Copertina
Autore Francesco Perrone
Titolo Comunicazione interpersonale
SottotitoloApprocci teorici ed empirici
EdizioneUTET Universita, Torino, 2006 , pag. 174, cop.fle., dim. 170x240x17 mm , Isbn 978-88-6008-001-1
LettoreLuca Vita, 2006
Classe comunicazione , linguistica , semiotica
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Indice


  3 CAPITOLO 1 - TEORIE GENERALI E COMUNICAZIONE INTERPERSONALE


  3 1.1 Introduzione

    1.1.1 Pratiche e teorie della comunicazione, p. 3
    1.1.2 Insediamento disciplinare della comunicazione, p. 6

  8 1.2 Il processo di comunicazione: fattori costitutivi

    1.2.1 Emittente, p. 9
    1.2.2 Messaggio, p. 9
    1.2.3 Destinatario, p. 10
    1.2.4 Canale, p. 14
    1.2.5 Codice, p. 14
    1.2.6 Contesto, p. 16

 17 1.3 Paradigmi comunicativi

    1.3.1 Il contributo di teorie e modelli, p. 18
    1.3.2 Modelli lineari, p. 19
    1.3.3 Modelli circolari, p. 22


 28 CAPITOLO 2 - APPROCCI PRAGMATICI ALLA COMUNICAZIONE
                 INTERPERSONALE


 28 2.1 Premessa

    2.1.1 Referenti teorici generali, p. 29
    2.1.2 Dalla terapia alle tecniche di relazione, p. 30

 30 2.2 L'analisi transazionale di Eric Berne

    2.2.1 Stati dell'Io: Genitore, Adulto, Bambino, p. 31
    2.2.2 Gli stati dell'Io e la loro suddivisione interna, p. 32
    2.2.3 Le transazioni, p. 34
    2.2.4 Conclusioni: l'analisi transazionale
          come chance di cambiamento, p. 38

 40 2.3 La scuola sistemico-relazionale di Palo Alto

    2.3.1 Comunicazione paradossale, p. 41
    2.3.2 Doppio legame, p. 41
    2.3.3 Assiomi della Comunicazione, p. 42

 45 2.4 La Programmazione neurolinguistica
        di R. Bandler e J. Grinder

    2.4.1 Il modello teorico, p. 45
    2.4.2 Percezione e rappresentazione del mondo esterno, p. 47
    2.4.3 Il modellamento umano, p. 52
    2.4.4 Il linguaggio verbale, p. 54
    2.4.5 I metaprogrammi, p. 59


 62 CAPITOLO 3 - PUNTI DI VISTA LINGUISTICI E SEMIOTICI


 62 3.1 La linguistica dall'utopia alla scienza

    3.1.1 Il funzionalismo, p. 63
    3.1.2 Lo strutturalismo, p. 64

 64 3.2 Ferdinand de Saussure

    3.2.1 Langue e Parole, p. 64
    3.2.2 Sincronia e diacronia, p. 65
    3.2.3 Arbitrarietà del segno linguistico, p. 65
    3.2.4 Rapporti sintagmatici e associativi, p. 66

 66 3.3 Roman Jakobson

    3.3.1 Funzioni e fattori comunicativi, p. 68
    3.3.2 Il lascito di Jakobson, p. 70

 71 3.4 La tradizione linguistica anglosassone e Noam Chomsky

    3.4.1 L'indirizzo linguistico di tipo
          antropologico-culturale, p. 71
    3.4.2 L'indirizzo linguistico di tipo strutturalista, p. 73
    3.4.3 La grammatica chomskiana, p. 76

 78 3.5 Il paradigma semiotico e la prospettiva testuale

    3.5.1 Dalla semiotica del messaggio alla semiotica
          del testo: l'itinerario di Umberto Eco, p. 78


 85 CAPITOLO 4 - LA DIMENSIONE EMPIRICA


 85 4.1 Basi razionali, emozionali e motivazionali
        della comunicazione interpersonale

    4.1.1 I processi cognitivi, p. 87
    4.1.2 I processi emotivi, p. 88
    4.1.3 Bisogni e motivazioni, p. 90
    4.1.4 La percezione e il rapporto interpersonale, p. 91

100 4.2 La comunicazione «faccia a faccia»

    4.2.1 Introduzione, p. 100
    4.2.2 Competenze sociali e competenze comunicative, p. 104
    4.2.3 Tecniche di comunicazione verbale, p. 107
    4.2.4 Talento e metodo, p. 111
    4.2.5 Tecniche di ascolto, p. 111
    4.2.6 Ascolto attento e ascolto attivo, p. 112


