Copertina
Autore Dario Piccotti
CoautoreAlvaro Torchio
Titolo Marx & Engels, investigatori
SottotitoloIl filo rosso del delitto
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2012, Eretica speciale , pag. 312, cop.fle., dim. 15x21x1,8 cm , Isbn 978-88-6222-282-2
LettoreRiccardo Terzi, 2012
Classe gialli
PrimaPagina


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Indice


Bakunin nei guai                          3

Indagine a Caprera                       43

Omicidio sull'isola                      88

I morti di Hannover                     149

Paura in Boemia                         206

Lo Squartatore                          276


Note                                    305


 

 

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Pagina 3

Bakunin nei guai


3 dicembre 1862

"Ora abbiate la cortesia di aprire la bocca... vediamo... sì, proprio come pensavo".

"Dunque? – chiese Marx alzandosi di scatto dalla poltrona su cui il medico l'aveva appena costretto a sedersi. E, poiché non riceveva risposta, aggiunse in tono seccato: – Volete degnarvi di informarmi?".

Il dottor Smith era un uomo anziano dai radi capelli bianchi al quale l'età e la lunga esperienza professionale avevano conferito la dote della sopportazione. Pertanto, anziché irritarsi, sollevò per qualche istante gli occhi dal foglio su cui stava scrivendo e disse: "Tutta questa impazienza produce una maggiore tensione nervosa, il che non vi giova affatto".

Mentre il filosofo, sbuffando, prendeva ad andare su e giù per lo studio, lanciando di tanto in tanto occhiate distratte agli alberi scheletriti del giardino visibili attraverso l'ampia finestra, il medico finì di scrivere la ricetta. "Dottor Marx, da quanto mi avete detto deduco che il vostro regime alimentare è sbagliato e dannoso per la salute. Dovete assolutamente seguire una dieta ricca ed equilibrata, in modo da...".

"Fermatevi, dottore: so già tutto, al riguardo. Una perfetta diagnosi della mia condizione fisica è contenuta in una nota frase di Ludwig Feuerbach secondo cui l'uomo è ciò che mangia".

Il medico lo guardò per un istante, perplesso, poi tornò a scrivere sul foglio di carta intestata. "Ignoro chi sia il collega di cui avete citato la diagnosi, – proseguì di lì a poco – ma, per tornare alla questione della dieta, se sapete già di che cosa ha bisogno il vostro organismo, perché non agite conseguentemente?".

Marx sospirò. "La mia incoerenza si spiega con la circostanza per cui, pur avendo raggiunto dei discreti risultati nell'analizzare, in un'opera che sto scrivendo, la funzione che il denaro svolge misurando il valore delle merci, che è poi la quantità di lavoro sociale in esse incorporato, a causa della mia trascurabile importanza all'interno dell'attuale modo di produzione non posseggo abbastanza denaro per potermi permettere i cibi più adatti".

Il medico scosse la testa, poi gli allungò una ricetta. "Vi ho prescritto uno sciroppo dalle blande proprietà epatoprotettrici. Inoltre, vi consiglio parecchio moto. Però, se non cambiate dieta, posso fare ben poco per il vostro fegato".

"Vi ringrazio, dottor Smith. Ora, per quanto concerne la parcella...".

"Non c'è nemmeno bisogno di parlarne. Sono lieto di essermi reso utile a una persona raccomandatami dal mio amico Friedrich Engels".

Dopo che ebbe ringraziato e salutato il medico, il futuro capo dell'Internazionale scese le scale della palazzina, attraversò il giardino spoglio e, varcato il cancello, si incamminò in fretta lungo le vie poco affollate di Chelsea. Mentre costeggiava le antiche forme gotiche della Old Church prese una decisione: avrebbe rinunciato a servirsi dell'omnibus e sarebbe andato alla biblioteca del British Museum a piedi, con un duplice vantaggio per la sua salute e per le magre finanze familiari. Erano solo le otto e mezzo del mattino, per cui decise di allungare il percorso deviando verso nord e, procedendo a passo spedito, raggiunse in breve la grande area verde di Hyde Park.

Le querce ormai spoglie e le alte betulle dalle superstiti foglie ingiallite conferivano una bellezza misteriosa al vasto giardino pubblico in cui a quell'ora passeggiavano poche persone. Marx lasciò correre lo sguardo sulla distesa erbosa e gli alberi; si fermò per alcuni minuti davanti a un gruppo di giardinieri intenti alle potature degli arbusti e osservò interessato le coppie di merli che si affaccendavano nel mezzo di una lunga fila di cespugli. Costeggiando le limpide acque del Serpentine non poté fare a meno di invidiare le anatre che sembravano affrontare, del tutto noncuranti, il freddo umido del mattino. E così fu la pace di Hyde Park a prevalere sull'urgenza dello studioso che decise di concedersi un'ulteriore passeggiata in quell'affascinante paesaggio invernale.

Mentre stava per giungere davanti all'enorme statua bronzea di Achille s'imbatté nell'amico Friedrich Lessner.

"Dove ti portano i tuoi studi, stamattina?", domandò il sarto.

"Alla solita biblioteca, mentre tu – e lo osservò attentamente – stai tornando dalla villa di un ricco borghese che ha deciso di sostituire le divise della servitù con abiti di miglior qualità".

"Sì, – lo guardò sbalordito l'interlocutore – ma come fai a saperlo?".

"Ti ho visto mezz'ora fa, poco prima di entrare nel parco, mentre stavi osservando i numeri delle dimore di quel quartiere signorile. Camminavi molto lentamente, segno che eri arrivato in anticipo, come è opportuno fare quando il cliente è una persona che non va fatta attendere. I campioni di stoffa che si intravedono nella tua borsa da lavoro e i disegni che hai in mano, modelli di abiti dalle forme semplici ma severe, mi dicono che eri stato convocato per confezionare degli indumenti, ma non certo per il padrone di casa. Egli provvede al proprio guardaroba per mezzo di blasonati maestri italiani o francesi, ma se è ricorso a te, che hai fama di essere un bravo sarto, vuol dire che comunque desidera per i suoi domestici qualcosa di meglio dell'ordinario. Sono stati le circostanze ambientali, il tuo ruolo sociale, la tua posizione nell'ambito del sistema produttivo a fornirmi la chiave interpretativa. In più, i bisogni ordinari della classe capitalista appaiono del tutto prevedibili in quanto modelli universali di comportamento cui non è possibile sottrarsi pena la perdita di status".

"Incredibile, questa tua analisi – commentò l'amico. – Visto che sei destinato a startene chino per ore sui libri, ti consiglio di concederti una pausa, diciamo verso le undici e mezzo. Scommetto che quando saprai di che si tratta non resisterai alla tentazione".

Marx alzò le spalle: "Bakunin, immagino".

L'altro parve ancor più sbalordito di prima: "Questo invece l'hai capito analizzando il mio tono di voce?".

"No, è solo un'ovvia deduzione. Allo Speaker's Corner si sono già avvicendati Louis Blanc e Mazzini. Ora tocca a lui. – Il filosofo aggrottò le folte sopracciglia, esibendo uno dei suoi sogghigni. – D'accordo, troviamoci là, però ti domando una cortesia".

