Copertina
Autore John Palfrey
CoautoreUrs Gasser
Titolo Nati con la rete
SottotitoloLa prima generazione cresciuta su Internet. Istruzioni per l'uso
EdizioneRizzoli, Milano, 2009, Bur 24/7 , pag. 494, cop.fle., dim. 12,4x19,2x2,7 cm , Isbn 978-88-17-03165-3
OriginaleBorn Digital [2008]
PrefazioneLuca Sofri
TraduttoreDaniela Caggiati, Laura Cogni, Giacomo Stella
LettoreLuca Vita, 2010
Classe informatica: sociologia , informatica: storia , scuola
PrimaPagina


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Indice


Il mondo salvato dai nativi digitali
di Luca Sofri                                 5

Introduzione                                 15

1.  Identità                                 35
2.  Dossier                                  62
3.  Privacy                                  81
4.  Sicurezza                               122
5.  Creatori                                161
6.  Pirati                                  186
7.  Qualità                                 217
8.  Sovraccarico                            256
9.  Aggressori                              288
10. Innovatori                              304
11. Apprendimento                           322
12. Attivisti                               344
13. Sintesi                                 366

Ringraziamenti                              389
Note                                        393
Glossario                                   447
Bibliografia essenziale                     457
Indice analitico                            471


 

 

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Pagina 15

Introduzione



Li vedete dappertutto. La ragazzina con l'iPod seduta di fronte a voi in metropolitana che scrive freneticamente messaggi sul cellulare. Il genietto del computer che fa praticantato estivo nel vostro ufficio e a cui chiedete disperatamente aiuto quando vi si pianta l'e-mail. Il bambino di otto anni che potrebbe battervi a qualsiasi videogioco sul mercato – e oltretutto scrive al computer molto più veloce di voi. Persino la figlia neonata di vostra nipote, che non avete mai incontrato perché abitano a Londra, ma a cui siete comunque affezionati per via della caterva di foto che vi arriva ogni settimana.

Tutti questi personaggi sono «nativi digitali». Sono tutti nati dopo il 1980, quando approdarono in rete le tecnologie digitali sociali come Usenet e i BBS (Bulletin Board Systems, sistemi di bacheche online). Tutti hanno accesso alle tecnologie digitali in rete. E hanno le capacità per usarle (a parte la bambina, ma anche lei imparerà in fretta).

Probabilmente sarete rimasti colpiti da alcuni talenti di questi nativi digitali. Forse il vostro giovane assistente vi ha mostrato su Internet una divertente satira politica che non sareste mai riusciti a trovare da soli, o vi ha procurato dei materiali di presentazione al cui confronto le vostre slide di PowerPoint sembrano medievali. Forse vostro figlio ha cancellato con Photoshop una nuvola dalla foto delle vacanze di famiglia, trasformandola nella perfetta cartolina di auguri di Natale. E magari quel bambino di otto anni ha realizzato da solo un video che decine di migliaia di persone hanno visto su YouTube.

Ma ci sono anche buone probabilità che un nativo digitale vi abbia dato fastidio. Quello stesso assistente, forse, che scrive inappropriate lettere informali ai vostri clienti – e in un modo o nell'altro non sa ancora come mettere insieme una lettera vera, stampata? O forse vostra figlia, che non scende mai per cena perché è sempre indaffarata a chattare online con le sue amiche – e anche quando scende non la smette di scrivere messaggi sotto il tavolo alle amiche di cui sopra?

Forse siete addirittura un po' intimoriti da questi nativi digitali. Magari vostro figlio vi ha raccontato che un suo compagno di classe delle medie gli ha scritto messaggi violenti e minacciosi sulla sua pagina web. Oppure avete sentito al telegiornale di quella banda di studenti universitari che si è inserita nel sito internet di un'azienda e ha rubato 487 numeri di carte di credito prima di farsi beccare dalla polizia.

Una cosa sapete di sicuro: questi ragazzi sono diversi. Studiano, lavorano, scrivono e interagiscono tra loro diversamente da come facevate voi da bambini. Leggono blog invece di giornali. Spesso si conoscono su internet prima ancora che di persona. Probabilmente non sanno neanche com'è fatta una tessera della biblioteca, ed è ancora più difficile che ne possiedano una; e se ce l'hanno, è facile che non l'abbiano mai usata. Prendono la loro musica da internet – spesso in modo illegale, senza pagare – anziché comprarla nei negozi di dischi. Sono molto più propensi a mandare un messaggio che a prendere la cornetta per darsi un appuntamento pomeridiano. Adottano cuccioli virtuali – e stringono amicizie grazie a Neopets – invece che animali in carne e ossa. Sono legati tra loro da una cultura comune. Gli aspetti principali delle loro vite – interazioni sociali, amicizie, attività civiche – sono mediati da tecnologie digitali. E non hanno mai conosciuto una maniera diversa di vivere.

