Copertina
Autore Walter Pfannkuche
Titolo La giusta paga
SottotitoloCinque dialoghi su mercato e morale
EdizioneApogeo, Milano, 2005, Pratiche filosofiche , pag. 168, cop.fle., dim. 135x210x11 mm , Isbn 978-88-503-2348-7
OriginaleWer verdient schon, was er Verdient?
EdizionePhilipp Reclam Jun., Stuttgart, 2003
TraduttoreDavide Melzi
LettoreCorrado Leonardo, 2005
Classe filosofia , economia aziendale , economia politica , scienze sociali , lavoro
PrimaPagina


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Indice


Prefazione                              vii

Introduzione                           xvii

Chi guadagna come lui?                    1

Esiste un diritto al lavoro?             43

I poveri devono morire prima?            77

Dobbiamo aiutare gli estranei?          105

È giusto essere morali?                 141



 

 

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Pagina VII

PREFAZIONE

Includere la morale nell'ottica del mercato

di Federica Viganò


Il sottotitolo di questo libretto fornisce una chiave di lettura per i cinque dialoghi tematici che Pfannkuche mette in scena, dove si articolano e si esplorano gli intrecci e le mutue implicazioni tra mercato e morale. I temi trattati non possono che suonare familiari a chi segua, anche dalle pagine delle cronache giornalistiche, gli sviluppi di un dibattito che si muove in uno spazio intermedio tra teoria economica, filosofia politica e scienze sociali.

La modalità dialogica, che fa evolvere il discorso attraverso il confronto tra le diverse posizioni teoriche incarnate nei diversi personaggi, ognuno dei quali fortemente caratterizzato e rappresentativo di un profilo psicologico-morale che corrisponde a una ben definita categoria o classe sociale, è particolarmente efficace per aprire la riflessione su questioni che sono tipicamente al centro della riflessione degli studi di carattere economico (ben riconoscibili nella stessa formazione dell'autore): guidati da una figura socratica, qui rappresentata dalla protagonista principale, una commessa della ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR), che aiuta gli altri personaggi ad avventurarsi tra assunzioni e conseguenze delle rispettive posizioni, i protagonisti dei dialoghi si confrontano sui temi della giustizia distributiva, della corretta valutazione tra

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Pagina 1

Chi guadagna come lui?


Personaggi

ELISA MERTEN Commessa

HARTMUT BRANDT Proprietario del grande magazzino Brandt

PETRA BRANDT Figlia del proprietario e successore

DR. INGO PETERS Direttore del personale

HANS STEINIG Presidente della commissione interna


Luogo

Festa per il settantacinquesimo anniversario di casa Brandt (1924-1999)


HERR BRANDT. Cari colleghi e amici, come sempre, in queste occasioni, sento di dover dire qualcosa. Oggi mi riesce a fatica però, poiché nel mio animo si agitano due sentimenti discordanti. Da un lato, l'orgoglio di vedere davanti a me, in un giorno come questo, un'impresa fiorente che conduco ormai da trentacinque anni.

Dio solo sa, quanto è stato difficile guidare l'azienda nella bufera dei tempi e attraverso le sfide dei nostri tempi che hanno richiesto ogni volta risposte adeguate. Ma non ho nessun diritto di lamentarmi. Mio padre ha fatto di più, ha dovuto proteggere l'azienda dalle devastazioni della guerra. E in fondo che cosa sarebbe la nostra vita senza queste sfide? Ci hanno fatto crescere e ci hanno sottratto dal letargo e dalla routine.

Dall'altro lato la tristezza, perché presto lascerò il timone di questa nave nelle giovani mani di mia figlia, che ha appena terminato gli studi e assumerà la responsabilità dell'azienda. E se guardo a me stesso, come a colui che sta nel mezzo, tra suo padre e sua figlia, allora mi rendo conto quanto sia effimero ciò che ho compiuto. E alla fine che cosa ho fatto? Ho lottato per trentacinque anni contro l'incalzare del tempo, difeso l'azienda dalle incombenti minacce di rovina, l'ho persino ingrandita, ma non sono riuscito a creare qualcosa di duraturo, qualcosa che avesse in sé la forza di esistere. La battaglia continua e chi l'ha combattuta fino in fondo resta affaticato. Ma sto per cadere nel sentimentale e prima che questo succeda voglio ringraziare coloro che, in tutti questi anni, mi hanno sostenuto con il loro zelo, la loro iniziativa, la loro fantasia. E con questo voglio dire proprio tutti, nessuno escluso. Alcuni cambiamenti hanno portato sicuramente forti conflitti all'interno dell'azienda. A volte i posti di lavoro sono stati minacciati, altre volte sono diventati consuetudini gradite. Ora però, alle soglie della vecchiaia, capisco che questi contrasti sono stati necessari e produttivi e sono stati utili anche nella giusta distribuzione di oneri e ricompense. Senza la giustizia non esisterebbe la cooperazione e senza cooperazione un'impresa non può reggersi. Il mio ringraziamento vale anche per coloro che, come rappresentanti degli interessi dei dipendenti, talvolta mi hanno reso la vita difficile. Mi auguro quindi che lo spirito cooperativo dell'azienda continui a sopravvivere. Ma basta con le cerimonie, il buffet è a vostra disposizione, servitevi pure.


