Copertina
Autore Greg Palast
Titolo Democrazia in vendita
SottotitoloI padroni del mondo
EdizioneMarco Tropea, Milano, 2003, Le Querce , pag. 410, cop.fle., dim. 140x213x28 mm , Isbn 978-88-438-0409-2
OriginaleThe Best Democracy Money Can Buy
EdizionePluto Press, London, 2002
TraduttoreGianni Montanari
LettoreLuca Vita, 2004
Classe politica , storia contemporanea , storia criminale
PrimaPagina


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Indice


A chi importa?                                9

Introduzione alla nuova edizione americana

1. Jim Crow nel cyberspazio                  19

L'inedito resoconto di come hanno truccato
le elezioni in Florida

2. Democrazia in vendita                     91

I Bush e i miliardari che li amano

3. Truffando la California                  127

La deregulation e i pirati dell'energia

4. Vendi la Lexus, brucia l'ulivo           155

La globalizzazione e i suoi oppositori

5. Dentro l'America delle grandi aziende    225


6. Pat Robertson, il generale Pinochet,     257

la Pepsi Cola e l'Anticristo:
rapporti investigativi speciali

7. Piccole città, piccole menti             323


8. Baciando la frusta:                      339

riflessioni di un americano in esilio

Appendice                                   375
Note                                        381
Ringraziamenti                              391
Indice dei nomi                             395
 

 

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Pagina 9

A chi importa?
Introduzione alla nuova edizione americana



Senz'altro leggete i giornali e guardate la televisione, quindi conoscete quel genere di giornalismo-spazzatura, ottuso e avvelenato di pubblicità, che vi propinano in America.

Questo libro si potrebbe intitolare Ciò che non si può leggere sul New York Times o Ciò che non si può vedere sulla CBS. Per citare un esempio:

Cinque mesi prima delle elezioni presidenziali del novembre 2000, il governatore della Florida Jeb Bush ha fatto cancellare 57700 nominativi dalle liste degli elettori, a suo dire delinquenti che non avevano diritto al voto. Per la maggior parte si trattava di persone che non avevano commesso alcun crimine, la cui unica colpa era quella di avere la pelle nera.

Questa notizia esplosiva, contenuta in un mio articolo, è stata pubblicata sulla prima pagina del più importante quotidiano nazionale. Peccato fosse la nazione sbagliata. Il servizio è apparso sul Guardian di Londra e sulla sua versione domenicale, l'Observer. Avreste potuto anche sentirne parlare in televisione... in Europa ovviamente, nel programma Newsnight della BBC, che trasmette le mie inchieste. (Se volete sapere che cosa fosse in realtà quel boccone avvelenato che ancora oggi definiscono un'elezione presidenziale, leggete il capitolo 1, "Jim Crow nel cyberspazio".)

Passiamo a qualcosa di cui certamente negli Stati Uniti nessuno ha mai letto niente: dopo essere stato sbattuto fuori dalla Casa Bianca, Bush senior approdò in modo indolore a una società che era un'autentica miniera d'oro, una compagnia fondata dal saudita Adnan Khashoggi, fornitore d'armi dell'Impero del Male. I cercatori d'oro amici dell'ex presidente guadagnarono circa un miliardo di dollari grazie ad alcune modifiche che l'amministrazione uscente di Bush aveva gentilmente apportato alle norme in vigore. Da allora, la vicenda si fa più brutale e sanguinosa (vedi il capitolo 2, "Democrazia in vendita", aggiunta all'edizione americana).

Poi c'è la storia della Monsanto e dell'ormone geneticamente modificato per incrementare la produzione del latte. Le mucche su cui la compagnia sperimentò questa sostanza, nei secchi, insieme al latte, scodellarono pus. Che squisitezza! I responsabili della Monsanto risolsero il problema nel modo più semplice... occultarono i risultati dei test. I funzionari governativi americani diedero loro una mano, passando sottobanco alla società documenti riservati riguardanti i protocolli di controllo. I giornali americani non si occuparono della faccenda. Erano troppo impegnati a prostrarsi ai piedi di Robert Shapiro della Monsanto, di Jack Welch della General Electrics e di Ken Lay della Enron, per riuscire a scrivere qualcosa che non fosse copiato pari pari da un comunicato stampa sfornato da una di queste aziende (vedi il capitolo 5, "Dentro l'America delle grandi aziende").

E di sicuro negli Stati Uniti non hanno neppure letto di come il "reverendo" dottor Pat Robertson abbia segretamente usato in modo del tutto illecito i fondi della sua jihad, la crociata cristiana, per alimentare folli investimenti all'insegna del motto "arricchisciti più in fretta che puoi" (vedi il capitolo 6, "Pat Robertson, il generale Pinochet, la Pepsi Cola e l'Anticristo'').

Così come non hanno saputo nulla di Anibal Verón. Nell'agosto del 2000, Verón, un autista d'autobus che non riceveva lo stipendio da nove mesi, protestò e venne ucciso con un colpo di pistola. Gli argentini credono che la Banca mondiale avesse un piano segreto per costringere la nazione a tagliare le retribuzioni. La solita mania di persecuzione da cui sono affetti i nemici della globalizzazione? Vi mostrerò il documento. Invece di offrire queste notizie, il giornalismo in stile americano propina ai lettori guru proglobalizzazione come Thomas Friedman o ripete che al centro del nuovo ordine finanziario internazionale si trovano la rivoluzione delle comunicazioni e telefoni cellulari che possono contattare il vostro agente di borsa e al tempo stesso farvi il bucato. Accidenti! E se siete contro la globalizzazione, allora siete contro il futuro. I ragazzi che protestano per le strade sono soltanto un branco di stupidi illusi. E, specialmente negli Stati Uniti, non esiste dissenso nei confronti di questa visione del mondo euforica e irresponsabile. Non ho intenzione di discutere con Friedman e i suoi compari schierati a favore del Futuro. Vi accompagnerò invece attraverso le Country Association Strategies, le pressioni diplomatiche per la modifica dell'articolo 133 e i memorandum alle commissioni sul GATS. Su quasi tutti questi documenti è scritto "Confidenziale" e "Vietata la diffusione pubblica"... essendo usciti per vie traverse dagli archivi del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e della World Trade Organization. E non fanno alcun cenno a telefoni cellulari per gli incas.

