Copertina
Autore Carlo Pedretti
Titolo Leonardo & io
EdizioneMondadori, Milano, 2008, La storia , pag. 708, ill., cop.ril.sov., dim. 15,5x23,8x4,7 cm , Isbn 978-88-04-56005-0
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe storia dell'arte , paesi: Italia
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Indice


  3 Leonardo e io, un'intervista

    2007
  9 Una crociera per esordio

    1452-1499

 29 Il padiglione della Duchessa
 39 «Scrivi che cosa è anima»
 58 Il voto
 79 In casa Contarini
 89 Il prigioniero del corsaro
 95 La macchina del tempo
120 La Cena del secolo
159 Da Urbino a Pasadena
175 La locomotiva
182 Geroglifici e Lumerpa
195 I rebus dei «tomi»
202 Bischizzi anatomici
206 La Fenice di Piacenza
210 Uomo vitruviano, anche donna
228 Il gran cavallo di Milano

    1500-1510

241 Un «pittoraccio di poco credito»
254 Caterina, la virago
261 Dal Sultano al Serafico
280 Turpiloquio diplomatico
289 Armonie d'acque
299 Elitalov, il volatile
303 Il «Libro di Giorgio Valla»
316 I fratelli Gaurico
320 Rupescissa, l'astrologo
330 L'occhio nei sogni
335 Le grand Seigneur
359 La fortezza gustata
381 Il «mezzo ovo»
391 Paradisi ritrovati
404 Macchine francesi

    1511-1519

417 La iella del mostro
450 La lavagna del detective
461 Dischi volanti e diluvi
478 La Cremona
489 Disegnare tondeggiando
499 Il «creato» dei Medici
519 «Imita quanto puoi li Greci e Latini»
527 Il Salvatore, anche dopo
536 Ammalato in Vaticano
545 Il leone robotico
565 Multa renascentur...
585 I nuovi argonauti
597 Epitaffio senza sepolcro
609 DNA, di lei e di lui
624 Quale fine?
626 Il viaggio della mente

    2007

653 Una fontana per epilogo


677 Note
687 Indice dei nomi
707 Indice dei riferimenti ai soggetti delle immagini



 

 

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Pagina 39

«SCRIVI CHE COSA È ANIMA»



A una sua familiarità con le fonti classiche e medievali Leonardo allude in un noto testo del 1490 nel Codice Atlantico (f. 119 v-a [327 v]) quando ricorda «i nostri antichi che hanno voluto definire che cosa sia anima e vita, cose improbabili, quando quelle che con esperienza ognora si possano chiaramente conoscere e provare, sono per tanti secoli ignorate e falsamente credute». E così può dire con giusto orgoglio che l'occhio «è insino ai mia tempi per infiniti attori stato definito in un modo; trovo per isperienzia essere 'n un altro».

Quello delle fonti di Leonardo resta un problema aperto, ma non si deve perdere di vista la necessità di definire sempre meglio l'uso che Leonardo ne fa, cioè dove, quando e come egli interviene su di loro col proprio pensiero e discernimento per accertare quindi, fin dove è possibile, lo scopo o finalità della sua indagine.

Nel progettato libro «de figura umana», secondo lo schema del 1489 esposto al f. 20 v del Ms. B dell'Anatomia a Windsor, Leonardo si sarebbe occupato di anatomia cominciando con la «concezione dell'omo», per seguirlo nella crescita e considerarlo insieme con la femmina nelle sue proporzioni e fisionomia, e quindi osteologia e miologia, e passare poi ai vari casi pertinenti alla fisiognomica per concentrarsi su tre categorie conclusive: attitudine, effetti, sensi, e cioè «Attitudine e movimento», «Prospettiva per lo offizio dell'occhio e dell'audito» («dirai di musica e descrivi delli altri sensi» aggiunge Leonardo), e infine «Di poi descrivi la natura de' cinque sensi», e anche «Scrivi che cosa è anima» (W. 19038 r, B 21 r).