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Pagina 17

Alla fine degli anni Settanta il mondo cominciò a cambiare – e in fretta. Il primo Bulletin Board System (abbreviato BBS) su internet permise a chi aveva un (ingombrante...) computer e un collegamento telefonico di scambiare documenti, leggere notizie online e inviare e ricevere messaggi. I gruppi su Usenet, basati su argomenti di interesse per comunità di utenti, divennero famosi all'inizio degli anni Ottanta. L'e-mail diventò di uso comune ad anni Ottanta inoltrati. Il World Wide Web fece il suo debutto nel 1991, e pochi anni più tardi già poteva proporre browser di facile utilizzo e largamente accessibili. I motori di ricerca, i portali e i siti di e-commerce fecero la loro comparsa verso la fine degli anni Novanta. All'inizio del nuovo millennio comparvero su Internet i primi blog e social network. Nel 2001, quando le vendite delle macchine fotografiche digitali iniziavano a decollare, la Polaroid dichiarò bancarotta. Nel 2006 la Tower Records liquidò i propri punti vendita; a partire dal 2008 iTunes era diventato il maggior rivenditore di musica negli Stati Uniti. Oggi, gran parte dei giovani in molte società di tutto il mondo si portano dietro ovunque vadano apparecchi tascabili – cellulari, sidekick, iPhone – che non servono solo a effettuare chiamate telefoniche, ma anche a inviare messaggi, navigare su Internet e scaricare musica.

Questa è l'epoca dalla trasformazione tecnologica più rapida di sempre, almeno nel campo delle informazioni. I cinesi inventarono la macchina da stampa secoli prima che Gutenberg sviluppasse la stampa in Europa e realizzasse le sue prime Bibbie. Per secoli ancora, furono ben pochi i fortunati che potevano permettersi di acquistare libri stampati con questo metodo. Al contrario, tra l'invenzione delle tecnologie digitali e la loro adozione da parte di più di un miliardo di persone in tutto il mondo sono trascorsi solo pochi decenni. Nonostante molte culture appaiano oggi sature di tecnologie informatiche, nessuna generazione ha ancora vissuto una vita intera nell'era digitale.

Praticamente tutti i principali aspetti della vita moderna sono condizionati dal modo in cui molti di noi usufruiscono delle tecnologie informatiche. Le trattative commerciali, per esempio, possono essere portate a termine più velocemente e su distanze maggiori, spesso con un notevole risparmio economico. I politici contattano gli elettori via e-mail, offrono video di presentazione delle campagne elettorali sui propri siti e forniscono ai volontari sofisticati strumenti digitali per organizzare eventi in autonomia. Persino la religione sta mutando: preti, predicatori, imam e rabbini cominciano a raggiungere i fedeli tramite i propri blog.

Ad ogni modo, è ancora più rilevante notare come l'era digitale abbia trasformato la maniera in cui le persone vivono la propria vita e si pongono in relazione tra loro e con il mondo che li circonda. All'inizio c'erano persone adulte, i coloni digitali – i quali, non nativi dell'ambiente digitale in quanto cresciuti in un mondo esclusivamente analogico, hanno peraltro contribuito a definirne i contorni. Anche questi individui di età più avanzata si trovano su internet, e spesso sono piuttosto esperti nell'utilizzo di tali tecnologie, ma pure perseverano nell'affidarsi largamente alle tradizionali forme analogiche di interazione. Altri hanno meno familiarità con questo ambiente: sono immigrati digitali, che hanno imparato a scrivere e-mail e a utilizzare social network quando erano già avanti negli anni. Si riconoscono dalle barzellette stupide e dagli avvertimenti riguardo a leggende metropolitane che essi inviano continuamente in copia a lunghissimi elenchi di destinatari. I nati nell'era digitale non ricordano un mondo in cui le lettere venivano stampate e inviate – ancor meno manoscritte – o in cui le persone si incontravano ai balli di gala invece che su Facebook. L'aspetto variabile delle relazioni umane per alcuni è una seconda natura, per altri è un comportamento appreso.