A metà tra smania ed educato contegno, al buffet i presenti riempiono i piatti e prendono posto ai tavoli.


ELISA MERTEN. Il direttore è davvero sconvolto oggi. Credo non sia facile per lui andare in pensione.

HANS STEINIG. Già, e per noi ci saranno dei cambiamenti in vista. Il capo si è spesso compiaciuto del suo ruolo di patriarca ma quando ci sono stati problemi è sempre stato disponibile e aperto al dialogo. Con sua figlia sarà diverso. È laureata ed è in un certo senso più distaccata; ha una mentalità tecnocratica e ragiona più secondo i principi di efficienza e razionalizzazione. E poi fino ad ora abbiamo avuto quasi sempre qualcosa in più del contratto di categoria, un altro punto a favore del vecchio. Con lei la vedo nera. Già la prossima trattativa sarà dura.

ELISA MERTEN. Anche il vecchio contratto non era per niente entusiasmante. L'ho riletto di recente, mi è sembrato di essere nel medioevo.

HANS STEINIG. Ma che significa?

HARTMUT BRANDT. (In compagnia di sua figlia e del Signor Peters). Ah, ecco dove si nasconde il capo della nostra commissione interna. Vorrei presentarle il Dott. Peters, il nostro nuovo direttore del personale. Saprà già che è laureato in psicologia. Tornerà di certo utile in futuro, per individuare i conflitti in anticipo e trovare insieme le soluzioni. Possiamo unirci a voi?

HANS STEINIG. Naturalmente. Stavo giusto parlando con la Signora Merten del nostro contratto.

PETRA BRANDT. Beh, allora anche noi siamo molto interessati. Dicevate?

ELISA MERTEN. Stavo spiegando per quale motivo trovo il nostro attuale contratto piuttosto medievale.

HARTMUT BRANDT. Medievale? Perché mai?

ELISA MERTEN. Ma sì, l'intera suddivisione in categorie di retribuzione è davvero antiquata.

Alla base della scala dei redditi stanno le funzioni cosiddette semplici, schematiche, meccaniche, che possono essere svolte senza formazione professionale. Seguono i lavori che richiedono una formazione, per i quali chi ha conoscenze tecniche o deve prendere decisioni in autonomia viene pagato di più. Al vertice ci sono i lavori che comportano responsabilità e funzioni manageriali, per i quali conta invece quanti dipendenti si hanno da dirigere o da trascinare.

HANS STEINIG. Questo lo so da me. E cosa ci sarebbe di così superato?

ELISA MERTEN. Ora, è evidente che le attività si differenziano secondo queste caratteristiche. Quello che non mi è chiaro è per quale motivo, sulla base di queste distinzioni, alcuni debbano guadagnare di più, altri di meno.

HANS STEINIG. Cosa c'è da capire? Prendiamo l'istruzione. Mettila così: chi impara qualcosa deve impegnarsi in modo particolare e durante il periodo di tirocinio o di formazione viene per giunta mal pagato. Mio figlio, per esempio, deve cavarsela con un sussidio studentesco di circa quattrocentocinquanta euro. Il duplice sacrificio che alcune persone compiono, per acquisire elevate capacità utili alla società intera, viene ricompensato con un reddito maggiore. Questo vale anche per quelle posizioni che implicano l'assunzione dei rischi e delle responsabilità per le scelte compiute. In entrambi i casi ciò rappresenta uno sforzo costante che va al di là del periodo di formazione e che deve essere adeguatamente riequilibrato. Ed è giusto e ragionevole che sia così.

ELISA MERTEN. Cosa intendi per giusto?

HANS STEINIG. È giusto, appunto, che le persone che, nello svolgimento della loro attività, si sono assunte o continuano ad assumersi dei carichi, vengano ricompensate.