114 CAPITOLO 5 - LA COMUNICAZIONE NON VERBALE


114 5.1 Introduzione

    5.1.1 Le aree della comunicazione paraverbale, p. 117
    5.1.2 Le aree della comunicazione extraverbale, p. 118

123 5.2 Prosodia

    5.2.1 Il sistema paraverbale, p. 123
    5.2.2 Aspetti prosodici del mondo anglosassone:
          differenze culturali e upspeaking, p. 132

134 5.3 Cinesica

    5.3.1 Il sistema extraverbale, p. 134
    5.3.2 Coerenza o incoerenza tra i moduli verbale
          ed extraverbale, p. 140

140 5.4 Prossemica

    5.4.1 La gestione dello spazio, p. 141
    5.4.2 Variabili, p. 149
    5.4.3 Esempi comparativi, p. 154
    5.4.4 Contatti, posture e sguardi, p. 162

164 5.5 Prossemica degli ambienti privati e di quelli aziendali

    5.5.1 La gestione degli spazi negli ambienti privati, p. 164
    5.5.2 Prossemica degli spazi organizzativi, p. 166

173 BIBLIOGRAFIA

 

 

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Capitolo 1
Teorie generali
e comunicazione interpersonale



1.1 Introduzione

1.1.1 Pratiche e teorie della comunicazione

Il comunicare è, oggi più che mai, l'azione sociale più significativa nell'ambito del consorzio umano (Morcellini, Fatelli, 2002, p. 210).

Questa affermazione, con cui si conclude il manuale Le scienze della comunicazione di Mario Morcellini e Giovambattista Fatelli, può viceversa ben fungere da premessa a questo lavoro.

Già Aristotele affermava che l'uomo è animale sociale per eccellenza (Morcellini, Fatelli, 2002, p. 132n). Socialità e comunicazione sono infatti attività istintive, attivate per lo più attraverso modalità implicite (spontanee), e molti sono gli individui che gestiscono magnificamente le proprie capacità di comunicazione pur senza averne mai fatto oggetto di studio o di particolare riflessione. Noi siamo continuamente in relazione con moltissimi altri esseri umani ed è facile ed intuitivo per tutti avere un'idea, per quanto sommaria, di cosa sia la comunicazione. Essa, benché non sia esclusiva dell'uomo, può essere considerata la principale fra le attività umane.

In particolare,

comunicare, parimenti alle tante altre parole che ne condividono la radice linguistica, significa letteralmente: «subire insieme la medesima autorità» e, per estensione, «condividere»; «avere qualcosa in comune»; «interagire» (Perrone 2000, p. 78).

La necessità della comunicazione nella vita dell'uomo è un dato di fatto. Tant'è che, come ha sostenuto la scuola di Palo Alto, anche volendo non comunicare, non potremmo: ci sarebbe impossibile. La non-comunicazione è infatti un paradosso se solo si pensa che la stessa volontà o intenzione di non comunicare, per avere effetto, deve essere pur sempre comunicata (vedi infra).

La comunicazione è dunque un'attività sociale anzi, è l'attività sociale per eccellenza. Diventa scienza nel momento in cui l'uomo si rende conto che essa può (e deve) essere oggetto di studio. Ovviamente, se se ne vuol fare tema di ricerca, occorre precisarne i tratti, delimitarne l'ambito tematico, definirne i contorni, ma questa non si è mai presentata operazione facile.

Anzitutto, sarebbe necessario chiarire quale sia l'ambito di questa disciplina. Ma, sebbene l'analisi della comunicazione possa vantare autorevoli precursori già nell'antichità (Platone, Aristotele, Cicerone, Epitteto, Quintiliano ecc.), non si è mai riusciti a fornire della materia definizioni precise, univoche e, soprattutto, sufficientemente consolidate e condivise. Le difficoltà sono date principalmente dalla compresenza dei vari approcci (filosofico, psicologico, psicologico-sociale, sociologico, cibernetico, semiotico, linguistico, antropologico ecc.) agli studi e alle ricerche sulla comunicazione. Approcci tanto diversi hanno dato luogo ad una pletora di teorie e modelli che complicano il lavoro e le speranze di chi confida nel raggiungimento di un obiettivo, allo stato, quasi impossibile: una teoria unitaria della comunicazione.