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Pagina 88

LA DEMOCRAZIA E LA GENTE CHE CONTA: UNA CONCLUSIONE

Questa storia di elezioni rubate - l'ultima, la prossima - non riguarda i computer, la gestione delle banche dati o le macchine per votare. Se l'obiettivo fosse quello di prevenire il furto delle elezioni presidenziali americane correggendo i metodi elettorali e le apparecchiature, il problema potrebbe essere risolto con il mezzo suggerito dalla Duma russa. I russi hanno votato una risoluzione nella quale si chiede che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, come quelle a Haiti e nel Ruanda, si tengano sotto gli auspici delle Nazioni Unite.

La soluzione dei mali della democrazia non si può trovare nella messa a punto di qualche computer o nel bando di alcune tipologie di scheda. Tutta questa faccenda di tecnologie e procedure è, tuttavia, tutto sommato marginale rispetto al dato di fatto più inquietante: nel 2000, l'uomo che ha perso le elezioni si è impadronito del potere. Ho riferito queste cose dall'Europa, dove si pensa che la risposta più adeguata alla scoperta che l'uomo sbagliato si è insediato alla presidenza sarebbe quella di rimuoverlo da tale carica.

Ma negli Stati Uniti, a chi possiamo rivolgerci? Il ricorso da parte dei democratici a William (figlio del "Boss") Daley come loro portavoce durante lo spoglio dei voti in Florida, e il discorso di rinuncia di Gore, talmente pacato da suonare meschino, dimostrano che entrambi i partiti condividono, sia pure in misure diverse, lo stesso disprezzo per la volontà dell'elettorato.

Altre due elezioni presidenziali furono quasi rubate nel corso del 2000, in Perù e in Jugoslavia. Il paradosso è che in questi due paesi, ma non negli Stati Uniti, alla fine la volontà degli elettori è riuscita a prevalere. I peruviani e gli iugoslavi avevano preso a cuore l'ammonizione di Martin Luther King secondo cui i diritti non vengono mai concessi, solo rivendicati. Loro lo sapevano: quando chi non è eletto si impadronisce del palazzo presidenziale, chi crede nella democrazia deve impadronirsi delle strade.

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Pagina 91

2. Democrazia in vendita
I Bush e i miliardari che li amano



Chi possiede l'America? Quanto è costata? È stata pagata in contanti, con un assegno o presentando una carta di credito? È stata una donazione per il mio caro figliolo candidato alla presidenza? O piuttosto un contratto di consulenza stipulato con l'ex socio dello studio legale della mia consorte, per consolarlo mentre si incamminava mesto verso il carcere?

E cosa si può regalare a un miliardario che ha tutto? Quella miniera d'oro in Nevada a cui tiene tanto? L'immunità giudiziaria?

Inoltre, c'è la difficoltà pratica di avvolgere in una bella carta da regalo il Congresso degli Stati Uniti.

Può darsi che George W. Bush abbia perso nelle cabine elettorali, ma senza dubbio ha riportato la vittoria dove conta, ossia nel porcellino del salvadanaio. Il "figliolo fortunato" ha fatto il suo ingresso alla Casa Bianca trotterellando in groppa a un maialino sbuffante, imbottito con quasi mezzo miliardo di dollari: secondo i miei calcoli, gli innumerevoli contributi finanziari provenienti dalle grandi aziende americane (denaro "hard", denaro "soft", spese "parallele" e altre forme di facile spremitura) che hanno soffocato Al Gore ammontano a 447 milioni di dollari. L'hanno chiamata elezione, ma assomiglia molto di più a una vendita all'asta.

Che cosa era stato comprato con questi soldi? Nel maggio del 2001 volai in Texas per scoprirlo.

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Pagina 94

Bush mise il vicepresidente Dick Cheney a capo della commissione che doveva salvare i consumatori della California. Raccomandazione numero uno: costruire qualche centrale nucleare. Non era granché come proposta per uno stato soggetto ai terremoti come la California, ma si trattava di un affare incredibilmente lucroso per la principale azienda costruttrice di centrali nucleari, la Brown and Root, che ha sede in Texas ed è una consociata della Halliburton Corporation. L'ultimo direttore generale della Halliburton? Dick "il vicepresidente" Cheney.

Suggerimento numero due: cercare nuovi pozzi di petrolio nell'Arctic Wildlife Refuge, la riserva della fauna artica in Alaska. La California non utilizza il petrolio per fare funzionare le sue centrali elettriche, però, Don Evans, membro della commissione, nonché segretario al Commercio nell'amministrazione Bush, ha espresso entusiasmo per l'avventura artica. L'incarico più recente di Evans? Direttore generale della Tom Brown Inc., una società enorme che si occupa di gas e petrolio.

E così via. L'ex commissario all'Agricoltura del Texas, Jim Hightower, mi ha detto: «Hanno eliminato l'intermediario. Le grandi società non sono più obbligate a fare pressioni o corteggiare il governo. Sono loro il governo». Hightower ha spesso lamentato che la Monsanto esercitava pressioni sul segretario all'Agricoltura. Oggi, un pezzo grosso della Monsanto, Ann Venamin, è il segretario all'Agricoltura.