ELISA MERTEN. Questo mi suona bene. Penso però che l'applicazione di questa idea della giustizia debba portare a risultati diametralmente opposti a quelli della prassi corrente.

HANS STEINIG. Ma che ti salta in mente?

ELISA MERTEN. Se ci deve essere una ricompensa bisogna prima stabilire quali siano gli oneri. E i tuoi esempi — le fatiche della formazione, la responsabilità — sono del tutto inadeguati. Gli studenti per esempio. Per quanto ne so, soltanto alcuni considerano gli anni all'università come una fase della loro vita piena di sofferenza e sacrifici continui. Al contrario, la maggior parte può godersi la relativa libertà dello studio e lo sviluppo delle proprie capacità e dei propri interessi. Non c'è alcun sacrificio per cui possano pretendere un indennizzo.

HARTMUT BRANDT. A questo proposito le devo dare ragione. Se penso agli studi di mia figlia anch'io avrei voluto studiare all'università.

ELISA MERTEN. Stessa cosa per la responsabilità. È una favola questa, che gli uomini – donne ce ne sono a malapena – vengano costantemente schiacciati dal peso delle responsabilità prese e possano risollevarsi alla meno peggio con un lauto reddito. In fin dei conti queste persone sono formate per affrontare tali compiti, e grazie alle loro conoscenze, nella maggioranza dei casi, sono in grado di risolvere i problemi con la stessa disinvoltura di un meccanico alle prese con una frizione. Per di più il tuo concetto di giustizia porta a conclusioni esattamente opposte. Infatti il decidere autonomamente e l'assunzione di responsabilità vengono vissuti soprattutto come qualità positive, e poiché in questo modo è possibile far fruttare le proprie capacità, portano a un maggior grado di soddisfazione. E per contrasto diamo uno sguardo...

HANS STEINIG. Aspetta un attimo, non è così semplice il discorso sulla responsabilità. Penso alla figlia di miei conoscenti che è diventata controllore di volo. Non fa altro che rimanere seduta davanti a uno schermo radar a guidare gli aerei. Sa perfettamente che se commette un errore e si verifica un incidente, per colpa sua possono morire alcune centinaia di persone. E lavora costantemente con questa paura. Trovo che sia un fardello che giustifichi una migliore retribuzione.

ELISA MERTEN. Può darsi. Non volevo di certo affermare che la responsabilità non abbia mai effetti gravosi, soltanto che, nella maggior parte dei casi in cui viene impiegata come giustificazione per una retribuzione più alta, non viene avvertita come un peso. E anche nel caso del controllore di volo, resta da vedersi se la paura e la preoccupazione non svaniscano con il crescere della routine. In ogni caso non è possibile giustificare la presente distribuzione del reddito sulla base delle argomentazioni di carichi e oneri.

HARTMUT BRANDT. E per quale ragione?

ELISA MERTEN. Basta gettare uno sguardo sulla controparte, sui lavori peggio retribuiti; su quelli schematici e meccanici, spesso organizzati su turni di lavoro e su quelli che nuocciono alla salute, svolti nella calura e nel sudiciume.

Se il principio di giustizia esige che gli oneri vengano compensati, è di gran lunga più urgente e plausibile, che la quotidiana idiozia delle occupazioni meccaniche e che le forme di lavoro che danneggiano la vita famigliare e la salute trovino un indennizzo, al pari degli oneri precedentemente avanzati quali l'istruzione e la responsabilità. E in linea con questo principio di compensazione l'attuale prassi di distribuzione del reddito è addirittura assurda: quelli che eseguono lavori di per sé già più appetibili vengono pagati ancora di più, quelli che invece svolgono i lavori più miseri vengono, a loro dispetto, liquidati con un'elemosina.

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Pagina 43

Esiste un diritto al lavoro?


Personaggi

ELISA MERTEN Commessa

HARTMUT BRANDT Proprietario del grande magazzino Brandt

PETRA BRANDT Figlia del proprietario e successore

ASTRID KUHN Collaboratrice, studentessa di politologia


Luogo

Sala del personale


HARTMUT BRANDT (entra). 'Giorno, signora Merten. Allora, si è ripresa dai festeggiamenti aziendali? E che discussione impegnativa abbiamo avuto!

ELISA MERTEN. Sì, e il vino mi ha dato il colpo di grazia. Comunque mi sono ripresa. Per lei sarà di certo più difficile.

HARTMUT BRANDT. In che senso?