Questo libro parla di quelli che si recano in metropolitana al loro primo lavoro con le cuffie dell'iPod nelle orecchie, non di quelli di noi che ancora si ricordano come funziona un walkman Sony, o che compravano dischi in vinile o Stereo-8. Molte cose stanno cambiando, al di là di quanto i giovani paghino (o non paghino) la loro musica. I ragazzi che stanno diventando studenti universitari e nuove leve nel mondo del lavoro, pur vivendo gran parte della propria vita online, si distinguono da noi sotto molti aspetti. Diversamente da noi, appena un po' più vecchi, questa nuova generazione non ha dovuto re-imparare nulla per vivere dentro il digitale. Ha imparato subito in digitale; il mondo digitale è l'unico che conosce.

A differenza della maggior parte degli immigrati digitali, i nativi trascorrono le loro giornate su Internet senza distinguere tra le realtà on- e offline. Anziché concepire la propria identità digitale come qualcosa di distinto da quella reale, si limitano ad avere un'identità (rappresentata in due, tre, o più dimensioni differenti). Sono raggruppati in base a una serie di pratiche comuni, tra le quali il tempo trascorso utilizzando tecnologie digitali, la tendenza a svolgere più pratiche contemporaneamente (multitasking), la maniera di esprimersi e di relazionarsi tra di loro con la mediazione di tecnologie digitali, e il sistema di utilizzare mezzi tecnologici per ottenere e utilizzare informazioni e creare nuove forme di arte e conoscenza. Per questi giovani, le nuove tecnologie digitali – computer, cellulari, sidekick – sono mediatori essenziali dei rapporti interpersonali. Hanno creato una rete costantemente attiva che fonde l'uomo con la macchina a un livello mai raggiunto e che sta trasformando radicalmente le relazioni umane. Conducono esistenze a cavallo tra reale e virtuale con la medesima disinvoltura, e non trovano niente di strano nelle proprie vite ibride. Questo mondo in cui tutti sono collegati a tutti – e alla rete – è l'unico che i nativi digitali abbiano mai conosciuto.

I nativi digitali sono costantemente connessi a internet. Sono pieni di amici, nel mondo reale e in quelli virtuali: una collezione crescente che elencano, spesso per farne bella mostra al resto del mondo, nei loro siti di social network. Persino mentre dormono vengono strette amicizie online, di cui apprenderanno poi al risveglio. A volte si tratta di legami con gente che neanche incontreranno mai nella vita vera. Attraverso i siti di social network, i nativi digitali si mettono in contatto, chattano e condividono foto con amici in tutto il mondo. Possono anche collaborare creativamente o a livello politico in maniere che trent'anni fa sarebbero state irrealizzabili. Però, nel corso di questa connessione ininterrotta, la natura vera e propria dei rapporti – persino il significato stesso di amicizia – sta mutando. Molti dei pilastri su cui si fondano le amicizie online sono gli stessi di quelle tradizionali – interessi in comune, frequente interazione – ma tuttavia hanno un tenore molto diverso: spesso sono fugaci, facili da stringere e da interrompere, senza nemmeno un saluto, ma potrebbero anche dimostrarsi durature con modalità che dobbiamo ancora comprendere.

Non solo i nativi digitali si confrontano in maniera diversa tra di loro, ma anche con le informazioni. Vediamo come si rapportano alla musica. Fino a non troppo tempo fa, i ragazzini andavano a casa di un amico per ascoltare un nuovo disco. Oppure la musica poteva esprimere un'intimità condivisa: una ragazzina regalava al suo nuovo fidanzato una compilation su cassetta, con i titoli delle canzoni scritti con cura sulle righe della copertina, per dirgli quanto gli voleva bene. Non tutto è cambiato: i nativi digitali ascoltano tuttora enormi quantità di musica. E la condividono. Ma è decisamente improbabile che l'esperienza si svolga in uno spazio reale – gli amici seduti intorno allo stereo che ascoltano musica. La rete dà loro la possibilità di condividere musica che, poi, ognuno di loro può ascoltare per conto suo in cuffia, camminando per strada o nella propria stanza del dormitorio, tramite un iPod o il programma di iTunes sul computer. La cassetta è stata rimpiazzata dalla playlist, condivisa con gli amici come con gli sconosciuti sui social network online. Una generazione è arrivata ad aspettarsi che la musica sia in formato digitale, spesso gratis e infinitamente condivisibile e portatile.

