Autore Gabriele Pastrello
Titolo La Germania: il problema d'Europa?
EdizioneAsterios, Trieste, 2015, AD 29 , pag. 74, cop.fle., dim. 11x17x0,7 cm , Isbn 978-88-9313-000-4
LettoreMargherita Cena, 2015
Classe economia , politica , paesi: Germania , storia: Europa












 

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Indice


    1.  Deutschland, as ever (come sempre), 9
    2.  Germania/Europa come Prussia/Germania?, 16
    3.  L'austerità del post-austerità, 20
    4.  L'amico americano in visita (per sempre?), 23
    5.  Il Trattato trans-atlantico: fine del secolo lungo della
        Socialdemocrazia tedesca?, 28
    6.  Contro l'Ideologia Tedesca, 34
    7.  Il Grande spazio tedesco, 41
    8.  La sinistra in Europa, 52

DIGRESSIONI

Digressione 1: USA, Cina, Europa e progresso tecnologico, 26
Digressione 2. Il mito della stagnazione tedesca dei Novanta
               e l'Agenda 2010, 30
Digressione 3. I Cinque Saggi (Quattro Folli e un Quasi-Saggio)
               sulla Grecia, 49
Digressione 4. Crollo di sistemi politici?, 54
Digressione 5. L'SPD, la Grande Assente, 59

SCHEDE

Scheda 1. La Mitbestimmung, 11
Scheda 2. Il Consiglio dei Cinque Saggi, 42
Scheda 3. Corbyn ovvero la Sorpresa dell'Ovvio, 57

APPENDICE

Ordoliberalismo, Germania & Hayek
Atto I.  Ordoliberalismo & Nazismo, 63
Atto II. Scena I:  Ordoliberalismo & Hayek, 66
Atto II. Scena II: Ordoliberalismo (vide Soziale Marktwirtschaft)
                   & Germania, 68
Due osservazioni finali, 71


 

 

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Pagina 9

La Germania: il problema d'Europa?


1. Deutschland, as ever (come sempre)

Si parla molto del neo-mercantilismo tedesco, cioè dell'ossessione tedesca per un avanzo di bilancia commerciale. Peraltro, fase moderna della strategia enunciata da Friedrich List, economista tedesco di metà Ottocento che aveva propugnato la chiusura economica come mezzo di difesa dalla potenza espansiva inglese, conseguente a quell'espansione produttiva nota come Rivoluzione Industriale, o il 'decollo' come lo chiamò Walt Rostow; che portò, dopo i secoli di 'protezione' – il Mercantilismo inglese del 6-700 – economisti e politici inglesi a propugnare nell'800 il free trade come mezzo di espansione mondiale. Friedrich List chiamò quell'approccio, in cui comprendeva Adam Smith, 'economia cosmopolitica', e a cui contrapponeva la Nationalökonomie, economia nazionale, strategia (che aveva osservato in funzione negli Stati Uniti, dove era emigrato per motivi politici negli anni Trenta) necessaria per la costruzione della potenza economica nazionale, a sua volta preliminare per una successiva espansione sui mercati mondiali (strategia seguita puntualmente dal Giappone, come mostrato da un grande economista, Morishima).

In realtà è molto più di questo. Questa strategia commerciale è oggi solo un aspetto di una strategia economica, ma anche sociale e politica, nota come Soziale Marktwirtschaft, Economia Sociale di Mercato. La cui formulazione risale al Ministro delle Finanze Ludwig Ehrard, Ministro delle Finanze dal 1949 al 1963 e Cancelliere dal 1963 al 1966. È interessante questa coincidenza: la Germania veniva ricostruita sotto l'egemonia liberale dal 1949 al 1963, ma anche l'Italia sperimentava il suo miracolo economico dal 1948 al 1963 – la cui fase più 'liberista' impostata da Einaudi, Ministro delle Finanze, poi Governatore di Bankitalia e poi Presidente della Repubblica, dal 1947 al 1955 – coincise con la stagione politica del 'centrismo'. Il 1963 fu un anno cruciale, finiscono fasi politico-economiche 'liberali' sia in Germania che in Italia: il centrosinistra incomincerà in Italia nel 1964, la Grosse Koalition in Germania nel 1966.