ELISA MERTEN. Beh, abbiamo parlato di giustizia della distribuzione e lei ha qualcosa da distribuire: gli stipendi dei dipendenti, per esempio. Se prende sul serio e accetta le conclusioni della nostra conversazione, andranno cambiate un bel po' di cose. E non sarà facile. Ha già cominciato?

HARTMUT BRANDT. Se c'è qualcosa da trasformare nel microcosmo della nostra azienda, credo sia un compito del sistema economico nel suo complesso, quindi che siano i politici a dover stabilire le condizioni generali. Ma grazie a Dio non è più un mio problema. Sarà mia figlia a doversi rompere il capo.

ELISA MERTEN. Sono proprio ansiosa di vedere cosa ne salterà fuori. Visto che sta parlando di politica, conosce già la signora Kuhn? E una nostra collaboratrice, in realtà, però, studia politologia.

HARTMUT BRANDT. No, non ho ancora avuto il piacere. Lieto di conoscerla, signora Kuhn.

ASTRID KUHN. Il piacere è tutto mio, signor Brandt. Alla festa di anniversario ho ascoltato la sua conversazione. Era molto interessante.

HARTMUT BRANDT. Non è che capiti tutti i giorni. A che anno di Università è iscritta?

ASTRID KUHN. All'ultimo.

HARTMUT BRANDT. Dovrebbe aver quasi finito, allora.

ASTRID KUHN. Spero di sì. Sto scrivendo la tesi.

HARTMUT BRANDT. E che ci fa qui? Invece di lavorare non dovrebbe darsi da fare sui libri?

ASTRID KUHN. Lo farei volentieri. Purtroppo non ricevo più la borsa di studio e quello che mi possono dare i miei genitori non è sufficiente per mantenermi.

HARTMUT BRANDT. Ah, ecco. Spero allora che non le dispiaccia stare qui e che possa risparmiare le forze anche per scrivere.

ASTRID KUHN. Al fatto che mi piaccia stare qui, lei potrebbe contribuire non poco.

HARTMUT BRANDT. Ci sono problemi?

ASTRID KUHN. No. Ma già alla festa, durante la sua conversazione, avrei voluto farle una domanda, ma eravate tutti così impegnati che ho preferito non intervenire. Vorrei fargliela adesso, se permette.

HARTMUT BRANDT. Oh Dio, se andiamo avanti coì, possiamo anche chiudere bottega e fondare un'accademia. Ma la prego, domandi pure. Non ci vorrà mica tutto il pomeriggio.

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Pagina 49

ASTRID KUHN. Non crede, dunque, che non si voglia essere obbligati a vivere senza beni quali una certa coscienza del proprio valore e il rispetto per se stessi?

HARTMUT BRANDT. Può essere, ma la coscienza del proprio valore non è qualcosa che uno stato possa garantire. È un bene molto complesso, la cui esistenza dipende da molte condizioni. Da come uno è stato amato dai propri genitori, da come viene stimato dalla cerchia dei colleghi ecc. Cosa può fare uno stato se a qualcuno manca la sicurezza di sé?

ASTRID KUHN. Indubbiamente ci sono forme di mancanza di fiducia in se stessi cui le istituzioni di uno stato non possono porre rimedio. È altrettanto certo, però, che esistono cause di questa sfiducia che uno stato può eliminare. E la disoccupazione è una di queste.

HARTMUT BRANDT. Ma come le viene in mente? Non è nulla che si possa garantire statalmente, poiché il diritto di cui lei sta parlando non può fare aumentare il lavoro a seconda delle necessità contingenti. Se a un certo punto diminuisse la gente che vuole costruirsi una casa e dunque rimanessero disoccupati, complessivamente – tra lavoratori edili, cementieri e architetti – in novantamila, lei, per ridare il pane a queste persone, non potrebbe obbligare nessuno a farsi una casa. Né tantomeno può costringere un'azienda – che altrimenti fallirebbe – a continuare a tenere impiegati degli individui che non hanno più niente da fare.

ASTRID KUHN. È vero. Però si potrebbe ridistribuire il lavoro e prescrivere che, per un determinato periodo di tempo, i muratori e i cementisti, per esempio, possano lavorare cinque ore in meno a settimana, evitando così i licenziamenti.

HARTMUT BRANDT. E va bene, sì, si potrebbe. Resta da vedersi perché.

ASTRID KUHN. Per garantire il rispetto di se stessi. È un fatto universalmente noto che, a seguito di una prolungata disoccupazione, le persone comincino a sentirsi di troppo e inutili, poiché questa mina alla base la loro capacità di sentirsi felici e spesso porta a sviluppare gravi malattie fisiche. O vuole dire che non è vero, forse?

