Copertina
Autore Giovanna Pajetta
Titolo Nati l'11 settembre
SottotitoloI bambini, le famiglie e la scuola nei sei anni che hanno sconvolto il mondo
Edizionemanifestolibri, Roma, 2007, Underworld , pag. 144, cop.fle., dim. 14x21x1 cm , Isbn 978-88-7285-494-5
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe storia contemporanea , bambini , scuola , storia sociale , psicologia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


IL GIORNO DELLE GEMELLE                               7
Massimiliano 11 anni, Roma

INTRODUZIONE                                         11

HOW WAS TO LIVE THAT DAY                             19
Londra 7 luglio 2005

DISLESSIA FAMILIARE                                  23
I mondi paralleli di genitori e figli

UN POMERIGGIO A GROUND ZERO                          37
Novembre 2001

LE BANDIERE DI CONCOREZZO                            49
Inverno 2002-Primavera 2003

LE GUERRE DI GRETA                                   59
Primavera-Autunno 2003

MORIRE PER TREPUZZI                                  69
12 novembre 2003

L'INVASIONE DI ALBENGA                               79
Autunno 1994-Primavera 2007

MA ANCHE I GENITORI SONO VULNERABILI                 91
Intervista a Rona Dolev, ricercatrice scozzese

DISEGNARE L'11 SETTEMBRE 6 ANNI DOPO                111
Incontro con una quarta elementare di Giove Umbria

MALEDETTO TELEGIORNALE                              119
Incontro con una quinta elementare
di Marina di Pietrasanta, Toscana

I COLORI DELLA PAURA                                127
Intervista con Magda Di Renzo, responsabile
di un Servizio di psicoterapia infantile di Roma

APRITE LE ORECCHIE, ASCOLTATE I BAMBINI             133
Intervista ad Anna Perez, 40 anni di psicoterapia
infantile

BIBLIOGRAFIA                                        140

CRONOLOGIA                                          141



 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

IL GIORNO DELLE GEMELLE
Massimiliano, 11 anni, Roma



Era il mio primo giorno di scuola elementare, sono arrivato a casa con Sara, la mia tata, mi sono buttato sulla poltrona e ho acceso la tv perché volevo vedere «Dragonball». Ho visto questa cosa, ho provato a cambiare canale ma c'erano sempre questi due palazzoni, uno era pieno di fumo e mentre guardavo ho visto qualcosa, all'inizio non è che si capiva bene che era un aereo, che piombava addosso a quell'altro. A quel punto però mia madre si è agitata un casino, mi ha detto «Max alzati di lì, adesso la televisione la devi lasciare a me», però invece si è messa a telefonare a tutte le sue amiche e tutti i suoi amici e gli diceva «accendete la tv, sono cascate le torri gemelle!». Io non è che capissi tanto, ero piccolo, avevo appena sei anni, qualcosa ho chiesto, volevo capire cosa era successo a queste gemelle, ma lei non mi ha risposto, diceva solo «stai buono, aspetta un attimo, non è il momento». Allora io sono andato a portare a spasso il cane. Poi quando sono tornato, c'era sempre questa cosa in tv e allora me ne sono andato in camera mia a giocare con i pupazzetti.

I giorni dopo a scuola le maestre ne hanno parlato un pochino in classe, non tanto con noi però, discutevano molto tra di loro. Qualcosa ci hanno spiegato, ma era una cosa difficile da capire, io per esempio all'inizio credevo che gli aerei fossero cascati, non pensavo mica che l'avessero fatto apposta. Qualcuno me l'ha detto, ma io non capivo proprio perché farlo. Anche adesso, sì lo so che l'hanno fatto perché ce l'avevano con l'America, ma farsi esplodere per uccidere così tante persone, a me sembra una cosa da scemi. Poi in classe ci hanno chiesto se volevamo disegnare quel che era successo e ho fatto queste due torri grigie con tutto il fumo e il fuoco. Non è che mi sia venuto tanto bene però, io non sono tanto bravo a disegnare.