"Dimmi pure".

"Restiamo a una certa distanza. Non ci tengo affatto a incontrarlo, anche perché credo che abbia ancora sullo stomaco l'articolo in cui il nostro Friedrich si è fatto beffe del suo Appello agli Slavi. Va bene che sono passati degli anni, ma dato il tipo preferirei evitare chiassose discussioni pubbliche".

"Va bene, ci terremo alla larga da lui".

Congedatisi l'uno dall'altro, i due amici si dedicarono alle rispettive occupazioni, per poi ritrovarsi, alle undici e mezzo esatte, a qualche distanza dalla folla confluita nello Speaker's Corner.

Le circa duecento persone, molte delle quali indossavano mantelli o pastrani lisi e pieni di rattoppi, erano in gran parte emigrati politici di mezza Europa, soprattutto polacchi, cechi, ungheresi e russi, ma si potevano notare anche giornalisti e semplici curiosi britannici, ai quali si mescolarono Marx e Lessner. La polizia assicurava una presenza discreta ed efficiente, costituita da una mezza dozzina di agenti in divisa e un ispettore, intenti a tenere d'occhio gli astanti e, soprattutto, l'individuo che si trovava da qualche minuto su una cassa di legno rovesciata.

L'uomo era alto e molto robusto, ma, da vicino, l'impressione di forza che scaturiva dalla sua figura imponente risultava attenuata dall'obesità e dal colorito giallastro della pelle cascante. Sul capo aveva una massa di capelli irsuti, inoltre vestiva in modo trasandato e non sembrava nemmeno troppo pulito, benché non avesse perso nulla dei modi da aristocratico così evidenti nei gesti. Ciò che colpiva di più, in lui, era la voce, al tempo stesso morbida e possente. "Vi ringrazio, signori, per l'onore che mi fate – esordì in un inglese quasi perfetto dopo aver percorso con lo sguardo l'uditorio, – presentandovi ad ascoltare le mie parole a un'ora, diciamo così, mattutina... — e qui sorrise alle risate di alcuni fra gli astanti. — Qualcuno potrebbe pensare — proseguì — che quanto sto per dire sull'autocrate che opprime il popolo russo è prodotto dall'acrimonia di un uomo il quale, come potete vedere, è stato duramente provato dal carcere e dalla deportazione, ma non è così. Alessandro, questo sovrano di origine tedesca che non comprenderà mai né le necessità né il carattere del popolo russo, è il nemico giurato di ogni idea di progresso spirituale e materiale, in nulla diverso dal mostro che massacrò i decabristi. Tutti voi sapete quanto io ami la Russia, quanto mi senta profondamente russo. Ebbene, oggi che dalla terra oppressa dallo zarismo, dalla grande e nobile Polonia, giungono notizie di un fermento che prima o poi sfocerà in una lotta al tempo stesso nazionale e rivoluzionaria, io dico ai miei fratelli slavi che vivono sul suolo bagnato dalla Vistola: figli della medesima razza, i nostri destini sono inseparabili e la nostra causa deve essere comune!".

Queste parole furono seguite da applausi scroscianti e grida di incitamento della folla che tuttavia non destarono alcun allarme tra i poliziotti, abituati a simili manifestazioni.

Marx diede di gomito all'amico: "Hai sentito? Bakunin è sempre lo stesso panslavista del 1848. Si illude di vedere fermenti rivoluzionari in manifestazioni nazionalistiche guidate dai proprietari terrieri polacchi che mirano all'indipendenza e per raggiungerla buggerano i loro coloni con false promesse di riforme agrarie".

Mentre l'oratore pronunciava altre frasi altisonanti, il filosofo notò un individuo dagli abiti sporchi e laceri che faceva il suo ingresso nello Speaker's Corner e che, a giudicare dalla fisionomia, gli parve uno slavo, forse un polacco. A un osservatore distratto non sarebbe sembrato diverso da molti degli astanti che le dure condizioni di vita dell'esilio condannavano all'indigenza, ma Marx percepì in lui qualcosa, nei movimenti guardinghi e nell'espressione, che lo indusse a non qualificarlo come un perseguitato politico. Quando l'uomo si girò verso il lato in cui si trovava la polizia, egli ebbe modo di vedere chiaramente i lineamenti marcati del suo volto incorniciato da una barba nera e arruffata. Anche gli occhi acuti di Lessner ne avevano seguito le mosse vagamente furtive. Lo indicò al compatriota mormorando: "Lumpenproletariat. Non mi sorprenderei se quel tipo cercasse di derubare qualcuno".

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Pagina 13

"Vi impegnate a non rivelare ciò che sto per dirvi?".

"Solo se il mio silenzio non rischierà di ritorcersi contro la classe operaia".

"Due giorni fa Michail Bakunin è stato arrestato con l'accusa di omicidio. Per ragioni che chiarirò tra poco, abbiamo fatto in modo che non trapelasse nulla ai giornali, sia sull'arresto che riguardo al delitto".

"Proseguite" disse l'interlocutore, senza fare alcun commento.

"Si trovava a Richmond-Upon-Thames, in un'antica dimora gentilizia presa in affitto da un russo molto ricco, tale principe Dobrovin, stabilitosi qui in Inghilterra alcuni mesi or sono".

"Un esule politico?".

"No, per nulla. Si tratta semplicemente di uno di quei facoltosi aristocratici russi che...".

"...sfruttano e mantengono nella miseria e nell'ignoranza i loro contadini", concluse Marx.

"Stavo alludendo – proseguì irritato l'ispettore – a un individuo amante dei viaggi all'estero e della bella vita, non certo un oppositore dello zar, stando a quanto abbiamo appurato. Secondo la testimonianza del suo numeroso personale di servizio, nella tarda serata del giorno 5 egli è tornato a casa in carrozza, accompagnato da Bakunin e da due giovani donne, presumibilmente di facili costumi. Dopo una rapida cena, il quartetto si è appartato nella sala da musica, un ampio locale arredato soprattutto con ampi divani, e alla servitù è stato ordinato di ritirarsi nelle proprie stanze. I domestici, a parte due, sono russi. Li ho interrogati mediante un interprete e tutti, senza nessuna eccezione, hanno dichiarato di aver sentito a lungo cantare mentre qualcuno suonava il pianoforte. Poi, dopo un prolungato intervallo di silenzio, le due donne, accompagnate dal principe ormai ubriaco e in vena di ulteriori esibizioni canore, hanno raggiunto l'uscita e sono ripartite in carrozza".

"Tutta gente che ovviamente non è stato possibile rintracciare", commentò Marx.

"Esattamente".

"Parlatemi dell'omicidio".