HARTMUT BRANDT. No, certo: accade.

ASTRID KUHN. Dunque, secondo la sua interpretazione, lo stato dovrebbe garantire a tutti la disponibilità dei beni fondamentali, includendo in questi anche il rispetto per sé; se quindi, tale rispetto, può essere almeno in parte annullato dalla disoccupazione, e se questo, infine, rientra nelle possibilità che uno stato ha di evitare determinati mali, allora il diritto al lavoro deve essere riconosciuto.

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Pagina 77

I poveri devono morire prima?


Personaggi

ELISA MERTEN Commessa

HANS STEINIG Presidente della commissione interna

PETRA BRANDT Direttore del grande magazzino Brandt

HANNA MALCHIK Degente

KUNO HARTUNG Medico dell'Ospedale dei Samaritani

IRIS KLIEM Infermiera


Luogo

Ospedale dei Samaritani


HANS STEINIG (entra nella stanza). Ciao, Elisa. Beh dai, sembri nuovamente piena di vita. Sono contento. E tu, come ti senti?

ELISA MERTEN. Ciao, Hans. Mi fa piacere che tu sia venuto. Sì, anch'io mi sento già meglio. I medici hanno detto che non è niente di grave. Un'aritmia cardiaca passeggera provocata dalla rabbia e dallo stress.

HANS STEINIG. Grazie a Dio. Da quando sei stata nominata nella commissione interna, di stress ne hai avuto più che abbastanza. Hai esagerato. Al lavoro hai cercato di occuparti di tutto, mentre le tue sere le hai trascorse studiando i commenti alla Legge sulla costituzione delle imprese. Non potevi continuare così.

ELISA MERTEN. Sembra di no. Ma ci sono stati così tanti problemi in azienda: prima il prolungamento degli orari di apertura, poi il licenziamento di altre commesse perché si diceva non fossero sfruttate a sufficienza, e perché, secondo un non meglio precisato termine di paragone, i costi del personale erano troppo alti. Bisognava tentare di tutto.

HANS STEINIG. È vero. Ma un rappresentante all'ospedale non ci serve a molto.

ELISA MERTEN. Hai ragione, mi scaldo sempre troppo. Se ripenso all'ultima riunione con la direzione mi sento male di nuovo.

HANS STEINIG. E il modo in cui te ne sei andata poi, così inaspettatamente! È stato uno shock per noi; e dopo sei svenuta e sei rimasta lì, bianca come un cadavere. Al direttore tremavano addirittura le mani quando l'ambulanza è arrivata e ti hanno portata via.

ELISA MERTEN. Quella ha senza dubbio contribuito al fatto che io mi sia agitata così tanto.

HANS STEINIG. Dai, quel giorno anche tu hai preteso troppo da lei. Non sei stata molto diplomatica.

ELISA MERTEN. Perché ho suggerito di non licenziare nessuna delle commesse e di ridistribuire il lavoro fra tutti, in modo tale che ciascuno di noi lavorasse un po' meno e che nessuno rimanesse disoccupato?

HANS STEINIG. Questo andava bene, ci eravamo già accordati in commissione. Ma poi si è trattato delle diminuzioni salariali necessarie a causa della riduzione dell'orario di lavoro.

ELISA MERTEN. E allora?

HANS STEINIG. E allora! Allora te ne sei uscita tu, all'improvviso, con l'idea che, prima di trattenere qualcosa dallo stipendio delle commesse – comunque già mal pagate – bisognava vedere cosa guadagnavano gli altri in azienda, e se non si dovesse dar luogo alla ridistribuzione.

ELISA MERTEN. Ma questo è giusto!

HANS STEINIG. Può darsi. Quando hai preteso, però, che i dirigenti dichiarassero il loro stipendio, per verificare se da questo non potesse essere detratto qualcosa, ti saresti potuta immaginare che il direttore sarebbe andato su tutte le furie. Non viviamo nel socialismo. Lo devi capire una buona volta.

ELISA MERTEN. Va bene, va bene.

HANS STEINIG. E come doveva andare a finire? Urlando, vi siete rimproverate a vicenda, e noi non abbiamo ottenuto niente. Volevi ancora rinfacciarle il fatto di ritenere la sua bella vita più importante di quella dei suoi dipendenti, quando sei svenuta.

ELISA MERTEN. Puah, sì, che vergogna! Ma cosa avremmo dovuto fare, se no?

HANS STEINIG. Beh molte delle commesse erano disposte ad accettare una certa perdita di stipendio. C'era solidarietà. Con un po' di compiacenza da parte dei dirigenti avremmo sicuramente potuto trovare un compromesso.

