Copertina
Autore Aldo Pavan
Titolo La via dell'incenso
SottotitoloSulle tracce delle antiche carovane attraverso la Penisola Arabica
EdizioneDe Agostini, Novara, 2010, , pag. 256, ill., cop.ril.sov., dim. 24,5x26,5x2,2 cm , Isbn 978-88-418-6410-4
LettoreGiangiacomo Pisa, 2011
Classe viaggi , paesi: Israele , paesi: Giordania , paesi: Arabia Saudita
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Indice


    Introduzione                              8

I   OMAN                                     15
    Dove nasce la mitica resina

II  YEMEN                                    89
    Attraverso l'antica Arabia Felix

III ARABIA SAUDITA                          129
    La prosperità del deserto

IV  GIORDANIA                               185
    Da Petra crocevia dei commerci

V   ISRAELE                                 231
    Verso i porti del Mediterraneo


 

 

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Pagina 8

È la via sacra dei profumi. Un'antica autostrada attraverso deserti e montagne, tracciata per il commercio di una resina speciale: l'incenso. Con tanto di pedaggi e dazi. E disavventure quasi sempre garantite da predoni e briganti, oltre che dalle maledette tempeste di sabbia, dalla mancanza di acqua e dalle difficoltà di orientamento. Una via così importante e battuta da fare del sud dell'Arabia un regno florido e ricco, appunto un paese felice, l' Arabia Felix. La via dell'incenso non è una semplice pista, una linea sulla carta geografica. Non ha solo caratteri topografici. È molto di più. È una delle arterie lungo le quali è passata la storia dell'uomo. Attraverso questo cammino sono venuti in contatto mondi lontanissimi e diversi. Si sono toccate Europa e India, oltre che Arabia e Africa. Sono transitate merci, ma anche scienza, cultura e leggenda. La via dell'incenso è legata a doppio filo al mito. La tradizione orale parla di un misterioso Paese di Punt, terra verso la quale gli egizi effettuarono diverse spedizioni militari con l'intento di impadronirsi delle enormi fonti di ricchezza costituite appunto dai luoghi di produzione dell'incenso. Famosa è l'impresa organizzata attorno al 1500 a.C. dalla regina Hatschepsut che riportò in patria numerose navi stipate di incenso, come testimonia un affresco nella sua tomba di Luxor. Ma per la verità ben poco si sapeva dell'origine della famosa resina. Su di essa favoleggiarono letterati e storici. Ne parla Erodoto nel 430 a.C. spiegando che «gli alberi che producono l'incenso sono guardati da serpenti alati di piccola taglia e di vari colori, appesi a ogni albero». I Magi, provenienti dall'Oriente, portarono a Gesù, oltre all'oro e alla mirra, l'incenso. Forse anch'essi percorsero l'antica via dell'incenso come testimoniano i loro doni. Il commercio dell'incenso apportava ricchezze incalcolabili ai mercanti arabi che ne detenevano il monopolio. Richiestissimo, veniva pagato in oro. Era usato come medicinale, nella cosmesi, per le imbalsamazioni ma soprattutto nelle funzioni sacre. Ovunque, nell'area del bacino del Mar Mediterraneo, come in Mesopotamia e in India, l'incenso serviva a fini devozionali. L'uso liturgico nasceva dal convincimento che gli dei potessero gradire i profumi prodotti dall'olocausto delle vittime sacrificali ma anche dai prodotti vegetali come l'incenso. E infatti il suo nome scientifico è Bosweilla sacra. La pianta da cui si ricava è un alberello, per la verità abbastanza modesto, per niente frondoso, con molti rami e poche foglie, che nasce esclusivamente sulle rive del Mar Arabico. E qui sta la sua forza: un'essenza endemica che non si può coltivare altrove.