D'altra parte, se la comunicazione come agire umano può forse definirsi la principale delle attività specie-specifiche, la comunicazione come disciplina si propone quasi come meta-scienza (scienza delle scienze), ineludibile per praticare, sviluppare e diffondere ogni altro sapere. Non per caso, caratteri fondamentali della ricerca sulla comunicazione sono il sincretismo, l'eclettismo, il non-dogmatismo, l'apertura ad influenze, suggestioni e contributi provenienti dai campi più diversi. Ad ogni modo, tutto ciò ha prodotto risultati che oscillano tra due estremi, ciascuno dei quali con propri meriti e propri limiti. Da un lato teorie e modelli che generalizzano un'ampia gamma di fenomeni comunicativi ma il cui livello di astrazione è così alto da offrire scarse indicazioni per la ricerca e ancor più scarse possibilità di spendibili applicazioni pratiche. Dall'altro lato, teorie e modelli che prendono in esame fenomeni così limitati ed angusti da non potersi proporre ad ambiti più ampi perché troppo specifici. Nell'epoca della comunicazione, quale è la attuale, sarebbe quantomeno auspicabile poter contare su una teoria generale della comunicazione umana in grado di descrivere e spiegare un amplissimo ventaglio di fenomeni comunicativi. Tuttavia l'auspicio è, ancora oggi, largamente disatteso.

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1.2 Il processo di comunicazione: fattori costitutivi

La definizione stessa di comunicazione come processo comporta che ogni fenomeno comunicativo debba necessariamente essere considerato su due diversi piani (Perrone, 2003, p. 31):

a. quello del suo sviluppo temporale, per cui l'atto comunicativo si compie come sequenza o concatenazione di fasi (in ogni comunicazione c'è sempre un prima, un durante e un poi);

b. quello della sua struttura composita, per cui il fenomeno comunicativo, a mano a mano che si esplica, mostra di essere sostenuto da vari fattori o elementi.

Perché la comunicazione avvenga sono necessari i seguenti fattori: emittente: colui che formula il messaggio; destinatario: colui che riceve il messaggio; codice: sistema di segni, di simboli convenzionali e di regole che consentono di combinarli (la lingua); messaggio: l'insieme di frasi che l'emittente formula nell'ambito delle possibilità offerte dal codice; canale: il mezzo fisico di trasmissione del messaggio (le onde sonore, il filo del telefono ecc.); contesto: la realtà esterna al messaggio, alla quale il messaggio allude e che è compresa dal destinatario. Se anche uno solo dei sopraelencati fattori viene a mancare, la comunicazione non avviene o si realizza in maniera imperfetta: basta per esempio che la lingua dell'emittente non sia nota al ricevente o che il canale sia disturbato o che l'emittente faccia riferimento ad un contesto ignoto al destinatario, perché il messaggio non venga recepito o sia decodificato in maniera erronea. Ogni atto comunicativo presenta tutti questi fattori, anche se di volta in volta ne sottolinea uno in particolare, a seconda della funzione che intende esercitare (Marchese, Grillini, 1989, p. 6).


1.2.1 Emittente

Definibile anche come fonte, sorgente, mittente, talvolta trasmittente, l'emittente è chi invia il messaggio. Non è necessariamente una persona singola, può anche essere un gruppo, un'istituzione, un'associazione, un'organizzazione aziendale o una parte di essa, può anche essere, infine, una macchina. L'emittente genera il messaggio elaborando informazioni e idee, ma anche sentimenti ed emozioni; tali contenuti vengono poi tradotti in forma di «idee trasmissibili». La fonte, inoltre, deve avere una qualche nozione di chi riceverà il messaggio, in modo da codificarlo e calibrarlo in modo che il destinatario lo riceva, lo comprenda e lo accetti.

L'emittente è spesso considerato il soggetto più importante del processo comunicativo (asimmetria tra emittente e destinatario), specialmente nel quadro di approcci, modelli e teorie (vedi infra) che intendono il processo comunicativo come flusso di informazioni da una fonte potente a un destinatario sostanzialmente passivo. Nella terminologia propria della comunicazione interpersonale, l'asimmetria tra emittente e destinatario è talora definita comunicazione o relazione «one up - one down».


1.2.2 Messaggio

Il messaggio (detto anche segnale e, con significato parzialmente diverso, testo) è l'oggetto del flusso o dello scambio comunicativo. È composto dal contenuto (cosa si comunica) e dalla forma (come lo si comunica). È necessario che la produzione di significati sia comprensibile per il ricevente, il quale potrebbe non elaborarne una corretta interpretazione. Quest'ultima è minacciata dall'inizio fino alla fine del processo (ad ulteriore conferma della dimensione temporale dell'atto comunicativo come sequenza di fasi in successione progressiva) rispettivamente dal rumore o dal feedback. Non a caso, Mario Morcellini mette in guardia sul fatto che «il messaggio ricevuto può essere molto diverso da quello inviato» (Morcellini, Fatelli, 2002, p. 152).