ELISA MERTEN. Sì, avremmo potuto. Quello che mi irrita è che la solidarietà debba sempre manifestarsi tra coloro che già stanno in fondo alla scala sociale, e non tra questi e quelli che stanno sopra.

HANS STEINIG. Adesso non ti agitare di nuovo!

PETRA BRANDT (entra con un grosso mazzo di fiori). Buon giorno signora Merten. Ho pensato di passare a trovarla. Ci ha fatto prendere un bello spavento! Come sta? Salve, signor Steinig.

ELISA MERTEN. Sto già meglio, grazie, non era niente di grave. E grazie anche per questi fiori meravigliosi.

PETRA BRANDT. Sono contenta. Volevo anche dirle che..., mi riferisco alla discussione..., insomma, mi dispiace che le cose siano giunte fino a quel punto. Di sicuro è stata anche colpa mia. E poi le devo portare i saluti di mio padre e farle i suoi auguri per una pronta guarigione.

ELISA MERTEN. Grazie di cuore. Anch'io sono stata piuttosto irruente. D'ora in poi, sarà il caso di trattare i problemi con più oggettività. Ci saranno ben altri modi per poter convincere l'una delle idee dell'altra!

HANNA MALCHIK. Signora Merten, suonerebbe per piacere all'infermiera. Mi è di nuovo caduto il campanello dalle mani. Non riesco proprio a tener stretto niente.

PETRA BRANDT. Aspetti, glielo prendo io il campanello. Che le è successo alla mano?

HANNA MALCHIK. Un colpo apoplettico. Non molto grave. Ma da allora sono rimasta lievemente paralizzata alla parte destra del corpo. Le dita non ubbidiscono molto e anche il camminare mi crea delle difficoltà.

PETRA BRANDT. Già, è brutto quando capita così, alla sprovvista. Lei comunque ha avuto fortuna nella sfortuna, le sarebbe anche potuta andare peggio. Vedrà, tutto si aggiusterà.

HANNA MALCHIK. Non ne sono così sicura.

PETRA BRANDT. Su, non bisogna perdere la fiducia.

HANNA MALCHIK. Eccome se si può! Clinicamente hanno fatto tutto il possibile per me. Quello di cui adesso avrei bisogno sarebbero un paio di settimane di riabilitazione, per reimparare tutto, e ovviamente per poter tirare avanti. Ma non me la vogliono fare.

PETRA BRANDT. Perché no?

HANNA MALCHIK. L'ospedale dice che il budget è esaurito. E questo sarebbe quello che è stato concordato per la mia riabilitazione con i soldi della mia assicurazione sanitaria! Non volevo crederci, così ho mandato mio figlio alla mutua, che sostiene che i dottori sono obbligati a farmela. Poi la clinica ha detto che sarebbe stata disposta a farla se la mutua avesse assicurato di accollarsi i costi eccedenti il budget. Adesso siamo in una situazione di stallo. Uno paga i contributi tutta una vita ed ecco i risultati! E poi non ci si deve perdere d'animo! Loro non si preoccupano del destino di una povera pensionata.

KUNO HARTUNG. Buon giorno, signore mie, come andiamo oggi? Siamo in via di guarigione?

HANNA MALCHIK. Che ne è della mia riabilitazione, dottore? Me la fate o no?

KUNO HARTUNG. Mah, signora Malchik, è davvero una faccenda disperata. I fondi della sua assicurazione sono messi male. Cosa vogliamo fare? Il personale del reparto riabilitazione non può lavorare gratis. Ma continuerò a darmi da fare.

HANNA MALCHIK. Cosa vuol dire lavorare gratis? Sono dipendenti dell'ospedale e prendono uno stipendio tutto l'anno. Come fanno a dire: "Il budget è esaurito. Da adesso in poi incrociamo le braccia"?

KUNO HARTUNG. Beh, la mutua ci paga appunto per fornire determinate prestazioni. Dobbiamo tener pronto un certo numero di letti, possiamo fare tot operazioni all'anca, applicare tot valvole cardiache e così via. E quando abbiamo fatto tutto questo abbiamo adempiuto al nostro contratto e utilizzato tutte le risorse del budget.

HANNA MALCHIK. Sì, ma il vostro reddito è molto buono. E poi guadagnate più di chiunque altro in questo paese. Ci si può ben aspettare che lavoriate tutto l'anno!