Dopo, quando ero più grande, e avevo sette o otto anni ho capito cos'era stato. Anche se in realtà non è che so ancora bene se quelli lì, mi pare fossero due afgani, avessero minacciato i guidatori col coltello per obbligarli a buttarsi contro le torri o se invece guidavano loro l'aereo. Comunque io quella volta lì non ho avuto paura, certo mia mamma era così agitata, ma non è che mi sia spaventato per davvero. Anche quando c'è stata la storia di Madrid, che sono esplosi 50 treni con su tutta la gente che andava a lavorare e io non avevo capito che c'entrava con le due torri, perché credevo che l'avesse fatta Saddam Hussein, non mi faceva così impressione. Ma dopo, per Londra, allora sì che ho avuto paura. Non volevo più prendere la metropolitana, soprattutto non volevo che la prendesse mio padre. Perché molto spesso io ho più paura per gli altri che per me stesso, soprattutto per papà, penso che gli possa succedere qualcosa mentre io non ci sono. E io a quel punto credevo davvero potessero fare qualcosa anche qui, su tutti i Telegiornali dicevano che Roma era la città a maggior rischio, infatti ci hanno anche provato, alla stazione Termini hanno intercettato la telefonata di uno che voleva farsi esplodere. Poi a Londra avevano messo una bomba nel loro Mp3 e un'altra nella lattina della Coca cola, voleva dire che allora lo possono fare con qualsiasi cosa. Quei giorni lì ho anche sognato che andavo ad aprire alla porta e c'era uno che si faceva esplodere davanti a me.

La verità è che questa cosa non finirà, come la guerra in Iraq. Perché poi è la stessa cosa, anche il terrorismo fa sempre parte della guerra, è sempre un bombardare anche se non lo fanno dall'alto. Anzi è peggio, perché se lo fai con gli aerei ammazzi meno gente, magari una bomba finisce che so su un terreno disabitato, invece se ti fai esplodere hai già un piano, vai proprio dove ci sono tante persone, è un gesto molto più brutto. Morte e distruzione, questo è la guerra, e si fa per motivi stupidi che non si riescono a risolvere con le parole. Noi in casa la pensiamo tutti così, e per questo abbiamo anche messo la bandiera della pace attaccata al balcone, non che servisse a molto però era un simbolo, aveva anche tanti bei colori e era giusto comprarla perché bisogna sempre incitarla la pace. Alla manifestazione no, non ci sono andato, perché volevo andare al cinema a vedere il Signore degli anelli, era appena uscito l'episodio delle Due Torri.

Però c'è stato un periodo che guardavo abbastanza spesso il telegiornale perché volevo sapere come andava a finire. Poi adesso ho smesso, si vedono sempre le stesse cose, guerra, bombe, persone uccise. Il Tg è così, fanno vedere solo morte, soldi e politica. Non è che ti dicono mai cosa si dovrebbe fare. Credo che non lo sappiano nemmeno loro, perché l'unica cosa sarebbe ucciderli tutti questi qui che mettono le bombe, ma è una cosa che non si fa, che non si deve fare, sarebbe la cosa più brutta del mondo. È come la pena di morte, è sempre sbagliata, anche Saddam bisognava lasciarlo in prigione, magari per tutta la vita, ma non impiccarlo in quel modo. È per questo che non finirà, anzi io penso che adesso ci siano ancora più probabilità che mettano delle altre bombe, proprio perché quando i sospetti sono al minimo, quando si comincia a dire che non succederà più, è allora che loro colpiscono. Come è successo a Madrid o a Londra.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