A sua volta la Soziale Marktwirtschaft origina dalla concezione detta ordoliberalismus, elaborato da un gruppo di liberali sotto la guida dell'economista Walter Eucken, sotto il nazismo. È in quell'ambito che presumibilmente nasce la costruzione ideologica e autoassolutoria, tuttora sostenuta dai gruppi dirigenti tedeschi (Schäuble lo sostenne sul Financial Times ancora nel 2012), che fu l'iperinflazione del 1922-23 a essere all'origine dell'ascesa di Hitler.

La costruzione è autoassolutoria perché fu in realtà la disoccupazione di massa creata nel biennio 1931-32 dal Cancelliere Brüning, seguace della vera ossessione liberale per la finanza sana, ad aprire le porte all'esplosione del partito nazista (fino al 1929 praticamente ininfluente). La costruzione è ideologica, perché una delle sue conseguenze è un'attenzione spasmodica alla dinamica salariale (soggetta tuttora in Germania al controllo di un Comitato di Saggi (sul Comitato di Saggi leggi un'ampia scheda a pagina 42), come se questa fosse all'origine dell'iperinflazione dei primi anni Venti. Non fu così: l'iperinflazione fu originata dal crollo dello Stato tedesco dopo la sconfitta del 1918, e dalla necessità di finanziarne il funzionamento praticamente senza entrate, come si dice: stampando moneta (una eccellente ricostruzione e interpretazione non ortodossa degli eventi la si trova ne La Riforma Monetaria di John Maynard Keynes).

Da cui una strategia complessiva di crescita che a buon diritto si può chiamare anti-keynesiana; tra i fattori della crescita tedesca non sono mai stati annoverati né il deficit del bilancio dello Stato (semmai, solo occasionale), né la crescita salariale, trainata dalla crescita e non trainante. La Germania, si può dire, è stato in tutto il dopoguerra il parassita delle politiche keynesiane mondiali. Il mondo cresceva grazie a quelle, e così le esportazioni tedesche. Il modell Deutschland si basava su export e progresso tecnico. Il progresso tecnico, innanzitutto, grazie all'aumento di produttività – che rende più competitive le esportazioni – permetteva di controbilanciare l'apprezzamento del marco – dovuto agli avanzi commerciali –, come capitò anche alla Gran Bretagna nell'Ottocento; apprezzamento che a sua volta rendeva più economiche le importazioni. All'interno, l'aumento di produttività veniva distribuito anche grazie alla Mitbestimmung, il coinvolgimento dei sindacati a livello aziendale. L' export – e gli investimenti produttivi che ingenerava – era il principale motore della domanda.

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Ovvio corollario di questa ideologia 'liberale' di un'unione fra Stati è che ogni Stato debba essere in grado di reggersi economicamente da solo senza 'aiuti' (o riservando 'aiuti' a soggetti deboli nella transizione dell'ingresso nell'Unione – come per i paesi dell'Est –; una versione interstatuale del 'conservatorismo compassionevole'); e se non lo fosse ciò va attribuito esclusivamente alla sua responsabilità individuale, come stabilito dall'art. 125 dei Trattati. L'interpretazione che ciò non darebbe diritto ad alcun salvataggio (cioè che l'art. 125 incorporerebbe la cosiddetta clausola di no-bailout) in realtà contrasta con l'art. 122 che prevede invece esplicitamente un intervento finanziario in casi eccezionali.

Ovviamente non vale obbiettare che questo non è l'assetto di nessun stato federale, né gli USA, né tantomeno la Germania dei Länder; né tantomeno vale obbiettare che ogni Stato singolo è in grado di reggersi 'solo' se gli è consentita la sovranità per poter prendere le adeguate misure per la sua sopravvivenza. Ma, pretendendo da una lato di privare i singoli Stati della sovranità in campi esistenzialmente cruciali – moneta, fisco – e impedendo dall'altro che si formi un'autorità (detto in termini generici: in una qualsiasi modalità, federale o di accordo interstatale è lo stesso) in grado di prendere i provvedimenti necessari per governare l'insieme (come fa la stessa Germania a casa sua), si produce necessariamente un campo di squilibri inter-nazionali, e un rischio di collasso. Perché nessuna unione può mai funzionare come somma di unità assolutamente autonome.