"Verso le sette del mattino, il maggiordomo, notando che la porta della camera da letto del padrone era insolitamente aperta, vi si è affacciato e ha visto il principe ancora vestito, sdraiato di traverso sul letto. In un primo tempo non ha sospettato che fosse morto, poiché, come ci ha riferito, Dobrovin non era nuovo alle nottate di baldoria e alle relative conseguenze. Più tardi è ritornato nella camera del principe accompagnato dalla donna delle pulizie e qui con sua grande sorpresa ha scorto Bakunin, profondamente addormentato su una poltrona. Sia lui che la donna hanno notato che la manica destra della sua camicia era macchiata di sangue. A quel punto il maggiordomo si è avvicinato al letto su cui era riverso il principe e ne ha verificato la morte per accoltellamento. La cosa strana è che Dobrovin stringeva strettamente in pugno un pugnale insanguinato. Bakunin è stato svegliato a forza, un'ora più tardi, dagli agenti giunti ad arrestarlo".

"Naturalmente avrete già interrogato il presunto omicida".

"Θ ovvio. Egli mi ha dichiarato di non ricordare niente. Si è detto addolorato e incredulo per l'accaduto e non ha saputo fornire alcuna spiegazione in merito alle macchie di sangue sulla camicia limitandosi a ripetere di aver accompagnato il principe, che si reggeva in piedi a fatica, nella sua camera da letto, dove i due avevano deciso di vuotare l'ultima bottiglia di champagne. A un certo punto si è addormentato. Ha proclamato la propria innocenza, avanzando dei sospetti sul misterioso accompagnatore. Ha chiesto di poter vedere alcuni amici e insiste per mettersi in contatto con la moglie, che si trova da qualche parte in Europa, ma su precisa richiesta del Foreign Office la notizia dell'arresto non deve essere resa pubblica".

"Su che cosa fondate la vostra certezza che Bakunin sia colpevole?".

"Che razza di domanda, dottor Marx! Sull'evidenza. Fra i due ubriachi è scoppiata una lite, Dobrovin ha messo mano a un pugnale ma Bakunin, molto più forte di lui, deve aver parato il colpo, spingendolo verso il letto sul quale il suo avversario è caduto. L'anarchico gli si è gettato addosso, gli ha afferrato con una mano il braccio che teneva il pugnale, e con l'altra gli ha torto il polso trafiggendolo con la sua stessa mano".

Marx rifletté, quindi guardò Trenton negli occhi e commentò sarcastico: "Dopodiché, appagato, si è seduto in poltrona addormentandosi".

[...]

Giovanni Bandi sollevò il mento, guardando fisso negli occhi il filosofo. "Nella mia camera troverete un libro, un'opera meravigliosa scritta da un apostolo dell'umanità".

"Alludete a Giuseppe Mazzini?".

L'uomo parve stupito e rimase a bocca aperta.

"E l'opera potrebbe essere, vediamo... I doveri dell'uomo?".

"Come fate a saperlo?".

"Ho avuto la sfortuna di doverla leggere".

"Invece è un grande libro e Mazzini è un gigante del pensiero e della lotta per il trionfo della libertà e io..."

"...e voi siete un suo seguace, magari anche iscritto al Partito d'Azione", concluse Marx per lui.

"Θ vero, e mi onoro di farne parte. I soldi che ho rubato dovevano servire alla causa della liberazione di Roma".

Trenton, a quel punto, parve imbarazzatissimo. Interruppe l'interrogatorio e ordinò all'agente di ammanettare e trattenere l'arrestato in un'altra stanza. Poi chiuse la porta e si rivolse a Marx. "Mi vedo costretto ad accennarvi ai delicati problemi che hanno suscitato disagio al Foreign Office e nel resto del governo, ma vi chiedo di non farne mai cenno ad alcuno".

"Tranquillizzatevi e parlate".

"Se Bakunin si rivelasse davvero colpevole, come tutto finora lascia credere, l'arresto e l'imputazione di omicidio diverrebbero di dominio pubblico e questo metterebbe il governo in imbarazzo. Vedete, appena il nostro, evaso dalla deportazione in Siberia, è arrivato in Inghilterra alla fine dell'anno scorso, l'ambasciatore russo ne ha chiesto l'arresto e la consegna alle autorità dello zar. Il ministero ha rifiutato, in nome della tradizione che ci induce ad assicurare protezione ai perseguitati politici e religiosi, ma in presenza di un'imputazione di omicidio gli oppositori dell'attuale maggioranza parlamentare avrebbero buon gioco nel porre sotto accusa chi ha deciso di concedere asilo a un pericoloso sovversivo anziché riconsegnarlo al governo del suo Paese".

Marx sorrise sarcastico. "E le cose si complicherebbero ancora di più, per l'attuale comitato d'affari della borghesia, vale a dire il governo, se si scoprisse che un altro illustre esule, Mazzini, è in qualche modo implicato in un furto, forse persino in un omicidio, tanto più che in patria pende ancora sul suo capo una condanna a morte pronunciata da un regio tribunale nel lontano 1833. Dico bene?".

Trenton annuì. Aveva l'aria di essere molto preoccupato. Pur avendo nutrito delle speranze in un esito differente delle indagini, si era ormai persuaso che queste ultime avrebbero probabilmente provocato proprio le spiacevoli conseguenze temute dai suoi superiori.

"Dunque, — affermò il filosofo, sempre sorridendo — io dovrei compiere il miracolo di tener lontani dai guai i vostri ministri. E per riuscirci dovrei dimostrare che Bakunin non è un assassino e Mazzini non è a capo di una banda di malfattori".

"In qualche modo, lo ammetto, – disse Trenton con un sospiro di rassegnazione — speravo che il vostro acume e l'eccezionale metodo investigativo da voi impiegato nel caso Thompson potessero determinare una svolta in un'inchiesta... diciamo così, scomoda. Ma ormai è chiaro che Bakunin ha ucciso il principe e che Bandi ha approfittato dell'evento per procurare fondi al movimento di Mazzini".

Marx corrugò la fronte. Dopo aver meditato per qualche istante, si girò e raggiunse la finestra. Il cortile era imbiancato, alcuni centimetri di neve avevano ricoperto anche il cappello di pietra di Carlo I. Rimase in silenzio per alcuni minuti, osservando il mondo che mutava il suo aspetto consueto, poi si volse e disse: "Gradirei che mi riportaste a casa, ispettore. Domani mattina, se lo desiderate, potremo riparlare delle indagini, che a mio avviso sono tutt'altro che vicine alla verità".

"Dite davvero?". Trenton gli lanciò un'occhiata dubbiosa e senza aggiungere altro si affrettò ad accontentarlo.


10 dicembre

Giuseppe Mazzini teneva le mani giunte come se fosse in preghiera. L'atteggiamento, e la sua stessa figura di uomo austero nel portamento e nei modi, producevano l'effetto di renderlo somigliante a un profeta o a un predicatore religioso, più che a un rivoluzionario ricercato dalla polizia francese.

Rialzò gli occhi, fissò l'ispettore che lo scrutava da dietro la scrivania e disse, parlando a voce bassa: "Credetemi, signore. Se avessi immaginato che Giovanni aveva intenzione di procurarsi in quel modo ignobile il denaro necessario all'impresa che stiamo preparando, l'avrei espulso io stesso dal movimento. Roma sarà capitale d'Italia, lo esigono il destino e la storia. Ma ciò non avverrà mai con metodi che ripugnano alle nostre coscienze di patrioti".

"Le vostre sono nobili parole, avvocato Mazzini, tuttavia mi risulta che in passato abbiate fatto parte di una società segreta chiamata Carboneria e che abbiate progettato di pugnalare il principe di Metternich".

