Copertina
Autore Melody Petersen
Titolo Dacci oggi le nostre medicine quotidiane
SottotitoloVenditori senza scrupoli, medici corrotti e malati immaginari
EdizioneNuovi Mondi, Modena, 2010, , pag. 486, cop.fle., dim. 14x21x3 cm , Isbn 978-88-8909-175-3
OriginaleOur daily meds [2008]
TraduttoreChiara Mattioli
LettoreElisabetta Cavalli, 2011
Classe paesi: USA , medicina , salute , marketing , comunicazione , media , psicologia
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Indice


    Introduzione                                     13


    Parte I - La repubblica dei farmaci

1   Creare una malattia                              27

2   Avanspettacolo medico nel Midwest                55

3   Squilibri chimici                               107


    Parte II - L'ascesa degli imperi farmaceutici

4   Le origini                                      149

5   Una rivelazione: l'epoca dei blockbuster        171

6   Ghostwriter e studi segreti                     221

7   Il Neurontin per tutto                          269


    Parte III - Una pillola amara

8   Stati di alterazione                            319

9   Dosi letali                                     367


    Epilogo                                         393

    Note                                            419

    Bibliografia                                    485


 

 

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Pagina 13

Introduzione



Per i medici è il farmaco della resurrezione, in grado di strappare alla morte pazienti il cui destino sembra irrimediabilmente segnato.

Questa medicina guarisce dalla malattia del sonno, una patologia ben più letale e terribile di quanto il nome faccia pensare. Le mosche tse tse sono gli agenti opportunistici che diffondono in gran parte dell'Africa questo morbo, capace di devastare villaggi e mietere ogni anno decine di migliaia di vittime. Queste mosche giallo-brunastre, dagli occhi sfaccettati come pietre preziose, prosperano nella boscaglia lungo le sponde dei fiumi dove donne e bambini si recano a fare scorta di acqua. Con una puntura, gli insetti-vampiro iniettano parassiti letali nel corpo delle vittime. Il progressivo moltiplicarsi di questi parassiti scatena negli ospiti umani una sorta di follia: le persone colpite appaiono sempre più agitate e confuse, si esprimono con crescente difficoltà e inciampano di frequente. Alla fine sopraggiungono il coma e la morte.

La casa farmaceutica produttrice della medicina, che già si era dimostrata inefficace come anticancerogeno e che va sotto il nome non semplicissimo di eflornitina, ne ha interrotto la commercializzazione nel 1995 a causa degli scarsi profitti conseguiti vendendola nei paesi poveri.

Eppure, passato qualche anno, il farmaco della resurrezione ha conosciuto un revival, stavolta non in Africa, bensì negli Stati Uniti, terra priva di mosche tse tse ma forte di ben quattordici milioni di donne preoccupate dalla presenza di peli superflui sul viso. Un'altra società ha ripreso a vendere l'eflornitina sotto forma di crema depilatoria capace di ridurre la peluria indesiderata sul labbro superiore. Grazie al suo logo color lavanda che richiama le forme aggraziate di un cigno e a una campagna pubblicitaria che si è avvalsa di modelle giovani e bellissime, l'eflornitina è diventata l'ennesimo farmaco di grande successo, acquistabile dietro ricetta medica con il nome di Vaniga.

Questo libro prende in esame la grande trasformazione che l'industria del farmaco ha conosciuto negli ultimi venticinque anni. Se un tempo le case farmaceutiche di maggiore successo erano quelle che vantavano i più brillanti scienziati impegnati nella ricerca medica, oggi i più potenti e ricchi produttori di medicinali sono quelli che possono contare sulle strategie di marketing più creative e spregiudicate. Le case farmaceutiche si sono trasformate in imperi commerciali capaci di vendere antidepressivi come il Paxil, antidolorifici come il Celebrex e farmaci anticolesterolo come il Lipitor con gli stessi metodi utilizzati da Coca Cola per vendere la Sprite o da Procter & Gamble per vendere il Dash.

Vendere farmaci, invece di scoprirli, è diventata l'ossessione dell'industria farmaceutica.

La società americana è costantemente assediata dalla pubblicità dei medicinali, che si ritrova ovunque, dai programmi televisivi per bambini come Sesame Street alle case di cura per anziani, sino ai telegiornali della sera.

Le pubblicità dei farmaci fanno capolino dai cartelloni pubblicitari, dai tabelloni segnapunti, dai tetti delle auto da corsa e dalla quarta di copertina delle riviste, tutti spazi che negli anni '60 e '70 erano occupati dalle onnipresenti pubblicità di sigarette. Sulla falsariga dei mini-market di quartiere, le case farmaceutiche offrono coupon, campioni gratuiti e sconti promozionali: per ogni sei farmaci acquistati, il settimo è in omaggio. Organizzano lotterie e concorsi per borse di studio, sponsorizzano concerti rock, anteprime cinematografiche e campionati di baseball.

Gli esperti di marketing mascherano la pericolosità dei loro farmaci presentandoli come prodotti accattivanti e di facile assunzione. Il Fentanyl, un narcotico ottanta volte più potente della morfina e che provoca assuefazione, viene venduto sotto forma di lecca-lecca ai frutti di bosco. Le siringhe utilizzate per iniettare ai bambini l'ormone della crescita assomigliano a coloratissime penne o a giocattoli PlaySkool. Nel 2006 le case farmaceutiche sono state autorizzate a rivestire le pastiglie con "pigmenti perlacei" per donare loro una serica lucentezza capace di farle apparire abbastanza preziose da giustificarne il prezzo elevato.

A New York, in occasione della settimana della moda 2003, alcune modelle in costume da bagno hanno sfilato leggiadre sulla passerella esibendo il nuovo contraccettivo Johnson & Johnson, ovvero un cerotto bianco, attaccato alla pelle. Un dirigente della società ha spiegato che, indossando il medicinale come un accessorio di moda, le donne "possono essere belle e sentirsi sicure".

Nel 2004, in occasione dei tornei di golf maschili riservati ai professionisti, i partecipanti hanno potuto ascoltare slogan di diverso tenore. "Approfitta di qualche consiglio gratis per migliorare il tuo gioco", offriva il promoter da un tendone dove si promuoveva il Cialis, un farmaco per le disfunzioni erettili. "Non perderti una lezione video gratuita tenuta da uno psicologo dello sport", invitava il venditore. "A proposito", aggiungevano, "abbiamo il medicinale perfetto per te!".

L'America è il palcoscenico dove va in scena il più grande show mondiale della medicina.

Il marketing funziona. Mai prima d'ora gli americani avevano assunto così tanti farmaci. Nel 2005 i cittadini statunitensi hanno speso 250 miliardi di dollari in medicinali, più dei prodotti interni lordi di Perù e Argentina messi insieme. Nel 2004 hanno speso più in medicine che in benzina o in pasti al fast food e addirittura il doppio di quanto destinato all'educazione superiore o all'acquisto di nuove automobili.

Gli Stati Uniti sono una tale miniera d'oro per la vendita di medicinali che molte case farmaceutiche straniere vi si sono trasferite e ora ricavano la maggior parte dei loro utili proprio dal mercato americano. Per i manager stranieri, la matematica non è un'opinione: gli americani, da soli, spendono più di tutti gli abitanti di Giappone, Germania, Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Messico, Brasile e Argentina messi insieme.

In virtù dei miliardi di dollari investiti nella vendita dei suoi prodotti, quella farmaceutica è diventata l'industria più potente, finendo per modificare lo stesso stile di vita americano. Le bottigliette ambrate con il tappo bianco che una volta occupavano un angolo dell'armadietto del bagno sono ora in grado di influenzare l'esistenza delle persone come pochi altri prodotti. Attualmente, quasi il 65% della popolazione assume medicinali disponibili solo dietro ricetta medica. I bambini si mettono in fila nella sala da pranzo durante i campeggi estivi per ricevere le loro dosi quotidiane. Le farmacie restano aperte ventiquattr'ore su ventiquattro per soddisfare le innumerevoli richieste. Persino ai cani viene somministrato il Prozac, se abbaiano troppo alla luna.

Le case farmaceutiche costruiscono i loro laboratori nei campus delle università pubbliche e reclutano pazienti per i test clinici nei centri commerciali o alle fiere locali. Sulle reti televisive, la trama degli spettacoli di prima serata ruota intorno a medicinali di questo o quel produttore, talvolta dietro suggerimento dei responsabili commerciali della stessa società farmaceutica.

I venditori di medicinali hanno trasformato quelli che un tempo erano considerali eventi normali nella vita di una persona, come la menopausa, o naturali reazioni emotive, come il dolore provato a causa di un divorzio o l'ansia causata da un capo dispotico, in malattie che necessitano di trattamento medico. Dopotutto, quando i pazienti sono clienti e le medicine prodotti, l'industria prospera sulle spalle delle persone malate o convinte di esserlo.

Negli Stati Uniti, patria del consumismo, le società farmaceutiche hanno trovato il mercato ideale per vendere i loro prodotti, che promettono una gratificazione immediata dei desideri e una soluzione rapida per qualunque cosa ci preoccupi o intralci.

Gli americani credono volentieri agli effetti miracolosi propagandati dai sei spot pubblicitari che regolarmente accompagnano ogni telegiornale della sera. Ci viene detto, e vogliamo crederlo, che basta inghiottire una pillola per ritrovarsi in un attimo a ballare durante una crociera notturna, a correre sulla spiaggia o a giocare a football come John Elway, ex-quarterback NFL e testimonial del Prevacid, una pillola contro i bruciori di stomaco. Se si esagera con cheeseburger e patatine, è bello sapere che una pillola ci rimetterà a posto lo stomaco, mentre un'altra abbasserà il livello del colesterolo.