Il rumore

Nella terminologia delle scienze della comunicazione viene definito «rumore» qualsiasi interferenza o disturbo determinati da variabili oggettive (di tipo tecnico o riferite al contesto ambientale) o soggettive (riferibili a problemi dei singoli soggetti in comunicazione). L'effetto del rumore consiste in un calo di segnale che comporta necessariamente una perdita di informazioni o, comunque, un impoverimento dello scambio comunicativo.

Il concetto di rumore (noise) è al centro dell'indagine avviata da Shannon e Weaver alla fine degli anni Quaranta.

I due ingegneri della Bell Telephone Shannon e Weaver erano principalmente interessati agli aspetti puramente tecnici (ed economici) della trasmissione dei messaggi, al fine di diminuirne la dispersione (riduzione dell'entropia). È chiaro che, partendo da tali premesse, i concetti di rumore, disturbo, interferenza venissero ristretti quasi esclusivamente al rango di perdita di segnale tecnico. Le problematiche inerenti al rumore eventualmente derivante dai procedimenti di significazione del messaggio, dalle possibili influenze emotive e culturali, da una stentata codifica e decodifica linguistica, da una difficoltosa contestualizzazione del messaggio, non rientravano nella sfera dei loro interessi (Perrone, 2003, p. 38).

Oggi, con riferimento particolare anche se non esclusivo alla comunicazione interpersonale, applichiamo il concetto di rumore non solo alle difficoltà di tipo tecnico, fisico o ambientale ma lo estendiamo anche ad eventuali problemi di carattere soggettivo, psicologico, culturale. Inteso in questo senso, il «rumore» può disturbare l'interazione tra gli interlocutori interferendo in primo luogo sui loro atteggiamenti e, conseguentemente, sulla qualità dei messaggi al centro dello scambio comunicativo.


1.2.3 Destinatario

Il destinatario o ricevente è colui che riceve il messaggio. Nei modelli unilineari e nelle teorie di tipo informazionale è spesso considerato il soggetto debole del processo comunicativo (asimmetria tra emittente e destinatario), che subisce più o meno passivamente il potere dell'emittente e gli effetti del suo messaggio. Nelle teorie del paradigma relazionale è viceversa considerato soggetto con ruolo paritario (simmetria tra emittente e ricevente): il destinatario, partecipando attivamente al progetto comunicativo, è attento, selettivo e spesso critico.


Il feedback

La nozione di feedback nasce in ambiente cibernetico ed è definibile come il prodotto di un'unità di controllo la quale rimanda al sistema centrale la propria risposta, con funzione di verifica, in merito ad un messaggio precedentemente ricevuto. Più in generale, il feedback (retroalimentazione; controalimentazione; retroazione) è la risposta o parte della risposta ad uno stimolo comunicativo che il ricevente rimanda alla fonte e che quest'ultima adopera come strumento di controllo dell'efficacia del processo. La natura di questa risposta è di tipo comunicativo anche se non necessariamente verbale. Inoltre, Enrico Mascilli Migliorini (1993) sottolinea come il feedback debba anche essere spendibile. Infatti

se arriva in ritardo o disturbato, magari per l'eccessivo rumore, non è più efficace (Mascilli Migliorini, 1993, p. 95). La risposta deve essere inviata e, soprattutto, ricevuta in tempo utile. Insomma il feedback, per poter essere utilizzato come strumento di controllo dell'efficacia comunicativa, deve realizzarsi in tempo utile (real time) (Perrone, 2004, pp. 57-58).

Differentemente da quanto accade nella comunicazione «faccia a faccia», nelle forme di comunicazione indiretta o mediata, il feedback in tempo utile non equivale, necessariamente, a feedback «istantaneo» o «simultaneo» o «immediato». Ciò che conta è la spendibilità del feedback nell'ambito del processo considerato (i cui tempi possono essere più o meno lunghi). Ad esempio, nella comunicazione aziendale, in quella commerciale o in quella politica il feedback può essere stimolato e ricevuto non necessariamente in forma istantanea, senza per questo perdere di efficacia e utilità, purché il differimento temporale sia compatibile (tempo utile) con le esigenze aziendali, con i tempi dell'operazione commerciale o le scadenze della campagna elettorale.