Bill Clinton, prima di uscire definitivamente di scena, il 14 dicembre emanò un decreto per porre fine alle speculazioni incontrollate nel mercato energetico della California. Si udirono ululati provenienti dal Texas, dove hanno le loro sedi principali i grandi vincitori del gioco dell'energia, TXU, Reliant, Dynegy, El Paso e quella che un tempo fu la Enron.

Queste cinque aziende attive nel settore dell'energia, con l'aiuto dei loro dirigenti e dipendenti, raccolsero 4,1 milioni di dollari per la campagna presidenziale repubblicana, secondo i dati del Center far Responsive Politics di Washington. Non dovettero aspettare molto per vedere fruttare il loro investimento, scusate, la loro donazione. Solo tre giorni dopo il suo insediamento, Bush cancellò la normativa emanata da Clinton che imponeva di garantire la fornitura di energia alla California.

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Pagina 105

Il nostro presidente ha bloccato le indagini su bin Laden?

Nel corso del mio programma televisivo sulla BBC, Newsnight, un giornalista americano ha confessato che, dopo l'attacco dell'11 settembre 2001, i cronisti americani hanno troppa paura per fare domande scomode, che potrebbero porre fine alla loro carriera. «È un paragone osceno, ma in Sudafrica c'è stato un periodo in cui certe persone davano fuoco ai pneumatici e poi li infilavano al collo di chi dissentiva. In un certo senso, qui hai paura di essere preso per la gola, di trovarti intorno al collo un copertone in fiamme per mancanza di patriottismo» disse quella sera Dan Rather. Senza il solito cerone, Rather aveva un'aria tirata, vecchia e sconfitta, mentre confessava che anche lui si era arreso. «È questa paura che impedisce ai giornalisti di fare le domande più dure e li spinge così spesso a tenersele chiuse dentro.»

Il silenzio come forma di patriottismo? I miei produttori a Newsnight e il mio direttore al Guardian non soggiacevano a tali vincoli. Pertanto, venni incaricato di volare fino a Ground Zero per porre la domanda cruciale che, nei primi giorni dopo l'attacco, non riusciva a staccarsi dalle labbra dei giornalisti americani: com'era potuto succedere che la CIA, l'FBI, la DIA e tutte le nostre bande di spie foraggiate nei modi più stravaganti non siano riuscite a impedire o a sapere in anticipo qualcosa sul più devastante attacco all'America dai tempi di Pearl Harbor? La risposta si rivelò non meno sgradevole della domanda.

Le agenzie di intelligence americane non avevano visto arrivare l'attacco perché era stato ordinato loro di non guardare. Perché? Dichiarazioni e documenti provenienti da fonti interne alla varie agenzie indicavano che l'amministrazione Bush aveva bloccato indagini vitali su importanti esponenti della famiglia reale saudita e su alcuni membri della famiglia bin Laden, non soltanto Osama, sospettati di avere finanziato e appoggiato al Qaeda e altre organizzazioni terroristiche.

Gli articoli che pubblicai basandomi su queste informazioni mi valsero un premio... il Project Censored Award del 2002, assegnato dalla School of Journalism della California State University. Non è il genere di premio che si vorrebbe vincere, poiché viene assegnato a inchieste scottanti che sono state totalmente bandite dai giornali e dalle emittenti televisive degli Stati Uniti. Per evitare equivoci o malintesi di qualunque genere, devo sottolineare quanto segue: assolutamente nessuna delle informazioni da noi raccolte indica che George W. Bush sapesse in anticipo qualcosa del piano per attaccare il World Trade Center l'11 settembre e neppure, il cielo ce ne scampi, un suo coinvolgimento nell'attacco.


DOCUMENTO FBI 199I

Ciò che abbiamo scoperto è già abbastanza grave. Innanzitutto, alcuni agenti dell'FBI piuttosto amareggiati ci hanno fornito un documento decisamente interessante, lungo una trentina di pagine e contrassegnato "Segreto". Ne ho riprodotte qui un paio di pagine (vedi fig. 2.1). Notate la designazione "199I"... è il codice utilizzato dall'FBI per indicare "Questione di sicurezza nazionale". Secondo informazioni provenienti da fonti interne, agenti dell'FBI avrebbero voluto effettuare controlli su due membri della famiglia bin Laden, Abdullah e Omar, ma dai loro superiori ricevettero l'ordine di girare al largo... fino al 13 settembre 2001. A quel punto, Abdullah e Omar avevano lasciato da tempo gli Stati Uniti.

Perché non era stata svolta nessuna indagine sui fratelli bin Laden? La linea dell'amministrazione Bush è che i Binladdin (una forma più comune del nome arabo) siano brave persone. Osama è la pecora nera, con cui i parenti sauditi avrebbero tagliato i ponti. Ma, nonostante la linea ufficiale, secondo alcuni agenti dell'FBI in famiglia albergava anche qualche pecora grigia che valeva la pena di interrogare... specialmente quei due, che lavoravano con la World Assembly of Muslim Youth (WAMY), definita dal documento "una sospetta organizzazione terroristica".

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Pagina 155

4. Vendi la Lexus, brucia l'ulivo
La globalizzazione e i suoi oppositori



Mi stavo facendo prendere le misure per una camicia di forza quando ricevetti un messaggio urgente dalla Bolivia. La camicia costrittiva era un'idea di Thomas Friedman, editorialista del New York Times, nonché pseudoeconomista autore del libro Le radici del futuro. La sfìda tra la Lexus e l'ulivo, una specie di lungo appassionato omaggio alla globalizzazione. Nel maggio del 2001 ero a Cleveland per discutere con Friedman alla riunione del Council on World Affairs. La globalizzazione, disse lui, riguarda la rivoluzione nel campo delle comunicazioni. Riguarda Internet. Riguarda il sistema che vi permette di starvene seduti in camera da letto, fare acquisti sul sito Amazon.com e contemporaneamente spedire e-mail agli esquimesi, il tutto in pigiama.

