Copertina
Autore Dominique Perrault
Titolo La seconda natura dell'architettura
EdizionePostmedia, Milano, 2007 , pag. 76, ill., cop.fle., dim. 15x21x0,6 cm , Isbn 978-88-7490-032-9
CuratoreDaniele Mancini
LettoreCorrado Leonardo, 2007
Classe architettura
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Indice


  L'architettura è un arte che crea il proibito   7

                        Viaggio, reti, identità  13
                                     intervista

    Tissus. La seconda natura dell'architettura  27
                             Dominique Perrault

                        Disposizioni elementari  47
                              Frédéric Migayrou

           Morte della forma, forma della morte  57
                                       Toyo Ito

                   Geografia contro urbanistica  65
                             Dominique Perrault

                       Un'architettura efficace  69
                             Dominique Perrault

                                      Biografia  73


 

 

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Pagina 7

L'architettura è un arte che crea il proibito


L'architettura è un'arte che crea il proibito. Si prende un pezzo di terra, si costruisce un muro e indiscutibilmente si sta già facendo architettura. Separa la terra in due parti e crea una divisione fisica. Se stai da una parte, non stai dall'altra. Questo è senza dubbio un atto autoritario. Come si può risolvere... Come si può realizzare, edificare o costruire, senza rendere opaco il paesaggio dove localizzi la struttura? Questo non ha a che fare con la scala delle cose ma naturalmente con i materiali e, soprattutto, con quello che ti aspetti dall'architettura. Questo è quello che mi guida a rievocare "la morte dell'architettura" che io proclamo per la mia disciplina. Per quanto mi riguarda, tendo a concentrarmi più sul paesaggio, come se fosse un materiale, piuttosto che sulla costruzione in sé. Oggi, il materiale per l'architettura non è più inesorabilmente il vetro, il cemento e il metallo; è la stessa terra dentro la quale ci si può infiltrare e circolare.

Dominique Perrault

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Pagina 27

Tissus. La Seconda natura dell'Architettura

Seminario sull'Architettura Contemporanea AICA


Oggi presenterò l'evoluzione del mio lavoro che ha come tema il rapporto tra architettura e natura, quella che io chiamo la seconda natura dell'architettura, mettendo in evidenza la ricerca che abbiamo fatto per molti anni sul paesaggio, sulla materia e soprattutto su di un materiale da costruzione particolare, cioè le reti metalliche.

Abbiamo iniziato a lavorare con questo componente durante il progetto della Bibliothèque Nationale. Allora cercavamo un materiale estremamente resistente al fuoco, alla corrosione e all'usura, ma che fosse anche permeabile all'aria.

Devo ammettere che i tessuti metallici della Bibliothèque sono stati usati più come elementi decorativi che come elementi di architettura pura, infatti hanno assunto la funzione di brise soleil che filtrano la luce del sole oppure di rivestimenti per soffitti nelle sale di lettura. La ricerca che abbiamo fatto per raggiungere quel risultato è stata molto difficile perché allora questo materiale era pressoché ignoto nel mondo dell'architettura. Quindi lo sforzo è stato quello di adoperare i prodotti industriali usati per realizzare filtri, nastri trasportatori e tutto un insieme di altre componenti, al fine di mettere a punto un vero e proprio elemento tecnologico per l'architettura.

Subito dopo la Bibliothèque Nationale abbiamo realizzato la Piscina Olimpica e il Velodromo a Berlino. L'idea di questo progetto non riguardava esattamente la maniera di costruire l'edificio quanto piuttosto la maniera di costruire un paesaggio in cui l'architettura potesse sparire. Infatti sono entrambe sotto il livello del terreno. Ma quello che mi interessa sottolineare è che abbiamo anche ricoperto questi due edifici di reti metalliche creando una superficie riflettente. Questa superficie, brillando al sole, riflettendo il colore del cielo e quello delle stagioni, fa scomparire e confondere i volumi nel paesaggio.