L'italiano scosse lentamente la testa. "A parte il fatto che il progetto fu subito accantonato, vi faccio notare che c'è una differenza sostanziale tra l'intenzione di uccidere il nemico della libertà italiana e la complicità nell'assassinio di un membro della nobiltà russa in viaggio di piacere".

Trenton finse di esaminare il contenuto di una cartella e lasciò che trascorresse del tempo, ma Mazzini tacque, smentendo così le voci che volevano tutti gli italiani impulsivi e incapaci di dominare le proprie emozioni.

"Vorrei proporvi un patto tra gentiluomini: la polizia obbligherà Giovanni Bandi a salire su un traghetto che lo condurrà in Francia e voi, almeno finché vi troverete sul suolo britannico, vi impegnerete a non circondarvi mai più di seguaci di tal genere. Non ci saranno imputazioni per nessuno. Vi impegnate ad accettare e a rispettare queste condizioni?".

L'altro si mise una mano sul cuore e rispose: "Lo giuro sul nome di Roma eterna, capitale della patria".

Non appena l'italiano fu uscito dall'ufficio, Marx aprì la porta della stanza vicina e prese il posto di Mazzini davanti alla scrivania.

"Il vostro suggerimento è stato bene accolto dal Foreign Office, dottor Marx, — disse Trenton — e devo convenire anch'io che sbarazzarci di Bandi senza processarlo sia stata una buona idea. Credete che il suo capo si atterrà davvero ai patti?".

Marx annuì. "Può essere un uomo pomposo, privo di capacità di azione politica, inguaribilmente dedito ai sogni e alle avventure azzardate, ma non è certo uno stupido. Inoltre, ha un'indiscutibile tempra morale. Secondo me, terrà fede al giuramento. Oltretutto gli conviene, poiché l'Inghilterra è il suo unico rifugio sicuro, a meno che Garibaldi convinca il re a concedergli la grazia".

"Bene, un problema è stato risolto. Ma se, entro pochi giorni, Bakunin non riapparirà in circolazione, le voci che abbiamo sparso su un suo viaggio in Scozia al seguito di amici inglesi perderanno ogni credibilità".

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Pagina 39

16 dicembre

"Ve l'avevo detto che ero innocente, – esclamò Bakunin con la sua voce tonante. — Sapevo che alla fine lo avreste capito anche voi, però devo complimentarmi per l'acume che avete dimostrato. Ma come avete fatto a immaginare che..." e lasciò in sospeso la frase.

L'ispettore Trenton appariva impassibile mentre si apprestava a sciorinare la mezza verità che Scotland Yard aveva confezionato a uso e consumo del rivoluzionario russo. Non c'era altro da fare, perché se Bakunin fosse stato informato in merito a come erano andate veramente le cose, ne avrebbe fatto l'argomento di tutti i suoi comizi, con la conseguenza di peggiorare ulteriormente i già traballanti rapporti diplomatici col governo dello zar.

"Uno dei domestici, al momento ancora da identificare, dopo aver fatto addormentare con il sonnifero sia voi che il defunto principe Dobrovin, lo ha assassinato premurandosi di macchiare di sangue la vostra camicia. Inoltre, ha provveduto a lasciare l'arma del delitto presso il divano su cui giacevate addormentato. Mi sono chiesto cosa potesse guadagnare dall'uccisione del principe, e ho pensato all'ipotesi che sapesse che quella sera egli vi avrebbe elargito un sostanzioso lascito".

"In effetti, così sono andate le cose".

Trenton si schiarì la voce. "Il piano era tanto semplice quanto efficace: fare ubriacare sia voi che il principe, uccidere quest'ultimo facendo in modo che voi appariste come il colpevole, derubarvi del documento di credito e andare a incassare al posto vostro. Però non l'ha fatto".

"Come sarebbe a dire?".

"L'uomo non si è presentato alla banca e secondo me non lo farà mai, perché si è reso conto che, per individuarlo, siamo in attesa che compia proprio quel passo falso. In ogni caso, se entreremo in possesso del documento di credito a voi intestato, cosa di cui dubito, ve lo faremo sapere".

"Peccato. Non vi nascondo, ispettore, che quel denaro mi farebbe comodo. Vedete, le notizie che giungono dalla Polonia fanno prevedere una prossima insurrezione contro lo zar e io desidero mettere in piedi una legione russa in terra polacca, con la quale combattere per l'indipendenza degli Slavi di quella terra, per poi passare nella mia patria, onde sollevare i contadini, con la perfetta coscienza di adempiere a un dovere sacro e di servire la causa nazionale".

"Devo dedurre, quindi, che presto lascerete l'Inghilterra?".

"Solo se l'insurrezione ci sarà davvero, ovviamente, altrimenti penso che mi tratterrò ancora per qualche tempo in questo Paese generoso con gli esuli, sebbene io speri di godere di un'ospitalità differente da quella che mi è stata recentemente offerta".

"Si è trattato di uno spiacevole equivoco che, come vedete, è stato risolto al meglio. Da questo momento siete di nuovo un uomo libero".

"Bene, bene. Allora, ispettore, non mi resta che congedarmi da voi", disse l'anarchico alzandosi e porgendo a Trenton una mano simile a un maglio. Si inchinò con perfetta scelta di tempo, gli diede le spalle con un movimento più teatrale che necessario e uscì.

La porta della stanza attigua si aprì e Marx entrò andando a sedersi nel posto fino a poco prima occupato dal corpulento rivoluzionario russo.

"Dottor Marx, – esordì l'ispettore – vi sono nuovamente debitore...".

"Non lo siete solo nei miei confronti. Θ stato ancora una volta l'amico Engels a fornirmi il bandolo della matassa, pur non potendo venire a Londra per un grave problema familiare".

"Davvero? Mi spiace veramente. Di che si tratta, se è lecito chiedervelo?".

"La sua compagna, la sua donna, sua moglie se vogliamo, sta morendo".

"Terribile. Tutta la buona società di Manchester ne sarà profondamente afflitta".

"Non credo proprio. Mary Burns è un'operaia":

"Veramente?".

"Veramente, – si accese il filosofo – proprio così. Un'operaia irlandese priva di mezzi e di modesta cultura. E allora? Ah, certo, bisogna riprodurre i rapporti di classe anche nella scelta degli affetti. Cosa ci fa per esempio una Von Westphalen, questo è il cognome nobiliare di mia moglie, con uno senza arte né parte come me, che la costringe a una vita piena di difficoltà quando potrebbe vivere servita e riverita nella casa di un ricco junker prussiano? Perché mai Friedrich Engels, proprietario di una florida impresa commerciale, tiene accanto a sé, amandola, una proletaria che potrebbe al massimo valere, nella consueta mercificazione del rapporto fra uomo e donna, non più di due ore di intimità fisica? Me lo dite o no?" gridò, vibrando un tremendo pugno sulla scrivania dell'ispettore.

Trenton congedò con un cenno un poliziotto che era subito accorso udendo il rumore e si alzò in piedi: "Arrivederci, dottor Marx, e grazie di tutto. Grazie, soprattutto, di quest'ultima lezione", gli disse stringendogli con forza la mano.