I nativi digitali sono estremamente creativi. È impossibile determinare se siano più o meno creativi rispetto alle generazioni precedenti, ma una cosa è certa: esprimono la propria creatività in modo radicalmente diverso da come la esprimevano i loro genitori alla stessa età. Molti nativi digitali percepiscono le informazioni come qualcosa di malleabile, che possono gestire e plasmare in maniere nuove e interessanti. Questo può significare creare il proprio profilo su MySpace o i propri lemmi su Wikipedia, oppure caricare il proprio film o video online preferito o una hit di successo – tramite canali più o meno legali. Possono arrivare ad avere sul loro ambiente culturale un grado di controllo senza precedenti, anche senza rendersene conto. Possono imparare a usare un nuovo programma di software in un batter d'occhio. Sembra che possano prendere, caricare e pubblicare fotografie da condividere con i loro amici online anche mentre dormono. I nativi digitali, all'apice della loro inventiva, creano mondi paralleli, come parti di Second Life, registrano quello che fanno lì, e poi tirano fuori i video da Second Life per postarli su YouTube (se vivono in California) o Daily Motion (se vivono a Cannes) – una nuova forma d'arte battezzata Machinima. Possono rielaborare i media, tramite comuni programmi informatici, in modi che sarebbero sembrati impossibili fino a una decina di anni fa.

Si affidano sempre maggiormente a questo spazio connesso, in pratica per tutte le informazioni di cui hanno bisogno nella vita. Un tempo fare una ricerca significava recarsi in biblioteca, spulciare un antiquato catalogo cartaceo e scervellarsi sul sistema decimale Dewey per trovare un libro da tirare fuori dagli scaffali. Ora è sottinteso che la ricerca si faccia su Google: segue, nella maggioranza dei casi, un salto su Wikipedia prima di addentrarsi a fondo nell'argomento. Basta aprire un browser, inserire il termine di ricerca e gironzolare finché non si trova il risultato desiderato – o presunto tale. La maggior parte dei nativi digitali non compra giornali. Mai. Non perché non si informino, ma perché si informano in modi innovativi e in un'ampia varietà di formati. Mappe, palinsesti televisivi, guide turistiche, opuscoli di ogni sorta; non è che le versioni cartacee siano obsolete, è che i nativi digitali le vedono come una pittoresca anticaglia. Questi cambiamenti, sia chiaro, non sono tutti positivi, ma dureranno nel tempo.

Effettivamente, molti dei cambiamenti nella maniera in cui i nativi digitali conducono le proprie vite sono motivo di preoccupazione. Questi, ad esempio, hanno un'idea di privacy diversa dalle generazioni precedenti. Trascorrendo così tanto tempo in questo ambiente digitalmente connesso, lasciano varie tracce di sé nei luoghi pubblici online. Quando danno il loro meglio, mostrano chi aspirano a essere e pongono il loro lato più creativo di fronte al mondo. Quando invece danno il loro peggio, riversano su Internet informazioni che potrebbero metterli in pericolo, o che li potrebbero umiliare negli anni a venire. Ogni ora che trascorrono online lascia tracce che potrebbero essere seguite da piazzisti del web – per non parlare dei pedofili. I selezionatori universitari e i potenziali datori di lavoro – o i potenziali partner – hanno ancora molto da scoprire su di loro. Le ripercussioni di questi cambiamenti, negli anni a venire, saranno profonde per tutti noi. Ma presumibilmente a pagare il prezzo più alto saranno quelli che stanno crescendo come nativi digitali.

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I nativi digitali muoveranno i mercati e trasformeranno le industrie, l'istruzione e la politica globale. Questi cambiamenti potrebbero avere un effetto oltremodo positivo per il mondo in cui viviamo. In generale, la rivoluzione digitale ha già contribuito a migliorare il mondo. E loro hanno tutte le potenzialità e le capacità necessarie per dare una spinta in avanti alla società in una miriade di modi – se ne daremo loro l'occasione.

Ma non facciamo errori: ci troviamo di fronte a un bivio. Ci sono due strade possibili davanti a noi – una, distruggere ciò che di grandioso c'è in internet e nei modi in cui i giovani se ne servono, e una in cui operare scelte intelligenti e andare verso un brillante futuro nell'era digitale. Oggi la posta in gioco delle nostre azioni è altissima. Le scelte che stiamo compiendo ora influenzeranno sotto innumerevoli aspetti importanti la maniera in cui i nostri figli e nipoti vivono le loro vite: come formano le loro identità, proteggono la loro privacy e si tengono lontani dai guai; come creano, comprendono e modellano le informazioni che stanno alla base delle decisioni prese dalla propria generazione; e come imparano, modernizzano e prendono decisioni in quanto cittadini. Ci sono una serie di percorsi che reprimeranno la creatività, l'espressione di sé e l'innovatività che possono immettere nella sfera pubblica come in quella privata; e altri percosi le incentiveranno, garantendo che i pericoli in arrivo con la nuova era siano ridotti al minimo.