Nei condomini di Palm Beach, nelle villette di Los Angeles e nelle fattorie dell'Iowa, la gente assume sempre più farmaci. Nel 2006 l'americano medio ha presentato in farmacia più di dodici ricette a fronte delle otto del 1994. Tra la popolazione anziana la media è ancora più elevata: circa trenta prescrizioni mediche all'anno.

Nel 2003 il Segretario di Stato Colin Powell spiegò le nuove abitudini nazionali in fatto di farmaci a un giornalista del quotidiano arabo Asharq Al-Awsat.

"Quindi Lei assume regolarmente sonnifero in compresse?", chiese il giornalista, Abdul Rahman Al-Rashed.

"Sì, beh... non userei questa definizione", replicò Powell. "Si tratta di una medicina fantastica, cioè... non è una medicina. Come posso dire? Si chiama Ambien ed è ottima. Lei non prende l'Ambien? Qui tutti lo prendono".

Questo nuovo stile di vita americano, però, nasconde un problema, uno di cui le aziende produttrici e i medici che prescrivono i farmaci non amano parlare. Gi esperti stimano che oltre centomila americani muoiano ogni anno non a causa di una qualche malattia, ma per via dei farmaci prescritti. Questi decessi che non suscitano scalpore, che avvengono senza quasi lasciare traccia negli ospedali, nei pronto soccorsi e nelle abitazioni private, fanno dell'assunzione di farmaci una delle prime cause di morte negli Stati Uniti.

Si calcola che i medicinali regolarmente prescritti uccidano oltre 270 americani al giorno, più del doppio delle vittime degli incidenti stradali. Le medicine acquistate dietro ricetta e assunte secondo le prescrizioni mediche uccidono più americani di quanto non facciano diabete e morbo di Alzheimer.

Gli Stati Uniti sono diventati "una nazione dipendente dai farmaci", afferma il dott. Arnold Relman, professore emerito della Harvard Medical School ed ex capo redattore del New England Journal of Medicine. "Sempre più spesso i pazienti assumono un numero di medicinali decisamente superiore alle loro reali necessità. In America, le persone anziane consumano il doppio se non il triplo dei farmaci di cui avrebbero bisogno".

L'effetto di molte prescrizioni mediche è quello di creare al paziente nuovi problemi di salute dovuti agli effetti collaterali dei farmaci. Invece di rendersi conto che il loro malessere dipende direttamente dalla medicina assunta, i pazienti si convincono che sia colpa dell'invecchiamento e questo li porta a richiedere ancora altri farmaci. I pazienti affetti da artrite prendono antidolorifici, che però causano un innalzamento della pressione sanguigna. Alla visita successiva, i dottori prescriveranno medicinali contro l'ipertensione, che comportano nuovi effetti collaterali.

Si stima che attualmente negli Stati Uniti la spesa complessiva per le cure destinate a quei pazienti la cui salute è stata compromessa dai medicinali sia almeno pari a quella per i medicinali stessi.

A dispetto dei danni alla salute e dei decessi provocati, i produttori di farmaci non si accontentano di un target adulto, ma puntano al mercato sempre più ricco e in rapida espansione delle medicine destinate all'infanzzia. Gli uffici marketing delle case farmaceutiche hanno creato libri, videogiochi e giocattoli morbidi e simpatici, studiati per attirare l'attenzione dei bambini, ma hanno anche imparato a fare leva sul desiderio dei genitori di avere un figlio perfetto. I genitori dei bambini minuti vengono convinti che, grazie a iniezioni quotidiane dell'ormone della crescita, i figli diventeranno più alti e saranno più facilmente accettati dai loro coetanei. Si sentono dire che il Ritalin consentirà alla figlia di ottenere voti migliori a scuola o che un antidepressivo aiuterà il figlio a vincere la timidezza e a giocare con gli altri bambini. Tra il 2002 e il 2003, la spesa per i farmaci destinati all'infanzia è cresciuta più rapidamente rispetto a quella dei medicinali per gli anziani, per i cinquantenni o per qualsiasi altra fascia di popolazione.

Al momento, però, gli scienziati sanno ben poco degli effetti a lungo termine provocati dall'uso di medicinali tanto potenti sui bambini. Ne consegue che il boom del mercato americano dei farmaci destinati all'infanzia è in definitiva un unico grande esperimento. Già migliaia di bambini hanno riportato danni alla salute provocati da medicinali. Secondo un'indagine universitaria, fra il 1997 e il 2000 sono state oltre settemila le segnalazioni alle autorità federali riguardanti casi di bambini sotto i due anni la cui salute è stata in vario modo compromessa dall'uso di farmaci. Di questi, oltre 750 sono morti.

La gran parte del denaro investito nel marketing farmaceutico non è destinata direttamente ai consumatori, bensì ai medici, i depositari della fiducia dei pazienti. Nel 2004 il settore medico ha arruolato un esercito di 101.000 rappresentanti incaricati di visitare regolarmente i dottori: due volte e mezzo la forza vendita schierata nel 1995. Attualmente si conta un rappresentante farmaceutico ogni sei medici e ognuno di essi è dotato di un conto spese sufficiente a riversare sui medici una pioggia di omaggi e denaro contante. Dalle indagini condotte risulta che, oggigiorno, non c'è praticamente un solo medico americano che non riceva simili elargizioni.

I rappresentanti della società Tap Pharmaceutical Products ricompensavano i medici che prescrivevano frequentemente il loro farmaco Lupron con televisori e videoregistratori in omaggio destinati ai loro studi, nonché con biglietti per lo spettacolo Phantom of the Opera a Broadway. Quando un dottore chiedeva alla casa farmaceutica di contribuire economicamente al trasferimento del suo studio, i dirigenti di Tap staccavano subito un assegno. Quando i medici volevano guadagnare di più, Tap metteva a loro disposizione dei consulenti, il cui compenso poteva raggiungere i 25.000 dollari, perché li istruissero su come gestire in modo migliore i propri affari.

Un manuale destinato agli agenti di vendita Tap spiegava che era normale aspettarsi richieste di denaro da medici e ospedali. I rappresentanti potevano elargire il denaro, spiegava il manuale, ma senza mai dimenticare che "il fattore primario" era "cosa si poteva ottenere in cambio per sé e per la propria azienda".

La società si aspettava che i medici beneficiari delle elargizioni restituissero il favore prescrivendo più farmaci. "Se un medico non-utente richiede del denaro", raccomandava il manuale riferendosi ai medici che non prescrivevano prodotti Tap, "richiedete in cambio prove tangibili".

Già all'inizio del XXI secolo, i medici si erano abituati a contare sulle elargizioni delle case farmaceutiche. "Dopo una faticosa giornata di lavoro", è bello andare a cena, a un qualche evento sportivo o in un centro benessere dove poter discutere tra colleghi e ampliare le proprie conoscenze sulle cure per le varie malattie", scrissero nel 2002 la dott.ssa Nancy Sika e il dott. Colleen Heniff in una lettera indirizzata ai funzionari federali, allorché il governo propose di porre restrizioni su alcuni tipi di benefit. "Perché il governo non ci concede gli stessi vantaggi di cui godono altri settori? In quanto medici, siamo una categoria contraddistinta da intelligenza e attenzione all'etica", scrissero. "Non riesco a immaginare che qualcuno di noi sia indotto a promuovere l'uso di un certo prodotto per mero calcolo personale".

I pazienti, però, raccontano di come i loro medici si siano invece piegati alle logiche commerciali. La signora Albert F. Rust di Kirtland Hills, Ohio, racconta di essere inorridita quando ha visto un medico cambiare la cura all'anziana madre, abbandonando un farmaco in grado di aiutarla in favore di uno nuovo e largamente pubblicizzato. "Il rappresentante della casa farmaceutica mi ha spinto a cambiare i farmaci prescritti ai miei pazienti", ammise il medico.

"Eravamo impotenti', dichiara la signora Rust. "Io e mia madre ci siamo messe a piangere. Lei aveva ottantasette anni ed era una persona timida e anziana. Non riesco a dimenticare la sua espressione confusa e triste".

Poiché solo il 10% circa del prezzo della maggior parte dei medicinali di marca serve a coprire i costi delle materie prime chimiche impiegate e delle spese di produzione, l'industria farmaceutica si garantisce un buon margine di guadagno, anche tenendo conto delle spese per la pubblicità e la ricerca e dei salari elevati e i costosi benefit dei propri dirigenti. Mentre pazienti e contribuenti si ritrovano con le tasche vuote, i produttori di farmaci nuotano nell'oro. Dal 1995 al 2002 il settore farmaceutico si è dimostrato il più redditizio a livello nazionale. Nel 2004 la rivista Fortune stimava che, per ogni dollaro incassato, le società farmaceutiche guadagnavano circa sedici centesimi, in confronto all'utile medio di poco superiore ai cinque centesimi registrato dalle cinquecento principali società pubbliche statunitensi.

Grazie alla loro ampia disponibilità di denaro contante, le case farmaceutiche hanno generosamente sovvenzionato gruppi di pazienti, ospedali, università, scuole di medicina, associazioni mediche, agenzie governative e praticamente qualunque organizzazione desiderassero avere a fianco. Harvard, ad esempio, ha una sala conferenze intitolata a Pfizer in un edificio chiamato Mallinckrodt, un'altra società farmaceutica.

