Copertina
Autore Daniel Pennac
Titolo Come un romanzo
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2000 [1993], UE 1605 , pag. 144, dim. 125x195x12 mm , Isbn 978-88-07-81605-5
OriginaleComme un roman
EdizioneGallimard, Paris, 1992
TraduttoreYasmina Melaouah
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe libri , narrativa francese , scrittura-lettura
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Indice

Pag.
  9    I. Nascita dell'alchimista

 49   II. Bisogna leggere (Il dogma)

 83  III. Dare da leggere

117   IV. Il cosa-leggerà-la gente (o i
          diritti imprescrittibili del lettore)

119    1. Il diritto di non leggere
121    2. Il diritto di saltare le pagine
124    3. Il diritto di non finire un libro
126    4. Il diritto di rileggere
127    5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa
130    6. Il diritto al bovarismo
          (malattía testualmente contagiosa)
132    7. Il diritto di leggere ovunque
134    8. Il diritto di spizzicare
135    9. Il diritto di leggere a voce alta
139   10. Il diritto di tacere

 

 

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Pagina 11

1


Il verbo leggere non sopporta l'imperatívo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare'... il verbo "sognare"...

Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "Amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!"

"Sali in camera tua e leggi!"

Risultato?

Niente.

Si è addormentato sul libro. All'improvviso la finestra gli è apparsa spalancata su qualcosa di desiderabde, e da lì è volato via, per sfuggire al libro. Ma è un sonno vigile, il libro è ancora aperto davanti a lui e se aprissimo la porta della sua camera, lo troveremmo seduto alla scrivania tutto preso dalla lettura. Anche se siamo saliti con passo felpato, dalla superficie del sonno ci avrà sentiti arrivare.

"Allora, ti piace?"

Non ci risponderà di no, sarebbe un delitto di lesa maestà. Il libro è sacro, come può non piacergli leggere? No, ci dirà che le descrizioni sono troppo lunghe.

Tranquillizzati, torneremo alla nostra televisione. E magari la sua osservazione susciterà un appassionante dibattito fra noi e gli altri di casa...

"Trova le descrizioni troppo lunghe. Bisogna capirlo, siamo nel secolo dell'audiovisivo, in fondo i romanzieri del XIX secolo dovevano descrivere tutto..."

"Non è una buona ragione per lasciargli saltare metà delle pagine!"

...

Non stanchiamoci, si è riaddormentato.

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4


Insomma, gli abbiamo insegnato tutto del libro all'epoca in cui non sapeva leggere. Gli abbiamo rivelato l'infinita diversità delle cose immaginarie, l'abbiamo iniziato alle gioie del viaggio verticale, l'abbiamo dotato dell'ubiquità, liberato da Crono, immerso nella solitudine favolosamente affollata del lettore... Le storie che gli leggevamo brulicavano di fratelli, sorelle, doppi ideali, squadriglie di angeli custodi, schiere di amici tutelari che si facevano carico delle sue pene, ma che, lottando contro i propri orchi, trovavano anch'essi rifugio fra i battiti inquieti del suo cuore. Era diventato il loro angelo reciproco: un lettore. Senza di lui, il loro mondo non esisteva. Senza di loro, lui rimaneva imprigionato nello spessore del suo. Cosi scoprì la virtù paradossale della lettura, che è quella di astrarci dal mondo per trovargli un senso.

Da quei viaggi tornava muto. Era mattino, e si passava ad altro. In verità, non cercavamo di sapere che cosa avesse conquistato laggiù e lui, innocentemente, alimentava questo mistero. Era, come si usa dire, il suo universo. I suoi rapporti personali con Biancaneve o con uno qualsiasi dei sette nani rientravano nella sfera dell'intimità, che esige il segreto. Grande piacere di lettore, questo silenzio dopo la lettura!

Si, gli abbiamo insegnato tutto del libro.

E abbiamo meravigliosamente stimolato il suo appetito di lettore.

Al punto, ricordate, al punto che aveva fretta di imparare a leggere!

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5


Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della pedagogia!

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L'intimità perduta...

A ripensarci in quest'inizio di insonnia, il rituale della lettura, ogni sera, ai piedi del suo letto, quando era piccolo - orario fisso e gesti immutabili - aveva qualcosa della preghiera. Quell'improvviso armistizio dopo il frastuono della giornata, quell'incontro al di là di ogni contingenza, quel momento di silenzio raccolto che precede le prime parole del racconto, la nostra voce finalmente identica a se stessa, la liturgia degli episodi... Si, la storia letta ogni sera assolveva la più bella funzione della preghiera, la più disinteressata, la meno speculativa, e che concerne solamente gli uomini: il perdono delle offese. Non confessavamo nessun peccato, non cercavamo di conquistarci nessuna fetta di eternità, era un momento di comunione, tra di noi, l'assoluzione del testo, un ritorno all'unico paradiso che valga: l'intimità. Senza saperlo, scoprivamo una delle funzioni essenziali del racconto e più in generale dell'arte, che è quella di imporre una tregua alla lotta degli uomini.