Secondo Friedman, noi siamo "connessi", "autorizzati" e "abilitati". E, se questo non fosse già abbastanza favoloso di per sé, la globalizzazione fa crescere le economie. Ogni nazione sul pianeta disposta a impegnarsi in tale senso e a seguire la via giusta scopre una miniera d'oro. La povertà avrà fine, come pure le tirannie dei governi. E ogni boliviano avrà il suo indirizzo e-mail.

La fine della povertà mondiale! Gli esquimesi! Le e-mail! Io volevo questo radioso avvenire e lo volevo subito! Tutto ciò che dovevo fare, a sentire Friedman, era diventare un po' più malleabile. «La camicia di forza del neoliberismo è ciò che definisce la politica economica della globalizzazione» dice Friedman. E più è stretta, spiega, «più produce oro».

Friedman sta parlando - in modo figurato, ovviamente - dell'ultima moda economica, «confezionata da Margaret Thatcher». Ronald Reagan, aggiunge, «ha cucito i bottoni». La ricetta prevede una decina di passi, ma quelli principali sono: tagliare gli interventi governativi, tagliare i bilanci, gli apparati burocratici e i regolamenti che essi producono, privatizzare praticamente tutto, abolire ogni restrizione valutaria sui flussi di capitale (deregulation), consentire alle banche di speculare sulle valute e di spostare capitali oltre i confini. Ma l'elenco non finisce qui. Aprire le industrie di ogni nazione a operazioni commerciali con l'estero, eliminare i vecchi e ammuffiti dazi doganali e dare il benvenuto alla proprietà straniera senza alcun limite; cancellare le barriere dei confini nazionali per aprire il commercio a 360 gradi, lasciare che il mercato stabilisca i prezzi di ogni cosa, dall'elettricità all'acqua, e permettere che gli arbitraggisti gestiscano i nostri investimenti. Dopodiché, trascinare le antiquate burocrazie dei governi verso la ghigliottina: tagliare le pensioni pubbliche, tagliare l'assistenza previdenziale, lasciare che la politica esca di scena e sia il mercato a guidarci.

Vendere queste regole è facile, disse Friedman sogghignando, poiché non esiste dissenso. Sì, c'erano quegli agitatori verdi che dimostravano a Seattle, ma, come aveva detto il premier inglese Tony Blair: «Le persone che aderiscono a queste proteste sono completamente disinformate. Il commercio mondiale è un bene per l'occupazione e migliora il tenore di vita delle persone. Queste proteste sono un autentico oltraggio al buonsenso».

Ma perdoniamo alla gioventù la sua ingenuità. I ragazzi scesi nelle strade non sapevano che la storia è finita, conclusa, kaputt! Friedman ci dice: «Il dibattito storico è concluso. La risposta è il capitalismo del libero mercato». E, repubblicani o democratici, conservatori o membri del New Labour, socialisti o cristiano-democratici, siamo tutti già iscritti nelle liste, chiusi nelle nostre camicie di forza, a discutere soltanto sulla lunghezza delle maniche.

Ero quasi sul punto di dire: «Allacciate anche la mia». Ma poi ricevetti questo messaggio, una e-mail, da Cochabamba, in Bolivia. Riguardava Oscar Olivera, il leader di una comunità che avevo conosciuto mentre lavoravo con alcuni sindacati dell'America Latina. Diceva: "Quasi mille membri delle forze di sicurezza boliviane equipaggiati con armi pesanti hanno disperso con gas lacrimogeni i partecipanti a una marcia di protesta pacifica, picchiandoli a sangue e sequestrando i loro effetti personali".

Che problema c'era? Forse la connessione a Internet era caduta e i boliviani stavano protestando perché non potevano fare acquisti su Amazon.com.

Il messaggio terminava così: "Oscar è scomparso. Si ignora dove sia attualmente". Ma Oscar non sapeva di essere "collegato e abilitato"?

Tutto ciò mi ricordò un grande pacco di documenti che era finito poco tempo prima fra le mie mani. Proveniva dai più profondi recessi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, dai cassetti delle scrivanie di funzionari della Commissione europea e della World Trade Organization: materiale relativo alle Country Assistance Strategies, una lettera diplomatica sull'articolo 133, un memorandum proveniente da vari uffici di segreteria, i veri artefici della globalizzazione, dall'interno delle organizzazioni che immaginano, e poi impongono, i termini della nuova economia internazionale.

Lì non c'era niente sugli esquimesi e i loro telefoni cellulari, però trovai un mucchio di cose sul taglio del 13 percento delle pensioni in Argentina, sulle azioni volte a provocare la rottura dei sindacati in Brasile... e sull'aumento dei prezzi dell'acqua in Bolivia, tutto esposto in raggelanti termini tecnici e con il contrassegno "Solo per uso ufficiale".

I dimostranti con i capelli dritti sulla testa nelle strade di Seattle credono che esista una specie di cospirazione a livello mondiale fra le grandi multinazionali, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e un intero elenco di organismi che operano per succhiare il sangue ai boliviani e rubare l'oro della Tanzania. Questi amanti degli alberi, però, si sbagliano: i particolari sono molto più disgustosi di quanto possano immaginare. Nel marzo del 2001, quando il governo dell'Ecuador aumentò il prezzo del gas da cucina e gli indios affamati diedero fuoco alla capitale, io stavo leggendo il piano riservato della Banca mondiale elaborato alcuni mesi prima. La Banca, insieme al FMI, aveva ordinato di aumentare dell'80 percento il prezzo del combustibile domestico, consapevole del fatto che ciò avrebbe scatenato disordini. Sembrava che le sommosse fossero previste dal piano.