KUNO HARTUNG. Come ha detto, "aspettare"? È prevedibile che uno svolga ciò che gli compete per contratto. E questo è quel che facciamo. Tutti suppongono che, per puro idealismo, i medici siano disposti a lavorare di più. Con che diritto? In altri ambiti professionali non ci si aspetta mica che i lavoratori facciano di più di quanto è scritto sul contratto. E se anche qualcuno fosse così idealista, non servirebbe a niente. Perché, per lavorare, servono strumenti e materiali che la muta non paga.

IRIS KLIEM. Non è neanche giusto, dottore, che la signora Malchik non faccia la riabilitazione. Nello stato in cui è, quando tornerà a casa, non se la potrà cavare da sola. Dovrebbe quindi finire in una casa di cura?

KUNO HARTUNG. Non lo chieda a me! Lo domandi alla mutua, o meglio ai politici. Sono stati loro a escogitare la stupidaggine del budgeting.

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Pagina 105

Dobbiamo aiutare gli estranei?


Personaggi

ELISA MERTEN Commessa

JAN KÖSTER Pastore della comunità "Croce di Gesù"

ULLA BRUNS Membro della comunità, volontaria presso uno degli stand

KLAUS FISCHER Visitatore del mercatino di beneficenza


Luogo

Sala pubblica della comunità "Croce di Gesù". È in corso un mercatino di beneficienza. Gli oggetti in vendita sono stati donati dai parrocchiani. Il ricavato è destinato a un progetto di irrigazione in Africa.


JAN KÖSTER. Cari fratelli, cari ospiti, vi do un caloroso benvenuto al mercatino di quest'anno. In tanti, già da tempo, non aspettavano altro. Non solo coloro che sono curiosi delle tante e belle offerte dell'attuale edizione, ma anche le molte volontarie che, durante l'intero arco dell'anno, hanno lavorato indefessamente, eseguito lavori manuali e collezionato cose per rendere questo nostro bazar così ricco di proposte. Per il vostro impegno, ringrazio tutte dal profondo del mio cuore. Non è affatto scontato che il frutto dei nostri sforzi venga offerto – per alleviarne lo stato di bisogno – a un paese lontano. Abbiamo discusso a lungo se aiutare prima la nostra comunità – da parecchio occorrono nuovi cuscini per le sedie della casa parrocchiale e nuove imbottiture per i banchi della chiesa. È stata sollevata anche la questione sulla possibilità di ottenere nuove volontarie, visto che la loro collaborazione torna utile al successo delle attività della parrocchia. Tutte queste obiezioni non hanno però trovato una maggioranza all'interno del consiglio ecclesiastico e del gruppo dei collaboratori e, a dispetto di tutto, le mani devote di molti hanno contribuito come non mai all'allestimento del nostro mercatino. E vorrei dire, con gratitudine, che l'hanno fatto a buon titolo, perché così continuano una vecchia tradizione. In tutte le epoche, l'essere dei buoni cristiani ha sempre avuto qualcosa a che fare con lo spartire. Nel condividere gli uni con gli altri seguiamo l'esempio che Gesù stesso ha dato ai suoi discepoli: "Ogni volta che voi avete fatto queste cose a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta a me". Così disse e così dice oggi. Egli non solo raccontava dell'amore di Dio ma permetteva ai suoi uditori, attraverso ciò che faceva, di esserne realmente partecipi. Questo significa che possiamo sinceramente parlare dell'amore del Signore nei confronti della sua creazione, se lasciamo che anche altri possano percepirlo. Altrimenti trasformiamo Dio in un bugiardo e le nostre parole in frasi vuote. Noi oggi, con questa iniziativa, desideriamo contribuire ad affermare nel mondo il suo amore, di modo che anche altri possano avvertirne la presenza, possano star bene vicini a lui e sentirsi protetti. Ma non voglio tenervi sulle spine e abusare oltre della vostra pazienza. Ringrazio ancora di cuore tutti i partecipanti e spero in un buon ricavato per poter continuare a diffondere l'amore di Dio.

Il mercatino ha inizio.

JAN KÖSTER. Buon giorno, signora Merten. Non la vedo da molto tempo. Come sta?

ELISA MERTEN. Salve, signor Köster. Va un po' meglio, grazie. Almeno ho di nuovo un lavoro: faccio la commessa in un grande magazzino. Non proprio il lavoro dei miei sogni, ma cosa dobbiamo fare!

JAN KÖSTER. Sono contento per lei. Magari riuscirà a trovare nuovamente un lavoro come educatrice. Permetta che le presenti Frau Bruns, l'anima del nostro mercatino. Senza la sua testardaggine non saremmo andati tanto lontano.

