Copertina
Autore Georges Perec
Titolo Il Condottiero
EdizioneVoland, Roma, 2012, intrecci 93 , pag. 172, cop.fle., dim. 14,3x20,5x1,2 cm , Isbn 978-88-6243-126-2
OriginaleLe Condottière
EdizioneSeuil, Paris, 2012
PrefazioneClaude Burgelin, Ernesto Ferrero
TraduttoreErnesto Ferrero
LettoreRenato di Stefano, 2013
Classe narrativa francese
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Indice


Il Condottiero
di Georges Perec                                      9


Postfazione
di Claude Burgelin                                  139

Un figlio, molti padri e un amico italiano
di Ernesto Ferrero                                  159


 

 

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Pagina 11

Madera era pesante. L'ho preso per le ascelle, ho disceso rinculando le scale che portavano al laboratorio. I piedi gli saltavano da un gradino all'altro, e i sobbalzi a scatti, che accompagnavano il ritmo irregolare della discesa, risuonavano seccamente sotto la volta stretta. Le nostre ombre danzavano sui muri. Il sangue colava ancora, vischioso, trasudava dall'asciugamano di spugna che se n'era impregnato, scivolava in colate rapide sui revers di seta, si perdeva nelle pieghe della giacca, fili appiccicosi, d'una brillantezza appena accennata, rallentati da ogni minima rugosità della stoffa, che di quando in quando stillavano sino al suolo, dove le gocce esplodevano in chiazze stellate. L'ho depositato in fondo alla scala, proprio vicino alla porta del laboratorio, e sono risalito a prendere il rasoio e ad asciugare le macchie di sangue prima del ritorno di Otto. Ma Otto è rientrato quasi nello stesso momento, dall'altra porta. Mi ha guardato senza capire. Ho battuto in ritirata, sono corso per le scale, mi sono chiuso nel laboratorio. Ho messo il catenaccio alla porta, e l'ho rinforzata con l'armadio. Lui è sceso qualche minuto dopo, ha cercato di forzare la porta che ha resistito, è risalito trascinando Madera. Ho rinforzato ancora la porta con il bancone. È tornato poco più tardi. Mi ha chiamato. Ha tirato due colpi di revolver nella porta.

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Pagina 22

Tu. Tu, il più gran falsario del mondo. Tu, il gran funambolo della tavolozza. Lo trovi strano. Lo trovi spassoso stare lì ad aspettare. Ne hai abbastanza, ne hai le tasche piene. Non ne puoi più. E domani? E dopodomani? E dopo-dopodomani? Non si costruisce il mondo con le microfotografie. Non si conquista il mondo con le luci radenti. Non si dimostra il mondo su una tela restaurata. Hai giocato e hai perso. E allora?

Coscienza infelice. Prima menzione onorevole: Winckler, Gaspard, per la sua splendida interpretazione della morte del cigno. In toga e peplo, la fronte cinta d'alloro, scalerai brontolando i quattro gradini della pedana...

Fissa un punto morto sul muro. Domani, domani forse. Domani, l'alba o la morte. O magari la vita. O tutti e due, o nessuno dei due, un intermezzo, uno status quo. Venite a trovarmi in purgatorio, dall'altro lato della no man's land...

Cercare. Cercare di sicuro. Cercare la luce, il giorno, l'altro lato. L'altro versante... L'esito sempre fatale dei gesti ripetuti, il dosaggio sapiente e appropriato dei colori, la stessa trappola ancora una volta tesa al di là di un'ambizione smodata? Arrivare al capolavoro. L'ambizione di Tintoretto e Tiziano, risuscitata, risorta dalle ceneri. Ambizione monumentale? Monumentale errore. Antonellus Messaneus me pinxit. Né lo sguardo, né la fermezza, né la sicurezza. Un Condottiero in miniatura. Un reuccio tremebondo, un gaglioffo pallido e glabro, scialbo e meschino. Un Condottiero che avrebbe sbagliato indirizzo, povero attore di terza categoria che non avrebbe avuto il tempo di imparare la parte. E lui? Lui, in tutto questo, lui, il grande, l'unico, il principe dei falsari e il falsario dei principi, l'uomo di fiuto infallibile e vista acuta, voce biliosa e mano fatata. Lui, che s'immaginava d'attingere alle sorgenti più pure e tirar fuori dal suo cavalletto ultramoderno la quintessenza suprema dell'arte italiana, l'indiscutibile apogeo del Rinascimento! Lui signore del mondo? Mastro Gaspard Winckler! Come si fa a non mettersi a ridere? El Señor Gaspard Winckleropoulos detto El Greco. Il mondo intero nella mano destra. La pinacoteca ambulante!