In generale, l'importanza assunta dai feedback di tipo non verbale è assolutamente insopprimibile nella comunicazione interpersonale. Si pensi al differente peso esercitato sull'interazione nel corso di un qualsiasi colloquio in cui almeno uno dei due interlocutori emetta annuizioni e sorrisi. E si immagini la situazione opposta, in cui almeno uno dei due corrughi la fronte o incroci le braccia o, ancora, mostri uno sguardo del tutto assente.

Nella comunicazione interpersonale o faccia a faccia, si può avere anche il fenomeno del pre-feedback, che giunge prima del feedback vero e proprio, anticipandolo in qualche modo. In conclusione, feedback e pre-feedback influenzano la situazione comunicativa al punto tale da poter modificare o condizionare il messaggio in fieri, in corso d'opera (Perrone, 2004, pp. 57-58).

In Manager del cambiamento (Perrone, 2004) si ripropone l'esempio dell'esame universitario, già a suo tempo indicato da Mascilli Migliorini (1993). Tra esaminando ed esaminatore non c'è solo contatto verbale e auditivo, ma anche contatto visivo.

Esso è caratterizzato da continui feedback anticipatori che si realizzano, ad esempio, con cenni di approvazione o di disapprovazione del professore già dopo le prime parole di risposta dello studente alle sue domande: la mimica facciale dell'esaminatore realizza così un pre-feedback (il feedback vero e proprio è dato dal riscontro esplicito del professore allo studente e si ha quando egli dice qualcosa come: «va bene così», «è giusto», «sono soddisfatto», eccetera) che consente all'esaminando di comprendere pressoché simultaneamente l'andamento dell'esame e decidere, se necessario, di effettuare qualche correzione di rotta all'istante (Perrone, 2004, p. 58n).

Ovviamente, l'invio di feedback da parte di un qualsiasi destinatario (individuale o collettivo che sia) può avvenire d'iniziativa (feedback spontaneo) o a seguito di un invito esplicitamente ricevuto (feedback stimolato). Nella comunicazione interpersonale accade ciò

quando l'individuo emittente stimola il feedback dal proprio interlocutore con domande di controllo come: «Dico bene?»; «Sono stato sufficientemente chiaro?»; «Sei d'accordo?» (Perrone, 2003, p. 35).


Funzione del feedback nel determinare la qualità di un processo comunicativo

Nella sezione dedicata all'«emittente» si è già accennato alla cosiddetta «asimmetria» comunicativa, intercorrente tra emittenti forti e destinatari deboli. Si è anche anticipato come, nella peculiare terminologia della comunicazione interpersonale, tale asimmetria tra due interlocutori venga talvolta indicata con l'espressione «relazione one up - one down». Nelle pagine che seguono verrà presentato il quadro teorico e metodologico di riferimento che, tradizionalmente, distingue i fenomeni comunicativi in due classi:

- processi asimmetrici, condotti da interlocutori dal potere disuguale, caratterizzati per lo più da una comunicazione lineare e unidirezionale;

- processi simmetrici, condotti da interlocutori dal potere equivalente, caratterizzati per lo più da una comunicazione circolare e reciproca.

Ciò premesso, uno dei problemi che si presentano a proposito delle funzioni e degli effetti del feedback è il seguente: la comprovata presenza di uno o più feedback in una data situazione comunicativa è di per sé sufficiente a decretare la natura simmetrica o circolare del processo? A dispetto di quanto esplicitamente o implicitamente sostenuto da parte della manualistica e della pubblicistica, la risposta a tale quesito non può che essere negativa.

Se è vero che un feedback è solo e soltanto una retroazione dal ricevente alla fonte che se ne avvale a verifica dell'efficacia del processo, da ciò si possono ricavare alcune conclusioni.

- Il feedback è per definizione inviato dal «destinatario» (cioè l'interlocutore che, in quella data fase del processo comunicativo, interpreta quel ruolo), solo come reazione ad un messaggio precedentemente ricevuto dall'emittente.

- Lanciando un feedback, il destinatario reagisce ad un messaggio che può essere da lui solo ricevuto e compreso: ovviamente il destinatario, in quanto tale, non detiene alcuno specifico potere di scegliere contenuti e forme del messaggio ricevuto.

- Il feedback non denota di per sé alcun potere speciale da parte del destinatario (a parte la facoltà di decidere se inviarlo o no). È semmai l'emittente che ha il potere di stimolare presso l'interlocutore una retroazione e, ovviamente, di avvalersene per decidere possibili modifiche o aggiustamenti al processo comunicativo.

