Copertina
Autore Gianni Parisi
Titolo Il contagio
EdizioneTullio Pironti, Napoli, 2006 , pag. 224, cop.fle., dim. 140x210x15 mm , Isbn 978-88-7937-356-2
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe narrativa italiana
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Pagina 5

Qualcuno bussò al grande portone ormai chiuso da qualche ora.

Era sera tarda e i guardiani del monumentale Palazzo del Parlamento, nell'antica fortezza imperiale, si chiesero chi potesse essere a quell'ora.

Uno di essi attraverso lo spioncino riconobbe il volto massiccio dell'onorevole Santoro. Si ricordò di quello che avevano detto alla televisione: «L'onorevole Luigi Santoro incriminato per concussione, corruzione e favoreggiamento».

Vedendo che il deputato portava con sé una grossa borsa, chiaramente vuota, pensò che l'onorevole fosse venuto al Palazzo così tardi per raccogliere nel suo studio documenti, carte, dischetti. I guardiani non sapevano che la signora Santoro, moglie del deputato, una donna vistosa, fosse nel Palazzo: lei non aveva avvertito nessuno che si trovava nello studio del marito. Santoro le aveva telefonato di pomeriggio e le aveva chiesto di aspettarlo anche fino a tardi; lui intanto avrebbe parlato con delle persone. La moglie pensò che volesse raccogliere notizie e concordare posizioni in vista di possibili dichiarazioni alla stampa e di interrogatori.

Santoro si immaginò con rabbia gli interrogatori a cui poteva essere sottoposto da magistrati o da rappresentanti delle Forze dell'ordine; si ricordò di quante persone aveva interrogato lui, quando era un ufficiale in servizio nei Corpi speciali. L'onorevole Santoro fino a poco tempo prima era stato un attivo appartenente alle Forze dell'ordine, un investigatore instancabile, un combattente per l'Ordine, un nemico dei "sovversivi di tutte le risme" come li chiamava lui, un nemico della "sinistra" e degli utili idioti, specie cattolici, che intrattenevano rapporti con essa. Per lui erano tutti "comunisti" e quindi suoi nemici, in quanto attentatori dell'Ordine costituito.

Per questa sua battaglia, condivisa da taluni suoi superiori e colleghi, poteva ricorrere a metodi discutibili e a forzature; ma il fine era sacro, ogni mezzo era buono. Aveva sentito parlare anche lui di Machiavelli e di quella frase secondo la quale il fine giustifica i mezzi.

Il portone si aprì cigolando; i guardiani del palazzo si inchinarono al deputato Luigi Santoro con deferenza, ma anche con un lampo di malizia negli occhi, e gli chiesero con premura: «Ha dimenticato qualche cosa, onorevole?».

Santoro rispose che aveva dato appuntamento alla moglie per andare insieme a cena da certi amici, ma a causa di altri impegni aveva tardato; la moglie lo attendeva nel suo studio. «Vuole che chiamiamo la signora per farla scendere?», chiese uno dei guardiani. «No, grazie, vado su io», disse Santoro.

L'onorevole entrò nel grande cortile spagnolo e salì al secondo piano, dove era allocato il suo studio. Il suo ufficio si trovava nella parte più antica del palazzo; quella dalle levigate e massicce mura normanne.

Entrò nel suo studio dove la moglie lo accolse ansiosa e preoccupata. «Hai parlato con lui», chiese subito al marito, «che ne pensa?» "Lui" era il capogruppo parlamentare del partito dei cristiano-moderati, coinvolto pesantemente anch'egli in questo "affaire" che sembrava disegnato da uno scrittore di gialli, ma che, a detta dei magistrati inquirenti, era realtà, realtà che sembrava superare la fantasia. La signora insistette: «Che ti ha detto?».

L'onorevole Santoro, avvicinando il dito indice al naso, fece cenno alla moglie di tacere; accennò con il capo al lampadario, agli angoli della stanza, al telefono, alla lampada da tavolo, insomma a tutti i posti e agli oggetti idonei alla collocazione di strumenti di ascolto, volgarmente dette "cimici". Quante "cimici" ai suoi tempi aveva collocato o aveva fatto collocare il tutore dell'Ordine Santoro! Ora, era lui che doveva guardarsi da questi ripugnanti animaletti. Con rabbia pensò a quei magistrati - giudici ragazzini li chiamò qualcuno - che si erano «permessi di coinvolgere tanta gente importante».

Nell'ufficio l'onorevole raccolse documenti, fascicoli, lettere, fax, dischetti, blocchetti per appunti e con essi riempì la borsa che aveva portato con sé.