Con questo ultimo proposito, «Scrivi che cosa è anima», Leonardo si sarebbe probabilmente limitato a confermare l'impossibilità di «definire che cosa sia anima e vita», magari anche con un circostanziato resoconto di quanto in proposito avevano scritto i «nostri antichi». Del resto, il suo concetto di «anima» è chiaramente esposto come parte delle sue prime riflessioni sulle funzioni dei sensi, esulando da ogni impostazione di carattere teologico. Questo nei fogli di anatomia a Windsor da lui stesso datati al 1489.

Il tema dei sensi interni negli studi leonardiani di anatomia e fisiologia ha già avuto esaurienti trattazioni, specialmente in questi ultimi tempi, da parte di insigni storici della scienza e della filosofia, che sono venuti affiancandosi a raffinati filologi e letterati ai quali non poteva sfuggire lo straordinario carattere innovativo ed evocativo del linguaggio scientifico di Leonardo. Questo linguaggio è infatti a un tempo fluido e serrato, col ricorso continuo all'efficacia della parola con la quale i concetti sono espressi attraverso immagini, proprio come nel caso del suo modo di descrivere i cinque sensi.

Di qui l'idea leonardiana di una centrale operativa, un quartier generale, si direbbe, al quale quei sensi fanno capo come «officiali» di un senso comune che si identifica con l'anima, e quindi ciascuno investito di un compito che viene svolto con l'impeccabile tempismo di bene organizzate gerarchie militari. E questo contrariamente a quanto ritenuto sulla base di una banalità di origine neoplatonica – totus in toto et totus in qualibet parte – con la quale si allude alla dottrina dell'anima che risiederebbe, invece, in ogni parte del corpo.

Il testo di Leonardo al quale mi riferisco si trova sul primo foglio della più antica sezione del manoscritto anatomico B a Windsor, quella sezione che Leonardo stesso indica con la data: «adì 2 d'aprile 1489», cui aggiunge, a distanza di anni, forse intorno al 1508, la spiegazione di ciò che aveva iniziato quel giorno: «Libro titolato de figura umana». Nei fogli che seguono, dei quali mi fu possibile accertare la sequenza in base allo studio codicologico dell'originale compiuto negli anni Settanta, si trovano lunghi elenchi di temi che Leonardo intendeva affrontare nel 1489.

All'età di trentasette anni, a Milano, Leonardo si accingeva dunque a intraprendere un sistematico studio della figura umana dal punto di vista dell'aspetto e della struttura, e questo secondo un programma di ricerca che dallo studio delle funzioni vitali lo avrebbe portato a quello dei movimenti del corpo umano considerato come macchina.

Ecco, dunque, quanto si legge sul foglio 2 recto (W. 19019 r), un testo che appare per la prima volta nel § 838 della classica antologia del Richter, The Literary Works of Leonardo da Vinci, pubblicata a Londra nel 1883:


Come i cinque sensi sono ofiziali dell'anima

L'anima pare risiedere nella parte iudiziale, e la parte iudiziale pare essere nel loco dove concorrano tutti i sensi, il quale è detto senso comune, e non è tutta per tutto il corpo, come molti hanno creduto, anzi tutta inella parte; imperò che, s'ella fussi tutta per tutto e tutta in ogni parte, non era necessario fare li strumenti de' sensi fare infra loro un medesimo concorso a uno solo loco, anzi bastava che l'occhio operassi l'ufizio del sentimento sulla sua superfizie, e non mandare per la via delli nervi ottici la similitudine delle cose vedute al senso; ché l'anima, alla sopradetta ragione, le poteva comprendere in essa superfizie dell'occhio.

E similmente il senso dell'audito bastava solamente la voce risonassi nelle concave porosità dell'osso petroso, che sta dentro all'orecchio, e non fare da esso osso al senso comune altro transito dove essa boce abbi a discorrere al comune giudizio.