E così era. Almeno secondo una delle poche fonti interne di cui posso fare il nome... Joseph Stiglitz, ex capo economista della Banca mondiale. «Le abbiamo chiamate "le sommosse del FMI".» Non solo le sommosse erano state programmate, ma anche la risposta, definita eufemisticamente "risoluzione", ossia gli interventi della polizia, i carri armati, la repressione.

A quel punto ho gettato via la camicia di forza e mi sono messo a scrivere quanto state per leggere. In questo capitolo troverete i miei servizi sulle liste di "condizioni" (167 per l'Ecuador) imposte dalla Banca mondiale e dal FMI per i loro prestiti, sui termini proposti (e mai rivelati) per l'attuazione dell'articolo VI.4 del trattato GATS emanato dalla World Trade Organization, sulle regole relative alla proprietà intellettuale ai sensi di qualcosa noto come l'accordo TRIPS, che riguarda ogni cosa, dalle cure per il cancro al seno al controllo di Doctor Dre sulla musica rap: tutte le piccole e luride realtà della globalizzazione così come viene attualmente messa in pratica. E potrete leggerlo restando in pigiama.

Scoprirete anche perché Oscar era scomparso: lo aveva catturato quello stesso esercito della Bolivia che stava combattendo per la globalizzazione.

Friedman terminò il suo intervento - si scoprì che non avrebbe accettato un contraddittorio, così dovemmo parlare in giorni separati - citando con gioiosa approvazione la saggezza di Andy Grove, il presidente della Intel Corporation: «Lo scopo del nuovo capitalismo è sparare ai feriti».

Quel giorno, per il bene di Oscar, sperai che Friedman si sbagliasse.

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Pagina 162

E allora, che cos'hanno ottenuto gli alieni con le ricette di libero mercato inscindibilmente legate ai loro interventi di aggiustamento strutturale? Samuel Brittan, il cavaliere errante della globalizzazione presso il Financial TImes, dichiara che i nuovi mercati del capitale mondiale e il libero scambio hanno «prodotto un miglioramento senza precedenti degli standard di vita nel mondo». Brittan cita l'enorme aumento del PIL pro capite, la durata media della vita e l'alfabetismo nei paesi in via di sviluppo fra il 1950 e il 1995.

Però, andiamoci cauti. Prima del 1980, quasi tutte le nazioni del Terzo mondo da lui prese in considerazione avevano uno stato socialista o assistenziale. Si stavano sviluppando seguendo il "modello del sostituto d'importazione", secondo il quale si costruivano industrie di proprietà locale grazie a investimenti governativi e alti dazi doganali, un autentico anatema per i fautori del libero mercato. In quell'Evo oscuro (1960-80) di crescente controllo statale e nuovi progetti assistenziali per le popolazioni, il reddito pro capite crebbe del 73 percento in America Latina e del 34 percento in Africa. Volendo fare un confronto, dopo il 1980 con il modello Reagan-Thatcher la crescita in America Latina si è praticamente arrestata, meno del 6 percento in vent'anni, e i redditi africani sono diminuiti del 23 percento.

E adesso contiamo i cadaveri: dal 1950 al 1980, le politiche messe in atto dai paesi socialisti e legati allo stato sociale hanno aumentato di oltre 10 anni la vita media in quasi tutti i paesi del mondo. Dal 1980 a oggi, la vita nel regno dell'aggiustamento strutturale è diventata disumana e decisamente più breve. A partire dal 1985, in quindici nazioni africane il numero complessivo di analfabeti è aumentato e la vita media si è accorciata... cose che Brittan attribuisce alla «sfortuna, [non al] sistema economico internazionale». Negli stati dell'ex Unione Sovietica, dove i piani d'assalto del FMI e della Banca mondiale hanno riscosso un grande successo, la durata media della vita è precipitata in uno strapiombo e ogni anno nella sola Russia muoiono un milione e 400mila persone in più. Che sfortuna, Russia!

Dobbiamo riconoscere, però, che oggi il FMI e la Banca mondiale stanno cambiando. Non emanano più i temuti Piani di aggiustamento strutturale. No, oggi li chiamano Strategie per la riduzione della povertà. Non vi fa sentire meglio?

Nell'aprile del 2000, il FMI ha preso in esame i frutti della globalizzazione. Nel suo rapporto "World Outlook", il Fondo ha ammesso che "negli ultimi decenni, quasi un quinto della popolazione mondiale è regredita. Questo è forse," ammette il FMI, "uno dei più grandi fallimenti economici del XX secolo". E questo, professor Giddens, sì che è una realtà.

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Pagina 174

E Joe Stiglitz? È sopravvissuto al licenziamento dalla Banca mondiale e alle lagnanze del FMI sul suo atteggiamento critico. Nel settembre del 2001 si è visto attribuire il premio Nobel per l'economia. Stiglitz, non dimenticatelo, era stato silurato semplicemente perché aveva tentato di studiare le ragioni per cui le politiche del FMI fallivano così spesso. Mi ha confessato, tuttavia, che i globalizzatori potevano indicare almeno un grande successo: l'Argentina. Poi, cinque mesi dopo il nostro colloquio, ricevetti la triste notizia che l'Argentina era morta.


Chi ha sparato all'Argentina? Le impronte sulla pistola fumante dicono "FMI"

Era una calda serata dell'agosto del 2001 quando mi arrivò una telefonata: l'economia dell'Argentina era stata rinvenuta cadavere.

Questo fu un caso semplice da risolvere. Accanto al corpo ancora caldo, l'assassino aveva lasciato una pistola fumante con le sue impronte sparse dappertutto. L'arma del delitto: il Memorandum d'intesa tecnica datato 5 settembre 2000. Era firmato da Pedro Pou, presidente della Banca centrale dell'Argentina, per l'inoltro a Horst Kóhler, direttore generale del Fondo monetario internazionale.

Ricevetti una copia completa di quell' "intesa", insieme agli allegati confidenziali e a una lettera di accompagnamento del ministro argentino dell'Economia indirizzata al FMI, grazie a... be', diciamo che sulla busta mancava l'indirizzo del mittente.