Questa attenzione nel far scomparire l'architettura nel paesaggio riguarda anche un altro edifico che abbiamo realizzato per una grande industria ad est della Francia, a Nantes, una fabbrica di velcro. La fabbrica è di grandi dimensioni, circa 30.000 metri quadrati e il piano di sviluppo industriale prevede di raddoppiare questa superficie nel giro di qualche anno. L'idea qui era quella di rispettare il contesto della campagna francese, i vasti campi e gli alberi. Usando delle lamiere metalliche riflettenti, abbiamo cercato di creare uno strumento ottico che riflettesse il paesaggio, ma non in maniera diretta. Per spiegarmi meglio potrei fare riferimento agli abiti di tessuto metallico di Issey Miyake, in cui il riflesso è frammentato e spezzettato e non nitido come in uno specchio. Quindi l'effetto realizzato nella fabbrica a Nantes è che l'edificio sparisce nel paesaggio o più esattamente il paesaggio si prolunga nell'architettura.

Anche il progetto per la Mediateca di Vénissieux ha come tema il rapporto tra ambiente e architettura. L'idea era di creare un edificio che dall'esterno sembrasse opaco, molto chiuso, mentre all'interno fosse completamente trasparente. Infatti da dentro c'è una visione panoramica sulla città, mentre dall'esterno non si può vedere l'interno. Questa trasformazione tra opaco e trasparente crea negli utenti della Mediateca una forte emozione personale. Questo passaggio tra natura opaca e trasparente, in situazioni chiuse e situazioni aperte, è un passaggio, una relazione fisica, che ciascuno vive a modo suo, secondo il suo carattere, la propria sensibilità, secondo la sua cultura. È un sentimento estremamente diretto che non ha bisogno di alcuna cultura architettonica per essere sentito o vissuto, cioè, è una relazione diretta, personale, emozionale tra l'architettura e l'uomo.

Quando abbiamo iniziato ad occuparci di queste reti metalliche, abbiamo scoperto che una delle regole di produzione, uno dei principi, era quello di dover realizzare prodotti estremamente rigidi. Questo è comprensibile perché la società tedesca che produce queste strutture era abituata al mondo dell'industria che cerca rigidità e precisione. Noi eravamo ovviamente interessati alla rigidità, ma non ad una rigidità eccezionale o alla precisione estrema, perché nel mondo dell'architettura la precisione è qualcosa di relativo, non è come nell'industria elettronica o nell'areonautica. Quindi per diversi anni abbiamo discusso e fatto molte sperimentazioni con questa azienda per trovare i materiali approriati, sia dal punto di vista visivo che economico, al fine di poterli adoperare per questi edifici.

La rigidità, che ci ha aiutato molto per la Bibliothèque Nationale e in particolare per i tappeti posati sui tetti del complesso olimpico di Berlino, non ci è servita più invece per il concorso per la Fondazione Pinault a Parigi. La nostra proposta si basava sulla messa a punto e lo studio di fattibilità di un tessuto metallico morbido che doveva essere quasi un vestito per l'edificio. La morbidezza di questo tessuto metallico permette di avviluppare persino una forma rotonda come quella di un uovo.

A partire da questa sperimentazione abbiamo sviluppato il nostro progetto. Non si trattava di avvolgere l'edificio alla maniera di Christo, l'artista che impacchetta gli oggetti e gli edifici. Nelle sue opere il tessuto, la membrana utilizzata, rivela la forma che riveste. Il nostro concetto qui è, invece, differente perché l'edificio è un sistema di scatole, un sistema estremamente razionale, radicale, anche pragmatico, che risponde perfettamente al programma funzionale del museo richiesto dal bando di concorso. Quindi su questa architettura scatolare abbiamo lasciato cadere fino al suolo il tessuto morbido in modo da connettere e legare la parte superiore dell'edifico con il suolo stesso. Non è dunque un imballaggio come in Christo, perché si viene a creare uno spazio tra la nuova pelle che è costruita dalle reti metalliche e l'architettura di scatole.

Questo è lo spazio che ci interessa, questo in-between, che è in effetti uno spazio relativamente sconosciuto in architettura: certo si conoscono le pergole, le gallerie, i colonnati, i peristili, ma tutti questi spazi sono alla fine dei volumi. In questo caso, quello che la nostra architettura propone, è un paesaggio completamente nuovo.