Quindi cominciò ad armeggiare col computer; cercava di cancellare ogni possibile traccia di rapporti con qualcuno degli arrestati o dei coindagati; tracce di rapporti compromettenti.

Da vecchio investigatore sapeva bene che ci sono tecnici che fanno risorgere quello che è stato scritto nel computer, anche se "cancellato". Si propose quindi di chiedere a un suo amico del Corpo speciale - esperto in materia informatica - di rendere impossibile ogni operazione volta a risuscitare, a ripescare, traccia di ciò che lui aveva cancellato. Questa operazione andava fatta al più presto.

Scesero lungo il maestoso scalone spagnolo nel cortile. Si avviarono verso il portone sotto lo sguardo curioso e ammiccante dei guardiani che notarono come il deputato trascinasse con una certa fatica la borsa, a conferma di quanto avevano immaginato quando l'onorevole si era presentato al portone.

Si offersero di aiutarlo a portare il peso, ma l'onorevole respinse l'offerta di aiuto.

«Che bella luna, onorevole", disse il guardiano prima di richiudere il pesante portone, che aveva aperto per fare uscire i coniugi Santoro.

Era una bella fredda notte invernale, non c'erano nuvole, una luna piena illuminava il grande piazzale antistante il Palazzo di un colore chiaro, lattiginoso, argenteo. Il Palazzo si stagliava in tutta la sua grande mole in quel biancore. In quella luce svettavano le alte palme che sembravano tremare per il freddo. Era uno spettacolo bellissimo. Ma Santoro e la moglie non si accorsero di tale bellezza; nel loro cuore e nella loro mente c'era buio, c'erano tante nubi nere.

Salirono sulla loro auto, una grossa cilindrata di una marca di prestigio, e si avviarono a casa.

Abitavano in un bel palazzo del centro storico, in un grande appartamento ristrutturato da un imprenditore amico. Entrati in casa l'onorevole sussurrò all'orecchio della moglie di non parlare; l'indomani avrebbe fatto "bonificare" l'appartamento. Non escludeva infatti la collocazione di "cimici" non solo nello studio personale, non solo nella sede del gruppo parlamentare, ma anche nella sua abitazione e nella sua auto. Ormai la sindrome dell'indagato lo aveva travolto.

La signora era sconvolta; non riusciva a indossare i panni della moglie dell'indagato Santoro, dopo essere stata per anni l'orgogliosa moglie del tenente e poi del deputato Santoro. Pensò con tristezza che tutti i vantaggi che avevano tratto dall'attività dell'investigatore, derivanti da rapporti e conoscenze sempre più vaste e importanti, rischiavano ormai di diventare causa della loro rovina.

Pianse tutta la notte, mentre il marito nervosamente si rivoltava nel letto, si alzava e si ricoricava senza prendere sonno.

Dopo alcune ore di questo tormento si alzarono, si prepararono, uscirono in macchina; non parlarono per timore delle "cimici". Arrivati in una borgata marinara della città, parcheggiata la macchina, cominciarono a camminare sul lungomare, lungo il quale crescevano filari di tamerici e pittospori. Santoro si mise a parlare guardandosi sospettoso attorno: raccontò alla moglie che la situazione era grave. Infatti, il deputato, tenente Santoro era inquisito assieme a deputati, assessori, consiglieri comunali e provinciali, imprenditori di tutti i rami dell'economia dall'edilizia all'agricoltura, dal commercio alla sanità, pubblica e privata – burocrati e funzionari pubblici, mafiosi di rango. E ancora – fatto più clamoroso i magistrati avevano incriminato uomini dello Stato, uomini delle forze dell'ordine e perfino operatori della giustizia, che avrebbero mantenuto un rapporto "obliquo" con taluni di quei personaggi. «Questa vicenda – disse Santoro alla moglie – può travolgere il governo. Il Nuovo Partito ordisce complotti a scapito dei cristiano-moderati; tali manovre sono legate a spinte e interessi contrastanti fra i due partiti nel campo dell'economia, in tutti i settori, e in vista di future elezioni. È in corso una guerra fra corpi dello Stato e perfino all'interno della Magistratura vi sono manovre destabilizzanti».

«È una guerra per il potere» – aggiunse Santoro –; «la crescita elettorale e politica dei cristiani-moderati è mal sopportata dai dirigenti del Nuovo Partito che sogliono porre un argine a questa crescita e rimanere i padroni assoluti, che, al massimo, lasciano qualche briciola agli alleati».

