevedeva pane, burro, latte normale o fermentato, oltre a due piatti caldi a scelta, antipasti e infine un dessert, adesso non servivano altro che una ciotola di roba calda, in genere una densa zuppa di merluzzo. In più un tozzo di pane, ma senza burro, mentre da bere passavano solo latte scremato o acqua. I detenuti stranieri non erano più autorizzati a scrivere alle famiglie, né ad ascoltare la radio e ordinare giornali. Erano così costretti a raccogliere informazioni sul mondo esterno dai compagni di reclusione danesi, non sempre affidabili.

Pure qualche informazione sulla situazione in Finlandia Eemeli riuscì a recuperarla. C'erano stati in tutto il paese scioperi e manifestazioni, sfociate in tumulti nelle città più importanti. L'economia era sprofondata in una crisi senza precedenti, diverse banche erano state nazionalizzate, grandi gruppi industriali del settore forestale avevano dichiarato fallimento ed erano finiti in mani straniere. I disoccupati si contavano a centinaia di migliaia. Molti funzionari del settore pubblico non ricevevano che la metà del loro stipendio. E le cose non andavano meglio nel resto del continente. L'Unione Europea era sull'orlo di una crisi valutaria soprattutto a causa del crollo del marco tedesco, dovuto a sua volta alle difficoltà maggiori del previsto nella ricostruzione della vecchia Germania dell'Est e all'afflusso di rifugiati da quelle aree che aveva preso le dimensioni di un vero e proprio esodo.

Nell'autunno del 1994 nel carcere scattò l'allarme generale: le celle furono aperte e si ordinò ai detenuti di correre in fila per due nel cortile murato della prigione e da lì scendere in un angusto rifugio sotterraneo. Centinaia di persone si ritrovarono pigiate per tre giorni all'interno di quel buio bunker di cemento. Non fu possibile servire loro niente da mangiare, si riuscì giusto a far girare dell'acqua stantia. L'aria era pesante, irrespirabile, bisognava stare sdraiati immobili sul pavimento di cemento e sperare che la situazione migliorasse. Tra i detenuti circolavano le voci più disparate. C'era chi immaginava che fosse scoppiata una guerra. Poi, al terzo giorno, quando poterono tornare alla luce, vennero finalmente a sapere che nelle vicinanze di San Pietroburgo era esplosa una centrale nucleare. La nube radioattiva si era estesa fino alla Danimarca, era per questo che i detenuti erano stati rinchiusi nel sotterraneo. Più tardi, in base ai rilievi effettuati in diverse parti d'Europa, si verificò che la nube aveva contaminato non solo vaste aree nei dintorni di San Pietroburgo, ma anche le terre più agricole del Sud della Finlandia, nonché, seguendo l'orientamento dei venti, l'Europa centrale, la Polonia, la Germania e parte della Francia. Si calcolò che sul continente circa il 30% dei campi non sarebbe stato coltivabile per vari anni. C'erano state centinaia di morti, ma si temeva che il numero delle vittime fosse col tempo destinato a crescere a migliaia, se non decine di migliaia.

Ne risultò un aumento vertiginoso dei prezzi dei cereali in tutto il mondo, tanto più che in quel periodo il Middle-West americano era nel suo terzo anno consecutivo di siccità. Per i detenuti di Århus la catastrofe comportò ulteriori restrizioni alimentari. Nel suo ultimo anno di reclusione Eemeli perse circa dieci chili. E nemmeno Igor trovava ormai piacevole il suo soggiorno in Danimarca. Cominciava già a fare progetti di evasione, e continuava a farne ancora alla fine dell'inverno del 1995 quando finalmente Eemeli Toropainen, scontata la pena, fu rimesso in libertà.

Direzione Ukonjärvi. Ed era più che ora!

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