Copertina
Autore John Allen Paulos
Titolo Penso, dunque rido
SottotitoloL'altra faccia della filosofia
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2004, Super UE , pag. 182, cop.fle., dim. 135x205x11 mm , Isbn 978-88-07-84037-1
OriginaleI think, therefore I laugh the flip side of pilosophy [2000]
TraduttoreMatteo Sammartino
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe logica , matematica , filosofia , umorismo , epistemologia
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Indice


  9 Capitolo 1  DUE COPPIE IMPROBABILI

 11 Introduzione
 13 Wittgenstein e Carroll
 17 Groucho incontra Russell

 21 Capitolo 2  LOGICA

 23 Aut aut
 29 Puoi scommetterci
 33 Sillogismi
 39 Il titlo di questo paragrafo contiene tre erori
 43 Il dottor Goldberg e il dottor Rubin di Russell
 49 Linguaggio e metalinguaggio: ci sei?
 57 Significato, riferimento e il primo marito di Dora Black
 61 Analitici contro sintetici, Boole contro Boyle,
    matematica contro cucina
 67 Miscellanea

 71 Capitolo 3  SCIENZA

 73 Induzione, causalità e le uova di Hume
 79 Per prima venne la tartaruga?
 85 A proposito di uccelli e di strani colori
 93 Verità, mezze verità e statistiche
 99 Duhem, Poincaré e la dieta Poconos-Catskill
105 Riduzionismo, fallibilismo e opportunismo
111 Compito di Berry e casualità
119 Determinismo e computer intelligenti
123 Stranezze e disuguaglianza di Bell
133 Assunzioni

141 Capitolo 4  GENTE

143 Contesto, complessità e intelligenza artificiale
149 Perché si è appena toccato la testa?
159 Arrow, prigionieri e compromesso

169 Commiato
173 Indice analitico
 

 

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Pagina 11

Introduzione



Ludwig Wittgenstein, il filosofo austriaco, una volta affermò che "si potrebbe scrivere un buon trattato di filosofia che consista esclusivamente di battute di spirito". Se si afferra il nocciolo filosofico, si capisce la battuta. Mi è sempre sembrata una saggia considerazione, e scopo parziale di questo libro è suffragarla. Vi troverete battute di spirito, storielle, parabole, enigmi, aneddoti, tutti inerenti, per un verso o per l'altro, ai diversi problemi filosofici. Una certa esposizione teorica (minima) fungerà da filo conduttore e integrerà succintamente questo insieme di indovinelli e storielle. Spero così di trasmettere qualcosa dell'atmosfera e del carattere della filosofia moderna, e di cancellare quella diffusa sensazione che la filosofia sia una specie di guida alla vita, oppure un ramo della teologia o della matematica, o ancora la chiave per affrontare stoicamente le avversità.

Di fronte a un tentativo del genere, viene spontaneo obiettare che, se si vuole che il nocciolo filosofico risulti chiaro, occorre inserire le battute di spirito, gli esempi e le metafore a essi correlate in un contesto pregnante, e che questi esempi devono appartenere a un ragionamento esposto con rigore. Ammetto che spesso questo è vero, ma il più delle volte contesto e ragionamento sono, almeno parzialmente, impliciti nelle storielle in sé. Considerate, per esempio, l'apologo delle scimmie che, battendo a caso i tasti della macchina per scrivere, alla fine ottengono Re Lear. Anche senza contesto o ragionamento, la storia in sé provoca una riflessione, e non importa se la riflessione provocata spesso non è quella "prevista". Altri esempi classici inducono a simili riflessioni: il rumore di un albero che cade in una foresta disabitata, la visione deterministica con cui Laplace pensava all'universo come a un immenso e inesorabile orologio, o la metafora di Platone della caverna e delle proiezioni di vaghe ombre. Sovente, di una discussione filosofica restano impresse proprio queste esemplificazioni, metafore vivide, esempi e controesempi. Lo stesso vale per le battute di spirito a tema filosofico.

Alla fine, anche senza il massiccio avallo di contesti o argomentazioni, battute e storielle risulteranno tali che ogni discussione più approfondita dovrà farci i conti. Esse forniscono la materia grezza necessaria perché qualunque teoria filosofica ragionevole abbia senso. Pertanto, dovrebbero far parte dell'attrezzatura intellettuale di tutti gli esseri umani dotati di curiosità.