Le casseforti stracolme di denaro delle case produttrici di medicinali si sono rivelate un cappio al collo per la scienza medica. La maggioranza dei ricercatori di talento presto o tardi si è vista assoldare in qualità di consulente. Con la crescente influenza delle case farmaceutiche all'interno delle università, le priorità di ricerca hanno conosciuto un brusco cambio di direzione a discapito del pubblico interesse. I professori hanno un maggiore tornaconto personale se lavorano al nuovo farmaco contro i bruciori di stomaco piuttosto che studiare le cause ambientali dell'insorgenza dei tumori. Sia i ricercatori universitari che le società farmaceutiche sono più interessati a sviluppare trattamenti anticaduta per i capelli e altri farmaci destinati a migliorare l'aspetto degli americani benestanti che non a scoprire cure per malattie come la malaria, capaci di devastare i paesi del Terzo Mondo uccidendo un bambino ogni trenta secondi.

L' influenza delle case produttrici è così pervasiva e potente che ormai sono poche le persone in grado di valutare obiettivamente gli effetti dei prodotti farmaceutici sulla salute nazionale o le conseguenze sociali di un simile strapotere.

Washington è il cuore pulsante di questa industria. Tra il 1998 e il 2004 le case farmaceutiche hanno speso più di qualsiasi altro settore industriale per finanziare le lobby. Nel 2004 le case farmaceutiche pagavano una legione di lobbisti tanto vasta da contare più di due propri esponenti per ogni membro del Congresso. Comprando la propria influenza con il denaro, hanno ripetutamente boicottato ogni tentativo di regolamentare i prezzi dei loro prodotti e di porre un freno alle pratiche promozionali. Gli Stati Uniti sono l'unico paese sviluppato al mondo a non avere imposto alcun controllo sui prezzi dei farmaci prescritti tramite ricetta medica. Solo negli Stati Uniti e in un altro paese, la Nuova Zelanda, alle società farmaceutiche è consentito pubblicizzare i medicinali che necessitano di prescrizione medica. Il settore è anche riuscito a ottenere nuove leggi che hanno prolungato la durata dei brevetti, bloccando a lungo la concorrenza. Un'altra legge concede alle società del settore di trarre profitto dalle scoperte mediche realizzate da ricercatori finanziati a spese dei contribuenti. E, come se non bastasse, per ingigantire i profitti delle case farmaceutiche sono state emanate altre leggi che concedono a queste società crediti fiscali assai vantaggiosi. Ne consegue che questo settore, nel suo complesso, è soggetto a una tassazione molto più lieve rispetto alla media degli altri principali comparti industriali.

Nel suo insieme, il settore farmaceutico si è creato negli Stati Uniti un mercato su misura, svincolato dalle normali regole economiche. I pazienti non si vedono affatto prescrivere i farmaci più adatti ai loro disturbi al miglior prezzo possibile: al contrario, all'aumentare della concorrenza il mercato americano dei farmaci risponde aumentando i prezzi invece di abbassarli. In una situazione simile, accade che i pazienti si ammalino per aver assunto un farmaco sbagliato a causa delle informazioni mediche distorte a cui hanno avuto accesso, imputabili alle potenti campagne promozionali messe in piedi dalle case farmaceutiche. È impossibile quantificare il numero di persone che assumono nuove medicine costose laddove, invece, farmaci più datati ed economici sortirebbero maggiori benefici per la loro salute.

Le medicine possono salvare vite umane, ed effettivamente lo fanno. Gli antibiotici, commercializzati a partire dagli anni '40, hanno salvato milioni di persone da infezioni altrimenti fatali. I vaccini hanno praticamente eliminato malattie come la polio. I bambini affetti da leucemia oggi possono sopravvivere sino all'età adulta grazie alle medicine scoperte nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. Negli anni '90, gli inibitori della proteasi e altri farmaci antivirali hanno drasticamente ridotto il tasso di mortalità collegato all'AIDS. I venditori di medicine hanno ripetuto queste storie sino allo sfinimento.

La tragedia non sta nei medicinali, ma nel marketing e nel potere senza precedenti che queste società attualmente detengono sulla pratica medica. Viviamo in tempi in cui le decisioni su come curare una malattia possono essere prese tanto dall'ufficio marketing di una multinazionale quanto da un gruppo di medici indipendenti impegnati a tutelare la salute pubblica. In troppi casi il fatto che una medicina abbia effetti positivi o negativi su un paziente è diventato secondario rispetto agli utili degli azionisti. Questo libro parla proprio di questo, svelando esattamente tutto ciò di cui non si può parlare.

Più in generale, ci preme raccontare come il sistema sanitario americano, basato sul profitto, su incentivi al guadagno e disincentivi alla cura, abbia fallito. Non solo trangugiamo troppe pillole, ma ci sottoponiamo senza reale motivo anche a troppi interventi chirurgici, lastre e TAC. Quelle stesse società che tentano di venderci quante più medicine, attrezzature mediche e ricoveri ospedalieri possibile perseguono finalità in contrasto con uno dei principi fondanti della pratica medica: evitare l'accanimento terapeutico.

Al contrario, i venditori di farmaci del XXI secolo mettono in pratica il consiglio che si dava ai vetrinisti dei grandi magazzini americani di inizio '900 per istruirli nell'arte di sedurre le masse convincendole ad acquistare sempre più camicie, vestiti o giocattoli.

"Vendetegli i loro stessi sogni", incitava un relatore a una convention di vetrinisti, nel 1923. "Vendetegli quello che desiderano, quello che sperano di avere e per cui sono pronti a tutto... Vendetegli questa speranza e non dovrete preoccuparvi di vendergli dei prodotti".

Come i vetrinisti prima di loro, i venditori di farmaci hanno imparato a venderci le nostre stesse speranze e i nostri stessi sogni: una pillola per ogni desiderio. E sono in pochi a rendersi conto di quanto tutto questo sia pericoloso.

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Creare una malattia



Un tempo ero convinta di sapere cos'era una malattia. O bianco o nero: una persona o stava bene o stava male. Mi bastava sentire il nome di una malattia — cancro, diabete, insufficienza cardiaca — per provare un senso di terrore.

Poi, ascoltando le parole dei venditori di farmaci, ho imparato che non esisteva una definizione univoca di malattia, ma che si trattava di un concetto malleabile e persino inaffidabile. Avendo il denaro, il potere e la stoffa del venditore, le patologie si potevano anche inventare.

Nel gennaio 2003 Neil Wolf, vice presidente del colosso farmaceutico Pharmacia, intervenendo di fronte a dozzine di dirigenti del settore riuniti al Crowne Plaza Hotel di Philadelphia spiegò la semplice formula che la sua società aveva usato per creare una malattia. Il pubblico ne aveva sentito parlare per la prima volta nel 1998: i telegiornali, durante l'anno, la definirono un grave problema, un'epidemia, che colpiva circa un americano adulto su quattro. Misteriosamente, i servizi iniziarono a susseguirsi sui media poche settimane prima che nelle farmacie arrivasse un nuovo farmaco per questa malattia, una compressa bianca chiamata Detrol. Cinque anni dopo, nel 2003, nella sala da ballo dell'hotel che ospitava il Pharmaceutical Marketing Global Summit, Wolf si apprestava a rivelare i segreti dell'azienda e a spiegare come lui e i suoi colleghi avevano ideato, confezionato e venduto questa nuova malattia alla popolazione americana come se si trattasse di un nuovo modello di automobile.

Il Global Summit rappresentava uno dei maggiori eventi annuali nell'ambito del marketing farmaceutico. Fuori dalla sala da ballo, dozzine di venditori di servizi di marketing attendevano all'interno dei loro stand l'occasione di conquistare i dirigenti di questa o quella società produttrice. La loro creatività non conosceva quasi limiti. Una compagnia offriva alle multinazionali del farmaco la possibilità di costruire tendoni a forma di gigantesche pastiglie in occasione delle principali corse automobilistiche, come la Indianapolis 500, dove le infermiere avrebbero visitato gli spettatori, diagnosticando loro qualsiasi malattia la casa farmaceutica volesse suggerire. In uno stand poco oltre, un'altra azienda si offriva di promuovere i medicinali presso i suoi centri commerciali presenti in trentasei stati. "Il centro commerciale è il mezzo giusto", proclamavano.

Molti dei dirigenti invitati al Global Summit erano giovani, qualcuno forse aveva anche meno di trent'anni, ed era ancora fresco di college o di un programma M.B.A. Erano venuti alla conferenza per confrontarsi e apprendere i segreti che avrebbero fatto decollare le loro carriere.

Molti di loro conoscevano già qualcosa della storia del Detrol e attendevano con impazienza di saperne di più.

Non appena Wolf, un uomo con la barba e i capelli brizzolati, salì sul palco della sala da ballo, il pubblico ammutolì. Sul grande schermo apparve la prima slide della presentazione con il titolo da lui scelto per il discorso: "Posizionare il Detrol (creare una malattia)".

"Volevamo che la gente leggesse qualcosa sul Reader's Digest e andasse dal medico dicendo: 'Ho questo problema'", affermò.