INTRODUZIONE



Sono passati sei anni. Le librerie si sono riempite di libri, i cinema di film, le strade, anche se non là dove tutto è cominciato, continuano a riempirsi di bombe. Forse è arrivato il momento di chiedersi quanto, come sono cambiate le nostre vite. Magari per una volta guardando, ascoltando chi proprio quel giorno si affacciò sul mondo per vederlo andare in pezzi tra le fiamme. La piccola Greta che voleva sapere se «quelli là sono nostri nemici» o il suo coetaneo Antonio, anche lui cinque anni appena compiuti, che indicava lo schermo gridando «quelle cose nere, guarda papà, sono persone che si stanno buttando perché hanno paura di bruciare!». Sappiamo poco o nulla della vita dei bambini. Quelli di cui stiamo parlando, figli, nipoti, estranei o vicini di pianerottolo, hanno passato i loro ultimi compleanni accanto ad adulti che, dalla televisione o nei bar, borbottavano sulla guerra che è di nuovo tra noi, litigando spaventati su chi mai fosse dalla parte giusta e chi, invece, da quella sbagliata. I piccoli ascoltavano, non visti, molto di più di quanto avremmo voluto, senz'altro più di quanto abbiamo capito. A Los Angeles o a Parigi, di sicuro a New York, Londra e Madrid, ma anche sulla porta di casa nostra. Perché non basta un oceano a scansare l'orrore, quando sotto gli occhi di tutti, in salotto o in sala da pranzo, duecento bambini muoiono nella loro scuola che salta per aria in un paesino di cui non sapevamo nemmeno il nome. E se è vero quello che afferma Magda Di Renzo, c'è da spaventarsi sul serio. «Negli ultimi cinque o sei anni i bambini hanno vissuto in un contesto sempre foriero di notizie di violenza, e l'impatto è stato forte proprio su ciò che permette loro di costruirsi una personalità. Così forte da incidere sul loro sviluppo – sostiene infatti la direttrice del Servizio di psicoterapia dell'età evolutiva dell'Istituto di ortofonologia di Roma –. L'11 settembre ha segnato una linea di demarcazione tra un prima e un dopo, nell'inconscio collettivo e nei bambini, perché è a loro che tutto quel che è accaduto, e sta accadendo, arriva con maggior potenza, checché se ne dica».


[...]


Quando io insisto nel cercare di capire come, questi sei anni stiano cambiando il modo di affrontare la vita di chi è stato costretto a crescerci dentro, la risposta di Magda Di Renzo, con mia sorpresa, è proprio questa. «Se vogliamo prendere il modello di comportamento che meglio esprime la tematica che stiamo esaminando, dobbiamo parlare del bullismo e dei suoi contenuti, ovvero chi la violenza la fa e chi invece la subisce. A cui del resto si aggiunge sempre una schiera di spettatori, la massa silenziosa che non fa nulla. Una volta il bullismo era un fenomeno legato all'adolescenza, adesso è una realtà anche nelle scuole elementari. Perché ciò che è accaduto in questi anni ha riempito i bambini, senza che avessero il tempo di elaborare le immagini o le parole della violenza – sostiene infatti la direttrice del Servizio di psicoterapia dell'età evolutiva di via Tagliamento –. Le paure dei bambini, ad esempio, sono aumentate gradualmente negli ultimi dieci anni. Ma poi, dopo l'11 settembre e quel che ne è seguito, c'è stata una crescita esponenziale dei disagi e delle aggressività non elaborate. Io metto in relazione queste due realtà perché mi sembra che oggi non ci sia più per loro un luogo da poter immagine come sicuro, tranquillo. Forse non solo per loro».

Eppure ben pochi ne parlano e ne scrivono. Forse perché il mondo dei bambini rimane un pianeta poco esplorato, al di fuori, s'intende, di chi se ne occupa per professione e vocazione. O forse perché accostare i due termini, infanzia e terrorismo, spaventa troppo. «Io penso che ci sia una grande resistenza nel nostro sistema culturale a confrontarsi con i temi negativi, con le ombre, con l'aggressività. E quando si parla di infanzia questo rifiuto è totale – è la risposta della Di Renzo –. È qualcosa che è cominciato tanto tempo fa, è il tentativo di preservare il mondo dei bambini, di edulcorare tutto per loro e attorno a loro». Ma sicuramente è anche il frutto della grande distanza che separa la vita degli adulti da quella dei loro figli, nipoti o scolari. E che questo libro vorrebbe cercare di accorciare almeno un po'.

| << |  <  |