Copertina
Autore Arturo Pérez-Reverte
Titolo Il sole di Breda
EdizioneMarco Tropea, Milano, 2002 , pag. 230, dim. 138x205x20 mm , Isbn 978-88-8451-227-7
OriginaleEl sol de Breda [1998]
TraduttoreRoberta Bovaia
Classe narrativa spagnola
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Indice

1. Il colpo di mano                      9
2. L'inverno olandese                   29
3. La rivolta                           54
4. Due veterani                         76
5. La fedele fanteria                   97
6. Lo sgozzamento                      120
7. L'assedio                           138
8. La camiciata                        159
9. Il maestro di campo e la bandiera   181

Epilogo                                201

Nota dell'Editore sulla presenza
del capitano Alatriste
nella Resa di Breda di Diego Velázquez 211

Florilegio di poesia
di vari ingegni della Corte            217
 

 

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Pagina 9

1
Il colpo di mano



Sant'Iddio, come sono umidi i canali olandesi nelle albe autunnali! Da qualche parte, oltre la cortina di nebbia che velava la diga, un sole incerto illuminava appena le sagome che procedevano lungo la strada, verso la città che apriva le porte al mercato della mattina. Quel sole era un astro invisibile, freddo, calvinista ed eretico, indubbiamente indegno del nome che portava: una luce sporca, grigia, nella quale si muovevano carri di buoi, contadini con ceste di ortaggi, donne con il velo bianco in testa che portavano formaggi e orci di latte.

Io camminavo piano nella bruma con le bisacce a tracolla, stringendo i denti per non batterli dal freddo. Diedi un'occhiata al terrapieno della diga, dove la nebbia si confondeva con l'acqua, e non vidi che tronchetti sparsi di giunco, erba e alberi. In effetti, per un istante mi parve di scorgere un riflesso metallico piuttosto opaco, come di morione o di corazza, o anche di spada sguainata; ma fu un attimo, dopo di che ogni cosa venne di nuovo avvolta nel vapore umido che saliva dal canale. Dovette vederlo anche la giovinetta che mi camminava accanto, perché mi rivolse un'occhiata preoccupata da sotto le pieghe del velo che le copriva la testa e il viso, e poi guardò le sentinelle olandesi che, con tanto di pettoraie, elmo e alabarda, si stagliavano già, grigio scuro sopra grigio, sulla porta esterna delle mura, accanto al ponte levatoio.

La città, che in realtà era un paesotto, si chiamava Oudkerk e si trovava alla confluenza del canale Ooster, il fiume Merck e il delta della Mosa, che i fiamminghi chiamano Maas. La sua importanza era più militare che altro, giacché controllava l'accesso al canale attraverso il quale i ribelli eretici mandavano rifornimenti ai compatrioti assediati a Breda, a tre leghe da lì. La difendevano una milizia cittadina e due compagnie regolari, una delle quali inglese. Inoltre, le fortificazioni erano solide e la porta principale, protetta da baluardo, fossato e ponte levatoio, risultava pressoché imprendibile. Proprio per questo quella mattina all'alba io mi trovavo lì.

Immagino che mi abbiate riconosciuto. Mi chiamo Iņigo Balboa, nel periodo di cui sto narrando avevo quattordici anni e mezzo, ma, senza paura di sembrare presuntuoso, posso dire che se veterani si diventa a forza di pugnalate, io ero, malgrado la mia giovane età, un vero esperto. In seguito agli scabrosi avvenimenti che ebbero per scenario la Madrid del nostro re don Filippo IV, dove mi vidi costretto a impugnare la pistola e la spada e addirittura finii a un passo dal rogo, avevo passato gli ultimi dodici mesi al fianco del mio signore, il capitano Alatriste, nell'esercito delle Fiandre. Il vecchio battaglione di Cartagena, dopo aver viaggiato per mare fino a Genova, era risalito a Milano e quindi, lungo la famosa Via Spagnola, aveva raggiunto la zona di guerra con le province ribelli. Lì, il conflitto, tramontata ormai l'epoca dei grandi condottieri, dei grandi assalti e dei grandi bottini, era diventato una specie di partita a scacchi lunga e tediosa, dove le piazzeforti venivano assediate e passavano di mano continuamente, e dove spesso contava meno il coraggio della pazienza.