Iniziai a occuparmi delle case farmaceutiche scrivendo per il New York Times all'inizio del 2000, un periodo di esuberanza e di facili guadagni per Wall Street. Le casalinghe seguivano gli allegri conduttori della CNBC, il canale televisivo finanziario via cavo, prendendo nota delle più ghiotte opportunità di investimento mentre preparavano in fretta i bambini per la scuola. I nonni prelevavano i soldi dai libretti di risparmio per comprare azioni con cui rimpinguare le loro pensioni. I quadri intermedi si licenziavano per diventare day trader, acquistando e vendendo titoli dal computer di casa. Molte società ai primi passi, dotate appena di un business plan con cui illustrare i futuri guadagni via internet, videro il prezzo delle loro azioni impennarsi sino a venti o trenta volte il valore iniziale pur senza aver mai realizzato alcun tipo di profitto.

Durante questo boom americano, furono proprio i produttori farmaceutici a entusiasmare gli investitori ebbri di mercato, in cerca di titoli caratterizzati da un basso rischio e da una rapida crescita. Mentre le società IT potevano contare su poco altro che la promessa di vendite future, il successo delle case farmaceutiche era una solida realtà che realizzava profitti a una velocità più che doppia rispetto al resto del mercato, caratteristica mantenutasi costante per oltre due decenni.

Non si trattava di società IT ad alto rischio, quotate sulla parola: le case farmaceutiche non conoscevano crisi.

Vendere medicine era uno strano lavoro, che trasformava la malattia in denaro e la sofferenza in profitto. Quando intervistavo i dirigenti del settore, mi capitava spesso di sentire dichiarazioni del genere: "I problemi respiratori stanno dando ottimi risultati, come anche il colesterolo. La depressione ha superato le attese, alcuni prodotti stanno realmente andando forte. La nota dolente è il mercato dell'emicrania".

I dirigenti parlavano delle medicine prodotte dalle rispettive società allo stesso modo in cui i produttori di Hollywood commentavano l'uscita di un nuovo film. Parlavano di "lanciare il nuovo blockbuster", riferendosi a una medicina in grado di garantire vendite da un miliardo di dollari, o più, nell'arco di un solo anno. Era sbalorditivo apprendere come una società potesse guadagnare così tanto vendendo composti chimici sotto forma di compresse. Nel 2004, un miliardo di dollari bastava per garantire a oltre 88.000 studenti americani un posto in un'università pubblica, coprendo non solo i costi delle lezioni, ma anche tasse, vitto e alloggio.

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Gran parte del successo ottenuto dagli esperti di marketing farmaceutico nel creare nuovi disturbi è dovuto al fatto che non esiste una vera e propria definizione di malattia. La parola figura in pressoché tutte le discussioni quotidiane sulla salute, ma gli studiosi non si sono mai accordati sul suo significato.

"Il termine 'malattia' è abitualmente in uso come definizione non formale, per cui la gran parte di coloro che lo usano preferiscono concedersi la confortante illusione che tutti sappiano di cosa si sta parlando", scrisse nel 1967 J.G. Scadding, professore di medicina presso la University of London ed esponente di spicco della filosofia diagnostica.

Secondo il dizionario della lingua italiana Sabatini-Coletti si definisce malattia "in generale, qualsiasi stato patologico o alterazione dell'organismo o di un suo organo dal punto di vista anatomico o funzionale". Ma il concetto di alterazione presuppone necessariamente l'esistenza di una condizione da ritenersi normale. Ma che cos'è la normalità? E che cos'è la salute stessa?

Data l'oscurità dei concetti in campo, e considerato che esistono centinaia di esami diagnostici in grado di stabilire se stiamo male, ma neppure uno capace di dirci se stiamo bene, le possibilità a disposizione delle case farmaceutiche per espandere il mercato dei farmaci sono enormi.

Irretiti dal marketing, gli americani ora richiedono farmaci in grado di curare calvizie, cali di libido e menopausa, un tempo considerati normali effetti collaterali dell'invecchiamento. Problemi come il mal di stomaco e la stitichezza, senza dubbio poco piacevoli ma assai raramente fatali, ora richiedono una visita dal dottore. Se per un paziente è buona cosa avere un livello di colesterolo nel sangue inferiore a 130, perché non abbassarglielo ancora di più facendogli assumere altri medicinali? Al giorno d'oggi disponiamo di definizioni cliniche e di linee guida per la cura dell'infelicità, della solitudine e della timidezza, come se vi fosse qualcosa di intrinsecamente sbagliato nello sperimentare emozioni del genere, che sono parte integrante della vita.

Nel 1992, con anni di anticipo sulla comparsa di malattie come le disfunzioni erettili e l'iperattività vescicale, la giornalista Lynn Payer puntò il dito contro chiunque mercificasse la pratica medica, dalle case farmaceutiche ai medici, dagli ospedali ai produttori di test diagnostici, dagli autori di articoli e trattati medici sino alle associazioni di avvocati che si battevano per la difesa dei diritti dei pazienti, accusandoli di plagiare milioni di persone sane per convincerle di essere malate. Payer sosteneva che, senza la possibilità di creare nuove malattie, le case farmaceutiche sarebbero state costrette a competere fra loro per offrire ai pazienti la cura migliore per il loro disturbo al prezzo più conveniente. Ma, data la vaghezza dei concetti in campo, il marketing ha avuto vita facile nel creare la propria domanda, inventandosi disturbi e ampliando la definizione di malattia al fine di poterla applicare a un numero sempre maggiore di persone. Il risultato delle strategie di marketing, scrive Payer, è stato "erodere la fiducia in noi stessi. Questa è la nostra vera malattia".

Sottoponendosi a un numero sufficientemente alto di esami, anche la persona più sana alla fine scoprirà di avere qualcosa che non va. I portavoce dell'industria medica affermano che il processo di analisi, diagnosi e cura contribuisce ad allungare la vita delle persone. Ciò che spesso dimentica di aggiungere, o tace volutamente, è che pillole, iniezioni o interventi chirurgici possono anche provocare più danni della malattia stessa. Persino gli esami necessari per individuare la malattia con aghi, endoscopie, TAC e radiazioni possono danneggiare la salute. Ogni anno miliardi di dollari vanno sprecati in interventi sanitari inutili. Uno studio ha rilevato che quasi il 40% degli esami ordinati dai medici ospedalieri non è necessario. Inoltre, la ricerca di presunte malattie può distrarre a tal punto i medici da non lasciare loro tempo sufficiente per i pazienti realmente ammalati.

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Nel corso degli ultimi due decenni, l'industria farmaceutica aveva imparato a lavorare dietro le quinte per far parlare dei propri prodotti. Questa tattica piaceva ai dirigenti perché permetteva di aggirare le norme governative che ponevano dei limiti a quanto si poteva affermare a fini pubblicitari. In uno spot, le società non potevano esagerare i benefici di un farmaco né minimizzarne gli effetti collaterali ma, se erano furbi, gli addetti marketing potevano organizzare una messinscena abbastanza convincente da sembrare un evento reale e non pianificato. A quel punto, né il publico né alcuna autorità governativa sarebbero riusciti a smascherarli.

Ad esempio, in un'intervista concessa nel 2002 alla trasmissione Today di NBC, l'attrice Lauren Bacall parlò a Matt Lauer del Visudyne, una medicina che, sosteneva, aveva salvato dalla cecità un suo amico. L'attrice raccomandava agli spettatori di recarsi dal proprio medico per scoprire se anche per loro era consigliabile assumere quel farmaco. Ciò che dimenticò di dichiarare era che veniva pagata dalla casa farmaceutica Novartis, produttrice del Visudyne.

In un episodio di ER, famosa serie televisiva di NBC, un paziente affetto da Alzheimer veniva curato con l'Aricept: gli sceneggiatori avevano inserito questa medicina nel copione dietro pressioni della società che curava le pubbliche relazioni per conto di Pfizer. La società in seguito si vantò del fatto che venticinque milioni di americani quella sera avevano appreso dell'esistenza del farmaco di Pfizer proprio grazie al telefilm.

In un video del dicembre 2000 finanziato da Wyeth-Ayerst, l'azienda produttrice della terapia ormonale sostitutiva Prempro, Lauren Hutton affermò entusiasta che il suo aspetto fisico era "notevolmente migliorato" grazie all'assunzione del farmaco. "Entrando in una stanza, sono in grado di dirti con certezza pressoché assoluta chi assume estrogeni e chi no", dichiarò l'ex-top model, aggiungendo che le pillole avevano migliorato anche la sua vita sessuale. Con la menopausa, "l'umore peggiora e non si ha voglia di fare niente", disse. "Non vuoi neanche andare al cinema, figuriamoci fare sesso, ma adesso che ho risolto questo problema, mi capita di andare al cinema anche due o tre volte al giorno".

Sei mesi dopo l'uscita di quel video, i ricercatori governativi annunciarono di aver interrotto gli studi sul Prempro dopo aver scoperto che la sua assunzione aumentava il rischio di tumore al seno, insufficienza cardiaca e infarto. Anche se il farmaco rimase comunque in commercio, la notizia lasciò di stucco milioni di donne convinte che l'assunzione quotidiana della pillola le avrebbe mantenute giovani, sexy e in piena forma.

Robert Chandler e Gianfranco Chicco erano due dei maggiori esperti nell'ideare questo genere di pubblicità alternativa per i prodotti farmaceutici. I due gestivano una società di pubbliche relazioni attiva a livello globale dal loro ufficio nel cuore del Meatpacking district di Manhattan. Pur riconoscendo che i medici erano sempre stati i "veicoli promozionali" più efficaci, i due affermavano che chiunque, dai politici al presidente della locale associazione di genitori e insegnanti, poteva essere pagato per creare attenzione positiva attorno a un medicinale.