Lintesa chiedeva all'Argentina di ridurre il disavanzo del bilancio pubblico dai 5,3 miliardi di dollari del 2000 a 4,1 miliardi nel 2001. Rifletteteci un attimo. Quel settembre, quando l'intesa venne stabilita, l'Argentina era già sull'orlo di una profonda recessione. Un lavoratore su cinque era disoccupato. Perfino gli economisti dilettanti del FMI avrebbero dovuto sapere che bloccare la spesa pubblica in un'economia in contrazione sarebbe stato come spegnere i motori di un aereo mentre si trovava in stallo. Ridurre il deficit in un momento simile? Come direbbe mia figlia di quattro anni: «Stuuupido».

In seguito, mentre le ali dell'economia argentina si stavano staccando, il gruppo di cervelloni al FMI ordinò l'eliminazione del disavanzo, facendo implodere l'economia.

Ufficialmente, la disoccupazione raggiunse un tragico 16 percento, ma ufficiosamente, un altro quarto della forza lavoro si ritrovò senza salario, in mezzo a una strada o con mezzi insufficienti per sopravvivere. La produzione industriale - già calata del 25 percento a metà dell'anno sprofondò in un coma provocato dai tassi di interesse sui prestiti in dollari che, in buona misura, crebbero fino a superare il 90 percento.

Il FMI non sbaglia mai senza essere allo stesso tempo crudele. E così leggiamo, sotto la voce in grassetto "Migliorare le condizioni dei poveri", di un accordo per ridurre del 20 percento i salari nell'ambito del programma governativo d'emergenza per l'occupazione... da 200 dollari al mese a 160. Ma non si può certo risparmiare molto rubando 40 dollari al mese ai poveri. Per ulteriori risparmi, l'intesa proponeva anche "un taglio del 12-15 percento degli stipendi" dei dipendenti statali e la "razionalizzazione di certe indennità di pensionamento privilegiate". Nel caso vi risulti oscuro che cosa il FMI intende per "razionalizzazione", significa tagliare le pensioni di anzianità del 13 percento, sia quelle statali sia quelle private. Tagliare, tagliare, tagliare nel bel mezzo di una recessione. Stuuupido!

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Pagina 206

A me sta benissimo che gli Stati Uniti si impadroniscano delle proprietà intellettuali di Gates, ma non riesco a ignorare l'orribile puzza dell'ipocrisia.

Eppure, l'ipocrisia è l'ossigeno del nuovo ordine imperiale che governa la proprietà del pensiero. Tutti gli affettati latifondisti delle proprietà intellettuali recintate all'inizio della loro vita erano ladri. Secondo i dettami odierni della WTO e delle leggi americane, quanti prodotti costruiti basandosi su idee di altri potrebbero non avere mai raggiunto il mercato? Come direbbe oggi Isaac Newton: «Se io vedo più lontano di altri, è perché me ne sto in piedi sulle spalle di giganti troppo stupidi per brevettare le loro scoperte».

Scommetto che il signor Gates, così sollecito nel gridare «pirateria!», saprebbe nominare almeno due prodotti che devono parecchio al furto di scoperte intellettuali compiute da altri: MS-DOS e Windows. Affinché nessuno potesse rubargli ciò che lui aveva così liberamente sottratto ad altri, Gates ha lanciato una campagna internazionale per chiudere legalmente a chiave il suo monopolio sulle idee. Bill non è un ingenuo. Senza dubbio sa che, se le difese della proprietà intellettuale verranno abbattute, sarà a causa della necessità di fornire all'Africa farmaci contro l'AIDS a buon mercato. Così Gates ha versato due centesimi (nel suo caso, due miliardi di dollari) per combattere l'olocausto africano dell'AIDS. Nel febbraio del 2002, Bill e sua moglie Melinda, grazie alla loro generosa filantropia, si sono conquistati la copertina di Newsweek. La fondazione della sorridente coppia ha speso centinaia di milioni di dollari per la cura dell'AIDS in Africa, lavorando artiglio nell'artiglio con la Merck e altre società della Big Pharma a una campagna di pubbliche relazioni che ha sommerso le chiamate dei dottori che imploravano la fine delle restrizioni TRIPS. Nel caso in cui esistesse qualche dubbio su che cosa faccia battere il cuore dei Gates, il Wall Street Journal osserva che la loro fondazione ha, stranamente, investito più di 200 milioni di dollari in azioni di società farmaceutiche. Se questa operazione "caritatevole" riuscisse a smorzare le proteste contro la "polizia-del-pensiero" del TRIPS e si mantenessero i brevetti farmaceutici, le donazioni di Gates potrebbero uccidere più persone di quante ne salvano.


Non tutti hanno diritto a essere ricompensati. La WTO richiede, con la minaccia di sanzioni, a tutti i paesi di emanare leggi che consentano di brevettare le "forme di vita", espressione con cui europei e americani indicano semi o farmaci geneticamente modificati, alla Frankenstein, spesso rielaborazioni di genomi tradizionali rubati dalle foreste del Terzo mondo. Quando però la Thailandia ha astutamente registrato medicine tradizionali come sue proprietà intellettuali, il rappresentante per il commercio degli Stati Uniti ha scritto che trasformare i doni generosamente offerti dalla natura in proprietà brevettate poteva "ostacolare la ricerca medica" (rafforzando così l'opinione generale secondo cui gli americani sono incapaci di ironia).

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"Due simboli del capitalismo americano": 11 settembre 2001

Per restare in tema di piccoli burocrati americani che succhiano i soldi delle nostre tasse e impastoiano gli affari americani, lasciate che vi parli di due di loro: Greg O'Neill e Clinton Davis.