In tali frangenti mi trovavo io quella mattina nebbiosa, camminando come se nulla fosse verso le sentinelle olandesi e la porta di Oudkerk, accanto alla ragazza che si copriva il volto con un velo, circondato da contadini, oche, buoi e carri. E così proseguii per un bel tratto, anche dopo che uno dei contadini, un tipo forse troppo scuro per quelle latitudini e quella popolazione - lì erano quasi tutti biondi, di carnagione e occhi chiari - mi fu passato accanto borbottando tra i denti, pianissimo, qualcosa che mi parve un'avemaria, affrettando il passo come se dovesse raggiungere più avanti altri quattro compagni, a loro volta insolitamente magri e scuri.

Arrivammo quindi insieme, quasi contemporaneamente, i quattro davanti, il ritardatario, la giovinetta con il velo e io, all'altezza delle sentinelle che stavano sul ponte levatoio e sulla porta. C'erano un caporale grasso dalla carnagione rossiccia avvolto in una cappa nera, e un'altra sentinella dai baffi lunghi e biondi che ricordo perfettamente perché disse qualcosa in fiammingo, di sicuro un complimento, alla ragazza con il velo, e poi esplose in una risata fragorosa. Ma dovette smettere di colpo perché il contadino magro dell'avemaria aveva estratto una daga dal farsetto e lo stava già sgozzando; il sangue gli sgorgò dalla gola aperta con un fiotto così forte che macchiò le mie bisacce proprio mentre io le aprivo e gli altri quattro, nelle cui mani si erano materializzate altrettante daghe alla velocità di un fulmine, afferravano le pistole ben ingrassate che vi erano racchiuse. A quel punto il caporale grasso aprì la bocca per dare l'allarme; ma si limitò appunto a questo, ad aprire la bocca, perché prima che potesse pronunciare una sillaba gli appoggiarono un'altra daga sulla gorgiera del corsaletto, mozzandogli la gola da orecchia a orecchia. E stava ancora cadendo nel fosso che io avevo già mollato le bisacce e, con la mia brava daga tra i denti, mi arrampicavo come uno scoiattolo su per un montante del ponte levatoio, mentre la giovinetta con il velo, che a questo punto si era tolta, rivelandosi invece un ragazzo della mia età di nome Jaime Correas, saliva dall'altro lato per bloccare con cunei di legno l'ingranaggio del ponte e tagliarne le corde e le pulegge, proprio come dovevo fare io.

Allora Oudkerk si svegliò come non aveva mai fatto prima nella sua storia, perché i quattro con la pistola e quello dell'avemaria si riversarono come demoni per il baluardo rifilando coltellate e sparando a qualsiasi cosa si muovesse. E contemporaneamente, non appena io e il mio compagno, bloccato il ponte, fummo scivolati giù lungo le catene, dalla riva della diga salì un clamore roco: il grido di centocinquanta uomini che avevano passato la notte tra la nebbia, nell'acqua fino alla cintura, e che adesso ne uscivano al grido di «San Giacomo! San Giacomo!... Spagna e San Giacomo!», decisi a farsi passare il freddo a forza di fuoco e sangue, che risalivano spada alla mano il terrapieno, correvano sulla diga fino al ponte levatoio e alla porta, prendevano il baluardo, e quindi, fra il terrore degli olandesi che scappavano da una parte all'altra come oche impazzite, entravano nel villaggio facendo strage indisturbati a destra e a manca.


Oggi, i libri di storia parlano dell'assalto di Oudkerk come di un massacro, parlano della furia spagnola di Anversa con la tipica enfasi e affermano che quella mattina all'alba il battaglione di Cartagena si dimostrò particolarmente efferato. In effetti... Io non parlo per sentito dire perché ero lì. E, sì, all'inizio la carneficina fu spietata. Ma lorsignori mi devono spiegare come avremmo fatto, altrimenti, ad attaccare in centocinquanta una piazza fortificata olandese difesa da una guarnigione di settecento uomini. Solo il terrore di un attacco inaspettato e spietato poteva spezzare in un batter d'occhi la spina dorsale degli eretici, e questo fu l'obiettivo che perseguirono i nostri soldati con il rigore professionale dei vecchi battaglioni. Gli ordini del maestro di campo don Pedro de la Daga erano di uccidere molto e bene all'inizio, per spaventare i difensori e costringerli a una resa immediata, e di non mettersi a saccheggiare fino a quando la conquista non fosse sicura. Così vi risparmio i dettagli. Dirò semplicemente che ovunque volavano colpi di archibugi, grida e stoccate e che, di quanti si imbatterono nei nostri uomini nel primo assalto, nessun olandese di sesso maschile oltre i quindici o diciassette anni, che combattesse, fuggisse o si arrendesse, rimase vivo per raccontarlo.