"L'attenzione creata deve sempre sembrare frutto del caso", scrivevano nel 2002, "ma in realtà occorre orchestrarla con rigore scientifico e tenerla sotto stretto controllo, proprio come si farebbe con una pubblicità destinata al New England Journal of Medicine".

Se ben organizzati, spiegavano, questi eventi erano in grado di far parlare la gente e di creare attenzione attorno a un medicinale, facendo crescere la domanda "praticamente da un giorno all'altro".

Il "fine ultimo', affermavano, era permettere a una società di "vendere al consumatore un messaggio o un prodotto senza fargli neanche sospettare che ci sia una vendita in atto".

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Sul numero dell'agosto 2005 della rivista Good Housekeeping, un ragazzo dagli occhi scuri irradiava luce in una pubblicità dell'Adderall, un farmaco a base di anfetamine destinato ai bambini cui era stato diagnosticato l'ADHD (deficit di attenzione da iperattività): "Finalmente! Ore serene trascorse in famiglia, amici che lo invitano, risultati scolastici all'altezza della sua intelligenza. Una soluzione sicura contro l'ADHD".

Implicitamente, la pubblicità veicolava il concetto che la medicina avrebbe compiuto una sorta di trasformazione della personalità. Bastava ingerire la pillola per cambiare in meglio la propria vita e diventare simpatici e invidiati dai vicini. Queste tacite promesse insite nelle pubblicità dei medicinali non differivano da quelle relative a un qualsiasi altro tipo di prodotto.

"Lo scopo della pubblicità è provocare nel destinatario un leggero senso di insoddisfazione riguardo alla sua attuale esistenza, portandolo non a criticare lo stile di vita della società in generale, ma a mettere in discussione il proprio modo di vivere in relazione a quello generale", spiegava il critico d'arte John Berger , in un saggio sulla pubblicità del 1972, ormai divenuto un classico del genere. "La pubblicità suggerisce che, se si compra un determinato prodotto, la propria vita migliorerà. La pubblicità offre un'alternativa migliore a ciò che si è".

"Assaggia la vita", proclamava il dépliant promozionale dell'antidepressivo Wellbutrin che ho preso in una farmacia dell'Iowa. Il dépliant mostrava una scena che sarebbe stata bene sulla copertina di un romanzo rosa: un uomo di bell'aspetto sollevava tra le braccia una donna giovane e snella appena scesa da un treno.

Uno spot televisivo trasmesso durante il telegiornale delle 17:30 puntava su una tattica più simile a quelle utilizzate dalla linea di intimo femminile Victoria's Secret. Pubblicizzava un farmaco, il Levitra, che prometteva di migliorare la "qualità dell'erezione". Lo spot non aveva nulla a che fare con la cura di un disturbo, ma invitava a usare un medicinale per puro divertimento.

"Più duro e più a lungo, quando vuole lui", diceva l'attrice dai capelli corvini con un tono di voce basso e sensuale. "Ecco a cosa serve il Levitra".

Il linguaggio delle pubblicità di molti medicinali descriveva prodotti in grado di offrire risultati potenti e precisi, pretese che non sempre trovavano riscontro nei fatti, in un fiorire di effetti immediati, difese immunitarie rafforzate, pelli improvvisamente luminose, dolori scomparsi come per magia, guarigioni quasi miracolose e sonni profondi.

Non è magia, proclamava uno spot. È un cosmetico a base di botulino.

Gli slogan cinguettanti di farmaci come lo Zelnorm (Torna a essere te stesso), il Levitra (Resta in gioco) e il Restylane (Una bellezza naturale. Basta chiederla) erano difficilmente distinguibili da quelli di Burger King (Fa a modo tuo), di Wheaties (La colazione dei campioni), e delle sigarette Eve (Le prime sigarette davvero femminili, belle quasi quanto te).

Nel 1946 George Orwell osservò che il linguaggio è in grado di corrompere i nostri pensieri. "Per evitare che gli slogan ci invadano la mente [...] è necessario non abbassare mai la guardia, perché ogni singola frase del genere anestetizza una parte del nostro cervello".

Nessun dubbio sul fatto che le case farmaceutiche stavano tentando tale invasione. Nel 2005 i produttori di medicinali figuravano tra i maggiori committenti di campagne pubblicitarie degli Stati Uniti. Nel corso degli undici mesi precedenti l'aprile 2005, sette dei dieci principali sponsor del notiziario serale della CBS erano case farmaceutiche. Delle ventiquattro pagine della rivista Parade del 12 febbraio 2006, allegata ai quotidiani di trecento città americane, compresa la Globe Gazette di Mason City, in Iowa, ben otto erano dedicate alla pubblicità di farmaci.

Le pubblicità sui giornali e sulle riviste contenevano lunghe avvertenze riguardo ai pericoli connessi all'uso di medicinali imposti dalle leggi federali, ma gli addetti al marketing facevano volutamente ricorso a una terminologia medica complessa che l'americano medio non era in grado di comprendere e li stampavano talmente in piccolo che per leggerli occorreva una lente di ingrandimento.

Le pubblicità promettevano magie ai pazienti, ma facevano miracoli per le case farmaceutiche. Secondo un'inchiesta, il 35% degli americani adulti ammetteva di essere stato spinto da un qualche messaggio promozionale a chiedere informazioni al proprio medico su un farmaco o una malattia. Nella maggioranza dei casi, queste persone si erano viste prescrivere i farmaci su cui chiedevano notizie, anche qualora non soffrissero dei disturbi che questi avrebbero dovuto curare. Da uno studio del 2005, emergeva che i medici prescrivevano antidepressivi a più della metà dei pazienti che richiedevano espressamente il Paxil, anche in assenza dei sintomi della depressione, ma solo sulla base di problemi temporanei e di lieve entità, come lo stress causato dal dubbio se accettare o meno un'offerta di pre-pensionamento.

Alcuni medici dell'Iowa favorivano le case farmaceutiche acquistando propri spazi pubblicitari sull'edizione domenicale del Des Moines Register. "Problemi di erezione?", chiedeva una pubblicità del Lakeview Center for Urology il 26 giugno 2005. "Non sei solo". L'inserzione invitava gli uomini dell'Iowa a "chiamare subito" e a "ritrovare il piacere di amare". Queste pubblicità contribuivano alla vendita di farmaci come il Viagra e il Levita, ma portavano anche considerevoli guadagni a questi medici dotati di spirito imprenditoriale. Ogni cittadino dell'Iowa che rispondeva all'appello garantiva nuovi introiti tra visite allo studio, esami diagnostici e procedure varie. I medici avevano appreso le tecniche di marketing delle case farmaceutiche e le imitavano con altrettanto successo.

Perché le case farmaceutiche hanno bisogno di spendere il 25%, o anche più, dei loro profitti in promozione? Perché, innanzi tutto, i farmaci non hanno effetto su buona parte delle persone che li assumono, come confermato dagli stessi scienziati, dai dirigenti e dagli studi clinici dei produttori.

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Squilibri chimici



In uno degli uffici sopra al negozio di cosmetici Sally, Patrick Hurley parla rapidamente, raccontandomi di come il Ritalin e il Prozac gli abbiano cambiato l'esistenza.

Le lancette dell'orologio a muro si muovono all'indietro, un modello di orologio nuovo che, così dice, soltanto lui e i suoi clienti capiscono davvero. Appesa sopra la sua scrivania c'è una cornice nera che racchiude il distintivo d'argento che portava ai tempi in cui era vice-sceriffo della contea di Johnson. Sopra alla cornice, legato a una cordicella, dondola un badge di un azzurro splendente, souvenir di una conferenza a cui ha partecipato di recente. Sul badge è stampato l'elegante logo societario di Eli Lilly.

Hurley è un omone sulla cinquantina, dai modi amichevoli, con pochi capelli biondi e una faccia rotonda. Sorride e gesticola mentre racconta di quando, nove anni prima, padre di quattro figli, tradì la moglie. Il suo matrimonio andò in pezzi, disse, e lui cadde in depressione, perdendo la propria autostima. Su suggerimento del cognato, si recò da uno psicologo di Iowa City, che gli diagnosticò, all'età di quarantadue anni, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Il medico gli diede un campione omaggio di Ritalin, affermò Hurley, e improvvisamente poté vedere con assoluta chiarezza tutte le esperienze negative del passato, comprese le ragioni che l'avevano spinto verso quella "stupida" relazione.

"Era la malattia a rendermi impulsivo", affermò raggiante. "Non pensavo alle conseguenze delle mie azioni".

Disse che in seguito alla diagnosi comprese perché a scuola era sempre stato il buffone della classe e non aveva mai ottenuto grandi risultati. "Ero capace di tenere a mente tutte le canzoncine degli spot televisivi, ma a scuola non riuscivo a combinare nulla. Le suore dicevano che non m'impegnavo".

Adesso sapeva anche perché aveva in casa ben cinque scatole di lubrificante WD-40 e cinque martelli eppure non riusciva mai a trovarli quando ne aveva bisogno.

Hurley mi disse che molte persone di sua conoscenza gli avevano confidato che la diagnosi del disturbo da deficit di attenzione era stata "la notizia più bella che avesse mai ricevuto". Ecco perché, spiegò, pochi anni prima aveva deciso di affittare quell'ufficio all'interno di un piccolo centro commerciale di Cedar Rapids e aveva iniziato a farsi pubblicità come tutor per chiunque fosse vittima del suo stesso disturbo. Ecco anche perché era alla costante ricerca di altre persone con una vita altrettanto complicata di quella che aveva avuto lui: era convinto di poter aiutare queste persone mandandole da un medico che avrebbe formulato una semplice diagnosi e avrebbe prescritto loro dei farmaci da assumere quotidianamente.