- D'altra parte, nei fenomeni comunicativi, il «potere» degli interlocutori è sancito più da fattori esterni al processo in sé (situazioni contingenti, atteggiamenti, tratti di personalità, ruoli sociali, status ecc.) che non dai ruoli di emittente o destinatario assunti nel corso del processo.

- A tali condizioni, ogni possibile protagonismo da parte del destinatario (cioè di chi, in quella fase del processo, ne ricopre il ruolo) è limitato all'eventualità di emettere un feedback spontaneo che l'altro interpreterà di conseguenza.

- Rispetto ai messaggi emessi dall'emittente, i feedback sono di norma meno numerosi dal punto di vista quantitativo; più brevi dal punto di vista temporale; più semplici dal punto di vista dei contenuti. Tale sproporzione impedisce di affermare che basti la presenza di feedback, ancorché nutrita e sistematica, a conferire circolarità ad un processo comunicativo: in casi del genere si può parlare, al massimo, di semi-circolarità, o di circolarità intermittente o a singhiozzo.

In conclusione resta da dire che il feedback non è che un efficace dispositivo di tecnica della comunicazione. Né più né meno. È certo che, come tale, esso rappresenti un mezzo di enorme rilievo a disposizione dell'emittente per la verifica della comunicazione in corso. Tuttavia, quanto al resto, il feedback è condizione necessaria ma non sufficiente per decretare simmetria o circolarità ad un fenomeno comunicativo. Un colloquio di vendita in cui il venditore riesca ad applicare la propria strategia comunicativa con successo non presenta requisiti di simmetria o di circolarità solo perché costellato da un gran numero di feedback inviati dal cliente. D'altra parte, nel corso di un esame universitario, il soggetto che detiene il potere è proprio il destinatario della comunicazione (l'esaminatore); ma non è certo qualche sporadico feedback verbale o non verbale a riequilibrare o ribaltare i rapporti di potere in essere o a conferire circolarità al «colloquio» d'esame.


1.2.4 Canale

Il canale (o contatto) è il mezzo fisico attraverso cui il messaggio è trasmesso o trasferito, ovvero il tramite fisico attraverso cui si svolge l'atto comunicativo. Può essere di vario genere: naturale o artificiale (con il ricorso ad un qualche mezzo tecnico); principale e/o accessorio (nel caso di canali attivati contemporaneamente); vocale e/o cinesico (nella comunicazione interpersonale o «faccia a faccia»).

Nella comunicazione interpersonale o «faccia a faccia» sono implicati vari canali, tipici della dimensione oralistica. Il diverso uso di tali canali può modificare senso e significato di un dato significante (per esempio una parola o una frase), tanto da influenzare in misura decisiva l'esito di una comunicazione. Essi sono: canale prosodico (timbro, intonazione, velocità dell'eloquio); canale prossemico (impiego, gestione e dominio dello spazio fisico a propria disposizione); canale cinesico (mimica facciale, gestualità, posture). La padronanza di tali canali è importante per chiunque ma è decisiva per l'efficacia di qualsiasi comunicatore di professione: giornalista radiotelevisivo o attore teatrale, docente universitario o negoziatore sindacale, oratore politico o venditore, manager pubblico o leader aziendale.


1.2.5 Codice

Per codice si intende «un sistema generalmente condiviso per la organizzazione di segni» (Morcellini, Fatelli, 2002, p. 155).

In altre parole, il codice è il linguaggio (che può essere verbale o non verbale) adoperato sia per formulare il messaggio (codifica), sia per decifrarlo (decodifica). Tutti i linguaggi hanno un proprio apparato normativo che li governa:

- sul piano semantico (i significati);

- sul piano sintattico (le regole);

- sul piano pragmatico (le situazioni e gli effetti pratici).


----------------------------------------------------------
                        Codici analogici   Codici digitali
----------------------------------------------------------
Contenuto simbolico     Debole             Forte
Semantica               Equivoca           Univoca
Livello di astrazione   Basso              Alto
Formalizzazione         Scarsa             Elevata
Complessità             Limitata           Ampia
Qualità del processo    Continuità         Discontinuità
Caratterizzazione       Somiglianza        Differenza
----------------------------------------------------------
Fig. 1.1    Codici analogici e codici digitali
----------------------------------------------------------



Codici analogici e codici digitali implicano due diversi modi di realizzare il messaggio.