ULLA BRUNS. Benvenuta. Il parroco comunque esagera sul mio conto.

KLAUS FISCHER. Scusi, quanto costano quei piatti fondi, là, a sinistra? I miei si sono rotti da poco scivolando da un vassoio.

ULLA BRUNS. Sono carini, vero? Tre euro.

KLAUS FISCHER. Tutti e sei?

ULLA BRUNS. No, sono tre euro ciascuno.

KLAUS FISCHER. Farebbero diciotto euro. Sono belli salati! Pensavo fosse un mercatino di beneficenza!

ULLA BRUNS. Lo è. Ogni euro va a favore del progetto per l'Africa.

KLAUS FISCHER. E dov'è la beneficenza per me? Sono disoccupato. Non mi posso mica permettere tutta questa carità per gli altri!

JAN KÖSTER. Ma su, giovanotto, si lasci commuovere. La capisco, non è facile essere disoccupati. Ma vede, quelli in Africa, per i quali stiamo raccogliendo i soldi, stanno molto peggio. Se non piove abbastanza, là non cresce niente sui campi. La gente è costretta a lasciare la propria terra per andare altrove alla ricerca di aiuto. Molti, soprattutto i deboli, muoiono. A confronto noi ce la caviamo benissimo.

KLAUS FISCHER. Lei è mai stato disoccupato per tre anni?

JAN KÖSTER. Mmh, no. Per cui...

KLAUS FISCHER. Allora come fa a pensare di potermi capire? Non sa proprio un bel niente, di cosa voglia dire vivere con quel paio di miseri euro del sussidio di disoccupazione e farcela a stento nella più nera delle prospettive!

JAN KÖSTER. Questo non può dirlo. Durante gli studi avevo solo lo stretto necessario. Probabilmente era meno ancora del suo sussidio di disoccupazione.

KLAUS FISCHER. E a quei tempi, quanto donava mensilmente per il Terzo Mondo?

JAN KÖSTER. Sì, mmh... di preciso, ora, non so più.

KLAUS FISCHER. È un vero peccato!

JAN KÖSTER. Ma che importanza ha? Vede, non sono un santo, e di sicuro non lo sono stato in precedenza. Tuttavia, dobbiamo sforzarci di seguire Gesù e i suoi comandamenti: "Ama il prossimo tuo come te stesso" – non è semplice. Ma sa cosa ci viene detto anche? "E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio".

KLAUS FISCHER. Va be', questo può essere un obiettivo per lei. Io non sto nella Chiesa. Del suo regno dei cieli, non me ne faccio niente. E l'amore per il prossimo, qui non lo vedo. Anzi, al contrario. Per otto anni mi sono spezzato la schiena per la mia ditta; a volte sono rimasto a rilevare dati fino a notte fonda. Poi all'improvviso cade il muro, e uno si becca il licenziamento perché, stando a quel che si dice, non c'è più domanda. In seguito si viene a sapere che l'azienda ha assunto nuove persone dall'Est, perché lavorano per meno soldi. No, no, non venga da me con questa storia dell'amore del prossimo!

 

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Riferimenti


    Bibliografia selezionata




Chi guadagna come lui? La posizione sostenuta da Elisa Merten sul fatto che il reddito debba rappresentare, per i lavoratori, una compensazione per la prestazione o per l'onere di lavoro, si trova già nel quinto libro dell'Etica Nicomachea di Aristotele. In questa direzione si collocano anche le argomentazioni di E. Tugendhat, Vorlesungen über Ethik, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1993; Lezione 18 che tematizza per altro la tensione tra giustizia e utilità. Una motivazione più dettagliata del punto di vista di Elisa Merten è presente in Walter Pfannkuche, Die Moral der Optimierung des Wohls, Alber, Freiburg i. Br., 2000; Cap. 7. Il principio di distribuzione difeso da Ingo Peter, secondo il quale ai peggio impiegati le cose debbano andare il meglio possibile, esprime i tratti fondamentali del pensiero di J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 2002 (ottava edizione). Le posizioni di Petra e Hartmut Brandt - più conservatrici e di stampo economicistico - trovano una loro importante giustificazione in: P. Koslowski, Ethik des Kapitalismus, Mohr, Tübingen, 1982. F. A. v. Hayek, Drei Vorlesungen über Demokratie, Gerechtigkeit und Sozialismus, Mohr, Tübingen, 1977. R. Nozick, Anarchia, Stato e Utopia, Il Saggiatore, Milano, 2005. [...]  

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