Santoro continuò: «Da qui le soffiate, le confessioni, le collaborazioni di pentiti o indagati che coinvolgono in particolare uomini del Partito dei Cristiano-moderati. Ma qualcosa di storto è andato anche per il Nuovo Partito: il Presidente del governo dell'Isola è stato pure lui incriminato. Il campo è completo».

Il Nuovo Partito nell'Isola aveva sin dall'inizio instaurato rapporti con i referenti del vecchio potere cristiano-democratico e dei suoi alleati crollato dopo Tangentopoli. Il Nuovo Partito nell'isola era stato costruito con un primo impegno dei giovani manager delle aziende del suo fondatore, un grosso imprenditore del Nord. In gran parte pubblicitari e assicuratori, i giovani tecnocrati aprirono subito le porte a tutti quelli del vecchio potere che si volevano riciclare; questi inevitabilmente si portarono dietro i vecchi rapporti.

Anche la mafia, con il suo sensibile "fiuto" politico, aveva colto al volo il nuovo vento e, come sempre nella storia, cercò di avvicinarsi al nuovo e vincente soggetto politico.

Del resto il Nuovo Partito fra i suo fondatori vantava anche a livello nazionale qualche "Isolano" che aveva ottime conoscenze nella "onorata società".

Di questo vizio d'origine del Nuovo Partito nell'Isola si ebbero riflessi dopo poco tempo in processi penali che coinvolgevano suoi dirigenti o rappresentanti.

Da ciò traeva origine, anche, uno dei cardini del programma del Nuovo Partito, la cosiddetta "riforma della giustizia"; ma non solo a causa di ciò che accadeva ai dirigenti del Nuovo Partito al Sud e nell'Isola, ma anche, e forse soprattutto, da quello che accadeva al suo fondatore, e da alcuni suoi stretti sodali alle prese con grosse indagini e processi giudiziari.

La "riforma per la giustizia" fu un punto del programma del Nuovo Partito che piacque molto alla mafia che era interessata a un allentamento della pressione dello Stato e della Magistratura sui suoi affari e sul suo potere.

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La macchina assessoriale, arrivata al Palazzo della Presidenza, non entrò dal portone principale, ma attraversò il viale riservato alla macchina del Presidente, tracciato nel grande parco circostante l'antico palazzo, ricco di stupendi alberi e di magnifiche aiuole, e si fermò davanti a una piccola entrata riservata, dove nessuno poteva vederlo.

Da questa entrata si poteva accedere direttamente alla stanza del segretario del Presidente, attraverso un ascensore, che si muoveva solo inserendo una chiave in una fessura; l'assessore Cordaro aveva ricevuto dal Presidente una delle poche chiavi, in segno di stima e di fiducia. Cordaro spinse una porticina in ferro cigolante, entrò in una specie di grotta e aprì la porta di un ascensore scavato nella pietra. Uscì dal piccolo ascensore direttamente nella stanza del segretario; gli chiese di comunicare al Presidente che lui era lì. Il Presidente Gaspare Caruso, avvisato della sua presenza, aprì la porta del suo gabinetto e disse a Cordaro, con voce energica e squillante: «Ciccio, entra. Sono tutto tuo». Cordaro entrò, Caruso lo abbracciò, lo fece sedere in una bella poltrona Frau e gli chiese: «Dimmi, di che dobbiamo parlare? Come mai tale premura, è successa qualche cosa di grave?».

«Gaspare, i magistrati mi stannu assicutannu. Ho saputo che sono nel registro degli indagati insieme a una cinquantina di persone, appaltatori, progettisti, funzionari, sindaci. Stanno aprendo un'inchiesta sulle opere idriche e sui rifiuti; temo che arriveranno pure a te. Molte cose le abbiamo fatte insieme; le richieste per le procedure eccezionali, abbreviate, per la trattativa privata le abbiamo rivolte insieme al governo nazionale, al ministero per la protezione civile e per i lavori pubblici. I magistrati di cca stanno facennu comu chiddi du Nord. Truvaru a maniera di divintari celebri e di cumannari».