Il filosofo si ricompose e mormorò a occhi bassi: "Scusatemi, ispettore, il mio caratteraccio, non intendevo davvero...", e se ne andò.


18 dicembre

La risposta di Engels arrivò come sempre entro due giorni. Dopo una lunga digressione sullo stato di salute di Mary e alcune considerazioni di natura economica destinate alla riflessione dell'amico, così concludeva: "Dunque, caro Moro, devo prendere atto che, approfittando della mia assenza, i cani da guardia del capitale, nella fattispecie il segugio Trenton, sfruttano il tuo – si fa per dire – acume di studioso per farti risolvere dozzinali casi di politica internazionale. Rilevo inoltre che da essi trai indebiti guadagni che ti guardi bene dal devolvere al movimento del quale indegnamente ti proclami capo. Questo perché, come tutti gli intellettuali, di cui tu sei non solo mosca cocchiera ma anche scarafaggio di retroguardia, non ti periti di ricorrere a ogni mezzo pur di dare alle stampe qualsiasi porcheria ti venga in mente, in particolar modo quell'immondo coacervo di assurdità e di farneticazioni che chiami Il capitale, vero e proprio manuale per lo sfruttamento scientifico del proletariato".

Seduto alla scrivania del suo studio, Marx sorrideva divertito, ma divenne improvvisamente pensieroso accorgendosi che in due punti della lettera l'inchiostro appariva sbiadito, come se sul foglio fosse caduta dell'acqua. E allora gli sembrò di vedersi davanti la figura dell'amico il quale, scritta la missiva che ora si trovava nelle sue mani, alzava gli occhi verso il letto della sua Mary morente. Da quegli occhi, che lui non aveva mai visto piangere, erano cadute almeno due lacrime.

"Maledizione – gridò balzando in piedi e prendendo a calci la sedia. – Maledizione".

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Pagina 43

Indagine a Caprera


Londra, 19 aprile 1864

"Posso disturbarvi, dottor Marx?" sussurrò l'ometto in redingote nera, col volto mezzo nascosto da un cappello a cilindro troppo grande per lui.

Immerso nelle ponderose pagine dei Principi di economia politica di Ricardo, che non si stancava mai di consultare, Marx udì appena le parole dello sconosciuto. Seccato per l'interruzione, gli piantò addosso due penetranti occhi neri che lo fecero sprofondare ancor più fra la stoffa scura dei suoi indumenti. "Cosa volete?"; biascicò con un moto di fastidio evidente tanto nel tono quanto nel gesto repentino delle mani.

"Mi spiace di aver interrotto i vostri studi, ma sono qui per un buon motivo. Permettete che mi presenti: Mark Wilson, del Direttivo del London Trades Council, l'associazione operaia che riunisce..."

"So benissimo che cos'è il Council. Venite al dunque":

"Certo, scusate. L'associazione che rappresento sarebbe onorata se voleste renderle un particolare servigio".

"Vale a dire?".

"Come certamente saprete, il generale Garibaldi, il grande eroe italiano, in questi giorni si trova a Londra. Nessuno meglio di voi potrebbe... cioè, l'associazione si chiedeva se... l'eminente economista, il capo dell'Internazionale, sarebbe disposto a stilare un indirizzo di benvenuto per il generale e far parte di una delegazione di organizzazioni operaie che lo incontrerà quanto prima".

"Mi spiace, no", rispose Marx riprendendo la lettura.

"E perché, se mi è permesso...".

"Vedete, signor Wilson, compagno Wilson, Garibaldi è qui come ospite dell'aristocrazia, più precisamente del Duca di Sutherland. Il bel mondo di Londra lo ha in ostaggio e solo per gentile concessione gli permetterà, con le dovute cautele, di incontrare una selezione di sovversivi ben lustrati e incravattati a dovere. E io, con tutto il rispetto per il liberatore d'Italia, non intendo far parte di una simile sceneggiata".

"Ma, dottor Marx, gli interessi della classe lavoratrice...".

"Penso di avere qualche merito al riguardo. Addio", concluse con uno sguardo che non permetteva repliche.

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Pagina 46

Londra, 23 aprile

Era un vero gentleman, quasi un dandy l'uomo che si apprestava a salire sulla carrozza in attesa davanti alla stazione. Elegantissimo nel suo tweed grigio, aveva una corporatura slanciata, i capelli ravviati con cura, la carnagione chiara. I modi raffinati ne segnalavano l'origine borghese e Friedrich Engels era proprio ciò che sembrava. Figlio di un ricco imprenditore commerciale, aveva compiuto studi rigorosi e, pur non avendo conseguito la laurea come il suo amico Marx, non gli era da meno in cultura, soprattutto in campo economico. Amministratore prima e ora proprietario dell'azienda paterna di Manchester, senza precisi legami familiari a parte una corrispondenza di affettuosi sensi (per dirla nel casto linguaggio vittoriano) con l'operaia Mary Burns e dopo la sua morte con la sorella Lizzy, il bel Fred amava veramente solo due cose: la rivoluzione proletaria e il suo amico Karl. Di conseguenza estendeva quel fraterno legame a tutta la sua famiglia, in particolare alle figlie Jenny, Laura ed Eleanor, per le quali era lo zio Fred. Senza di lui i Marx non avrebbero potuto vivere in quella bella casa, senza di lui le figlie si sarebbero sposate senza dote, cosa inammissibile per il filosofo comunista, in ciò del tutto prigioniero delle convenzioni piccolo-borghesi che pubblicamente stigmatizzava.

"Prego, a Kentish Town"; disse al vetturino issandosi a bordo.

La carrozza si avviò rapidamente e non passò molto tempo che dovette farsi strada a fatica in alcune vie dove il conducente stesso sembrava essere a disagio. "Scusatemi, signore, se passo in mezzo a queste canaglie, ma è la via più breve", disse a un certo punto, quasi per giustificarsi.

Engels, immerso nella lettura del giornale, alzò gli occhi e vide ciò che era uguale a Londra come a Manchester. La via fangosa pullulava di persone vestite per lo più di stracci. Vi erano raccoglitori di sterco animale con le loro rudimentali carriole, cacciatori di topi, pulitori di fogne a cielo aperto. "Questi almeno si illudono di lavorare – pensò. – Quegli altri, invece, sono la vergogna dell'Inghilterra, la potenza planetaria, il cuore dell'industria e della modernità, il regno del capitale".

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Pagina 55

Furono introdotti in un piccolo studio in cui molti libri erano disposti ordinatamente in vari scaffali appesi alle pareti. L'arredo era semplice: un tavolo, quattro sedie e un piccolo divano. In piedi con l'immancabile camicia rossa, il generale.

"Messieurs, – esordì nel suo ottimo francese – è un piacere conoscervi. Dottor Marx, – disse indicando un volume appoggiato sul tavolo accanto – questo è il libro che aveste la cortesia di farmi avere tramite il nostro amico Becker cinque anni fa. Quanto a voi, signor Engels, che del libro siete l'autore, come posso ringraziarvi per gli articoli in cui, con eccessivo entusiasmo, mi avete dipinto come un grande stratega? In effetti la mia strategia è una sola, il mio grande amore per questa sventurata Italia e per il suo popolo che merita di avere una patria, il popolo erede dei conquistatori del mondo che per secoli ha dovuto languire sotto lo straniero... e i preti".