Guarda te, hai ucciso un uomo. Hai commesso un delitto. Credi che sia una cosa facile. Eh be' no. Pensi proprio che abbia un senso commettere un delitto? Eh be' no. Pensi che sia facile dipingere un Condottiero. Eh be' no. Non c'è niente di facile. Di immediato. Tutto è falso. Non potevi che sbagliarti. Non potevi che finire così. Condannato dalle tue stesse trappole, condannato dalla tua stupidità, dalle tue menzogne...

Nel tempo e nello spazio, il mio futuro s'è iscritto all'improvviso. Sono questi pochi metri da superare. Queste poche ore da far passare. Sta tutto qui dentro. Tutto arriva qui, si ferma qui. È il limite, la soglia. Bisogna superarla e tutto ridiventa possibile. Nel momento stesso in cui supererò il muro di questa stanza, tutto forse ricomincerà ad avere un senso: passato, presente, avvenire. Ma prima bisogna, uno per uno, espletare migliaia e migliaia di gesti insignificanti. Alzare e abbassare il braccio. Fino a far tremare la terra. Fino a far esplodere il muro e risplendere la notte, e accendere le stelle. È semplice. La cosa più semplice del mondo. Alzare il braccio, il braccio alzato, come -

Tentare, con uno sforzo solo, un identico sforzo, di mettere insieme tutte le energie e metterti a vivere, fare quel gesto primario, essere altro dall'uomo disteso su un letto che simula di riposare nella propria tomba, l'uomo che tu guardi come se fosse un altro. Perché è così facile? Perché è così difficile? Non ti muovi? A che cosa serve una coscienza? Hai ucciso un uomo. È grave. Molto. Poco da fare. Madera non ti aveva fatto niente. Perché hai ucciso Madera? Nessun movente. Era vivo e grasso, soffiava come una foca, era brutto, era pesante, girava per il laboratorio, pericolosamente, dietro di te, senza dire nulla, senza guardarti; girava intorno al cavalletto, le mani dietro la schiena, la bocca socchiusa, asmatico e sibilante. Usciva, sbatteva la porta, e i suoi passi risuonavano ancora per le scale, sotto la volta, ancora a lungo, dopo, nelle tue orecchie, quando ricominciavi a dipingere, le mani un po' tremanti, fuori di te, senza sapere perché, quasi sconvolto dalla sua sola presenza, quella massa di grasso ansimante che gironzolava per qualche secondo e spariva, e tornava ancora, diffidente e ostile, lasciandoti sconcertato come uno scolaro colto in fallo, in flagrante delitto, troppo sprofondato nella poltrona, il pennello che ti tremava in mano, l'aria sognatrice, di fronte al sempiterno volto incompiuto, malefico e aggressivo anche lui, quasi il simbolo più evidente di tutta l'avventura. Era per quello che Madera era morto? Era anche per quello che lo avevi ucciso?