Quando si tratta di realizzare il potenziale delle tecnologie digitali e il modo in cui i nativi digitali le utilizzano, la minaccia in assoluto più grande a cui generalmente ci si trova di fronte è la paura. I genitori, gli educatori e gli psicologi hanno tutti motivi legittimi per preoccuparsi riguardo all'ambiente digitale in cui i giovani trascorrono così tanto tempo. Idem per le grandi aziende, che vedono i loro introiti a rischio, settore dopo settore — intrattenimento, telefonia, giornali ecc. I legislatori, in risposta a questa sensazione di crisi, temono di pagare un prezzo altissimo se, per riparare a queste ingiustizie, la strategia di comportarsi nel modo tradizionale dovesse rivelarsi un fallimento.

I media incentivano questa paura. I nuovi palinsesti sono pieni di storie spaventose di cyberbullismo, predatori via internet, dipendenza dal web e pornografia online. Per forza i genitori si preoccupano. Si preoccupano di più perché i loro figli digitalmente connessi sono maggiormente a rischio di rapimento quando trascorrono ore e ore in un ambiente digitale privo di regole, in cui poche cose sono esattamente come sembrano di primo acchito. Si preoccupano anche degli episodi di bullismo in cui i loro figli potrebbero incappare su internet, della mania dei videogiochi violenti, dell'accesso a immagini pornografiche e inappropriate.

I genitori non sono i soli impensieriti per l'impatto di Internet sui giovani. Gli insegnanti si preoccupano di non essere al passo con i nativi digitali ai quali insegnano: temono che le nozioni impartite loro siano diventate via via superate e obsolete, e che la pedagogia del nostro sistema educativo non possa stare dietro ai mutamenti del paesaggio digitale. I bibliotecari stanno ridefinendo il proprio ruolo, sostituendo coloro i quali ordinavano i libri in anacronistici cataloghi cartacei e cataste con quelli che fungono da guide in un ambiente di informazioni sempre più variegato. I grandi nomi dell'industria dell'intrattenimento sono preoccupati di perdere i loro profitti a vantaggio della pirateria, mentre i giornali temono che i loro lettori vadano a cercarsi le notizie su Drudge, i blog, Google o peggio ancora.

In quanto genitori di nativi digitali, entrambi prendiamo sul serio sia le sfide sia le opportunità scaturite dalla cultura digitale. Condividiamo le ansie di molti genitori sulle minacce alla privacy dei nostri figli, alla loro sicurezza e al loro apprendimento. Ci preoccupiamo del sovraccarico di informazioni e dell'impatto di immagini e videogiochi violenti. Ma con l'insorgere della cultura della paura riguardo all'ambiente virtuale, bisogna porre le reali minacce a confronto con le reali opportunità messe a disposizione per i nostri figli e le generazioni future. Intravediamo grandi speranze nella maniera in cui i nativi digitali interagiscono con le informazioni digitali, si esprimono negli spazi sociali, creano nuove forme d'arte, immaginano nuovi modelli di business e iniziano nuove opere di attivismo. Lo scopo di questo libro è distinguere ciò di cui è il caso di preoccuparsi da ciò che non fa poi tanta paura, ciò che dovremmo incentivare da ciò che dovremmo ripudiare.

C'è un rischio enorme che noi, in quanto società, nel tentativo di affrontare i peggiori problemi, non riusciremo a imbrigliare ciò che di buono può derivare da queste opportunità. La paura, in molti casi, porta a reazioni esagerate, che a loro volta danno luogo a problemi ancora più grandi nel momento in cui i giovani aggirano gli ostacoli che crediamo di aver posto. Invece di focalizzarsi sull'istruzione e fornire ai giovani gli strumenti e le capacità di cui hanno bisogno per stare alla larga dai guai, i nostri legislatori parlano di bandire alcuni siti web o di tenere i minorenni fuori dai social network. Invece di tentare di capire cosa sta succedendo ai ragazzi e ai media digitali, l'industria dell'intrattenimento ha dichiarato loro guerra, citando in tribunale decine di migliaia di giovani clienti. Invece di preparare i bambini a gestire un ambiente informatico fervido e complesso, i governi di tutto il mondo stanno approvando contro certe pubblicazioni leggi al cui confronto il bando dei libri sembra una bagatella. Allo stesso tempo, non si fa quasi nulla a proposito dei provvedimenti che orienteranno i reali problemi riguardanti i più giovani.