Il Presidente, dal carattere freddo e compassato, diverso da quello passionale dell'assessore Ciccio Cordaro, gli disse: «Calma, Ciccio. Siamo ad una fase assolutamente preliminare. Da qui ad arrivare fino a incriminazioni, a processi, ce ne vuole. E poi debbono dimostrare che abbiamo commesso reato! Noi siamo coperti dalle deliberazioni nazionali, dai finanziamenti dello stato, dalle ordinanze ministeriali che ci hanno autorizzato a usare la trattativa privata per una situazione di emergenza. Non credo che per questo ci possono toccare. Noi abbiamo operato con misure eccezionali in un periodo di emergenza idrica ed ambientale. Per quanto riguarda il resto – donazioni delle imprese al partito – tutto questo è da dimostrare. D'altra parte queste donazioni sono servite per l'attività politica; la politica – e tu Ciccio lo sai bene – ha un costo. Noi abbiamo utilizzato tutto per la politica; non abbiamo portato un centesimo a casa!».

Cordaro sapeva che non tutto era stato speso per la politica e che qualche somma era stata dirottata da qualche uomo politico e di governo nelle casse personali e magari – attraverso qualche collaboratore – portata lontano dall'Isola, anche oltre frontiera, in certi "paradisi". Ma oggi il tema fondamentale non era questo, ma quello di affrontare la situazione giudiziaria.

«Presidente disse Cordaro ma tu non puoi sondare gli alti gradi del Palazzo di Giustizia? È mai possibile che debbano andare dietro alle denuncie della sinistra, di quei porci di comunisti? Ma l'hai vista la conferenza stampa, hai sentito cosa hanno detto? L'hai sentito quello che è uscito di bocca al segretario regionale e al capogruppo della sinistra? E sti magistrati, dunanu cuntu ai cumunisti, a sti infami e sbirri?».

«Cicciu – disse il Presidente – anche la magistratura sta cambiando: c'è una parte di essa, specie le nuove leve, che non sono come i vecchi, a difesa dell'ordine costituito. I giovani vogliono cambiare le cose, pensano che la politica è una cosa sporca, che molti politici sono collusi e corrotti, che loro devono fare pulizia, visto che i partiti non la fanno. Questi giovani salvano solo la sinistra, i comunisti; ma vedrai col tempo arriveranno pure a loro. Nella misura in cui la sinistra si evolverà e i partiti di sinistra, i comunisti, assumeranno una linea piu moderna, più attenta ai problemi del governo, ai problemi delle compatibilità. Insomma più i comunisti entreranno nel gioco democratico, ricercheranno intese politiche, abbandoneranno una linea pregiudizialmente oppositoria, diventeranno un partito che vuole governare, tanto più le frange estreme della magistratura rivolgeranno l'attenzione pure verso di loro. Visto però che in questo periodo la sinistra ha rispolverato toni bellicosi (si sono bruciati con la collaborazione col Grande Presidente, ucciso dalla mafia!), denuncia violentemente le "malefatte del Governo dell'Isola", sembra assumere, specie in alcuni suoi dirigenti e deputati, toni e iniziative estremistiche, cerchiamo anche noi di farne incastrare qualcuno dalla magistratura; che tremino pure loro!».

«Macari ddiu», esclamò Ciccio Cordaro. «Ma come facemu? Nun mi pari ca sti dirigenti, segretariu, capugruppu, hannu fattu cosi chi possunu intirissari i magistrati».

«Ciccio – disse Gaspare Caruso ricorrendo anche lui per un attimo al dialetto – mancu tu mi pari». E tornando all'italiano aggiunse: «Se le cose non si trovano, si inventano. Loro ci stanno mettendo in croce, gliela dobbiamo fare pagare. Tu a quanto ho capito hai una fonte istituzionale che ti ha informato sull'iscrizione al registro degli indagati».

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Si avvicinava la fine della legislatura e le nuove elezioni. Santoro, che ormai si considerava un politico esperto, cominciò a interrogarsi: "Ma perché non potrei candidarmi anch'io? Che ho da meno rispetto a tante mezze figure che, elette, vanno a scaldare i banchi del Parlamento?"

Innanzi tutto, ne parlò con la moglie, che era il suo primo consigliere.

La signora si allarmò: «Ma ne hai parlato con i tuoi colleghi dei Corpi speciali e delle Forze territoriali? E l'onorevole Ferrante che ne pensa? Non potrebbe imbarazzarlo il fatto che uno della sua squadra (nel linguaggio politico immesso in circolazione dal "grande comunicatore" si usava la parola "squadra" per parlare del governo, di un consesso di collaboratori, di consiglieri, etc.), con compiti particolari e riservati, possa candidarsi nella sua lista?».

Santoro le disse: «Sei la prima persona con la quale parlo di queste cose. Certamente, come dici tu, debbo parlare con i miei colleghi e con i miei dirigenti. Per quanto riguarda l'onorevole Ferrante, certamente debbo parlargli; non credo però che si opporrà ad una eventualità di una mia candidatura e, speriamo, di una mia elezione».