Il senso dell'odorato ancora lui si vede essere dalla necessità costretto a concorrere a detto iudizio.

Il tatto, non passa elli per le corde forate ed è portato a esso senso? Le quali corde si vanno spargendo con infinita ramificazione inella pelle che circunda le corporee membra e viscere.

Le corde perforate portano il comandamento e sentimento alli membri ofiziali, le quali corde, entrate infra li muscoli e lacerti, comandano a quelli il movimento. Quelli obediscano; e tale obedienza si mette in atto collo sconfiare, imperò che'l gonfiare raccorta le loro lunghezze e tirasi dirieto i nervi, i quali si tessano per le particule de' membri, essendo infusi nelli stremi de' diti, portano al senso la cagione del loro contatto.

I nervi [i.e. tendini], coi loro muscoli, servono alle corde come i soldati a' condottieri; e le corde servano al senso comune come i condottieri al capitano; e'l senso comune serve all'anima, come il capitano serve al suo signore.

Adunque la giuntura delli ossi obbedisce al nervo, e'l nervo al muscolo, e'l muscolo alla corda, e la corda al senso comune, e'l senso comune è sedia dell'anima, e la memoria è sua ammunizione, e la imprensiva è la sua referendaria.

Come il senso dà all'anima e non l'anima al senso; e dove manca il senso ofiziale dell'anima, all'anima manca in questa vita la notizia dell'ufizio d'esso senso, come appare nel muto o nell'orbo nato.

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Pagina 182

GEROGLIFICI E LUMERPA



Con questo capitolo si ritorna a Leonardo dove lo si era lasciato con un emblema e un rebus al tempo del Cenacolo. Un taccuino come il Ms. H, databile intorno al 1493-1494, abbonda di motivi emblematici che mostrano lo stretto rapporto fra rebus e allegoria, e come tale presenta numerosi motivi che non sono stati ancora studiati non solo per quanto riguarda la loro destinazione e quindi le intenzioni di Leonardo nel concepirli, ma soprattutto per considerarli dal punto di vista delle fonti alle quali Leonardo potrebbe avere attinto.

Se al tema dedico ora un capitolo, non è detto che esso non possa occupare lo spazio di un intero libro. Infatti ho sempre sperato che qualcuno raccogliesse la mia proposta di occuparsene a fondo, ma sono già più di cinquant'anni che aspetto, cioè dal tempo del contributo fondamentale di Augusto Marinoni sui rebus di Leonardo del 1954.

Il concetto di ideogramma insito in tante immagini di cose o animali che Leonardo avrebbe potuto raccogliere per farne un repertorio sul genere di quello dei vocaboli raccolti nel Codice Trivulziano – e l'intenzione di farlo s'avverte già nel Ms. H, come ho mostrato, a mo' di saggio, in ben sette pagine del mio commentario del 1977 – rimanda ovviamente al linguaggio grafico degli egizi. Ma finora, che io sappia, l'unico a vedere questo nesso, come già l'Alberti prima di lui, è stato Rudolf Wittkower con il saggio Hieroglyphics in the Early Renaissance del 1972, un contributo non recepito dagli studiosi o dai bibliografi vinciani. In esso si ha una panoramica chiara e avvincente di una problematica che spazia dall'Alberti al Ficino e quindi a Pico della Mirandola, per arrivare all' Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna pubblicata da Aldo Manuzio nel 1499 a Venezia, poco prima dell'arrivo di Leonardo in quella città.

La presenza di motivi egizi in pittura si fa sempre più frequente verso fine del secolo, e proprio nel Veneto e in Germania col Dürer, che addirittura illustrò a suo modo quattro geroglifici da un manoscritto dell'enigmatico Horapollo, lo straordinario documento sulla sapienza egizia distillata nei simboli e che lo stesso Manuzio avrebbe pubblicato nel 1505. In questo contesto Wittkover colloca giustamente la Dama con l'ermellino di Leonardo, e vi arriva attraverso la nota medaglia di Bellotto Cumano del Pisanello datata 1447, dove appare l'ermellino che si rifiuta di imbrattarsi col fango posto attorno all'uscita della sua tana, esattamente come in un noto disegno di Leonardo a Cambridge del 1490 circa, e per di più in un tondo come una medaglia.