L'amore ne usciva rinato.

Era gratis.

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Cos'è dunque accaduto fra l'intimità di allora e lui adesso, arenato davanti a un libro-scogliera, mentre noi cerchiamo di capirlo (cioè di tranquillizzarci) incolpando il secolo e la televisione - che forse abbiamo dimenticato di spegnere?

È colpa della tivù?

Il ventesimo secolo troppo "visivo"? Il diciannovesimo troppo descrittivo? E perché no il diciottesimo troppo razionale, il diciassettesimo troppo classico, il sedicesimo troppo rinascimentale, Puskin troppo russo e Sofocle troppo morto? Come se i rapporti fra l'uomo e il libro avessero bisogno di secoli per diradarsi.

Basta qualche anno.

Qualche settimana.

Il tempo di un malinteso.

All'epoca in cui, ai piedi del suo letto, evocavamo la mantellina di Cappuccetto rosso, e, fìn nei minimi dettagli, il contenuto del suo cestino, senza dimenticare le profondità del bosco, le orecchie della nonna divenute d'un tratto stranamente pelose, e il paletto dell'uscio, non ricordo che trovasse le nostre descrizioni troppo lunghe.

Da allora non sono passati secoli. Ma momenti che chiamíamo la vita, a cui diamo un'andatura di eternità a forza di principi intangibili: "Bisogna leggere".

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16


Non si guarisce da questa metamorfosi. Non si torna indenni da un simile viaggio. A ogni lettura presiede, per quanto inibito, il piacere dí leggere; e per la sua stessa natura - questa gioia da alchimista - il piacere di leggere non ha nulla da temere dall'immagine, anche televisiva, e anche sotto forma di massicce dosi quotidiane.

Se però il piacere di leggere è andato perduto (se, come diciamo: mio figlio, mia figlia, i giovani non amano leggere) non si è perduto molto lontano.

Appena smarrito.

Facile da ritrovare.

Ma bisogna sapere lungo quali sentieri cercarlo, e, per fare questo, avere presenti alcune verità senza rapporto con gli effetti della modernità sui giovani. Alcune verità che riguardano solo noi... Noi che affermiamo di "amare leggere", e che sosteniamo di voler far condividere questo amore.

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28


Ben presto il professore diventa un vecchio professore. Non che questo mestiere logori più di un altro, no... è il fatto di sentire tanti genitori parlargli di così tanti figli - e così facendo parlare di se stessi - e sentire i racconti di tante vite, tanti divorzi, tante storie di famiglia: malattie infantili, adolescenti che non tieni più, figlie predilette il cui affetto ti sfugge, pianti per i fallimenti e moti di orgoglio per i successi, tante opinioni su tanti argomenti, e sulla necessità di leggere, in particolare, l'assoluta necessità di leggere, che ottiene l'unanimità.

Il dogma.

Ci sono quelli che non hanno mai letto e se ne vergognano, quelli che non hanno più tempo per leggere e se ne rammaricano, quelli che non leggono romanzi, ma libri utili, saggi, testi tecnici, biografie, libri di storia, quelli che leggono di tutto, quelli che "divorano libri" e gli brillano gli occhi, quelli che leggono solo i classici, signore, "perché non c'è miglior critico del vaglio del tempo", quelli che passano l'età matura a "rileggere", e quelli che hanno letto l'ultimo Tale e l'ultimo Talaltro, perché bisogna pure, signore, tenersi al corrente...

Ma tutti, tutti, in nome della necessità di leggere.

Il dogma.

Compreso colui che oggi non legge più ma, afferma, un tempo ha letto molto, solo che ormai ha gli studi alle spalle e una vita "riuscita" - solo con le proprie forze, naturalmente (è di quelli che "non devono niente a nessuno") - ma ammette senza difficoltà che quei libri, di cui non ha più bisogno, gli sono stati molto utili... addirittura indispensabili, sì, "in-dis-pen-sa-bi-li!"

"Bisogna che questo ragazzino se lo ficchi in testa!"

Il dogma.

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Ebbene, "il ragazzino" ha proprio questo in testa. E nemmeno per un istante gli passa per la mente di mettere in discussione il dogma. Almeno ciò è quanto risulta chiaramente dal suo tema:


Tema: Cosa pensate della seguente ingiunzione di Gustave Flaubert all'amica Louise Collet: "Leggete per vivere!'