Prima ancora che il World Trade Center crollasse, il parruccone televisivo della NBC Tom Brokaw annunciò che le Torri Gemelle erano state attaccate perché simboli del capitalismo americano. Mentre noi stavamo guardando esseri umani che si gettavano verso la morte da finestre in fiamme, Tom si era già appropriato di loro come martiri di un mercato azionario in rapida crescita e dello spirito d'intraprendenza dei suoi sponsor.

Non fu il solo. Molta della sinistra europea che ha segatura al posto del cervello si trovò d'accordo con lui. Sul mio stesso giornale, il Guardian, un certo Rana Kabbani scrisse con malcelata soddisfazione che questo omicidio di massa era diretto contro i "due simboli dell'egemonia americana".

E allora parliamo di questi due simboli del capitalismo americano, O'Neill e Davis. Ammetto che Kabbani, quel piccolo servo ipocrita del terrore, e Brokaw, quel trombone del grande business, intendevano riferirsi alle due torri del Trade Center, ma non è stato un manufatto architettonico a restare stritolato senza vita.

Davis lavorava nei seminterrati del Trade Center, O'Neill al cinquantaduesimo piano della Torre Sud. (E, finché non ho cominciato a trascorrere troppo tempo a Londra, il mio ufficio era al cinquantesimo piano della Torre Nord.)

Ecco cosa faceva O'Neill nella Suite 5200. Come avvocato, rappresentava il governo dello stato. Quando O'Neill scoprì che una società energetica aveva falsificato i rapporti sulla sicurezza di una centrale nucleare, li colpì con una causa per corruzione e alla fine riuscì, insieme ad altri, a sbattere fuori dal racket nucleare quei bastardi. Proprio così, il lavoro di O'Neill consisteva nell'impedire affari. Siamo fortunati che abbia avuto successo. Davis, invece, lavorava per la divisione di polizia dell'autorità portuale di stato.

In altre parole, quei grattacieli erano pieni di quei funzionari che i Bush amano odiare. Be', signor Bush, mentre i banchieri correvano fuori dall'edificio (lo avrei fatto anch'io!), i funzionari, gli impiegati governativi, i pompieri e le squadre di soccorso correvano dentro.

Semmai, il Trade Center era un simbolo del socialismo americano. Quelle torri erano state costruite dallo stato di New York negli anni settanta. Il proprietario delle torri, la New York-New Jersey Port Authority, genera i profitti che mantengono le infrastrutture della città - metropolitane, tunnel, ponti e un sacco di altra roba - di cui non si sono impossessati i privatizzatori che girano sempre intorno. Convincere i capitalisti che le aziende orientate al servizio pubblico costituivano un investimento non meno interessante della General Motors spettava a società governative di negoziazione dei titoli come la Cantor Fitzgerald (centesimo piano, 658 dipendenti, nessun superstite).

La proprietà pubblica del Trade Center non è un'anomalia. I capitali delle società possedute dal governo federale degli Stati Uniti superano i 2,85 miliardi di dollari. Aggiungeteci le aziende locali e di stato, come quelle che gestiscono i sistemi idrici, e vi accorgerete che il totale investito nelle società pubbliche eclissa abbondantemente il mercato azionario, rendendo gli Stati Uniti una delle nazioni più statalizzate rimaste su questo triste pianeta. Se non siete americani, non lo sapete. E se lo siete, probabilmente non lo sapete neanche voi. Ci sono un sacco di cose che probabilmente non sapete sull'America e che vi sorprenderebbero.

Quel terribile martedì sera, non potei fare a meno di chiamare la casa di O'Neill. Rispose lui al telefono. «Mio Dio, sei salvo!»

O'Neill replicò: «Non proprio».

Anche Davis era in salvo, nei seminterrati delle torri. Ma scelse di salire nell'edificio per soccorrere gli altri. Oggi Davis, il tizio che si dava da fare per i soldi delle nostre tasse, risulta disperso.

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Pagina 353

Baciando la frusta

Il 17 marzo 1999, per ordine della London Metropolitan police, il mio collega reporter dell' Observer, Martin Bright, i nostri direttori e gli avvocati del Guardian vennero convocati davanti a un giudice dell'Old Bailey. Minacciando di mandarli in prigione e farli pagare ammende illimitate, la corte britannica ordinò loro di consegnare tutte le note interne relative agli articoli su un ex agente del MI5, il servizio segreto che annovera fra le sue fila James Bond. Bright e i direttori, Roger Alton e Alan Rusbridger, rifiutarono di farlo.

Una settimana più tardi, a una soirée in cravatta nera all'Hotel Hilton, mi trovai impelagato in una tortuosa discussione lubrificata da champagne con un gentiluomo dotato di un'eloquenza quasi fastidiosa che difendeva il diritto del governo di censurare e imporre restrizioni ai servizi giornalistici. Il mio interlocutore (nonché mio capo) era il direttore del Guardian e amministratore delegato dell' Observer, Alan Rusbridger, lo stesso uomo che rischiava di diventare ospite delle segrete della regina per avere rifiutato di obbedire all'ordine della corte.

Non ne fui sorpreso.

L'aspetto più subdolo e brillante della censura giornalistica e della soppressione di articoli in uso in Gran Bretagna si trova nel fatto che le sue vittime principali, i direttori di giornali e i reporter di tutta la nazione, hanno sviluppato una ossequiosa accettazione dei principi che giustificano la limitazione della loro libertà, un bizzarro costume dei giornalisti inglesi che li spinge a baciare la frusta con cui sono sferzati.

[...]

Il Regno Unito è rimasto uno dei pochissimi paesi dell'emisfero privi di una garanzia scritta delle libertà di parola e di stampa fino all'ottobre del 1999. In quel mese, l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo diventava legge anche per il Regno Unito. La convenzione permetteva ai cittadini britannici, per la prima volta, "di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche".