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Pagina 29

Conosceva male il mondo. Soltanto dei fantasmi potevano nascere dalle sue dita. Quello era forse il suo limite. Tecniche millenarie che non servivano a niente, rimandavano soltanto a sé stesse. Dita magiche. Tra l'abilità di un orafo romano, la scienza d'un pittore del Rinascimento, il tocco del pennello d'un impressionista, e la capacità pazientemente acquisita di sapere quali materiali utilizzare, quale preparazione effettuare, quale scioltezza acquisire, il rapporto era soltanto tecnico. Le sue dita lo sapevano. Il suo sguardo coglieva l'opera, ne determinava il movimento essenziale, ne dissezionava ogni minimo elemento, lo traduceva, per lui, nel linguaggio assimilato d'un collante più o meno fluido, d'un vettore, d'un supporto da scegliere. Funzionava come una macchina ben oliata. Sapeva cambiare. Sapeva comporre un impasto. Aveva letto da Vinci e Vasari, e Ziloty, e il Libro dell'Arte; conosceva le leggi del Numero Aureo; sapeva che cosa significava - e come si raggiungeva - l'equilibrio, la coerenza interna d'un quadro. Sapeva quali pennelli utilizzare, quali oli, quali colori. Conosceva tutti gli strati, i supporti, gli additivi, gli smalti. E poi? Era un bravo artigiano. Da tre quadri di Vermeer, Van Meegeren ne creava un quarto. Dossena faceva lo stesso con le sculture; come anche Joni Icilio e Jérôme. Ma non era quello che lui aveva cercato. Dagli Antonello di Anversa, Londra, Venezia, Monaco, Vienna, Parigi, Padova, Francoforte, Bergamo, Genova, Milano, Napoli, Dresda, Firenze, Berlino sarebbe potuto nascere, con ammirevole evidenza, un nuovo Condottiero sottratto all'oblio dalla scoperta miracolosa che un giorno avrebbero fatto, in un monastero o in un castello abbandonato, Rufus, Nicolas, Madera o qualcun'altra delle loro comparse. Ma non era quello che lui voleva, vero?

In quale illusione s'era cullato? Quella di potere un giorno, al termine d'una carriera inappuntabile, riuscire in ciò che nessun falsario prima di lui aveva mai osato tentare: la creazione autentica d'un capolavoro del passato, la riscoperta immediata e percepibile, dopo dodici anni di lavoro accanito, al di là delle tecniche segrete, al di là dei trucchi di fabbrica, al di là della conoscenza assolutamente ovvia del gesso duro e del camaïeu, di quella esplosione trionfale, di quella perpetua reinvenzione, di quel dominio in divenire che fu il Rinascimento. Perché aveva cercato proprio quello? Perché aveva fallito?

Restava la sensazione di un'impresa assurda. Restava l'amarezza della sconfitta; restava un cadavere. Una vita distrutta, all'improvviso, dai fantasmi dei ricordi. Restava una vita raffazzonata, un'incomprensione senza riscatto, un vuoto, un richiamo disperato... Adesso sei solo a marcire nella tua cantina. Hai freddo. Non capisci più. Non sai più che cosa è capitato. Sei tu che sei vivo, qui, in questo stesso posto, tu dopo dodici anni di una vita che non assomigliava a niente, che non portava nulla con sé. Ogni mese, ogni anno defecavi il tuo piccolo carico di capolavori. E poi? E poi niente... E poi Madera è morto...

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Pagina 45

Dodici anni. Dodici per trecentosessantacinque giorni. Dodici anni nel corso dei quali aveva preparato, immaginato, elaborato, eseguito da solo, lui solo, chiuso in uno scantinato, in un granaio, in una camera blindata, in laboratori deserti, case vuote, hangar, grotte, gallerie abbandonate di miniere, centoventi o centotrenta quadri falsi. Un intero museo. Da Giotto a Modigliani. Dal Beato Angelico a Braque. Un museo senz'anima e senza viscere...

Gaspard falsario. Gaspard Theotokopoulos detto El Greco. Gaspard di Messina. Gaspard Solario, Gaspard Bellini, Gaspard Ghirlandaio. Gaspard di Goya y Lucientes. Gaspard Botticelli. Gaspard Chardin. Gaspard Cranach il Vecchio. Gaspard Holbein, Gaspard Memling, Gaspard Metsys. Gaspard il Maestro di Flemalle. Gaspard Vivarini, Gaspard Anonimo di scuola francese, Gaspard Corot, Gaspard Van Gogh. Gaspard Raffaello Sanzio. Gaspard di Toulouse-Lautrec. Gaspard di Puccio detto Pisanello...

Gaspard falsario. L'orafo-schiavo. Gaspard falsario. Perché falsario? Come falsario? Da quando falsario? Non era sempre stato falsario...