Il ragazzino è d'accordo con Flaubert, il ragazzino e i suoi compagni, e le sue compagne, tutti d'accordo: "Flaubert aveva ragione!" Un'unanimità di trentacinque compiti: bisogna leggere, bisogna leggere per vivere, e questa assoluta necessità della lettura è anche ciò che ci distingue dalla bestia, dal selvaggio, dal bruto ignorante, dal settario isterico, dal dittatore trionfante, dal materialista bulimico, bisogna leggere! bisogna leggere!

"Per imparare."

"Per riuscire negli studi."

"Per informarci."

"Per sapere da dove veniamo."

"Per sapere chi siamo."

"Per conoscere meglio gli altri."

"Per sapere dove andiamo."

"Per conservare la memoria del passato."

"Per illuminare il nostro presente."

"Per trarre profitto dalle esperienze precedenti."

"Per non ripetere le sciocchezze dei nostri predecessori."

"Per guadagnare tempo."

"Per evadere."

"Per trovare un senso alla vita."

"Per capire le fondamenta della nostra civiltà."

"Per soddisfare la nostra curiosità."

"Per distrarci."

"Per informarci."

"Per acculturarci."

"Per comunicare."

"Per esercitare il nostro spirito critico."


E il professore approva a margine: "Sì, sì, Bene, Benissimo." Molto Bene, esatto, interessante, corretto, giusto", e si trattiene per non gridare: "Ancora! Ancora!" lui che stamattina, nel corridoio del liceo, ha visto "il ragazzino" copiare a tutto vapore la scheda di lettura di Stéphanie, lui che sa per esperienza che la maggior parte delle citazioni incontrate in questi scritti pieni di saggezza vengono da un dizionario all'uopo, lui che capisce dalla prima occhiata che gli esempi scelti ("citate alcuni esempi tratti dalla vostra esperienza personale") vengono da letture fatte da altri, lui che ha ancora nelle orecchie le urla provocate imponendo la lettura del prossimo romanzo:

"Cosa? Quattrocento pagine, in quindici giorni! Ma non ce la faremo mai, prof!"

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Bisogna leggere, bisogna leggere...

E se invece di esigere la lettura il professore decidesse improvvisamente di condividere il suo personale piacere di leggere?

Il piacere di leggere? Che roba è questa, il piacere di leggere?

Domande che infatti presuppongono un gran bell'esame di coscienza!

E per cominciare l'ammissíone di una verità che si oppone radicalmente al dogma: la maggior parte delle letture che ci hanno modellati non le abbiamo fatte per, ma contro. Abbiamo letto (e leggiamo) per proteggere, per rifiutare o per opporci. Se questo ci dà un'aria da fuggiaschi, se la realtà dispera di raggiungerci oltre l'"incantesimo" della nostra lettura, siamo però dei fuggiaschi impegnati a costruirci, degli evasi intenti a nascere.

Ogni lettura è un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze. Tutte:

"Sociali."

"Professionali."

"Psicologiche."

"Affettive."

"Climatiche."

"Familiari."

"Domestiche."

"Gregarie."

"Patologiche."

"Pecuniarie."

"Ideologíche."

"Culturali."

"O narcisistiche."

Una lettura ben fatta salva da tutto, compreso da se stessi.

E, soprattutto, leggiamo contro la morte.

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Difficile insegnare le Belle Lettere, quando la lettura impone a tal punto l'isolamento e il silenzio!

La lettura, atto di comunicazione? Ecco un'altra simpatica frottola da commentatori! Quel che noi leggiamo, lo taciamo. Il piacere del libro letto lo teniamo spesso gelosamente segreto. Sia perché non vi vediamo materia di conversazione, sia perché prima di poterne dire una parola dobbiamo lasciar fare al tempo la sua splendida opera di distillazione. Questo silenzio è il garante della nostra intimità. Il libro l'abbiamo letto, ma noi ci siamo ancora dentro. La sua semplice evocazione offre un rifugio ai nostri no. Il libro ci mette al riparo dal Grande Esterno, ci offre un osservatorio, posto molto al di sopra dei paesaggi contingenti. Abbiamo letto e taciamo. Taciamo perché abbiamo letto. Pensate un po' come sarebbe bello vedere qualcuno aspettarci al varco della nostra lettura per domandarci: "E allooora? È bello? Hai capito? A rapporto!"

A volte è l'umiltà a esigere da noi il silenzio. Non la gloriosa umiltà degli analisti di professione, ma l'intima, solitaria, quasi dolorosa consapevolezza che questa lettura, questo autore ci hanno, come si usa dire, "cambiato la vita"!