Nella causa che vedeva fronteggiarsi la Corona e il Guardian, sia la corte sia il governo si affrettarono a convenire che la nuova legge sui diritti umani si applicava all'attuale processo contro il reporter Bright e i giornali.

Questa non fu una buona notizia. Mentre la Costituzione degli Stati Uniti dichiara che "il Congresso non limiterà la libertà di stampa né di parola" senza nessun se, o ma, la Convenzione europea aggiunge un capzioso piccolo codicillo, il "Punto 2". Nell'udienza del 17 marzo, il giudice sentenziò che il diritto di «ricevere o comunicare informazioni», cioè la libertà di stampa, era soggetto alle «restrizioni o sanzioni necessarie per la sicurezza nazionale» previste dal Punto 2. Non sembra anche a voi appropriato che nella terra di George Orwell la legge impedisca al governo di controllare la stampa, finché il governo non decide di farlo?

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Pagina 361

Desideri di morte sotto le palme

Diversamente dai sudditi della monarchia dalla quale abbiamo divorziato, noi americani ci lamentiamo, brontoliamo, protestiamo e pretendiamo i nostri diritti. A volte. Quando l'ipnosi del nostro info-intrattenimento televisivo si affievolisce, quando "buongiorno" è una risposta insufficiente per chi viene truffato dai potenti di turno, gli americani riescono a sorprendere loro stessi, si drizzano in piedi e dicono: «No, grazie, questa schifezza non la mangiamo».

Arrivati a questo punto del libro potreste sentirvi dannatamente depressi. I pezzi grossi, i prepotenti, sembrano vincere sempre. Quando tuo papà è stato presidente e tuo fratello, il governatore della Florida, conta i voti, non hai bisogno di elezioni per diventare presidente a tua volta. Non la chiamano "la classe privilegiata" per niente. I soldi delle aziende battono ogni volta la democrazia. Così pare.

Ma non sempre. Può sembrare una battaglia fra orsi e leprotti, ma a volte noi piccoli roditori ci rizziamo sulle zampe posteriori, pestiamo duro e vinciamo. Negli Stati Uniti c'è una lunga storia di contrattacchi, dalla sfida di Andrew Jackson alla creazione di quelle creature chiamate "società per azioni" fino alla richiesta del Movimento populista di commissioni sui pubblici servizi per frenare l'aumento delle tariffe da parte dei monopolisti. Negli Stati Uniti, i sindacati possono cadere, ma le cooperative di credito sorgono. Questo capitolo è volto a dimostrare che l'America ha qualcosa da offrire al pianeta oltre ai McBurgers, ai missili Cruise e a Madonna. Quando non ne possiamo più, cominciamo a mollare calci a qualcuno.


Nel capitolo 2 vi ho parlato di come i tre milioni di abitanti di San Diego siano stati arruolati senza volerlo come cavie da laboratorio per un terrificante esperimento economico: la deregulation dei prezzi dell'elettricità. Le società elettriche promettevano che il libero mercato avrebbe ridotto i prezzi "almeno del 20 percento". Nel 2000, il prezzo dell'energia era cresciuto del 379 percento.

Allora successe qualcosa di straordinario. Là dove il frenetico accavallarsi di superstrade, McDonald's e Wal-Mart va a sbattere contro il confine messicano, i pacifici californiani saltarono giù dalle tavole da surf e fuori dalle piscine sventolando il dito medio in aria al canto di: "Boicottaggio! Boicottaggio!". La San Diego Gas and Electric spedì le sue bollette gonfiate, ma nell'estate del 2000 le masse abbronzate non le pagarono. Decine di migliaia di utenti non fecero altro che continuare a pagare soltanto i prezzi vecchi, molto più bassi. Fra quelli che si unirono al boicottaggio ci furono: il sistema scolastico della città, il Consiglio delle chiese e, addirittura, senza nemmeno un briciolo di pudore, il senatore dello stato che aveva sponsorizzato la legge per la deregulation.

In Bolivia, lo ricorderete, quando i proprietari anglo-americani del sistema idrico di Cochabamba aumentarono i prezzi e gli abitanti boicottarono i pagamenti delle bollette, il governo affrontò i manifestanti con pallottole e legge marziale. Ma, in California, i dimostranti si videro accogliere da politici in preda al panico e già in ginocchio. Il governatore della California, il democratico Gray Davis, promulgò una legge d'emergenza per ridurre retroattivamente i prezzi del 60 percento. L'organo di controllo dei pubblici servizi dello stato appoggiò la rivolta, vietando alla San Diego Gas and Electric di tagliare i servizi agli utenti che rifiutavano di pagare.

I pirati dell'energia rimasero sbalorditi da quella rivolta pubblica. Dopotutto, anche se i prezzi di San Diego erano schizzati a quasi quindici centesimi per kilowattora, non erano superiori a quelli che le società elettriche americane addebitavano normalmente ai loro clienti in Europa, i quali sopportavano il colpo con una stoica scrollata di spalle.

Ma allora che cos'era stato a far levare in armi gli abbronzati californiani? Il piccolo segreto dell'America è che il nuovo ordine mondiale del libero mercato e della deregulation è destinato solo all'esportazione. Il magico toccasana del libero mercato viene applicato quasi esclusivamente per ottenere bottino straniero. I cittadini statunitensi si sono sempre aspettati che, all'interno dei loro confini, il pubblico, attraverso i poteri dello stato, tenesse bassi i prezzi e i profitti delle società che monopolizzano i servizi.

La città di Los Angeles è proprietaria del suo sistema idrico e di quello elettrico, e in pratica garantisce le forniture a prezzi quasi nulli. Bene. Gli americani non sono costretti a rispettare gli ordini della Banca mondiale sulla privatizzazione e sui "prezzi di mercato" escogitati per i babbei dei continenti inferiori.

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