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Pagina 13

Wittgenstein e Carroll



Prendiamo in esame due coppie alquanto improbabili. La prima è formata da Ludwig Wittgenstein e Lewis Carroll, la seconda da Bertrand Russell e Groucho Marx. La prima coppia è già comparsa nel mio saggio precedente, Mathematics and humor, dal quale saranno tratte le pagine seguenti. In questo libro ho voluto però approfondire il paragone tra i due, così come altri temi accennati in Mathematics and humor.

In Wittgenstein, Nonsense, and Lewis Carroll, George Pitcher ha descritto alcune sorprendenti analogie tra l'opera filosofica di Wittgenstein e i testi di Carroll (il cui vero nome era Charles Lutwidge Dodson). Entrambi erano affascinati dai giochi di parole, dai doppi sensi logici e dai rompicapo linguistici; ma, come fa notare Pitcher, Wittgenstein era tormentato da queste considerazioni, mentre Carroll sembrava bearsene. (Sotto quest'ultimo aspetto, il rapporto tra i due ricorda quello tra Soren Kierkegaard e Woody Allen: due approcci differenti per le stesse angosce.) Pitcher cita molti passi di Alice nel Paese delle Meraviglie e di Attraverso lo specchio come esemplari del tipo di battute di spirito a cui probabilmente pensava Wittgenstein, quando si riferiva ai tranelli filosofici di cui parlavo prima.

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Pagina 61

Analitici contro sintetici,
Boole contro Boyle,
matematica contro cucina



Una verità analitica è una che è vera in virtù del significato delle parole che contiene, e una verità sintetica è una che è vera in virtù di come è fatto il mondo. ("Se George puzza ed è pelato, allora è pelato" A FRONTE DI "Se George puzza, allora è pelato". "Gli scapoli sono uomini non sposati" A FRONTE DI "Gli scapoli sono uomini lascivi". "Gli UFO sono oggetti volanti non identificati" A FRONTE DI "Negli UFO ci sono omini verdi".) Questa distinzione è una semplificazione di quella originale di Immanuel Kant, a sua volta derivata da simili distinzioni dovute a David Hume e Gottfried Leibniz. Alcuni filosofi, in particolare l'americano Willard Van Orman Quine, hanno obiettato che la distinzione non è netta ed inequivocabile, ma piuttosto una convenzione di comodo. Tuttavia, benché non sia assoluta e immutabile, essa rimane una distinzione utile.

[...]

Si può dire che la differenza tra verità analitiche e verità sintetiche è la differenza tra una o e una y, tra le leggi della logica di Boole e le leggi dei gas di Boyle. In parole povere, si tratta della differenza tra le scienze formali (matematica, logica, linguistica) e le scienze empiriche (fisica, psicologia e cucina).

Russell scrisse:

La matematica pura consiste per intiero di enunciati del tipo: se la proposizione tal dei tali è vera per tutti i possibili oggetti, allora quest'altra proposizione tal dei tali è vera per quel particolare oggetto. È essenziale non mettersi a discutere se la prima proposizione sia effettivamente vera, né cosa siano "tutti i possibili oggetti" per cui tale asserzione dovrebbe essere vera... Se la nostra ipotesi verte su tutti i possibili oggetti e non su questo o quello in particolare, allora la nostra deduzione costituisce matematica. Pertanto, la matematica può essere definita come la disciplina nella quale non sappiamo mai di che cosa stiamo parlando, né se ciò che stiamo dicendo è vero.

L'abbondanza di persone che non sanno di che cosa stanno parlando, né se ciò che stanno dicendo è vero, potrebbe suggerire che il talento matematico sia alquanto diffuso, ma comunque la citazione definisce l'approccio formale alla matematica. Si costruiscono certi assiomi, espressi in un linguaggio formale; si formulano precise regole di inferenza; tramite queste, si fanno derivare teoremi dagli assiomi. Dei "tutti i possibili oggetti", è lecito ignorare il significato (o la natura). Vista così, la matematica è paragonabile al gioco degli scacchi: gli assiomi corrispondono alle posizioni iniziali, le regole di inferenza alle regole che stabiliscono la liceità delle mosse, e i teoremi alle successive posizioni dei pezzi. Le verità matematiche - in particolare le verità della geometria euclidea - furono pensate per essere (uso le parole di Immanuel Kant) sintetiche a priori. In altre parole, tali da dover essere considerate vere a causa di come è fatto il mondo, indipendentemente dall'esperienza. Lo sviluppo di consistenti geometrie non-euclidee, grazie a Bolyai, Lobachevsky e Gauss, condusse alla deduzione, implicita nella citazione di Russell, che punti, linee e altri termini e relazioni geometriche primitive andassero identificati con tutti i possibili oggetti soddisfacenti gli assiomi formali contenenti tali termini e relazioni, e che un teorema geometrico fosse qualsivoglia affermazione formale scaturente dagli assiomi per mezzo delle regole di inferenza.