Aveva indirizzato in tutto quarantasette persone alla clinica del dott. Frank Gersh a Iowa City, affermò, e a quarantasei era stato effettivamente diagnosticato il disturbo. "Il dott. Gersh mi ha detto che ho un fiuto speciale per scovare queste persone".

È assai probabile che il dott. Gersh apprezzi il giro di affari che si è venuto a creare in questo modo.

Una delle persone che Hurley ha indirizzato alla clinica psicologica è stata la sua seconda moglie, che lavora come preside in una scuola elementare. Hurley mi raccontò che, quando aveva cominciato a uscire con lei, aveva notato che il suo ufficio era ingombro di pile di carta, uno dei "classici segnali del deficit di attenzione". Ma fu solo nel momento in cui l'aiutò a traslocare, affermò, che divenne certo del suo disturbo. "Aprii una scatola su cui aveva scritto 'Cucina', ma all'interno trovai tutt'altro".

Suo figlio si presentò dal dott. Gersh due anni dopo di lui, quando era una matricola presso la Iowa State University, e gli venne diagnosticato il medesimo disturbo. A sua figlia, invece, il deficit di attenzione fu diagnosticato in seconda media. Dei suoi ventitré nipoti, maschi o femmine, sei presentano lo stesso problema.

Hurley si disse convinto che molte delle persone afflitte da questo disturbo siano in realtà dei geni, il cui potenziale non è mai emerso per il fatto che non hanno potuto assumere i medicinali adatti. Suo figlio è ora un ingegnere meccanico e sua figlia ha conseguito un dottorato in psicologia. Tra le persone che sta attualmente seguendo, ci sono un avvocato, un'infermiera diplomata e tre ingegneri di Rockwell Collins, una società attiva nel campo delle forniture militari la cui sede principale si trova proprio a Cedar Rapids.

"Si pensa che alcune delle menti più brillanti di sempre siano state affette da deficit di attenzione", affermò, facendo i nomi di Leonardo da Vinci, Benjamin Franklin e Bill Clinton. "Thomas Edison e Einstein", fece notare, "furono entrambi buttati fuori da scuola".

Questa teoria, secondo la quale una pillola consentirebbe di far emergere il genio latente in ognuno di noi, sembrava piovere direttamente dalle campagne pubblicitarie dei relativi medicinali. "Vivere all'altezza delle tue possibilità ti sembra uno di quei giochi in cui si perde sempre?", chiedeva nell'estate del 2005 uno slogan pubblicitario sul sito web in cui Eli Lilly promuoveva lo Strattera, un farmaco per la cura dell'attenzione deficitaria. La pubblicità mostrava un uomo con gli occhiali, di età compresa tra i venti e i trent'anni, vagamente somigliante a Bill Gates. "Concentrati sul possibile", era lo slogan.

Hurley diceva di tenere il suo flacone di Ritalin sul comodino, vicino alla sveglia. Quando al mattino la sveglia suonava, lui prendeva la sua medicina e schiacciava ancora un pisolino. Di lì a un quarto d'ora, quando la sveglia suonava di nuovo, la medicina aveva fatto effetto e lui saltava giù dal letto.

"È una bomba", dichiarò, "so che funziona sempre".

[...]

Il medico somministrò a Hurley una compressa di Ritalin e si preparò per sottoporlo di nuovo allo stesso test. "Cinque minuti prima del test si impadronì di me una calma assoluta, mai provata prima", affermò Hurley. "Era incredibile".

Guarito dal Ritalin, superò tutti i test. Hurley ricordava di non aver mai creduto realmente all'esistenza della sindrome ADHD prima della visita con il dott. Gersh, né al potere benefico dei farmaci quotidiani. "Adesso prevedo di continuare a usarli per il resto della mia vita".

Non erano solo il Ritalin e il Prozac a essere diventati qualcosa di simile a vitamine da assumere quotidianamente. La vita di molti altri cittadini dell'Iowa era ormai regolamentata dalle medicine.

Inghiottivano ogni giorno i loro inibitori della pompa protonica e della COX-2, i loro triciclici e analgesici, le benzodiazepine e anfetamine, gli anticoagulanti e gli anti-ipertensivi, oltre ai lipidoriduttori, agli stimolanti della serotonina e agli stabilizzanti dell'umore.

In media, ogni abitante dell'Iowa presentava in farmacia quattordici ricette all'anno.

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Gli esperti hanno formulato ogni genere di teoria sul perché i bambini americani assumano un numero di psicofarmaci, che aumenta anno dopo anno. Alcuni individuano la causa nei test utilizzati per diagnosticare ai bambini il disturbo da deficit di attenzione e altre forme di malattia mentale. Sostengono che i criteri alla base di questi test sono di gran lunga troppo vaghi e che, al giorno d'oggi, comportamenti normali durante l'infanzia vengono considerati sintomi di disturbi mentali. La sindrome da deficit di attenzione e altri disturbi simili non sono individuabili tramite esame del sangue o altri tipi di test fisici e quantificabili. I medici si basano sul Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, un manuale di novecento pagine scritto da psichiatri e pubblicato dall'American Psychiatric Association, il cui potere è incredibilmente aumentato nell'America contemporanea. Il DSM, come è chiamato comunemente, stabilisce che un bambino soffre del disturbo da deficit di attenzione quando mostra almeno sei dei nove comportamenti contestualmente descritti, che spaziano dal non prestare attenzione ai dettagli al non ascoltare ciò che dicono le persone che parlano con lui, dal non riuscire a concludere i compiti al dimenticare le cose o al distrarsi facilmente. A questa diagnosi il dottore può aggiungere anche l'iperattività se il bambino si muove continuamente o si contorce sulla sedia, se corre o si arrampica in situazioni nelle quali tali attività sono giudicate inappropriate, se ha difficoltà a giocare in silenzio o se "non sta mai fermo".

Dieci anni fa, la maggioranza dei bambini a cui era stata diagnosticata una forma di malattia mentale era ritenuto affetto dalla sindrome da deficit di attenzione. Attualmente, i dottori non si limitano a questa diagnosi, ma vi aggiungono frequentemente una o più delle altre dozzine di malattie elencate nel DSM, tra cui la depressione, la sindrome ossessivo-compulsiva, il disturbo comportamentale, la sindrome da ansia generalizzata, o anche un qualcosa definito "disturbo esplosivo intermittente" riguardante i bambini che reagiscono con rabbia eccessiva in risposta a situazioni che altri considerano di scarsa rilevanza. Molti dei disturbi descritti nell'attuale edizione del DSM trent'anni fa non esistevano neppure. Nel 1952 il manuale elencava 106 forme di malattia mentale. Già nel 1994 le voci in elenco avevano raggiunto quota 357. In molti hanno criticato il DSM osservando che i suoi autori si sono dimostrati troppo impazienti di aggiungere nuovi disturbi, anche in mancanza di prove scientifiche a loro sostegno.

Nello stesso periodo, gli psichiatri hanno modificato le definizioni della depressione e di altre malattie mentali da lungo tempo codificate, in modo da poterle applicare a un numero maggiore di persone. Quando, negli anni '50, uno degli scienziati della casa farmaceutica Ciba-Geigy creò il primo antidepressivo, un farmaco di nome Tofranil, la società non si impegnò particolarmente nella sua promozione, dato il numero ridotto di persone che soffrivano di questa malattia. All'epoca, si riteneva che solo una persona su diecimila soffrisse di depressione. Nel 2005 alcuni scienziati hanno stimato che, su diecimila persone, almeno mille o duemila siano depresse, vale a dire circa il 20% dell'intera popolazione. Questo porterebbe a concludere che, nel volgere di cinquant'anni, si è verificato un incremento del 1000%.

Questo dilagare delle diagnosi psichiatriche, unito al numero sempre maggiore di persone a cui viene detto di soffrire di una qualche malattia mentale, ha sollevato un aspro dibattito a livello nazionale: non è forse in corso un processo di ridefinizione della vita come un susseguirsi di disturbi mentali, ognuno dei quali da curarsi tramite un apposito farmaco?

Il dott. Stuart A. Kirk, professore specializzato in sistemi socioassistenziali presso l'Università della California, per anni ha studiato il DSM, le sue origini e le sue applicazioni. La conclusione a cui è giunto è che gli psichiatri che hanno redatto il DSM stanno tentando di "farci passare tutti per matti", in virtù della continua espansione dei comportamenti definiti come disturbi psichiatrici. In un saggio del 2005, il dott. Kirk scrisse che, al giorno d'oggi, gli psichiatri leggono segnali di disturbi mentali nei bambini allorché questi "mentono, non rispettano le regole, non vogliono stare seduti composti o mettersi in fila, non sono bravi in matematica, non prestano attenzione ai dettagli, non ascoltano, non amano fare i compiti o se ne dimenticano, smarriscono le matite o parlano quando non tocca a loro farlo". Gli psichiatri americani e le case farmaceutiche, sosteneva, avevano posato gli occhi sull'elenco in continua crescita dei disturbi riportati nel DSM "come farebbe una società di legnami su una foresta di sequoie".

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Nel 1997 Novartis, la casa produttrice del Ritalin, distribuì un libricino agli insegnanti di tutta l'America invitandoli a presentare i farmaci ai genitori in questo modo: "Queste medicine non 'drogano' né 'alterano' il cervello del bambino, ma lo rendono invece 'normale', correggendo uno squilibrio chimico".