Calma piatta. Giorni in fila. E poi quelle ore che cominciavano a contare, e pesare con tutto il loro peso. E poi quei fatti, quegli avvenimenti, quell'avventura, quella storia, quel destino, quella caricatura di destino. Un gesto inutile o un passo in avanti? Al di là del caos, la morte di Madera era forse, nella sua indicibile spontaneità, il primo gesto del demiurgo.

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Pagina 48

Gaspard Winckler, ex allievo della Scuola del Louvre, diploma dell'Istituto di restauro Rockefeller presso il Metropolitan Museum di New York, consulente tecnico onorario del Museo Municipale di Belle Arti di Ginevra, restauratore della Galleria Koenig, Ginevra. E poi? Falsario notorio quando gli gira. Falsario più spesso del dovuto. E poi? Era nato, era cresciuto, era diventato falsario. Come si può essere un falsario? È lei il falsario... Perché diventare falsario? Aveva bisogno di soldi? No. Aveva subìto ricatti? Poca roba. Gli piaceva? Finiamola lì.

Talmente difficile da spiegare. All'inizio, poteva immaginarsi qualcosa d'altro? Camminava per le vie di Berna. C'era la guerra. Aveva diciassette anni. Pigro e ricco. E spuntava Jérôme. Il fascino del mistero. L'avventura. Una specie di Arsenio Lupin bonario e scaltro. In quell'eterna vacanza, circondato da vecchie dame inglesi ricchissime, albergatori furbastri, diplomatici in pensione, in quel paesaggio da cartolina - vette innevate, cioccolati prelibati, sigarette di lusso - che cosa ci poteva essere di meglio di quel pittore infallibile? Dipingo anch'io ma è fantastico giovanotto. E poi? Di colpo l'acuta consapevolezza di non aver mai saputo nulla, di non aver mai capito che cosa significava dipingere, di limitarsi a sfruttare con leggerezza, per ingannare la noia, una mano felice per il disegno, e la certezza di poter imparare e sapere, un giorno. S'era lanciato a corpo morto nello studio e nella ricerca, sotto la direzione ferma e paziente di Jérôme. E poi? E poi copiare, pasticciare, copiare, imitare, riprodurre, ricalcare, sezionare, cinque, dieci, venti, cento volte ogni minimo dettaglio del Banchiere e sua moglie di Metsys: lo specchio, il libro, le monete, le bilance, la scatola, i tocchi, i volti, le mani. E poi...

Troppo bello, troppo facile. A che punto s'inceppa, l'ingranaggio? A che punto si sfascia, la tua storia? Così tanto, tanto irresponsabile... A diciassette anni, certo. Ma a venticinque, a ventisette, a trenta, a trentatré? Non poteva prenderne coscienza? A che cosa serve la coscienza? Che vuoi dire coscienza? Un parola. Una parola come le altre. Coscienza di che? Le mura della prigione si richiudevano a gran velocità. Niente da aggiungere. Un falso. Un altro. Gaspard falsario...

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Pagina 57

Passerà un'ora. E fra un'ora? Gaspard Winckler, lei è libero. Una sensazione che non avrà mai conosciuto, qualcosa che non assomiglierà a niente... Si perderà nella sua libertà. Ci annegherà. Camminerà per le vie. Diventerà un vagabondo. Non capirà più niente di niente...