Anche perché non è questione di trasferimenti fiscali per solidarietà come purtroppo anche da persone sensate si sente dire. Gli Stati (a differenza di noi comuni mortali) possono spendere prima di incassare (poi, volendo, possono riprendersi tutto, andando in pareggio; ma questo è solo una possibilità). In questo consiste la sovranità monetaria, come sapeva bene Keynes che suggeriva al Tesoro inglese, durante la guerra, di spendere prima e di emettere i titoli del debito solo dopo, per godere di interessi minori. Quindi uno Stato può (o in sua assenza deve poterlo fare un suo sostituto: un'autorità, governance, sovrannazionale) spendere, direttamente o anche indirettamente, a favore di aree deboli all'inizio della storia, aspettando serenamente che queste somme spese tornino naturalmente verso le aree forti (il piano Marshall americano del dopoguerra si basava su questa logica), contro esportazioni di queste verso le deboli (e poi si trasformino in imposte a riequilibrare). Cosa c'entra qui la solidarietà? Nulla. Ma c'è bisogno di un'autorità superiore a quelle delle singole unità che goda di questa sovranità.

Questo è un modo di crescere che fa crescere tutti contemporaneamente. Perché ci si può anche aspettare di conseguenza un funzionamento virtuoso del mercato che faccia sorgere nuove attività laddove ci sia potere d'acquisto, aiutando a innescare processi di crescita, e associato progresso tecnico, che si autosostengano. Perché l'assunto 'liberale' della crescita spontanea del mercato non è del tutto ideologica, è falsa; ma come sapeva anche Adam Smith che parlava di 'espansione dei mercati' come condizione per lo sviluppo della 'divisione del lavoro' (oggi diremmo: progresso tecnico), ci vuole uno stimolo esterno, anche solo come punto di partenza.

Ma c'è un altro modo di crescere. A danno degli altri. E sembra proprio che questo sia il modello scelto dalla Germania. Perché se si impone ai paesi dell'Unione di aprirsi alle influenze della globalizzazione, o meglio di attuare politiche che di fatto ne importano gli effetti: riduzione dei poteri contrattuali dei lavoratori e riduzione della copertura del welfare per le popolazioni, si condannano paesi industrialmente più deboli a soccombere alla potenza industriale tedesca: unica soluzione, accodarsi in modo subalterno. Ma questo, con il crollo della domanda interna e l'esplosione delle disuguaglianze, finisce con l'interrompere il percorso di crescita sociale oltreché economica di quei paesi. Questo è di fatto l'effetto delle politiche di austerità, ma soprattutto delle cosiddette 'riforme', merce di scambio per la 'sopravvivenza' finanziaria di quei paesi. In questo modo lo spazio economico europeo non diventa altro che uno spazio di estrinsecazione della potenza germanica. Inoltre, questo processo sembrerebbe naturalmente e altrettanto stranamente confluire in quel passaggio riservato che è la trattativa intorno al Trattato trans-atlantico.

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Digressione 3. I Cinque Saggi (Quattro Folli e un Quasi-Saggio) sulla Grecia


Dopo la fine della trattativa con la Grecia, il Consiglio degli Esperti Economici della Germania, i consiglieri del governo tedesco (detti i Cinque saggi dalla stampa), ha redatto, nel Luglio 2015, un Rapporto speciale dal titolo: "Conseguenze della crisi greca per una area euro più stabile"; cioè quali lezione trarne e quali misure adottare. L'inizio sembra promettente, denunciando i limiti della costruzione dell'euro uscita da Maastricht. Ma finisce subito. In realtà i rapporti sono due, uno di maggioranza (i Quattro Folli) e uno di minoranza (il Quasi-Saggio) e ripropongono lo scontro avvenuto a Maastricht tra ultra-hayekiani e federalisti.