Il nostro obiettivo è contestualizzare il bene e il male e fornire consigli che tutti noi – genitori, insegnanti, capi di aziende, legislatori – possiamo seguire per affrontare questo periodo di transizione straordinaria e globalmente connessa, senza provocarne il crollo.

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La difficile questione al centro di questo libro è come proteggere i nostri figli – e gli interessi di tutti – lasciando contemporaneamente loro spazio sufficiente perché capiscano le cose da soli. Così facendo permetteremo a molti fiori di sbocciare su Internet e daremo ai nostri figli il potere di gestire i problemi che sicuramente insorgeranno in futuro. Per raggiungere tale equilibrio, le soluzioni migliori saranno complicate, e comprenderanno gruppi differenti, inclusi genitori ed educatori, ma anche aziende tecnologiche e legislatori – e, da un punto di vista critico, gli stessi nativi digitali.

Per delineare i rimedi ai dilemmi che insorgono online, non è indispensabile ragionare secondo paradigmi totalmente nuovi. Sovente le care vecchie soluzioni che hanno risolto problemi simili in passato funzioneranno ugualmente nell'era digitale. Erano buone soluzioni che prendevano in considerazione formazione, educazione e buonsenso. Molte delle cose di cui ci preoccupiamo – bullismo, sorveglianza, violazioni del diritto di autore e via dicendo – sono argomenti con i quali abbiamo a che fare da decenni, se non secoli. In quanto società, possiamo tranquillamente gestirli anche nell'epoca digitale senza l'isteria che a volte li circonda. Spesso anche noi sopravvalutiamo la diversità dell'ambiente online, a scapito di noi stessi.

In prima linea sono genitori e insegnanti. Loro hanno le maggiori responsabilità e il ruolo più importante. Troppo spesso però i genitori e gli insegnanti non sono neppure coinvolti nelle decisioni dei giovani. Vengono tagliati fuori perché le barriere culturali e linguistiche sono troppo grandi. Auguriamo ai genitori e agli insegnanti che si sentono lontani dai loro ragazzi nativi digitali che il buonsenso e i valori tradizionali di cui si sono serviti in passato abbiano grande risonanza anche in questo nuovo mondo. Anziché bandire le tecnologie o permettere che i bambini le utilizzino da soli in camera – due tra gli atteggiamenti più comuni – i genitori e gli insegnanti devono lasciare che i nativi digitali siano le loro guide in questo nuovo modo di vivere connessi. A quel punto il dialogo può cominciare. Per molte delle domande possibili, il buonsenso è spesso una risposta sorprendentemente efficace. Per le altre, avremo bisogno di elaborare insieme delle soluzioni creative.

Detto questo, i genitori e gli insegnanti non devono agire da soli. I nativi digitali, i loro coetanei, le aziende tecnologiche e i legislatori hanno ciascuno un proprio ruolo nel risolvere questi problemi.

Immaginate una serie di cerchi concentrici, con il nativo digitale posto al centro. In molti casi, è lo stesso nativo a essere nella posizione migliore per risolvere i problemi derivanti dalla propria vita digitale. Chiaramente, non è sempre verosimile addossargli questo compito, ma è comunque importante iniziare da lì. Nel cerchio successivo, i familiari e gli amici più stretti del nativo digitale possono avere un impatto, sia dando buoni consigli (nel caso della sicurezza informatica, ad esempio) o attraverso lo sviluppo collaborativo di norme sociali (nel caso di proprietà intellettuali). Il terzo cerchio include gli insegnanti e gli educatori, i quali spesso possono avere una forte influenza su come i nativi digitali si muovono in questi ambienti. Quarto, prendiamo in considerazione le aziende tecnologiche che producono software e offrono servizi, le quali possono fare una grande differenza riguardo a come tali questioni si presentano — e che spesso dovrebbero agire in maniera più responsabile di quanto non facciano oggi. Quinto, troviamo la legge e la sua applicazione, strumenti spesso potenti, ma anche inefficaci — e di conseguenza visti come ultima risorsa.