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Quel professore non inculcava un sapere, regalava quel che sapeva. Non era tanto un professore quanto un maestro trobadorico - uno di quei giullari delle parole che popolavano le locande del cammino di Compostela recitando le canzoni di gesta ai pellegrini illetterati.

Siccome ci vuole un inizio a tutto, raccoglieva ogni anno il suo piccolo gregge alle origini orali del romanzo. La sua voce, come quella dei trovatori, si rivolgeva a un pubblico che non sapeva leggere. Apriva occhi, illuminava menti, invitava i suoi sulla strada dei libri, pellegrinaggio senza fine né certezza, cammino dell'uomo verso l'uomo.

"La cosa più importante era il fatto che ci leggesse tutto ad alta voce! La fiducia che riponeva di primo acchito nel nostro desiderio di capire... L'uomo che legge ad alta voce ci eleva all'altezza del libro. veramente da leggere!"

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49


Sì, ma a quale dei miei impegni rubare quest'ora di lettura quotidiana? Agli amici? Alla tivù? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti?

Dove trovare il tempo per leggere?

Grave problema.

Che non esiste.

Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. Poiché, a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. Né i piccoli, né gli adolescenti, né i grandi. La vita è un perenne ostacolo alla lettura.

"Leggere? Vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa, non ho più tempo..."

"Come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!"

E perché questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tempo per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita, no?

Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.)

Rubato a cosa?

Diciamo, al dovere di vivere.

È forse questa la ragione per cui la metropolitana - assennato simbolo del suddetto dovere - finisce per essere la più grande biblioteca del mondo.

Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.

Se dovessimo considerare l'amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?

Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.

La lettura non ha niente a che fare con l'organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l'amore, un modo di essere.

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Pochi oggetti risvegliano quanto il libro il sentimento di assoluta proprietà. Caduti nelle nostre mani, i libri diventano i nostri schiavi - schiavi, si, perché di materia vivente, ma che nessuno si sognerebbe di affrancare, perché fatti di fogli morti. Come tali subiscono i peggiori maltrattamenti, frutto dei più folli amori o di tremendi furori. Eccoti le orecchie alle pagine (oh! che ferita, ogni volta, la vista della pagina con l'angolo piegato! "Ma è per sapere dove sono arrivato!"), eccoti la tazza del caffè sulla copertina, quelle aureole, quei rilievi di pane e burro, quelle macchie di olio solare... eccoti un po' dovunque l'impronta del pollice che riempie la pipa mentre leggo... eccoti la Pléiade che asciuga miserrima sul termosifone dopo essere caduta nella vasca dove facevi il bagno ("il tuo bagno, cara, ma il mio Swift!")... e quei margini scarabocchiati di commenti fortunatamente illeggibili, quei paragrafi aureolati da pennarelli fluorescenti... quel libro definitivamente invalido dopo essere rimasto un'intera settimana aperto sul taglio, quell'altro sedicentemente protetto da un'orrenda copertina di plastica trasparente dai riflessi color petrolio... quel letto coperto da una banchisa di libri sparpagliati come uccelli morti... quella pila di tascabili lasciati alla muffa del solaio... quei poveri libri per l'infanzia che nessuno legge più, esiliati in una casa di campagna dove nessuno più va... e tutti gli altri, sul lungosenna, svenduti ai mercanti di schiavi...

Di tutto, ai libri facciamo subire di tutto. Ma solo il modo in cui gli altri li maltrattano ci ferisce...

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Questo per quanto riguarda il "libro".

Passiamo al lettore.

Perché, ancor più istruttivo del nostro modo di trattare i libri, c'è il nostro modo di leggerli.

In fatto di lettura, noi "lettori" ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermíamo di voler iniziare alla lettura.

      1) Il diritto di non leggere.
      2) Il diritto di saltare le pagine.
      3) Il diritto di non finire un libro.
      4) Il diritto di rileggere.
      5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
      6) Il diritto al bovarismo.
      7) Il diritto di leggere ovunque.
      8) Il diritto di spizzicare.
      9) Il diritto di leggere a voce alta.
     10) Il diritto di tacere.

Mi fermerò arbitrariamente al numero 10, in primo luogo perché fa cifra tonda e poi perché è il numero sacro dei famosi Comandamenti ed è bello, per una volta, vederlo servire a una lista di autorizzazioni.

Poiché se vogliamo che mio figlio, mia figlia, i giovani leggano è tempo di concedere loro i diritti che accordiamo a noi stessi.

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Il diritto di tacere


L'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una fitta rete di connivenza tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenza che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.

I rari adulti che mi hanno dato da leggere hanno sempre ceduto il passo ai libri e si sono ben guardati dal chiedermi che cosa avessi capito. A loro, naturalmente, parlavo delle mie letture. Vivi o morti che siano, a loro dedico queste pagine.

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