Prima che agli oggetti venga attribuito (se mai questo accade) un particolare significato empirico, i concetti di verità o falsità risultano incongrui. Come scrisse una volta il matematico francese Poincaré, "E allora, cosa dobbiamo pensare della seguente questione: la geometria euclidea è vera? Bene, tale interrogativo non ha alcun senso..." (Poincaré, 1913). Così è perché i matematici non inseguono la verità (un concetto di metalivello), ma le conseguenze formali (la dimostrabilità, una nozione di livello oggetto). Non "È vero questo nel mondo?", ma "Questo consegue da quello?". Einstein si espresse così: "Fino a quando le proprietà della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe; e fino a quando sono certe, non si riferiscono alla realtà". Le verità matematiche, nell'insieme, sono certe perché analitiche; le verità fisiche non sono certe perché sintetiche.

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Pagina 65

Che le leggi e i fatti scientifici sintetici non possano essere determinati a priori oggi appare scontato. Che non sempre sia stato così è illustrato nel brano che segue, nel quale Francesco Sizi (1611) "argomenta" che Giove - contrariamente a quanto il suo contemporaneo Galileo ha osservato con il suo telescopio - non può avere satelliti.

Le finestre della testa sono sette: due narici, due orecchie, due occhi e una bocca. Così, nei cieli vi sono due stelle propizie, due infauste, due astri e il solo Mercurio inerte e noncurante. Dal quale fenomeno di natura, e da molti altri simili, che sarebbe troppo lungo riportare, per esempio che i metalli sono in numero di sette, comprendiamo che il numero di pianeti è necessariamente sette...

Per di più, i satelliti sono invisibili a occhio nudo, ergo non hanno influssi sulla Terra, ergo sarebbero inutili, ergo non esistono.

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Pagina 93

Verità, mezze verità e statistiche



Benjamin Disraeli coniò la progressione "Bugie, menzogne spudorate, e statistiche"; tanto la frase quanto la convinzione sono sopravvissuti, anche se io preferisco "Verità, mezze verità e statistiche". In ogni caso, anche applicazioni della statistica apparentemente banali possono causare problemi. E lasciamo perdere i mostruosi fraintendimenti connessi alle elaborazioni di statistica sociale sviluppate da computer.

Probabilità e statistica, come geometria e matematica, le troviamo di due qualità: pura e applicata. La teoria della probabilità pura è un calcolo formale i cui termini primitivi sono non-interpretati e i cui assiomi non sono né veri né falsi. Originariamente, questi assiomi sgorgano e acquisiscono senso da interpretazioni quotidiane di voci quali "probabilità", "evento", "campione preso a caso". L'ostacolo all'applicazione di probabilità e statistica spesso non risiede nelle operazioni matematiche in sé, ma nella legittimità dell'applicazione, nella validità dell'interpretazione e, in buona sostanza, nella "ragionevolezza" dell'intero procedimento. Quest'ultima analisi varca i confini della matematica per avventurarsi nel reame del senso comune e della filosofia della scienza (talora tenebroso, si vedano blerde, verble, corvi e compagnia). Anche se 1 più 1 è uguale a 2, un bicchiere d'acqua più un bicchiere di popcorn non è uguale a due bicchieri di composto. La matematica è impeccabile, l'applicazione no.

Se lancio due volte una moneta, ho probabilità 0,75 di fare testa almeno una volta. La possibilità che domani piova è del 75%. Darei 3 a 1 l'eventualità che George sposi Martha. "Probabilità" = 0,75 ha lo stesso significato in ognuno dei tre casi? La precedente analisi sulle coincidenze improbabili sarebbe riducibile, in pillole, a "È molto improbabile che nessun evento improbabile accada". I due "improbabile" di questa dichiarazione sono uguali?