A cosa assomigli, conciato così? Alzi il braccio, lo abbassi, sposti verso di te un po' di terra, un po' di fango, spingi un po' l'asse, scivoli, ti attorcigli, come un'anguilla nella melma. Un serpente nell'erba. A cosa assomigli, mezzo nudo, con quella specie di paletta da pasticciere in mano, intento a giocare alle formine come un bambino sulla spiaggia. Posizione scomoda. Fa caldo. Devi essere parecchio sporco. Cosa vuol dire una giornata difficile! Ti ricordi di Jérôme? Ti ricordi di Rufus? Ti ricordi di Madera? Ti ricordi di Geneviève? Di Mila? Di Nicolas? Ti ricordi di Spalato, di Ginevra, di Parigi? Ti ricordi del Giottino, di Memling, di Cranach, di Botticelli, d'Antonello? Ti ricordi dei Re Magi, delle Vergini con il Bambino, dei Cristo trionfanti, delle Resurrezioni, dei Committenti, dei Principi e delle Principesse, dei Folli e dei Séguiti, dei Borghesi di Brema, dei Cavalieri del Sepolcro, dei Déjeuners sur l'herbe, dei Ponti di Blois, delle tre Pesche sul tavolo, delle Barche a Saint-Omer? Ti ricordi i cofanetti massonici, i totem, i legni scolpiti dell'Alto Volta, i tre pence bistro della Jamaica, i sesterzi di Diocleziano? Ti ricordi di Gstaad e di Altenberg? Ti ricordi della tua vita?

Le mani e lo sguardo. Non importa cosa, né chi, né quando. Tutto quello era lui. Tutto quello e niente più. Gaspard falsario. Specialità italiane. Una moltitudine morta, depredata, tradita. Svaligiata. Gaspard falsario. Venite a vedere la pinacoteca mondiale. Ammirate. L'uomo per il quale l'arte non ha segreti. L'unico che abbia saputo copiare il sorriso della Gioconda, l'unico che abbia decifrato i segreti degli Inca, l'unico che abbia ricuperato i procedimenti perduti degli Aurignaziani. Venite a vedere la storia dell'arte in un unico volume. Gaspard falsario. Gaspard Winckler. Supporti e veicoli d'epoca. Lavori a forfait...

Il seguito si perdeva in uno scoppio di riso. Falsario. Falsa aria. Brutti tempi. Il tempo si sta guastando. Falsario di falsario. Necrofago...

Una risposta? Una certezza? Un'evidenza? No. Non ancora. Non ancora un fatto accettabile. Proprio per niente un fatto compiuto. Come se, a lungo prigioniero di una cella sotterranea, lontano dalla luce e dalla vita - gli scantinati di Spalato e di Sarajevo, il laboratorio di Dampierre - avesse preparato da gran tempo, mesi, anni, secoli, la sua evasione, un sotterraneo, un budello di terra, e il minuto successivo non fosse che il lungo dispiegarsi del corpo nell'argilla umida, sudiciume, fatica, scoraggiamento, ostinazione, crampi. Poi un respiro rauco. La disperazione. Ore e ore forse. E poi il cedimento d'uno strato di terra, l'apparizione del cielo, dell'erba, del vento, della notte...

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Pagina 81

Risorgeva dalle ceneri, il volto cancellato, sfigurato, un uomo distrutto e non più il conquistador, insensato e delirante all'incrocio dei proiettori, il Condottiero. Non più lo sguardo brillante, la cicatrice luminosa, ma la durezza angosciante d'una signoria contraffatta. Non più uomo. Tiranno...


Che cosa cercavi? Che cosa volevi? Strappare ai secoli la tua immagine? Arrivare proprio tu, dopo aver accumulato esperienze tecniche per dodici anni, all'autentica creazione di un capolavoro? Non sapevi che era impossibile e non aveva senso? Cosa importa. Ti aggrappavi a questa ambizione ridicola. Essere tu, essere infine l'uomo che mette ordine in sé stesso e nel mondo, in uno slancio irrefutabile, con un solo movimento unitario. Come un tempo Holbein o Memling, Cranach o Chardin, Antonello o Leonardo, ognuno muovendo da un'esperienza insieme identica e diversificata, partecipi d'uno stesso procedimento, lanciati oltre le loro stesse creazioni per raggiungere la coerenza, la necessità ritrovata. E poi? Affascinato da quello sguardo che non era il tuo, che mai avrebbe potuto esserlo... Per dipingere il Condottiero, bisogna saper guardare nella sua stessa direzione... Tu cercavi la vittoria immediata, i segni distintivi dell'onnipotenza, il trionfo. Tu inseguivi quello sguardo splendente come una spada e dimenticavi che un uomo, prima di te, l'aveva trovato, ne aveva reso testimonianza, spiegandolo perché ne andava oltre, superandolo perché lo spiegava. Con un identico movimento. Pittura trionfale o pittura del trionfo?