Concordò con la moglie il primo passo: parlare con i suoi dirigenti e con i colleghi. C'era ancora più di un anno alle elezioni, c'era tutto il tempo per prepararsi e per preparare il terreno.

Dopo qualche giorno dallo scambio di idee con la moglie, chiese un colloquio al suo ex comandante dei Corpi speciali, che era stato trasferito nella Capitale. Questi era un uomo del Nord, molto rigoroso e severo, aveva fatto una brillante carriera ed adesso era nella "squadra" centrale dei Corpi speciali.

Santoro gli telefonò e il suo ex capo gli rispose in maniera contenuta – come era nel suo carattere – ma anche gentilmente. Alla richiesta di un colloquio si dichiarò disponibile e gli fissò la data e l'orario dell'incontro.

Santoro si presentò a Roma negli uffici dove operava il suo ex capo puntualmente; attese qualche minuto, dopo di che fu introdotto da una giovane recluta nella stanza dove si sarebbe tenuto il colloquio.

Il comandante era vestito in abiti civili, come spesso vestivano gli operatori e i dirigenti dei Corpi speciali; la divisa era d'obbligo nelle occasioni ufficiali, nelle cerimonie, nelle sfilate. Santoro lo salutò con deferenza: e il comandante, dopo i convenevoli di rito, gli chiese i motivi che lo avevano spinto a chiedere tale incontro, visto che, ora, non era più nei Corpi speciali, ma nelle Forze territoriali.

«Comandante – iniziò Santoro – io mi rivolgo a lei per un consiglio. Non ho da rappresentarle questioni inerenti il mio servizio, la mia carriera, tanto più che oggi non faccio più parte dei Corpi speciali! Le dico intanto che gli anni del servizio sotto il suo comando sono stati per me non solo gli anni più belli della carriera, ma anche della mia vita. Il ricordo che ho di quel periodo è indelebile: ho imparato tanto da lei, dal suo esempio. Le indagini che i Corpi speciali hanno fatto in quegli anni nell'Isola, sotto la sua guida, sono state devastanti per la criminalità organizzata e anche per la "cosiddetta zona grigia", quella parte della società che è connivente con la criminalità organizzata».

«Certo – lo interruppe il comandante – abbiamo fatto molto, abbiamo colpito tanta manovalanza e anche molti boss, ma in quello che qualcuno chiamava "il terzo livello" abbiamo inciso di meno. Il potere – quello economico e quello politico particolarmente – si chiude a riccio, si difende con tutti i mezzi. L'omertà pensavamo appartenesse solo alla delinquenza mafiosa. Invece, pare, anche il potere usa il metodo omertoso. Si coprono l'uno con l'altro». «Ma a proposito – aggiunse il comandante – in vista della sua visita, mi sono informato con i nostri colleghi dell'Isola; mi hanno detto che lei ora è molto vicino alla politica, a un importante personaggio politico regionale appartenente alla Nuova maggioranza. Come mai ha fatto questa scelta?».

Santoro non si aspettava questa virata nel colloquio e quindi dovette con una certa difficoltà spiegare "la scelta". «Sa, comandante, anche in politica ci sono persone per bene. Io ne ho conosciuta una ed è il capogruppo dei cristiano-moderati dell'Isola. È un uomo che si prodiga per la gente, per lo sviluppo, per il lavoro. Ed è una persona per bene, onesta. Nel tempo libero dal mio servizio, oggi non così intenso come negli anni passati, cerco di aiutarlo; anche – se lui me lo chiede – di consigliarlo, di accompagnarlo nelle sue visite nei vari posti. Cerco anche di evitare che senza esserne consapevole incappi in qualche persona poco pulita. Sa, durante le assemblee, gli incontri, dopo i comizi o le inaugurazioni di opere pubbliche, può capitare a un uomo politico importante e conosciuto come lui di incappare in una stretta di mano o perfino in un abbraccio di qualche persona che è meglio tenere alla larga. Io conosco tanta gente, anche fra i delinquenti e i mafiosi: i tanti anni al servizio della legge mi hanno permesso di fare tante conoscenze. Cerco di evitare a quella brava persona dell'onorevole Ferrante – così si chiama il capogruppo – delle seccature, delle noie; vede, anche in buona fede, dovendo seguire il criterio dell'obbligatorietà dell'azione penale, certi magistrati si lasciano abbagliare da fatti assolutamente fortuiti e casuali. Purtroppo oggi nella magistratura c'è una parte politicizzata...», concluse Santoro con tono amareggiato.

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