Non si può qui commentare interamente il rapporto, ma è sufficiente sottolineare alcune dichiarazioni emblematiche. Per i Quattro il salvataggio (sic!) della Grecia è stata una eccezione alla clausola di no-bailout (di non-salvataggio; clausola peraltro inesistente in quei termini); eccezione che costituisce una pericolosa minaccia alla stabilità dell'euro. Inoltre, l'intervento della BCE (che i Quattro considerano come l'assunzione impropria del ruolo di gestore-di-crisi) mette in pericolo il rispetto della 'disciplina fiscale'. Che è, e non stupisce, la loro ossessione.

Rispetto della 'disciplina' che, a parere dei Quattro, può essere garantita solo dal rispetto assoluto della clausola di non-salvataggio. Anche perché, secondo loro, le difficoltà sui mercati finanziari di un paese – da cui l'impossibilità di finanziamento dei deficit di bilancio dello Stato sui mercati – dipendono esclusivamente da 'indisciplina fiscale'; cosa che rende un paese non-credibile. I mercati intervengono a punire l'indisciplina; e quindi bisogna lasciarli fare e non intervenire a 'salvare' l'indisciplinato. Quindi se un paese è in difficoltà deve fallire: "Affinché la clausola di no-bailout diventi credibile – scrivono i Quattro – deve essere creato un meccanismo di insolvenza" che, "in ultima istanza", preveda anche, e soprattutto, "un meccanismo di uscita dall'Unione Monetaria".

L'Unione prevede l'abbandono dell'indipendenza monetaria e quindi la rinuncia alle svalutazioni competitive. Quindi concludono i Quattro, ai paesi in difficoltà resta solo "l'alternativa della 'svalutazione interna', cioè aggiustare [leggi tagliare] salari e prezzi per recuperare competitività". Keynes, criticando una proposta di Hayek sugli assetti monetari del dopoguerra – che richiamava il gold standard – sosteneva che il limite maggiore del gold standard è che condizioni esterne dettino la politica salariale di un paese. Esattamente quello che secondo i Quattro, è il vero contenuto della stabilità dell'Unione monetaria.

Solo la costrizione, infatti, come ripetutamente affermato da Schäuble come da altri membri della destra liberista europea, può indurre a seguire le politiche d'austerità. Sembra che i Cinque Saggi abbiano dimenticato le parole di Keynes che, già nel 1940 scriveva: "dopo la guerra non utilizzeremo [contro la Germania] fame e disoccupazione per far rispettare le nostre decisioni politiche". Esattamente quello che i suddetti ritengono sia necessario per la Grecia e non solo. E questo non è 'ricattare', mentre lo è cercare di sottrarsi.

I Quattro ripropongono pari pari l'analisi della crisi dei debiti sovrani alla base delle politiche di austerità, analisi e politica che avrebbero condotto al crollo dell'euro nel 2012 senza l'intervento di Draghi; intervento accettato obtorto collo, come pericoloso per la 'disciplina'. Pura follia. Yet there is method... c'è metodo in questa follia. Infatti il difetto della costruzione di Maastricht, secondo i Quattro, sta nell'impossibilità di cacciare il membro indisciplinato. In questo dovrebbe consistere la riforma dei Trattati che il Consiglio degli Esperti ha delineato in un loro rapporto: Maastricht 2.0: cacciare gli indisciplinati perché non possano, come scritto letteralmente, ricattare l'Unione. Oggi in Grecia, e domani? Italia, Spagna (o Francia)?

Tout se tient in questa visione: Banca centrale senza interventi di ultima istanza, governi alla mercè dei mercati; ordine garantito dai mercati in cui né governi né Unione devono interferire; gerarchizzazione dei paesi. Ordoliberismo più Hayek fino all'estremo. Per il grande spazio tedesco. Chi non ci sta: fuori.