I medici e gli ospedali dell'Iowa hanno aiutato le case farmaceutiche a diffondere l'idea che molte persone afflitte da squilibri chimici potessero essere facilmente curate assumendo medicinali. Nel 2005, in occasione di una festa per bambini presso il centro commerciale Jordan Creek di West Des Moines, un clown truccava il viso dei piccoli ospiti e il personale del Mercy Hospital offriva i suoi servizi, diagnosticando loro la sindrome da deficit di attenzione. I dipendenti dell'ospedale distribuivano brochure in cui si affermava che il Ritalin "guariva quelle parti del cervello che non funzionavano come avrebbero dovuto".

L'idea di uno "squilibrio chimico", cioè che la sofferenza mentale fosse causata semplicemente dalla mancanza di determinati elementi chimici, era un concetto che la popolazione dell'Iowa poteva facilmente accettare. Suonava come una teoria seducente, a cui chiunque stesse vivendo un periodo di stress o di infelicità poteva essere tentato di credere, evitando così di preoccuparsi di individuare le ragioni che potevano essere alla radice del suo stato d'animo. Inoltre questa teoria trasformava qualsiasi tipo di angoscia o sofferenza in qualcosa cui si poteva facilmente e rapidamente porre rimedio prendendo una medicina. Convincendo la popolazione che la tristezza poteva essere tenuta a bada da un antidepressivo, proprio come l'insulina faceva con il diabete, le società vendevano farmaci per miliardi di dollari.

Già nel 2001, i farmaci per il cervello e il sistema nervoso centrale coprivano quasi un quarto delle prescrizioni effettuate negli Stati Uniti e le vendite aumentavano a un ritmo del 20% annuo.

Il problema insito nella teoria che considera la malattia mentale come un semplice squilibrio chimico è che, appunto, si tratta di pura teoria. Una teoria che viene semplificata all'estremo dal marketing farmaceutico, in favore della quale gli scienziati non sono però stati in grado di portare prove certe nonostante decenni di lavoro.

Alcuni esperti di psichiatria hanno cercato di riportare queste teorie alla realtà, sottolineando che il cervello è immensamente complesso e che gli scienziati comprendono ancora ben poco del suo funzionamento.

"Per parecchi anni, all'inizio della mia carriera, ho condotto ricerche a tempo pieno sul metabolismo cerebrale della serotonina, ma non sono mai giunto a nessuna conclusione convincente sul fatto che un qualsiasi disturbo psichiatrico, depressione inclusa, dipendesse da uno scarso livello di serotonina nel cervello", affermò nel 2003 il dott. David Burns, professore aggiunto di psichiatria clinica e comportamentale presso la Stanford University, quando gli venne chiesto il suo parere a proposito della teoria dello squilibrio della serotonina. "Poiché non è possibile misurare il livello di serotonina in un essere umano vivente, non vi è alcuna possibilità di provare questa tesi. Alcuni ricercatori di neurologia giudicherebbero difficilmente sostenibile una simile teoria, dato che il cervello non funziona come un sistema idraulico".

Il dott. Elliot S. Valenstein, professore emerito di psicologia e di scienze neurologiche presso l'Università del Michigan, nel suo libro del 1998 Blaming the Brain scriveva: "Vi sorprenderà sapere che non esiste alcuna prova convincente riguardo agli squilibri chimici di cui soffrirebbe la maggioranza dei pazienti ritenuti affetti da disturbi mentali... Queste teorie hanno subito ben poche modifiche negli anni, sebbene esistano molte prove della loro infondatezza".

Nel 2005, il dott. Kenneth S. Kendler, professore di genetica umana e psichiatria presso la Virginia Commonwealth University, scrisse che: "Abbiamo cercato spiegazioni semplici ed evidenti di ordine chimico e neurologico ai disturbi psichiatrici e non le abbiamo trovate".

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Le medicine agiscono e manifestano i loro effetti benefici interferendo in un modo o nell'altro con l'equilibrio chimico e cellulare del corpo umano. Gli scienziati progettano le molecole dei farmaci affinché apportino determinati effetti a livello biologico, ma ognuna di esse porta in dote anche effetti indesiderati imprevedibili. Una delle lezioni fondamentali della farmacologia recita che solo una linea sottile divide una medicina efficace da un veleno.

I medici dell'Iowa, tanto indaffarati a diagnosticare malattie e a prescrivere farmaci, stavano involontariamente creando un diverso genere di condizione patologica, uno di cui in pochi avevano voglia di parlare. Nelle pubblicazioni mediche, queste malattie vanno sotto il nome di "disturbi farmacologicamente indotti" o "reazioni avverse al farmaco". Per i ricercatori al soldo delle case farmaceutiche si tratta di semplici "eventi". Molti dottori e farmacisti preferiscono il termine "disgrazie", come se si trattasse di una qualche imponderabile fatalità capitata a un'escursionista a spasso per i boschi. Simili eufemismi hanno contribuito a falsare la percezione generale, presentando quanto accade come un tragico avvenimento inevitabilmente correlato alla pratica medica e fuori da qualsiasi umano controllo. La verità è che questi "eventi" sono malattie, danni fisici invalidanti e decessi provocati dall'assunzione di medicinali.

Un qualsiasi pronto soccorso, non diverso da quello a cui si era rivolto Jerry Houk, è in grado di quantificare l'incidenza di questo tipo di situazioni. Il dott. Mark A. Graber, professore presso l'Università dell'Iowa e medico del pronto soccorso dell'ospedale universitario di Iowa City, ha raccontato di avere visto pazienti che vomitavano sangue a causa degli antidolorifici assunti, o altri colpiti da disfunzioni cardiache dovute all'accumulo di fluidi provocato dai farmaci contro il diabete o dagli antidolorifici. Altri ancora manifestavano reazioni gravi e improvvise agli antibiotici.

L'università non tiene traccia del numero di pazienti trasportati d'urgenza al pronto soccorso per problemi causati dall'assunzione di medicinali ma, afferma il dott. Graber: "Ho la sensazione che il numero di casi dovuti sia alle interazioni tra farmaci che agli effetti collaterali sia in crescita".

I medici curano quotidianamente le malattie provocate dai medicinali nelle unità di pronto soccorso di tutto il paese. Uno studio ha scoperto che ben il 28% di tutte le visite effettuate in un pronto soccorso si ricollega all'assunzione di farmaci. Il gruppo di pazienti più vulnerabile, inevitabilmente, è rappresentato dagli anziani.

Circa la metà degli americani sopra i sessantacinque anni assume come minimo cinque diversi farmaci o integratori ogni settimana. Il 12% arriva a dieci o più. Uno dei motivi per cui gli anziani prendono più farmaci è perché sono colpiti da un numero maggiore di malattie croniche.

Il dott. Jerry H. Gurwitz, esperto di medicina geriatrica, lo spiega così ai suoi studenti: "Man mano che invecchiano, i pazienti passano da un medico all'altro, rischiando di accumulare nuove terapie farmacologiche, allo stesso modo in cui una barriera corallina aumenta il proprio volume con successive stratificazioni di corallo".

Esistono anche altri fattori. Le persone anziane e le famiglie che di loro si occupano sono particolarmente sensibili alle manipolazioni del marketing. Il messaggio sottinteso da molte pubblicità di medicinali è semplice e spaventoso: chi non prende medicine ha già un piede nella fossa.

Tuttavia, ogni farmaco aggiunto a quelli che abitualmente l'anziano assume aumenta la possibilità di scatenare una pericolosa interazione tra medicinali. Al contempo, è lo stesso processo di invecchiamento naturale a rendere le persone anziane più esposte agli effetti collaterali di una medicina. I corpi non più giovani faticano a filtrare ed espellere le sostanze nocive contenute nei farmaci, perché reni e fegato non funzionano più come un tempo. Invecchiando, il corpo umano trattiene una quantità minore di acqua e riduce la massa muscolare in favore della massa grassa, il che significa che la dose raccomandata per una persona adulta nel caso di molti farmaci si rivela eccessiva per la popolazione anziana.

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Epilogo



Attualmente, gli americani spendono in cure mediche più di quanto non facciano per alloggio, cibo, trasporti o qualsiasi altra voce di spesa. Non era così negli anni '80, quando le spese mediche rientravano al massimo fra le prime cinque voci del bilancio familiare.

Pochi americani si rendono conto di spendere così tanto per la salute. Ogni mese staccano assegni corposi per il mutuo, l'affitto o la macchina, mentre l'onere finanziario delle spese mediche passa in secondo piano. La maggioranza delle persone ha un'assicurazione sanitaria pagata dal datore di lavoro che copre la gran parte dei costi sostenuti e questo impedisce che si rendano conto di quante migliaia di dollari provenienti dalle loro tasse finiscono risucchiate dal sistema medico. Nel 2005, i contribuenti hanno coperto circa metà della spesa sanitaria nazionale e al tempo stesso queste spese si sono concentrate su una minoranza di americani affetti da malattie gravi o croniche, anche se tutti hanno contribuito a coprire i costi in rapida ascesa.

In base ai conteggi effettuati nel 2005, la spesa ammontava mediamente a 6.700 dollari a testa, o a 26.800 dollari per un nucleo familiare composto da quattro persone. Gli economisti affermano che il costo delle cure mediche continuerà a crescere a questo ritmo, inghiottendo una quota sempre più importante della spesa procapite. Entro il 2015, si prevede che su cinque dollari prodotti gli americani ne spendano uno a favore dell'industria farmaceutica e del sistema sanitario nazionale.