Il maestro di campo aveva ragione. Il panico nemico fu il nostro principale alleato e non subimmo molte perdite. Dieci o dodici uomini, al massimo, tra morti e feriti. Vale a dire, accidenti, ben poca cosa se si tiene conto delle centinaia di eretici che il paese seppellì il giorno dopo e del fatto che Oudkerk cadde perfettamente nelle nostre mani. La resistenza principale venne dal palazzo del Municipio, dove una ventina di inglesi riuscì a raccogliersi con un certo ordine. Agli inglesi, che si erano alleati ai ribelli quando il nostro signore re aveva negato al loro principe di Galles la mano della infanta Maria, nessuno aveva ordinato di venire a ficcare il naso in affari che non li riguardavano; e così quando i primi spagnoli arrivarono nella piazza del paese, con le daghe, le picche e le spade grondanti di sangue, e si videro accogliere da una scarica di moschetteria dal balcone del Municipio, la presero molto male. Perciò raccolsero polvere da sparo, stoppa e catrame e diedero fuoco all'edificio con i venti inglesi dentro, per poi sparargli o trapassarli con le spade mano a mano che uscivano, sempre che lo facessero.

Poi cominciò il saccheggio. Secondo la vecchia usanza militare, nelle città che non stipulavano la resa o che venivano prese d'assalto, i vincitori potevano mettere al sacco, perché con la prospettiva del bottino ogni soldato valeva per dieci e faceva per cento. E siccome Oudkerk non si era arresa - il governatore -, eretico venne ucciso quasi subito da un colpo di pistola; quanto al borgomastro, lo stavano impiccando proprio in quel momento sulla porta di casa sua - e inoltre il paese era stato preso, parliamoci chiaro, con grande valore, non ci fu bisogno di nessun ordine esplicito perché noi spagnoli entrassimo nelle case più promettenti, ovvero tutte, e arraffassimo tutto quello che ci pareva. La cosa diede luogo, capirete, a scene penose; perché i borghesi delle Fiandre, come quelli di tutto il mondo, solitamente sono restii a farsi spogliare dei propri beni, e molti dovettero essere convinti a punta di spada. Di modo che, in breve, le strade si riempirono di soldati che andavano e venivano carichi degli oggetti più variopinti, tra il fumo degli incendi, tendaggi calpestati, mobili fatti a pezzi, cadaveri, molti scalzi o nudi, e le pozzanghere scure del sangue sul selciato. Sangue su cui scivolavano i soldati e che veniva leccato dai cani. Questo per dare a lorsignori la possibilità di farsi un quadro.

Non ci furono casi di violenza sulle donne, almeno non di violenza tollerata. E neppure di ubriachezza nella truppa; due cose che spesso sogliono andare a braccetto, persino nei soldati più disciplinati. Gli ordini in tal senso erano stati taglienti come il filo delle toledane, perché il nostro generale in capo, don Ambrogio Spinola, non voleva inimicarsi ulteriormente gli uomini del posto che, riteneva, ne avevano avute già abbastanza con il massacro e il saccheggio per dover sopportare di vedersi anche stuprare le legittime consorti. Così alla vigilia dell'attacco, per mettere le cose ben in chiaro e perché vale più un avvertimento di tanti rimpianti, aveva impiccato due o tre soldati colpevoli e propensi ai crimini di sottana: nessuna bandiera o compagnia è perfetta e persino tra i seguaci di Cristo, reclutati da Lui in persona, c'è stato chi l'ha venduto, chi l'ha rinnegato e chi non gli ha creduto. Fatto sta che, a Oudkerk, il monito preventivo fu provvidenziale; e tranne qualche caso isolato di violenza - il giorno dopo ci fu una esecuzione ad hoc quanto mai sommaria - inevitabile nelle situazioni che vedono coinvolti soldati vincitori ed ebbri di bottino, la virtù delle fiamminghe, fosse quella che fosse, venne risparmiata. Per il momento.

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