Ti lasciavi possedere da quel ceffo di sbirro, quell'ammirevole testa di stronzo, quella sensazionale faccia di delinquente. Ma avresti dovuto risuscitare, nella loro forza e semplicità, i rapporti - peraltro singolarmente semplificati - che il personaggio, non troppo lontano dalla voracità d'un barbaro rifatto, si permetteva il lusso d'avere con il mondo. Potevi mai capirlo? Potevi mai capire che questo capitano dei mercenari avesse l'idea di farsi fare il ritratto da uno dei più grandi pittori del suo tempo? Potevi sospettare che al posto di una gorgiera sbrindellata - la giubba sbottonata, i lacci alla diavola - fosse rivestito d'una tunica ammirevolmente anonima, senz'altro ornamento che un bottone di madreperla appena visibile? Potevi capire l'assenza di collane, medaglie, pellicce, il collo che spunta appena, la tunica senza una sola piega, lo straordinario rigore del tocco? Capivi che quell'asciuttezza, la quasi impossibile sobrietà della tenuta, comportavano la diretta conseguenza di lasciare soltanto al viso la cura di definire il Condottiero? Era proprio di quello che si trattava. Gli occhi, la bocca, la piccola cicatrice, il contrarsi dei muscoli della mascella bastavano da soli a esprimere perfettamente, senza la minima ambiguità, la posizione sociale, la storia, i principi e i metodi del personaggio...

Non ti aveva aiutato nessuno. Eri di fronte a quel viso luminoso e chiaro, a quel solo viso. A te, il più grande falsario del mondo, toccava reinventarlo. Senza imbrogli e senza furberie. Dovevi arrivare a quella stessa essenzialità dell'abbigliamento, alla stessa chiarità del viso. C'era di che aver paura. L'equilibrio o la logica interna del quadro problemi non ne ponevano. Nemmeno la tecnica, nemmeno quell'immensa rottura di scatole che è il gesso duro. Ma lo sguardo, le labbra, i muscoli? Il colore del viso? Quella serenità? Quel tranquillo senso di trionfo, quella forza non minacciosa? Quella sola presenza? Bisognava inventare. Inventare a partire da cosa?

Il mondo intero stava a guardare i tuoi sforzi? Riuscire. Riuscire in che? L'inevitabile trascorrere dei secoli. Il salto che nessuno ha mai osato fare, il passo che nessuno aveva mai osato superare. Ambizione monumentale. Monumentale errore. Un'immensa opera di ricupero. Cercare di concentrare in quel volto l'essenza della tua vita. La conclusione armoniosa. La conclusione dovuta. L'universo del possibile finalmente disponibile, al di là delle maschere, al di là del gioco. L'ambizione di scoprire un volto che emerge lentamente dal quadro, la sua forza, le sue certezze, la sua potenza. Il suo ruolo. Volevi combattere a viso aperto? Però avevi truccato le carte, non lo sapevi? Cercavi la vittoria e non accettavi lo scontro... Chi eri tu per ambire a un trionfo del genere?

Accumulavi le riproduzioni, le microfotografie, le radiografie. La Crocifissione d'Anversa. Il San Gerolamo di Londra. La testa d'uomo di Vienna. La testa d'uomo di Genova, la Vergine dell'Annunciazione di Monaco. La testa d'uomo detta l'Umanista o il Poeta, di Firenze. La testa di giovane uomo di Berlino. La testa di vecchio di Milano. La testa d'uomo con berretto rosso della collezione Baring di Londra. Ti giravano per la testa, travagliavano i tuoi sonni, accompagnavano il tuo periplo. Ma al termine del percorso non trovavi niente... Potevi forse dar vita a un fantasma?

Tu non sapevi, e ancora non sai. Cercavi di riappropriarti della tua scienza, ma qualcosa - in te, davanti a te, dietro di te - ti impediva d'andare avanti. Eri solo nel laboratorio di Dampierre. Nessun Van Eyck era là per indicarti la strada...

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