Il nostro approccio al museo propone una visione dall'esterno, un po' come nella Mediateca di Vénissieux, relativamente opaca, brillante, che riflette la luce del sole, mentre questo spazio interstiziale funziona come filtro, è uno spazio che non è né l'esterno né l'interno dell'edificio. Tutto questo quindi ci permette di introdurre nell'organismo museale un principio di urbanità, di introdurre uno spazio pubblico, uno spazio che appartiene alla città, un prolungamento della promenade, prima di entrare nell'edificio vero e proprio.

Nelle immagini proiettate vedete il riferimento del vestito da sposa che mostra in maniera sensibile, sensuale, e molto elegante anche, il concetto di questo tipo di architettura: cioè, c'è un corpo, ci sono degli abiti intimi, e poi un altro abito di un materiale diverso che cala sul corpo a modo suo. Questo vestito da sposa, quasi immateriale, ha un suo movimento quasi indipendente dal corpo sottostante, ma insieme creano una specie di magia e trasformano questa architettura costruita, dunque statica, pesante perché strutturale, in un'architettura poetica quasi viva.

Questo fenomeno di trasformazione della percezione per me è veramente l'architettura, è ciò che noi cerchiamo di sviluppare in modo sperimentale, cioé edifici che non sono un'architettura definitiva, ma edifici che seguono il giorno, la notte, che seguono i movimenti di chi va sul battello, di chi va in macchina, a piedi, in bicicletta. La percezione della costruzione cambia e cambia lei stessa, e questo vuol dire che non è una percezione parziale, ma una percezione totalmente intima, personale, è una percezione che va a vedere se stessa, l'architettura.

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Pagina 68

Un'architettura efficace

Dominique Perrault


Gli architetti nella loro professione sono ossessionati dalle loro competenze e capacità, e per questo non si rivolgono al pubblico. Tanto per fare un esempio, consideriamo il capo cantiere un ignorante e facciamo lo stesso con quelli che appartengono ad un ambiente diverso da quello dell'architettura. L'ignoranza dell'altro, e il non desiderare di protendersi verso l'altro, uccide il fare architettura. Dobbiamo sfidare questi luoghi comuni, queste equazioni già risolte in cui l'architetto smussa i suoi strumenti, domina una grammatica, si rinchiude nella sua sintassi.

Preferisco essere la terra per non essere veramente la terra, le cose grandi per apparire piccolo. In questo c'è l'opportunità di un possibile cambiamento, di una metamorfosi, in cui l'immediata disponibilità di mezzi avvicina a questi stessi mezzi, a questi strumenti, usando un approccio altamente pragmatico che interessa veramente la gente.

In un edificio così emblematico come la Bibliothèque Nationale di Francia, non è l'oggetto (unico, emblematico) che definisce la comprensione dell'architettura. Quello che definisce un orizzonte sensibile, l'aspetto fenomenico dell'avvicinarsi all'edificio, è nell'effetto di assenza. La questione della visibilità dei libri, le partizioni, le differenti organizzazioni, non corrispondono più ad una distribuzione spaziale conforme ad un programma contenuto in una volumetria arbitraria, l'arbitraria unità di un edificio che dovrebbe essere la rappresentazione della sua funzione. Quello che caratterizza la Bibliothèque Nationale è che non ci sono muri che aiutino a definire la sua identità. Qualcosa affine all'esperienza vissuta deve dare forma a questo edificio, l'unità di una comprensione che privilegia la scoperta individuale, l'esperienza personale.

Per un programma misurato sull'apprendimento, sulla conoscenza, questo è una sorta di omaggio che, negando la rappresentazione accademica della verità, enfatizza una concezione dell'apprendimento come scoperta. La Bibliothèque Nationale di Francia non è quello che si vede, e quando ne facciamo esperienza, appare differente, evoca un idea di scoperta che è quello che dovrebbe essere una biblioteca. Non usciamo da una biblioteca nella stessa maniera in cui ci siamo entrati; non usciamo da una biblioteca senza essere stati "toccati". E nemmeno usciamo da questo edificio, senza essere stati "toccati".

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