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I crescenti profitti delle case farmaceutiche dimostrano fino a che punto la situazione sia cambiata. Tra il 1980 e il 2003 la somma spesa annualmente in farmaci dagli americani è passata da 12 a 197 miliardi, mettendo a segno una crescita raramente fatta registrare da un settore già lungamente consolidato. Mentre gli americani, in questo stesso periodo, raddoppiavano la loro spesa per nuove auto e triplicavano quella per l'abbigliamento, aumentavano di diciassette volte quella destinata ai farmaci.

Le case farmaceutiche hanno prodotto quantità enormi di dati per chiarire sin nel dettaglio il valore dei farmaci da loro venduti. Questi studi dipingono un quadro in cui le medicine rappresentano la più rilevante voce di spesa del sistema sanitario americano. I documenti dimostrano che le medicine non permettono soltanto di salvare vite umane, ma anche di risparmiare denaro evitando ricoveri ospedalieri e la necessità di interventi chirurgici.

Ma il risparmio potenziale garantito dalla maggior parte delle medicine non è così evidente. La gran parte di questi studi, i cosiddetti rapporti farmacoeconomici, soffrono dello stesso difetto congenito delle altre ricerche finanziate dall'industria farmaceutica: molti degli autori sono anche consulenti dei produttori. Quasi sempre queste analisi trascurano i costi delle cure necessarie a quei pazienti la cui salute è stata compromessa dai farmaci, una spesa che può anche essere superiore a quanto pagato inizialmente per ottenere gli stessi medicinali. Gli studi sul settore, a loro volta, non considerano le vite che potrebbero essere salvate e il denaro che si riuscirebbe a risparmiare se solo la nazione investisse nella promozione di pratiche di vita salutari e nella prevenzione delle malattie, invece di spendere cifre folli per farmaci sempre più costosi.

Un altro modo per valutare queste nuove medicine introdotte sul mercato negli ultimi venticinque anni è inserirle in una visione più generale.

Negli anni '80, l'aspettativa di vita di una donna americana di sessantacinque anni era superiore a quella delle sue coetanee di quasi qualsiasi altra parte del mondo. Oggi, nonostante la quantità quasi illimitata di medicinali sfornati dall'industria farmaceutica, una sessantacinquenne americana non si piazza più ai primi posti della classifica mondiale. Nel 2002, nella classifica dei paesi più longevi del mondo, gli Stati Uniti si piazzavano al diciassettesimo posto per l'aspettativa di vita femminile. Ma anche quella maschile è diminuita. In media, un uomo americano di sessantacinque anni ha davanti a sé una vita più breve rispetto a un suo coetaneo messicano.

Nessuno è in grado di spiegare esattamente perché gli Stati Uniti siano retrocessi nella classifica di longevità, nonostante la spesa medica pro capite sia terribilmente aumentata rispetto a quanto avvenuto in qualsiasi altro paese del mondo.

L'aspettativa di vita in America non è stata certo favorita dal fatto che molte persone ora credono di poter mangiare qualsiasi cosa senza pagarne le conseguenze semplicemente assumendo un farmaco. Basta passare in rassegna le pubblicità dell'industria farmaceutica per i bruciori di stomaco e le medicine per ridurre il colesterolo per capire come gli esperti di marketing abbiano inculcato nella popolazione questa idea nel tentativo di vedere più medicine.

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Impedire ai medici di accettare il denaro dell'industria farmaceutica.

Mentre per i dj radiofonici è illegale accettare denaro dalle case discografiche per programmare più frequentemente i loro brani, i dottori possono accettare denaro e omaggi da tutte le società farmaceutiche interessate a vendere più medicine. Nella totale assenza di restrizioni, quasi il 95%,dei medici americani attualmente si riempie le tasche con i soldi dei produttori di medicinali.

È necessaria l'approvazione di una legge a livello nazionale che renda illegale per i medici accettare qualsiasi tipo di regalo, in denaro contante o in altra forma, da parte delle case farmaceutiche, proibendo al tempo stesso a queste ultime di farne. Nello specifico, la legge dovrà inoltre impedire ai medici di lavorare al soldo dell'industria in qualità di consulenti.

I legislatori dovrebbero anche impedire che l'industria farmaceutica contribuisca economicamente alla formazione dei medici, evitando così la situazione attuale, in cui i medici imparano a prescrivere sempre nuove medicine senza però essere in grado di fornire ai pazienti alcune delle terapie necessarie più basilari. Al tempo stesso, tuttavia, prescrivono in ogni occasione i prodotti più massicciamente pubblicizzati dall'industria, anche nei casi in cui una cura senza l'uso di farmaci darebbe risultati migliori. I medici diagnosticano ai pazienti la malattia in voga in quel momento, evitando di approfondire le cause reali dei loro problemi.

La formazione medica deve essere affidata a scienziati e specialisti indipendenti e non ai relatori addestrati dalle agenzie pubblicitarie di Madison Avenue nel quadro della promozione degli ultimi prodotti farmaceutici. I medici risultano tra i professionisti meglio pagati del paese, perciò non c'è ragione che impedisca loro di sostenere, almeno in parte, le spese relative alla propria formazione.

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Riaffermare l'onestà della pratica scientifica.

Come ebbe modo di spiegare David Franklin, il ricercatore assunto da Warner-Lambert, "Si possono creare sperimentazioni su misura per dimostrare qualunque cosa".

Negli ultimi venticinque anni, le case farmaceutiche hanno creato una vasta letteratura scientifica composta di test clinici e articoli a supporto di una sempre maggiore quantità di farmaci immessi in commercio. Nel corso di questo processo, la scienza medica si è trasformata in propaganda. Per gli americani, ciò significa che i loro medici possono essere spinti a prescrivere determinati farmaci sulla base di studi talvolta pericolosamente errati.

Abbiamo un disperato bisogno di più scienziati che operino nel nome del pubblico interesse e non di quello delle case farmaceutiche. I National Institutes of Health, che distribuiscono ogni anno sovvenzioni per miliardi di dollari, potrebbero contribuire ad aumentare il numero dei ricercatori indipendenti, proibendo a tutti quei ricercatori titolari di una borsa di studio governativa di accettare denaro anche dalle case farmaceutiche. Al tempo stesso, i legislatori statali dovrebbero impedire a professori e ricercatori delle università pubbliche di accettare denaro e omaggi da parte delle multinazionali del farmaco. Le università dovrebbero licenziare quei professori che si attribuiscono la paternità di scritti in realtà opera dei "ghostwriter" assoldati dal settore medico. Così come gli studenti responsabili di plagio dell'altrui lavoro sono puniti con l'espulsione, lo stesso trattamento dovrebbe toccare ai professori.

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Dire ai pazienti la verità sui farmaci che gli si vorrebbe prescrivere.

Se sapeste che una certa medicina ha prodotto qualche effetto benefico soltanto sul 40% dei pazienti che l'hanno assunta, il che la pone per efficacia sullo stesso piano di una compressa di zucchero, la prendereste? Considerate anche che l'assunzione di questo medicinale comporta rischi minimi, ma comunque concreti, di effetti negativi sulla salute, talvolta addirittura mortali. Che cosa fareste?

Una simile descrizione si adatta a un gran numero di farmaci venduti a milioni di americani. Molti esiterebbero a prendere un medicinale del genere, soprattutto se sapessero che esistono altri farmaci più sicuri e più efficaci, o se qualcuno li informasse che basterebbero poche modifiche al proprio stile di vita per evitare in toto la necessità di assumere farmaci, o anche se qualcuno spiegasse loro che il problema diagnosticato non è poi così grave. Ma i pazienti, oggigiorno, non ricevono simili informazioni. Al contrario, tutto ciò che sanno sui farmaci proviene da spot televisivi nei quali ogni farmaco funziona sempre e ha rischi collaterali di minima importanza.

I medici hanno il dovere legale e professionale di avvertire i pazienti dei rischi relativi a un farmaco prima di prescriverlo. Se non lo fanno, sono passibili di denuncia per cattiva condotta professionale. Ma i sondaggi condotti tra i pazienti dimostrano che spesso i medici non informano i pazienti dei pericoli che corrono.

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Pagina 415

Ridurre la spesa per i medicinali e aumentare gli investimenti nella prevenzione.

Nonostante vi sia ragione di credere che il 15% dei decessi che avvengono in America siano dovuti alla sedentarietà o a una dieta sbagliata, i medici fanno ben poco per incoraggiare stili di vita più salutari. Soltanto la metà della popolazione dai cinquant'anni in su si è sentita chiedere dal medico se praticava una qualche attività fisica e i medici sembrano ancora meno disposti a spiegare ai bambini i vantaggi derivanti dall'esercizio fisico. Stando ai risultati di uno studio, meno di un quarto di tutti i bambini, o dei loro genitori, erano stati informati dal medico che l'esercizio fisico regolare era in grado di mantenerli in salute.

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Scatenare una rivoluzione.

Questo è il sistema medico americano e costa caro a tutti, a chi lo usa, ma anche a chi non lo usa. Siamo tutti destinati a farci i conti, direttamente o indirettamente, magari a causa di una persona cara, e la vita di tutti i cittadini americani dipende dalla sua affidabilità.

Rivolgetevi per iscritto o a voce ai legislatori statali e federali. Votate per quei politici che promettono di sfidare l'industria farmaceutica e di cambiare il sistema per riaffermare la centralità del paziente. La posta in gioco è troppo alta.

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