Marx sorrise. Era noto a tutti il viscerale anticlericalismo di Garibaldi, ma lui adesso stava riflettendo su qualcos'altro: l'uomo che aveva davanti agli occhi era straordinario non perché con un'impresa militare in parte favorita dalla fortuna aveva donato mezza Italia al suo re, e neppure per la sua capacità di rinunciare alle lusinghe del potere e della gloria. Da quegli occhi chiari che avevano visto la miseria e le ingiustizie di tutta la terra, da quelle mani capaci di uccidere e che ora teneva compostamente sull'impugnatura del bastone da passeggio, sembrava emanare un potere che non aveva mai percepito prima d'ora in modo così intenso. Garibaldi era un soggetto storico, uno di quei pochi uomini che nonostante tutto facevano la storia. Certamente erano frutto della loro epoca, erano condizionati da processi materiali più grandi di loro, eppure la loro azione non era solo la conseguenza di un meccanico divenire delle cose. Essi erano, seppur parzialmente, lo stesso divenire. Garibaldi aveva scritto di suo pugno alcune righe nel libro della storia del mondo.

"Signori, – continuò il generale – le ragioni per cui ho accettato volentieri di incontrarvi sono due: la prima è che ci tenevo a conoscere i due più importanti dirigenti dell'Internazionale, la seconda è che avrei piacere di chiarire con voi alcune mie riserve nei confronti della vostra organizzazione".

"Diteci", fece Marx annuendo vigorosamente.

"Ma senza prima venir meno ai doveri dell'ospitalità. Teresita...".

Non passarono che pochi istanti e una bella ragazza ventenne entrò: "Dimmi, papà".

"Vi presento mia figlia, moglie del mio ufficiale Stefano Canzio, un soldato esemplare che si è coperto di gloria nella spedizione dei Mille".

I due ospiti si alzarono in piedi. Marx strinse la mano alla giovane con un piccolo inchino, mentre Engels le fece un compitissimo baciamano aggiungendo: "Signora, la vostra bellezza è degna del vostro nome" ottenendo un sorriso deliziato della donna e un ammiccamento di Garibaldi che chiese poi alla figlia di portare acqua, vino bianco fresco, frutta e "i biscotti che fai tu".

"Tornando a noi, – riprese – io penso, perdonate la franchezza, che la vostra teoria della lotta di classe sia deleteria per il popolo. Essa divide, non unisce, predica lo scontro e non l'armonia fra la gente. Sia chiaro, ho ben presenti le sofferenze dei poveri, la miseria e la fame. Le ho conosciute personalmente in America, ma di qui a proporre di togliere la proprietà a chi se l'è costruita col sudore della fronte... invece sui preti avete ragione, ma non sono d'accordo che la religione sia l'oppio dei popoli, se essa è sentimento genuino e non superstizione".

"Generale, — intervenne Marx — per prima cosa vorrei precisarvi che noi non intendiamo togliere a nessuno il suo legittimo guadagno. Ciò che caratterizza il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, ma l'abolizione della proprietà borghese. Non si tratta di socializzare la proprietà individuale, ma quella dei mezzi di produzione. Il capitalista realizza il suo profitto attraverso un atto di espropriazione del lavoro dell'operaio, corrispondendogli un salario nettamente inferiore al valore di quanto egli ha prodotto e..."

"Dottor Marx, se glielo corrispondesse uguale non avrebbe guadagno. E allora perché dovrebbe rovinarsi la salute a dirigere la sua fabbrica, potrebbe vivere di rendita".

"Θ chiaro che il capitalista produce per il profitto, non è sul piano morale che noi lo valutiamo, ma su quello degli effetti del suo operare. Egli non può risparmiare né sulle materie prime, né sui macchinari, perciò deve necessariamente tener bassi i salari – osservò Engels – e più li tiene bassi più guadagna. Poiché il numero dei disperati senza lavoro è dieci volte superiore ai posti di lavoro, il capitalista fa leva su questo fatto addirittura per contrarre progressivamente i salari, visto che può licenziare e assumere disperati ancora più disperati dei precedenti. La concorrenza, il principio cardine dell'economia capitalistica, è l'espressione più perfetta della guerra di tutti contro tutti. Questa guerra, guerra per la vita, per l'esistenza, non avviene solo fra le classi, ma fra i membri di una stessa classe. Ciascuno cerca di abbattere chiunque ostacoli il suo cammino e di prendergli il posto. Gli stessi lavoratori si fanno concorrenza fra loro".

"Insomma, – concluse Marx agitandosi sulla sedia e picchiettando un sigaro spento che aveva tratto di tasca — la lotta di classe non l'abbiamo scoperta o proposta noi. Essa è un dato storico di tutte le società. C'è stata quella fra padroni e schiavi, quella fra feudatari e servi della gleba, ora c'è quella fra i servi della gleba emancipatisi in mercanti e poi in capitalisti e la classe che essi stessi hanno generato, il proletariato".

Osservò il volto poco convinto di Garibaldi e riprese: "Quanto ai preti, o meglio la religione, essa esprime la stessa espropriazione vista prima. Come l'operaio è espropriato del proprio lavoro, così il credente è espropriato della propria autocoscienza di uomo e sublima in un essere superiore la propria incapacità di essere individuo compiuto".

Il generale scosse energicamente il capo: "Troppo difficile per me. Credetemi, il prete è un impostore, la più nociva di tutte le creature. I preti dominano le classi povere a cui sfacciatamente promettono il paradiso. Per questo dobbiamo unire le nostre forze, non tanto per creare insurrezioni, quanto per porre fine al maledetto dominio dei preti. Θ necessario fare un fronte comune fra repubblicani, associazioni operaie, voi dell'Internazionale e la Massoneria, di cui mi onoro di essere membro e di cui sono stato gran maestro".

Un'ombra di fastidio passò sul volto di Marx mentre ribatteva: "In tutta franchezza, generale, per chi si batte per il comunismo la Massoneria appare sì come un'organizzazione progressista, ma non certo adatta a rappresentare gli interessi del proletariato, data la sua natura borghese".

"Eppure – commentò sorridendo Garibaldi, – il vostro internazionalista Bakunin non la pensa allo stesso modo. Io stesso l'ho iniziato l'anno scorso... ".

Il tavolo tremò sotto un poderoso pugno di Marx che era balzato in piedi, subito fermato da un altrettanto poderoso calcio negli stinchi propinatogli da Engels, che lo costrinse a ricomporsi alla meglio: "Eh... questa... questa sì che è bella...".

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24 aprile

Non erano ancora le otto che Liebknecht si presentò in casa Kugelmann, affermando di dover vedere urgentemente Marx. Venne fatto entrare e accompagnato nella camera del filosofo.