La comunicazione di tipo analogico scaturisce dal tentativo di creare e adoperare codici basati sulla somiglianza o analogia tra l'oggetto comunicato e il sistema di simboli impiegato. La comunicazione digitale o numerica trasferisce invece l'informazione soltanto dopo averla rappresentata simbolicamente mediante il ricorso ad una sequenza di caratteri che rinviano ad un dato sistema numerico o alfanumerico.

È chiaro che (Perrone, 2004, p. 60) i codici numerici o digitali (come il linguaggio verbale), in virtù del forte contenuto simbolico e dell'elevato livello di astrazione, risultano codici «chiusi», altamente formalizzati sia sul piano morfologico e lessicale (segni che rinviano a significati), sia sul piano sintattico (regole di combinazione tra i segni per la formazione di significati più complessi). Tutto ciò rende i linguaggi digitali estremamente complessi ma altrettanto efficaci. Viceversa, i codici di tipo analogico (come i linguaggi imitativi o la gestualità) sono contraddistinti da un debole contenuto simbolico (appunto l'analogia o somiglianza con ciò che viene rappresentato) e da un basso livello di astrazione (che si rivela, principalmente, quando è obiettivamente difficile imitare l'oggetto della rappresentazione). Risultano codici aperti e intuitivi, scarsamente formalizzati ma poco efficaci e precisi.


Sottocodice

I sottocodici, come sottoinsiemi del codice principale, rappresentano varianti e/o diramazioni del sistema di riferimento (Perrone, 2004, pp. 60-61). Per esempio, nell'ambito di una stessa lingua nazionale, si individuano parlate regionali e dialetti locali (varianti geografiche o diatopiche); caratterizzazioni diverse in funzione della dimensione pubblica o privata della comunicazione (registri stilistici o varianti diatipiche) o dei differenti ambienti che esplicitamente o meno incoraggiano il ricorso a varianti gergali (di tipo anagrafico, professionale o di ceto). In ambito organizzativo è peculiare il ricorso a varianti gergali legate al tipo di lavoro, all'attività tecnica o al grado gerarchico. La conversione da un sottocodice al codice principale (e viceversa) richiede una vera e propria traduzione, che può essere definita endolinguistica.


Codici elaborati e codici ristretti

Di Basil Bernstein è la nota distinzione tra codici elaborati e codici ristretti. Il codice elaborato è ricco e complesso. Ha un lessico esteso e una sintassi spesso complicata. Tende ad esplicitare e dettagliare i contenuti dei messaggi, preferibilmente all'interno di una cornice altamente formalizzata. Privilegia lo scritto rispetto al parlato. Si rende scarsamente prevedibile in virtù della propria stessa complessità. Il codice ristretto è, al contrario, povero e conciso (in quanto presuppone un elevato numero di valori condivisi). Ha un lessico limitato e una sintassi semplice. È diretto, preferendo il parlato alla mediazione dello scritto. Tende ad essere abbondante, ripetitivo (ridondanza) e, quindi, piuttosto prevedibile.

La traccia impressa dallo schema di Bernstein può agevolmente essere rimodellata per l'analisi dei codici adoperati nel marketing. Ad esempio, la comunicazione pubblicitaria si orienta, ovviamente, sulle attese del «target di riferimento». A seconda del target si registra il ricorso ad un codice elaborato, astratto, raffinato, altamente simbolico (che è il riflesso di prodotti tendenzialmente di qualità e di clientela elitaria); ovvero, sul versante opposto, l'uso di codici comunicativi di tipo allargato. Questi ultimi sono caratterizzati da repertori linguistici (verbali ed extraverbali) convenzionali e talvolta grossolani, che rispecchiano la scarsa qualità di prodotti e servizi reclamizzati nonché il basso profilo della clientela che tende ad acquistarli.

Il campo di indagine offerto dalla comunicazione interpersonale è ovviamente molto sensibile alla questione relativa a codici e sottocodici. Nell'interazione tra persone si ricorre continuamente a codici e linguaggi di tipo verbale e non verbale in grado di identificare e, se necessario, di rimarcare una data appartenenza sociale. Il ricorso a tali codici verbali (nell'uso della lingua standard, di un dialetto o di un gergo) e non verbali (nella gestualità, nell'abbigliamento, nell'uso di accessori e di altri oggetti) è decisivo quando si decide di incoraggiare o scoraggiare una relazione sociale.