Noi autori del presente volume non siamo sordi alle conseguenze dei numerosi dibattiti legali, politici e morali che derivano da questo argomento. Da un lato, siamo entrambi genitori di nativi digitali, molto apprensivi riguardo al mondo in cui stanno crescendo, alle amicizie che stringeranno, alla loro sicurezza, a come imparano e a come si pongono nei confronti della società in generale. Desideriamo che diventino cittadini globali attivi e avveduti.

Dall'altro lato, siamo avvocati. Amiamo la legge. Siamo fermamente convinti che la legge rivesta un ruolo cruciale nell'organizzare le nostre società democratiche in maniera costruttiva. La legge è un mezzo fondamentale per risolvere molte questioni sociali. Ma da uomini di legge, siamo convinti che la legge abbia evidenti limiti, nel contesto di molte tematiche qui trattate. Benché sia arduo prevedere il futuro, è il momento di guardare avanti, che si sia genitori, o insegnanti, o legislatori, o tecnologi, o nativi digitali, e delineare - senza far danni – il contesto regolatore dello spazio digitale emergente anticipando l'interesse pubblico. In alcuni casi, come l'esplosione della creatività online, queste tendenze indicano opportunità che dovremmo sfruttare. In altri, come il problema della privacy o la crescita del bullismo sul web, i problemi di base si nascondono nel futuro digitale che dovremmo anticipare volta per volta. Raramente le sanzioni della legge sono la risposta giusta, ma non dovremmo esitare a servircene quando possono apportare più benefici che danni. Spesso la prospettiva di una regolamentazione futura incoraggia le aziende a fare la cosa giusta per conto proprio. Ed è sempre importante avere la protezione della legge contro le peggiori eventualità.

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Scrivendo questo libro abbiamo tentato di cogliere un'immagine già caleidoscopica nella sua complessità, che muta costantemente e può invecchiare nel giro di pochi mesi. Quando esso andrà in stampa, sarà già superato. Perciò, riversiamo gran parte del nostro lavoro sul web, in modo da poterlo aggiornare volta per volta. Il sito, strutturato come un wiki ( http://www.digitalnative.org/ ), utilizza la stessa tecnologia di Wikipedia, la straordinaria enciclopedia online analizzata anche all'interno del libro, in modo che chiunque possa dare il proprio contributo al nostro lavoro.

Il nostro metodo ha compreso una combinazione di approcci diversi. Abbiamo imparato molto dalle migliori ricerche nel settore compiute da altri: sociologi, psicologi, neurologi, pediatri dello sviluppo o bibliotecari. Abbiamo anche condotto ricerche in proprio. Nel tentativo di capire meglio le problematiche riguardanti i nativi digitali, abbiamo persino creato gruppi di interesse e intervistato dei ragazzi. Il nostro obiettivo non era uno studio generalistico, ma piuttosto un'analisi approfondita del modo in cui i giovani si relazionano alle informazioni e tra di loro, che guidasse la nostra comprensione dei temi trattati nel libro.

Abbiamo parlato nel dettaglio con giovani di tutto il mondo delle tecnologie che utilizzano, di come esprimono la propria identità, cosa pensano riguardo a sicurezza e privacy, cosa creano in formato digitale, cosa sanno a proposito del diritto di autore, come ricercano nuovi argomenti, come vengono a conoscenza di quello che succede nel mondo e come interagiscono tra di loro. In tutto, abbiamo tenuto un centinaio di conversazioni con ragazzi giovani a proposito di questi argomenti. Anche se non abbiamo pubblicato i loro nomi, li sentirete parlare nel corso del libro. La nostra ricerca si è anche avvalsa di conversazioni con circa altri 150 informatori, tra cui altri giovani, i loro insegnanti, bibliotecari, psicologi, e soggetti che li studiano.

Le prospettive e la natura di questa cultura sono globali. Che si trovino fisicamente a Rio de Janeiro, Shanghai, Boston, Oslo o Città del Capo, i nativi digitali – che spesso nelle rispettive società rappresentano delle giovani élite – sono parte integrante di un movimento globale di ragazzi accomunati dal modo con cui si rapportano alle informazioni, alle nuove tecnologie e tra di loro. Quando chattano, trasmettono i propri video più recenti, postano messaggi sui blog e i profili di social network, oppure condividono le ultime novità in campo musicale sulle reti P2P, valicando stati, confini nazionali e continenti.