"Alla periferia della città sono stati trovati in fin di vita tre operai che lavoravano alla fonderia Oberl ed erano scomparsi da giorni: gli occhi sbarrati, incapaci di compiere il minimo movimento, privi di parola e di ogni forma di umanità, giacevano moribondi in mezzo ai loro escrementi. Hanno segni visibili di interventi chirurgici alla testa, più precisamente vicino agli occhi".

"Hai trovato qualcuno che abbia parlato con loro prima della sparizione, che abbia ricevuto qualche confidenza?".

"Nessuno, tranne un nostro compagno, grande amico di uno dei tre, il quale gli aveva confidato che stava per guadagnare un mucchio di soldi senza muovere un dito. Ma non aveva voluto aggiungere altro".

"E la gendarmeria? Indaga?".

"Come l'altra volta, cioè non fa assolutamente nulla".

"Tu che ne pensi?".

"Diventa difficile sostenere ancora l'ipotesi di una strategia padronale. Qui c'è in giro un pazzo che odia gli operai. Prima se la prendeva coi loro cadaveri, adesso agisce direttamente sui vivi".

"Sono d'accordo. La domanda è: perché li odia così tanto?".

"Difficile a dirsi...", osservò Liebknecht.

"Il motivo dev'essere concretamente, profondamente, significativamente materiale. Cosa c'è di più materiale della cura del proprio benessere? E in un mondo borghese qual è lo strumento che permette di trasformare la ricerca del proprio benessere in benessere reale?".

"Ovviamente il denaro in prima istanza e la celebrità in seconda".

"E se si fanno esperimenti medici su operai, chi può essere interessato ai risultati?".

"I capitalisti, chi altri?", ammise Liebknecht.

"Ma che tipo di esperimenti potrebbero indurre degli industriali a elargire denaro allo sperimentatore?".

"Esperimenti funzionali ai loro interessi, naturalmente. Scusa Karl, ma questa tua interpretazione della maieutica socratica durerà ancora per molto?".

"No. La tua ultima risposta mi rafforza nella decisione di tornare a far visita al dottor Schiller, un tipo che non mi piace per niente. Ti farò sapere".

"Ancora una cosa. Ho le informazioni che mi hai chiesto. Von Renner, l'aristocratico, è un imbecille che vive delle cospicue rendite delle sue tenute agricole. Girano su di lui varie storielle, da quella del grande amatore, a quella dell'intrepido cavallerizzo, a quella della sua formidabile ignoranza. Pare che una volta sia scoppiato a ridere dando del cretino a un amico che parlava della rotazione della terra attorno al sole. Quanto a Naudy, è fisiologo e frenologo, e come tutti gli stranieri non è particolarmente ben visto. Visita solo in giorni stabiliti e spesso è lontano dalla città per motivi di studio o conferenze. L'altro, Woltmann, ha esercitato per anni come chirurgo in varie località della Germania settentrionale e corre voce che si sia trasferito qui dopo una brutta vicenda giudiziaria che l'ha costretto a ritirarsi dalla professione".

A Marx non sfuggì il tono di disprezzo che la voce di Liebknecht aveva assunto nel pronunciare il termine 'frenologo' e non perse l'occasione. "So che non hai in grande simpatia questo tipo di medici, eppure la tua accettazione nella Lega era dipesa in larga misura dalle valutazioni del nostro Pfander".

"Io mi chiedo come mai un uomo come te abbia potuto allora...".

"Peccati di gioventù", tagliò corto l'altro, dandogli una manata scherzosa sulla testa.

"Quanto a Von Platen, è uno che si è stabilito ad Hannover circa un anno fa, ma non si sa bene da dove venga. Ha messo in piedi in quattro e quattr'otto una solida banca commerciale, ma la cosa strana è che, nonostante la sua professione, non ama frequentare nessuno e se ne sta per lo più rinchiuso nella sua villa, in cui ha un laboratorio scientifico".

"Che cosa mi dici su Bachem?".

Liebknecht parve sorpreso. "Uno sfruttatore furbo e molto abile nel suo mestiere, sembra. Come mai sospetti di lui?".

"La mia è solo una vaga sensazione", rispose l'interlocutore. Percorsero ancora un tratto di strada insieme, poi Marx si diresse all'obitorio.

Il dottor Schiller frappose qualche difficoltà prima di riceverlo, sostenendo che era oberato di lavoro, ma alla fine accettò di ascoltarlo "per non più di una decina di minuti". Furono sufficienti per fornire un quadro preciso della situazione. Il medico legale non aveva dubbi che sui tre uomini fossero stati fatti esperimenti di trapanazione della scatola cranica mentre erano vivi, probabilmente in stato di sonno artificiale, e che gli esperimenti avessero determinato una lunga agonia, cessata solo poco dopo il loro ritrovamento. Nessuna emozione trapelava dalle parole di Schiller, che trattava l'argomento con lo stesso totale distacco con cui esaminava quasi ogni giorno stomaci, intestini, crani e quant'altro.

"Quest'uomo nasconde dei segreti", disse il filosofo fra sé e sé mentre si dirigeva verso il Markt allo scopo di inviare un telegramma. Attraversata la piazza, raggiunse un edificio a due piani al lato del settecentesco Rathaus ed era nell'atrio dell'ufficio telegrafico quando dovette fermarsi. Sulla schiena poteva avvertire la pressione minacciosa di un oggetto appuntito.

"Non muovetevi, dottor Marx. Siete in arresto", disse una voce cavernosa.

Gli pareva che quel timbro non fosse nuovo, ma era certo di non conoscere alcun poliziotto locale. Rimase immobile e replicò: "Potete anche togliere la pistola dalla mia schiena, agente. Non ho alcuna intenzione di fare mosse improvvise, ve lo assicuro".

"Non si può mai dire, con voi comunisti. Adesso, comunque, potete voltarvi".

"Dannazione, Fred! Ci sono cascato di nuovo...".

Engels si stava sbellicando dalle risate, incurante degli sguardi curiosi delle persone che entravano e uscivano, e assestava dei colpetti ironici alla punta metallica dell'ombrello. "Scommetto che stavi per spedirmi un telegramma", disse.

"Ti credi così importante?".

"Perché, volevi forse mandare i tuoi omaggi a Bismarck?".

A quel punto fu Marx a sogghignare. "La cosa non sarebbe stata così inverosimile, sai? — E raccontò all'amico le profferte di collaborazione ricevute da un emissario del Cancelliere. — Sono contento che tu sia qui", disse poi mentre riattraversavano il Markt diretti all'albergo in cui alloggiava Engels.

"Le notizie ricevute mi hanno indotto a intraprendere questo viaggio d'affari — spiegò l'amico. — Domattina vedrò un commerciante, ma nel pomeriggio sarò libero. Penso che riuscirò a trattenermi almeno per qualche giorno".

"Splendido. Mi aiuterai a scovare l'individuo che sta massacrando gli operai di Hannover".

"Ammesso che si tratti di un solo individuo e non di un gruppo organizzato".

Marx lo guardò in volto, sorpreso. "Cos'hai in mente? Qualche sospetto preciso?".

"No. Ma alcuni particolari mi hanno fatto pensare a ciò che accadde in Francia nell'inverno 1794-95".