PS. Il quinto membro del Consiglio, il Quasi-Saggio, autore di un rapporto di minoranza, per l'appunto non condivide l'analisi, in particolare sul ruolo dell'indisciplina fiscale nell'innescare la crisi, e sottolinea che i mercati possono avere effetti distruttivi sull'euro (quelli, come sottolinea, evitati da Draghi). Ma attribuisce a mancanza di volontà politica federale il meccanismo di espulsione. In realtà è lui a non capire. Per quanto dubbie possano essere le motivazione è la conclusione il vero obbiettivo del rapporto di maggioranza: riformare Maastricht con Maastricht 2.0, introducendo finalmente quello che non c'era: l'espulsione. Se Schäuble è il braccio, il Consiglio degli Esperti Economici è la mente: si fa l'Europa solo con chi è degno di starci. Disciplina über alles.

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8. La sinistra in Europa


Purtroppo bisogna prenderne atto. Tutte le cose sensate sono già state dette. Il premio Nobel Krugman, il Nobel Stiglitz, il caporedattore del Financial Times Wolf, Olivier Blanchard, capo dell'Ufficio studi del FMI, e tanti altri, hanno già messo in luce a sufficienza l'assurdità sia di politiche deflattive in tempo di recessione, che infatti è rimbalzata sulla Germania portandone a zero la crescita nel 2013 dopo la ripresa impetuosa post-2009, sia l' impossibilità, pena l'autodistruzione, di soddisfare la richiesta ultimativa della riduzione del rapporto debito/PIL via riduzione del bilancio e non via aumento del reddito, cosa stigmatizzata anche dal FMI nell'autunno 2012, nonché l' assurdità di indicare come da imitare da tutti politiche come quelle mercantilistiche che richiedono per l'appunto necessariamente che non tutti le mettano in atto, oltre che la quasi suicida perseveranza nel richiedere l'austerità fiscale come rimedio agli attacchi ai debiti sovrani quando era proprio il rimedio a causare l'attacco, sconfitto dalla gestione della politica monetaria di Draghi.

Ma le ripetute dichiarazioni di Schäuble, di Issing, del presidente della Bundesbank Weidmann, e di altri meno noti, come il capogruppo PPE, Weber, hanno mostrato come ai gruppi dirigenti tedeschi far la figura degli ottusi ostinati non li preoccupi né poco né punto. Loro dicono quello che gli pare e nessuno, pensano, sarà in grado di fargli cambiare né quello che dicono né le politiche che esigono contestualmente vengano attuate. Ci ha raccontato, infatti, Yanis Varoufakis, il ministro delle finanze greco del governo Syriza (quantomeno fino a subito dopo il referendum) a proposito delle trattative Eurogruppo-Grecia, che queste si sono sviluppate secondo un copione monotono: a tutte le obbiezioni e gli argomenti contro l'insensatezza delle misure imposte alla Grecia, la risposta è sempre stata una e, monotonamente, una sola, la riproposta delle stesse misure con gli stessi argomenti sottoposti a critica, senza che a quelle critiche fosse data neppure la sensazione di averle ascoltate.

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La mancanza di forza egemone dell'SPD è il vero problema sul terreno. Questo ci manca oggi in Europa. Che la Socialdemocrazia tedesca assuma lucidamente le sfide congiunte portate da: unificazione tedesca, globalizzazione, unificazione europea e rapporto con gli USA (il Trattato), per assumere il ruolo storico, che solo lei potrebbe esercitare per la storia e per il ruolo stesso della Germania: traghettare la democrazia sociale europea nel nuovo mondo del secolo appena iniziato.

Non è l'ispirazione keynesiana del pieno impiego che va prima di tutto sostenuta. Questa seguirà, o non seguirà perchè bloccata da tabù liberisti insormontabili, ma è l'ispirazione politica dell'Unione, degli Spinelli e degli altri fondatori di un'Europa dal capitalismo ben temperato modello di convivenza per il mondo intero. Temperamento necessario perché la libertà non diventi arbitrio del più forte (e il progetto di Roosevelt – come appariva anche dal suo manifesto politico Guardando al futuro – poteva sembrare di fatto indicare quella stessa direzione di marcia, poi presente nell'ispirazione del lancio dell'idea di un'Europa politicamente unita). Allora le politiche di pieno impiego, le funzioni conseguenti di una banca centrale, la spesa necessaria per il riequilibrio e non solo mance, seguono spontaneamente.

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