Se avessimo uno stradario antico, una sorta di guida pratica, sapremmo che tutta la via dell'incenso si può percorrere teoricamente in due mesi. Sempre se tutto va bene. Sono da coprire circa 2400 chilometri da suddividere più o meno in 65 tappe. Così racconta lo storico Plinio il Vecchio. E infatti i cammelli, o meglio i dromedari, riescono a percorrere circa 40 chilometri al giorno. L'incenso veniva raccolto tra l'Hadramawt e il Dhofar, aree montuose a ridosso del deserto, tra gli attuali Yemen e Oman. Oggi la Bosweilla sacra vive solo nel wadi Dowkah in Oman. Preziosa e rara, è stata messa sotto tutela dall'UNESCO per garantirne la sopravvivenza, dopo che negli ultimi decenni il mercato è stato invaso dall'incenso sintetico, che in parte ha sostituito quello naturale. Dai luoghi di raccolta l'incenso veniva convogliato nelle città dell'interno, oggi sparite dalla carta geografica. Tra queste c'era Shabwah, nell'attuale Yemen. Proseguiva poi lungo una rotta terrestre che passava per San'à, da sud puntava verso Medina e da qui si dirigeva su Petra per arrivare, attraverso l'attuale Giordania, in Palestina fino ai porti del Mediterraneo. Il principale era Gaza. Da qui il prezioso carico di incenso, che nel frattempo era salito al prezzo esorbitante di 688 denari per 100 chili, veniva spedito via mare ad Atene, Alessandria e nelle altre città dell'impero romano, prima fra tutte Roma che ne era grandissima consumatrice. Si racconta che il solo Nerone nel 65 a.C. bruciò un'intera produzione annua, pari a 3000 tonnellate, in occasione dei funerali di Poppea, facendone in questo modo salire il prezzo alle stelle. Con l'incenso viaggiava anche la mirra, altra famosa resina arabica. Non solo: ai porti arabi giungeva dall'India e dall'Africa un'infinità di merci diverse che proseguivano poi via terra. C'erano le spezie, come pepe, cinnamomo, zenzero, cannella, oppure tessuti preziosi e sete imbarcati nei lontani porti del Malabar. Oltre a perle, avorio, piume, pelli di animali e oro, caricati lungo la costa orientale africana che già allora era sotto il controllo dei mercanti arabi. Con le merci si riempivano grandi contenitori di paglia intrecciata dal peso di circa 50 chilogrammi. Un dromedario era in grado di trasportarne due sulla propria gobba.

Tribù di nomadi e cammellieri si ergevano a guida delle carovane che per circa cinque secoli hanno attraversato la Penisola Arabica. Erano loro a contribuire al grande commercio e far sì che si creasse l'epica leggenda dell'Arabia ricca e opulenta ricordata nelle fonti greche e romane. Tra questi popoli vi furono i nabatei che per primi imposero un ferreo controllo sulle carovane e che fecero della loro capitale Petra una delle più importanti città del mondo antico, grande snodo di traffico. Ma non ci fu solo Petra sull'atlante dei nabatei. Ad essa va aggiunta la splendida Hegra, con le misteriose facciate delle sue solitarie tombe rupestri che si innalzano nel deserto. Oggi è una città morta nel deserto dell'Hegiaz, in Arabia Saudita, 900 chilometri a sud di Petra. La visitò anche Maometto che ne parla nella XV Sura del Corano. Abbandonata verso il 70 d.C. ha segnato la decadenza della via dell'incenso, quando i romani iniziarono a preferire la via marittima lungo il Mar Rosso alle peripezie e ai rischi di quella terrestre.

Nel suo prezioso portolano intitolato Periplus Maris Erythraei, l'ignoto navigatore del I secolo d.C. spiega che «vi è una baia chiamata Sakalites coperta da spesse nubi d'aria e vapori emanati dagli alberi alti e sottili stillanti gocce d'incenso dalla corteccia». E infatti la nebbia non è una rarità in estate sulla costa arabica meridionale. Sono le sue particolari condizioni climatiche che favoriscono la crescita della Bosweilla sacra. In quest'area il monsone estivo si abbatte con pesanti piogge che fanno scendere la temperatura fino ai 25 gradi, metà della temperatura che si registra appena oltre la catena montuosa del Dhofar, dove la colonnina di mercurio raggiunge anche i 50 gradi, annunciando il temibile deserto dell'interno. All'inizio di aprile, quando la temperatura inizia a salire, la corteccia della Bosweilla sacra viene incisa con tagli lunghi circa 10 centimetri dai quali esce una linfa lattiginosa bianca. Dopo qualche giorno, al contatto con l'aria, la resina si rapprende e assume un colore giallastro. Una volta essiccata viene raccolta. L'operazione si ripete un paio di volte nella stagione umida. L'incenso di secondo taglio però non è più della stessa qualità del primo e al mercato viene venduto a un prezzo inferiore. Un albero è in grado di produrre 10 chili di incenso a stagione.

Anche noi ora cerchiamo di percorrere l'antichissima via, ma sappiamo già che non esistono più evidenti tracce se non nei resti archeologici delle antiche città, molte delle quali sommerse dalle sabbie del deserto. Si può solo immaginare quale fosse il fasto della civiltà che l'incenso ha favorito e contribuito a far crescere. Oasi e centri abitati dove per secoli fecero tappa migliaia di uomini e altrettante migliaia di cammelli. Oggi si calpestano muri abbattuti o antiche fondamenta. Si rincorre il rumore del vento. Sembra di ascoltare voci lontane che arrivano da chissà dove. I cammelli sono sempre meno. Tutto è cambiato. Noi usiamo il fuoristrada e in Arabia Saudita voliamo sull'asfalto liscio che segna come un nastro nero il giallo delle sabbie del deserto. Oggi non sono più le stelle a orientarci nel cammino, bensì i moderni gps. Ma nonostante la modernità, la via dell'incenso vive ancora. Fa parte della memoria collettiva dei popoli che hanno legato il loro destino alla sua leggenda. E in qualche modo è nel cuore della storia dell'umanità.

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