Parallelamente all'accesso globale a internet e alla cultura digitale condivisa, i nativi digitali sono anche coinvolti in tradizioni, costumi e valori regionali e locali. Tali fattori, tra gli altri – unitamente al contesto socio-economico e alle leggi locali – tendono a influenzare il modo in cui usufruiscono delle tecnologie digitali, realizzano le proprie opportunità e affrontano le sfide. Durante la stesura del libro abbiamo cercato sia di identificare i punti in comune, sia di tenere conto delle differenze regionali e locali dell'emergente cultura globale. Negli ultimi anni abbiamo entrambi percorso centinaia di migliaia di chilometri, visitando decine di Paesi e centinaia di luoghi dove abbiamo avuto l'opportunità di parlare con numerosi nativi digitali, i loro genitori e insegnanti, rappresentanti di aziende tecnologiche e in alcuni casi con funzionari statali riguardo agli argomenti trattati in questo libro. Abbiamo imparato parecchio da questi colloqui; e molte delle rivelazioni ottenute nei nostri viaggi in Europa dell'Est, Medio Oriente e Asia, Africa ecc. sono state riportate, speriamo fedelmente, all'interno del testo.

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Proveniamo da luoghi privilegiati: siamo accademici con una costosa istruzione alle spalle, e viviamo in società benestanti e altamente connesse. Sia le opportunità sia i problemi presi in esame in questo libro assumono contorni diversi se esaminati da punti di vista diversi dal nostro. E ce ne sono talmente tanti... Invece di definirla una generazione di nativi digitali – un'esagerazione, specialmente se si considera che solo uno dei sei miliardi di persone al mondo ha accesso alle tecnologie digitali – consideratela una popolazione.

Uno degli aspetti più preoccupanti riguardo alla cultura digitale è l'abissale divario che si sta creando tra chi la detiene e chi no. Tale divario è regionale: Paesi ricchi come gli Stati Uniti e la Svizzera possiedono alti livelli di accesso domestico alla banda larga, alti tassi di alfabetizzazione e sistemi di istruzione che (spesso, almeno) incentivano il pensiero critico. Di conseguenza, molti ragazzi nei paesi ricchi sono nativi digitali. Nei Paesi in via di sviluppo, la tecnologia ha un ruolo meno predominante, ma in realtà è facile che manchi persino la corrente elettrica; i tassi di alfabetizzazione sono bassi e gli insegnanti che sanno istruire i giovani su come utilizzare le tecnologie correttamente si contano sulla punta delle dita. Persino tra i Paesi ricchi si ha un divario. In America, per quanto la maggioranza dei ragazzi abbia accesso alle tecnologie, ci sono disparità enormi tra quelli che sanno come servirsene e gli altri.

La grande maggioranza dei giovani nati nel mondo di oggi non crescono come nativi digitali. C'è un gap enorme tra quelli che sono nativi digitali e quelli che hanno la stessa età, ma che non apprendono e non vivono la propria vita alla stessa maniera. Per miliardi di persone al mondo i problemi della dimensione digitale sono pure astrazioni.

La più grande preoccupazione evidenziata in questo libro è l'impatto del gap partecipativo. Il mondo digitale offre nuove occasioni a chi se ne sa avvalere. Tali occasioni rendono possibili nuove forme di creatività, apprendimento, imprenditorialità e innovazione. In passato, molti si sono preoccupati del «divario digitale», la separazione tra quelli che dispongono della rete e quelli che non ne dispongono. È un problema persistente, ma non è tutto qui.

Le difficoltà arrivano nel momento in cui ci si rende conto che l'accesso alle tecnologie non è sufficiente. I giovani hanno bisogno di essere digitalmente alfabetizzati, ovvero di disporre delle capacità per navigare in questo complesso mondo ibrido in cui i loro coetanei stanno crescendo. Questa disparità deve essere colmata. Se la trascureremo, con il tempo le conseguenze potranno essere più gravi di quanto sarebbe lecito sopportare.

Questa storia si sta svolgendo intorno a noi, in tutto il mondo, a una velocità senza precedenti. La cattiva notizia è che non esistono risposte semplici agli enigmi relativi a come i nativi digitali trascorrono la vita, o al problema del gap partecipativo. Quella buona è che possiamo fare tante cose con e per i nostri figli, man mano che crescono. Soprattutto, dobbiamo preparare i nostri nativi digitali e gli altri giovani a farsi strada da soli verso un radioso futuro nell'era digitale.

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