Copertina
Autore Georges Perec
Titolo Ellis Island
SottotitoloStorie di erranza e di speranza
EdizioneArchinto, Milano, 1996, Gli aquiloni
OriginaleEllis Island [1995]
TraduttoreMaria Sebregondi
LettoreRenato di Stefano, 1997
Classe narrativa francese , storia , citta': New York
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Pagina 9

I
L'isola delle lacrime


A partire dalla prima metà del xix secolo, una speranza formidabile scuote l'Europa. Per tutti i popoli schiacciati, soffocati, oppressi , asserviti, massacrati, per tutte le classi sfruttate, affamate, devastate dalle epidemie, decimate da anni di carestia e di miseria, incominciò a esistere una terra promessa: l'America, una terra vergine aperta a tutti, una terra libera e generosa dove i dannati del vecchio continente sarebbero potuti diventare i pionieri di un nuovo mondo, i costruttori di una società senza ingiustizia e senza pregiudizi. Per i contadini irlandesi i cui raccolti erano stati devastati, per i liberali tedeschi braccati dal 1848, per i nazionalisti polacchi schiacciati nel 1830, per gli armeni, per i greci, per i turchi, per tutti gli ebrei russi e austroungarici, per gli italiani del sud che morivano a centinaia di migliaia di colera e miseria, l'America divenne il simbolo della nuova vita, dell'occasione finalmente arrivata, e a decine di milioni, a famiglie intere, a interi paesi, da Amburgo o da Brema, da le Havre, da Napoli o da Liverpool, gli immigranti s'imbarcarono per questo viaggio senza ritorno.

Per diverse decine d'anni, l'ultima tappa di questo esodo senza precedenti nella storia dell'umanità fu, al termine di una traversata il più delle volte effettuata in condizioni spaventose, un isolotto chiamato Ellis Island, dove i servizi dell'Ufficio federale Immigrazione avevano installato il loro centro di accoglienza. Cosi, su questo stretto banco di sabbia alla foce dell'Hudson, a qualche gomena dalla statua della Libertà, allora appena collocata, si sono radunati per un certo periodo di tempo tutti quelli che, da allora, hanno fatto la nazione americana.

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II
Descrizione di un cammino



cinque milioni di emigranti provenienti
dall'Italia

quattro milioni di emigranti provenienti
dall'Irlanda

un milione di emigranti provenienti
dalla Svezia

sei milioni di emigranti provenienti
dalla Germania

tre milioni di emigranti provenienti
dall'Austria e dall'Ungheria

tre milioni e cinquecentomila emigranti
provenienti dalla Russia e dall'Ucraina

cinque milioni di emigranti provenienti
dalla Gran Bretagna

ottocentomila emigranti provenienti
dalla Norvegia

seicentomila emigranti provenienti
dalla Grecia

quattrocentomila emigranti provenienti
dalla Turchia

quattrocentomila emigranti provenienti
dalla Paesi Bassi

seicentomila emigranti provenienti
dalla Francia

trecentomila emigranti provenienti
dalla Danimarca

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ma era là,
a qualche bracciata da New York,
vicino alla vita promessa

era la "Golden Door", la Porta d'Oro

era là, vicinissimo, quasi a portata
di mano,
l'America mille volte sognata,
la terra di libertà dove tutti gli uomini
sono uguali,
il paese dove ognuno può avere finalmente
la sua occasione,
il mondo nuovo, il mondo libero
dove una vita nuova può cominciare

ma non era ancora l'America:
soltanto un prolungamento della nave,
un frammento della vecchia Europa
dove niente ancora è acquisito,
dove quelli che sono partiti
non sono ancora arrivati,
dove quelli che hanno lasciato tutto
non hanno ancora ottenuto niente
e dove non si può fare nient'altro che
aspettare,
sperando che tutto vada bene,
che nessuno ti rubi i bagagli
o i soldi,
che tutti i documenti siano in regola,
che i medici non ti trattengano,
che le famiglie non vengano divise,
che qualcuno venga a prenderti

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quel che io, Georges Perec, sono venuto
a interrogare qui,
è l'erranza, la dispersione, la diaspora.
Ellis Island è per me il luogo stesso
dell'esilio,
vale a dire
il luogo dell'assenza di luogo,
il non luogo, il da nessuna parte.
è in questo senso che queste immagini
mi riguardano, mi affascinano,
mi implicano,
come se la ricerca della mia identit…
passasse per l'appropriazione di questo
luogo-discarica dove funzionari sfiancati
battezzavano
americani a palate.
quel che per me si trova qui
non sono affatto segnali, radici o
tracce,
ma il contrario: qualcosa d'informe, al
limite del dicibile,
qualcosa che potrei chiamare reclusione
o scissione, o frattura,
e che è per me molto intimamente
e molto confusamente
legato al fatto stesso di essere ebreo
non so con precisione in che consista
l'essere ebreo
che cosa mi comporti l'essere ebreo

è un'evidenza, se si vuole, ma un'evidenza
mediocre, che non mi ricollega a niente;
non è un segno di appartenenza,
non è legato a una credenza,
a una religione,
a una pratica, a un folklore,
a una lingua;
si tratta piuttosto di un silenzio,
un'assenza,
una domanda, una messa in questione,
un'incertezza, un'inquietudine:

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