Wittkower tocca pure il tema della sfinge, e anche in questo caso Leonardo potrebbe essere ricordato per la strana impostazione dell'angelo inginocchiato nella prima versione della Vergine delle Rocce, databile intorno al 1493, e così stranamente suggestivo di un'arpia o sfinge, come notato per primo da R. Holland nel 1952 e da Gabriella Ferri Piccaluga nel 1994.

Una fertile traccia di ricerca con esiti in ambito leonardesco è offerta dagli affreschi perduti del chiostro di Santa Giustina a Padova, che Wittkower riproduce dalle stampe di Francesco Mengardi come esempi dell'uso di geroglifici pubblicati nell' Hypnerotomachia Poliphili. Uno di questi mostra una donna seduta con ali di volatile tenute con una mano mentre l'altra tiene una tartaruga, la gamba corrispondente sollevata da terra per alludere all'intenzione di alzarsi. Il significato dell'immagine criptica è un semplice gioco degli opposti: animosità vivace stando seduti e inerzia alzandosi. Un dipinto di Giampietrino da me pubblicato nel 1980, e ancora di ubicazione ignota, riprende la stessa immagine ma con la donna nuda in un atteggiamento che richiama un abbozzo di Leonardo nel Codice Atlantico del 1506-1508, al tempo quindi della sua attività al servizio di Charles d'Amboise a Milano. La stessa immagine antitetica, con l'iscrizione MEDIVM TENVERE BEATI, è ripresa in un dipinto attribuito al Luini e riprodotto solo dal Beltrami nel 1911.

Quale fosse il significato e la destinazione di tale «geroglifico» pittorico nella Milano del governo francese resta ancora un mistero, ma il tipo e l'atteggiamento della donna nuda ha un riscontro eloquente in un'altra immagine allegorica del Giampietrino, la famosa Ninfa Egeria per Charles d'Amboise. È ancora consuetudine ritenere che l'unica fonte alla quale Leonardo avrebbe potuto attingere informazioni per il suo emblematico bestiario sarebbe stato il Fior di virtù, di cui esiste anche un'edizione figurata del 1491. Ma già nel 1909 un contributo del tutto ignorato di Mercurino Sappa proponeva gli Hieroglyphica di Horapollo come altra possibile fonte ignota al Solmi e ad altri (a eccezione di Giambattista De Toni nel 1922), e ancor oggi trascurata, anche se è recente (1996) una loro impeccabile edizione critica nella Biblioteca Universale Einaudi, curata da Mario Andrea Rigoni ed Elena Zanco.

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Pagina 241

UN «PITTORACCIO DI POCO CREDITO»



Nel 1501 appare per la prima volta a stampa, nella tipografia di Aldo Manuzio a Venezia, il corsivo tipografico che il mondo anglosassone avrebbe battezzato «italico», così come avrebbe designato «romano» il classico «tondo» dei primi incunabuli. L'avvento del corsivo nei libri a stampa venne inaugurato con la pubblicazione del celebre Virgilio in formato tascabile.

Nel 2001, a celebrare la singolare ricorrenza la Biblioteca Ambrosiana, in collaborazione con la Fondazione Marco Fodella e sotto la guida esperta di Massimo Rodella, ospitò un originalissimo programma di conversazioni, di incontri per riflessioni in diretta non solo alla presenza di libri e documenti ma anche di un eccezionale dipinto, il Musico di Leonardo, che avrebbe fatto idealmente gli onori di casa a un evento di grande suggestione, al quale di sarebbe affiancato un nutrito programma di musiche del tempo.