1.2.6 Contesto

Secondo la terminologia introdotta negli anni Cinquanta e Sessanta dalla linguistica e dalla sociologia della comunicazione, per contesto si intende:

1. la realtà esterna al messaggio (topic) alla quale il messaggio allude o si riferisce e che è compresa dal destinatario o, più in generale,

2. lo scenario fisico ma anche culturale, valoriale, psichico (context) in cui si compie il processo comunicativo (Perrone, 2004, p. 61).

Nel primo caso la nozione di contesto ha il referente più diretto nella linguistica, nel secondo, i riferimenti possibili sono individuabili nella psicologia, nella sociologia della comunicazione e nell'antropologia.

È chiaro che il contesto (sia inteso come topic sia inteso come context) rappresenta un fattore che comunque è in grado di esercitare una qualche influenza sui soggetti coinvolti nell'interazione e sui loro comportamenti (verbali ed extraverbali).

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3.5 Il paradigma semiotico e la prospettiva testuale

Le semiotiche testuali sorgono dal convincimento che il concetto di messaggio, inteso come semplice serie o sommatoria di semi, rappresenti se non un errore, una semplificazione del reale meccanismo relativo alla produzione-fruizione di significato. Anche la più semplice delle espressioni verbali o extraverbali (una frase, un gesto, un motivo musicale, un disegno ecc.) si insedia in una rete di nessi, rinvii, implicazioni e inferenze talmente complessa da rendere semplicistica l'idea che:

- un messaggio equivalga a una pura sommatoria di unità semantiche;

- l'opera, di produzione da un canto e di comprensione dall'altro, di un messaggio consista nella mera codifica e decodifica dei suoi costituenti.


3.5.1 Dalla semiotica del «messaggio» alla semiotica del «testo»: l'itinerario di Umberto Eco

Se è chiaro che il messaggio, l'oggetto del flusso o dello scambio comunicativo, si compone di un contenuto (cosa si comunica) e di una forma (come lo si comunica), è altrettanto chiaro che rimangono in piedi alcuni nodi problematici: Chi o cosa definisce il contenuto? Chi o cosa definisce la forma? Il contenuto è univoco (identicamente intelligibile sia dall'emittente sia dal destinatario)?

Parafrasando Umberto Eco, si può ribadire che, in astratto, il concetto di messaggio non costituisce un errore ma, più precisamente, una semplificazione. Un qualsiasi testo, in quanto prodotto culturale, può essere infatti considerato come un fenomeno complesso i cui livelli di complessità sono distinti benché non necessariamente incompatibili tra loro: livelli superficiali (semantica denotativa, significazione letterale, fruizione di tipo ingenuo ecc.); livelli documentali (testimonianza storico-culturale, documento antropologico-sociale, prova delle idee e delle emozioni dell'autore ecc.); livelli simbolici (semantica connotativa, significazione simbolica, fruizione di tipo ermeneutico-soggettivo); livelli culturali (aspettative del fruitore, significazioni collettive ecc.); e quanti altri livelli d'indagine lo studioso sia in grado di identificare.

Dal punto di vista delle teorie della comunicazione, la prospettiva semiotica rappresenta un approdo relativamente recente. Decisivi risultano tuttavia i suoi contributi e, da questo punto di vista, il percorso di ricerca di Umberto Eco ne è senz'altro l'esempio più rappresentativo. Con Eco si compie, infatti, un ulteriore passo in avanti nell'evoluzione della modellistica comunicativa. In particolare, è confermato lo smantellamento della concezione unilineare del processo di comunicazione. Le novità via via proposte da Eco e dai suoi collaboratori riguardano soprattutto:

- il codice e il tema codifica-decodifica;

- lo sviluppo dell'idea di messaggio in quella di testo;

- i concetti di decodifica aberrante e di guerriglia semiologica;

- il riconoscimento della natura negoziale del processo di comunicazione;

- il problema della costruzione delle aspettative del pubblico e quello, conseguente, della decodifica anticipatoria.

Tutto questo si snoda in almeno tre fasi, coincidenti con altrettanti modelli descrittivi e relativi corollari teorici.

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In conclusione, proponiamo la seguente tassonomia, classificando la comunicazione interpersonale nel modo seguente:

- comunicazione verbale (il sistema di comunicazione governato dal linguaggio verbale);

- comunicazione non verbale (i sistemi di comunicazione governati dai vari linguaggi di tipo non verbale.

Inoltre il sistema non verbale è ulteriormente suddivisibile in:

- paraverbale o «prosodico» (con riferimento agli aspetti vocali ma non verbali del parlare: timbro, tono, velocità ecc.);

- extraverbale o «cinesico» (con riferimento a tutti i segnali inviati dal corpo umano in una situazione di relazione).

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