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Pagina 99

Duhem, Poincaré e la dieta Poconos-Catskill



Anche nelle circostanze più favorevoli, non è sempre facile applicare i meccanismi canonici dell'inferenza scientifica. Se una certa ipotesi H implica o rende più probabile qualche evento I, allora, se I ha luogo, H ne risulta rafforzata. All'opposto, se I non ha luogo, H ne risulta indebolita o negata. I paradossi del corvo e della conferma ci hanno dimostrato che il verificarsi di I (la vista di fenicotteri rosa, per dire), non necessariamente rafforza H (l'ipotesi che tutti i corvi siano neri). Il filosofo francese Pierre Duhem, peraltro, ha dimostrato che neanche il non verificarsi di I nega o indebolisce H.

Vediamo. Considerate la dieta Poconos-Catskill. Il dottor Poconos, medico greco, e il dottor Catskill, collega di New York di origine irlandese, raccomandano due abbondanti porzioni di lasagne, tre pezzi di baklava (dolce ripieno di noci e pistacchi coperto di sciroppo al limone) e quattro birre a pasto. I due garantiscono che una settimana di quest'alimentazione farà perdere almeno tre chili. George e Martha rispettano la dieta, e in una settimana acquistano cinque chili. I due dottori devono forse ritrattare la loro ipotesi H sull'efficacia della dieta, dato che I, la perdita di almeno tre chili, non ha avuto luogo? Certo che no. Potrebbero sostenere che a fallire, non è stata la loro tanto coccolata ipotesi H (la dieta Poconos-Catskill), ma miriadi di ipotesi supplementari, non esplicitate. Magari le lasagne erano troppo salate, o magari poco salate, magari George e Martha hanno dormito quattordici ore al giorno durante la settimana, o magari i pasti non erano correttamente distanziati.

Dunque, la mancata realizzazione di I di per sé non nega mai H: esisteranno sempre capri espiatori, ipotesi supplementari da esecrare. Ciò che viene sottoposto a verifica non è mai solo la proposizione "H implica K", ma piuttosto "H più H1 più H2 più H3 più... implica I", ove i puntini di sospensione stanno a significare molte possibili ipotesi supplementari. Il fatto che I non si verifichi, quindi, non implica necessariamente la falsità di H, ma soltanto che o H o almeno una delle ipotesi supplementari sono false.

Willard Van Orman Quine si è spinto oltre Duhem, asserendo che la prova empirica non costringe mai al rifiuto di singole affermazioni. Egli concepisce la scienza come una fitta rete di proposizioni, procedure e apparati formali, che è in contatto con la realtà solo lungo la propria periferia. Qualsiasi pressione del mondo sulla rete si distribuisce al suo interno in modo che nessun settore (nemmeno la logica) rimane totalmente immune, ma anche nessun settore deve subire da solo l'effetto di quella pressione. Si possono sempre operare adattamenti sull'intera rete per conformarla all'esperienza, ma non vi è un unico modo di procedere a queste riorganizzazioni. Semplicità, efficienza e tradizione sono solo alcuni dei criteri utili a una rete (scienza) come si deve. Pertanto, potremmo anche accettare che la dieta Poconos-Catskill sia un valido programma per smaltire i chili superflui (come usano dire i pubblicitari), ma dovremmo apportare cambiamenti piuttosto drastici nel resto della nostra rete.

Allo stesso modo, se volessimo, per qualunque ragione, identificare come vere alcune delle più strampalate idee della fisica di avanguardia, potremmo adattare e modificare radicalmente altre affermazioni, o l'interpretazione di taluni termini fisici ecc. Tutto questo si riallaccia al classico problema della filosofia della scienza: dove sta la demarcazione tra la fisica empirica e la scelta a priori di una geometria? Se insistiamo perché la geometria debba essere euclidea, la nostra fisica diventerà piuttosto illogica (in determinati fenomeni di astronomia, per esempio), con accelerazioni e forze non contemplate dalle teorie tradizionali. Se scegliessimo invece di adottare una geometria non euclidea, la fisica risulterà più semplice, anche se di primo acchito meno intuitiva. Quale sia la combinazione migliore di geometria e fisica dipende dagli obiettivi che perseguiamo, ma è anche, in qualche misura, una scelta di convenzioni, come Henri Poincaré rilevò per primo nel 1913.

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