L'innovazione tipografica del Manuzio era destinata a un successo immediato e duraturo. Ancora oggi il corsivo s'impone per sottolineare aspetti di cultura e costume nella stampa quotidiana e, quasi di regola, per porre in evidenza prefazioni e avvertenze in libri di ogni genere. Anche in questo caso l'esempio viene direttamente dal Manuzio che, proprio nello stesso anno del suo piccolo Virgilio, pubblicò i due grossi tomi in folio di una monumentale enciclopedia scientifica, il De expetendis et fugiendis rebus opus del piacentino Giorgio Valla, un libro subito acquistato da Leonardo e tutto composto in carattere tondo a eccezione di una sola pagina introduttiva riservata al nuovo corsivo: la lettera dedicatoria al patrizio milanese e maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio, che avrebbe sostituito lo sconfitto Ludovico Sforza anche nel ruolo di protettore delle arti, delle scienze e delle lettere (si vedano, in questo colume, le pagine 303 sgg.). Ritornato a Milano nel 1506, Leonardo avrebbe ricevuto la committenza di un monumento equestre col quale il Trivulzio intendeva assicurarsi una memoria funebre perenne nella cappella di famiglia che poco dopo avrebbe fatto costruire al Bramantino presso San Nazaro.

Quella lettera dedicatoria al Trivulzio può essere dunque considerata un tributo all'origine stessa del corsivo, in quanto versione a stampa di un tipo di scrittura cancelleresca che nel tardo Quattrocento si era imposta in Italia non solo nei documenti di governo nelle corti e nelle repubbliche, ma anche nelle lettere dei mercanti, degli umanisti e degli artisti.

Pittori, scultori e architetti anche famosi, pur senza una formale educazione letteraria, sapevano scrivere in un impeccabile corsivo umanistico. È questo il caso di Bramante ancora nel Quattrocento e del suo emulo Raffaello già nel Cinquecento. La scrittura di Michelangelo, si sa, si distingue come versione del tutto personale del corsivo a stampa, mentre quella di Leonardo s'attiene alla notarile formale del padre ed è quindi ancora arcaica nell'aspetto, e infatti non molto diversa — a parte la peculiarità speculare — dalla scrittura di Leon Battista Alberti.

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Pagina 545

IL LEONE ROBOTICO



L'antica via Larga di Firenze, oggi via Cavour, costituisce l'asse urbano lungo il quale, provenendo da nord, si passa davanti al maestoso Palazzo Medici di Michelozzo per proseguire fino alla parte opposta della città, e quindi imboccare la strada che porta a Roma: un percorso che tocca non solo i punti salienti degli splendori urbani della Firenze rinascimentale ma, subito dopo Palazzo Medici, tocca il luogo in via Martelli – oggi segnato da una lapide – dove Leonardo stesso visse e operò dopo il suo lungo soggiorno milanese.

Questo certamente nel 1508, ma forse anche più tardi, poco prima di recarsi in Francia, dal 1515 al 1516; e cioè in casa dell'amico umanista e matematico Piero di Braccio Martelli. È qui che nel 1508 iniziò la compilazione dei suoi studi di meccanica nel primo fascicolo di trenta carte del Codice Arundel della British Library, e questo mentre portava avanti le sistematiche ricerche anatomiche presso il vicino ospedale di Santa Maria Nuova. Fu qui, in via Martelli, che iniziò a elaborare sistematicamente i materiali raccolti per un vasto trattato sulle acque, e anche quelli per il Libro di pittura, sull'ottica e la prospettiva, e quindi sul volo degli uccelli, attestando un rinnovato interesse nella tecnologia del volo. E fu qui, infine, che realizzò la sua più spettacolare concezione tecnologica, un leone semovente, cioè un vero e proprio robot. Questo nel 1515, allo stesso tempo in cui progettava la sistemazione urbana dell'intero quartiere mediceo, che era poi il suo quartiere. L'entusiasmante storia, ricca com'è di splendide testimonianze di arte e di costume, si presterebbe a essere rievocata in un film.

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