"I massacri della gioventù dorata. La caccia ai giacobini da parte delle bande reazionarie dopo il 9 termidoro".

"Esattamente. La mia, è ovvio, allo stato attuale è un'ipotesi priva di qualunque fondamento concreto. Tuttavia, possiamo anche pensare che una setta reazionaria e fanatica, la quale teme il diffondersi delle idee comuniste tra i proletari...".

"...cerchi di suscitare il panico tra le file operaie assassinando crudelmente alcuni di loro. Potrebbe anche essere così, in effetti".

"Tu, comunque, cosa pensi di tutta la vicenda?".

"Sembra — disse Marx — una sorta di risposta anticipata della classe borghese alle mie osservazioni del Capitale sulla riduzione dell'operaio ad automa nel sistema produttivo capitalistico, per cui non è più l'operaio che adopera i mezzi di produzione, ma sono i mezzi di produzione che adoperano l'operaio. In questo modo pare quasi realizzarsi l'insulsa favola di Menenio Agrippa che rappresenta un uomo come l'insieme di più frammenti, ovvero le varie membra del suo stesso corpo. Infatti, non soltanto operazioni di lavoro frammentarie vengono ripartite fra diversi individui, ma l'individuo stesso viene diviso, trasformato in motore automatico d'un lavoro parziale".

Engels assentì. "Non c'è alcun dubbio. Lavorando alla macchina, l'operaio perde la sua dimensione di essere umano. In apparenza, essa gli rende meno faticoso il lavoro, ma in realtà la stessa facilitazione dell'impegno lavorativo diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera l'operaio, ma toglie contenuto al suo lavoro. La società capitalistica ha per obiettivo che non sia l'operaio a servirsi della condizione del lavoro ma, viceversa, la condizione del lavoro a servirsi dell'operaio. Dico bene?".

"Un capitalista come te non può non conoscere la realtà dei fatti economici. Tuttavia, questa prospettiva...".

"...non può realizzarsi compiutamente, — continuò Engels — perché l'operaio, pur ridotto ad automa, resta comunque umano, con tutte le imperfezioni dell'essere umano, prima fra tutte (nell'ottica del capitalista) quella di riflettere sulla sua condizione di sfruttato e di trovarla intollerabile".

"Già, proprio così. Ora, come emendare questa macchina vivente da tale gravissima pecca? In altre parole, come realizzare un modello di lavoratore perfetto, visto che l'operaio, durante tutto il tempo della sua vita, non è altro che forza-lavoro e perciò tutto il suo tempo disponibile è, per natura e per diritto, tempo di lavoro? Per il nostro novello Frankenstein, questa è la mia ipotesi, si tratta di far sì che il tempo di lavoro non conosca intervalli, indecisioni, frammentazioni. Occorre che vengano eliminati i tempi morti derivanti dall'esigenza tutta umana di sottrarsi alla fatica o, peggio, alle situazioni in cui l'insoddisfazione operaia, la coscienza di classe del lavoratore trasformano il tempo di lavoro in azioni rivendicative, scioperi, eccetera. Tuttavia, se è plausibile che un industriale sia cinico, è difficile immaginarlo coinvolto in prima persona in esperimenti che richiedono ampie competenze scientifiche proprie di uno studioso o uno scienziato".

"La mia ipotesi della setta non ti convince, insomma".

"Ritengo più probabile che ad agire sia stato un solo individuo che finora ha operato in due fasi: durante la prima ha fatto esperimenti di induzione elettrostatica, da vero e proprio fisico; la fase più recente lo vede procedere invece come medico e fisiologo. Quanti, ad Hannover, possono vantare una simile quantità di conoscenze? Non di certo Von Renner, il re degli ignoranti. Forse Schmidt, magari Bachem, cui piace alludere al Frankenstein, o Naudy, o anche Woltmann, oppure Von Platen, che possiede un laboratorio scientifico in cui non invita nessuno. Infine Schiller, medico legale esperto di cadaveri, nonché uomo di vasti interessi culturali e che mostra dimestichezza con discipline ostiche come l'economia".

Engels scosse la testa. "Mah, stento a credere che tutto si riduca alla follia, sia pure lucida, di un singolo criminale".

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Pagina 197

Consumata una frugale cena, esausti per il lungo esercizio fisico, i due salirono nella loro camera e mentre Bebel piombava in un sonno rumoroso, Marx poté finalmente aprire l'agenda del dottor Naudy. La parte che gli interessava iniziava con le annotazioni stilate negli ultimi giorni di febbraio. Lesse attentamente, a voce bassa, emozionandosi sempre di più man mano che procedeva.


25 febbraio

Come diceva il professor Oken all'Università di Zurigo, l'uomo è il compendio di tutte le forme animali, la creatura perfetta che riassume nella sua struttura corporea le altre forme viventi. Ma solo una ristretta parte dell'umanità incarna questo modello superiore. Se la perfezione individuale, come afferma Platone nella Repubblica, sta nell'adempiere ai doveri del proprio ruolo sociale, perché l'operaio, invece di esprimere la sua identità di uomo del popolo, incarna la totale ribellione? A differenza del contadino che si solleva per ottenere qualche beneficio dal potere, egli non si solleva, ma lotta. A differenza del popolino che reclama panem et circenses egli vuole panem et potestatem. Nelle sue azioni di piazza egli non distrugge, ma reclama come suo ciò che non gli appartiene.


27 febbraio

Ho riletto gli appunti che presi a Berlino durante le lezioni di anatomia e fisiologia di Mόller. Si tratta di un contributo assolutamente fondamentale alla comprensione del funzionamento dei processi vitali. La sua teoria dell'energia specifica dei nervi si fonda su un asserto incontrovertibile: la vita psichica è una forma di vita organica e deriva dagli stimoli che agiscono meccanicamente sugli organi di senso, determinando azioni e comportamenti. Ce lo ripeteva in continuazione: "Se si conoscesse tutto lo sviluppo di un uomo, si potrebbe calcolare il suo comportamento in ogni momento della vita". Questo significa semplicemente che non esiste, di fatto, il libero arbitrio. Ora, se si potessero ricreare in laboratorio una serie di stimoli precostituiti e rigidamente selezionati, non dovrebbe essere impossibile rendere il comportamento umano del tutto prevedibile, vale a dire prefigurarlo indipendentemente dalla volontà del soggetto stesso. Che splendidi automi sarebbero allora i nostri operai!


2 marzo

Si tratta a questo punto di trovare un procedimento in grado di far scaturire la forza vitale, ma non nel senso dei vaneggiamenti di Virchow, che finisce per attribuire alla cellula la funzione di demiurgo della vita. Occorre individuare un processo materiale in grado di creare la vita, quell'atto originario che la Bibbia ha miticamente rappresentato attraverso l'immagine di Dio che insuffla lo spirito vitale in Adamo.


7 marzo

Von Helmholtz ha spazzato via ogni residuo di teorie vitaliste, sia dimostrando l'origine delle fibre nervose dai gangli, sia soprattutto misurando la velocità di propagazione degli impulsi nervosi, leggermente inferiore a quella del suono. Ora, se gli impulsi nervosi si propagano, essi possono essere assimilati a una sorta di galvanismo, di energia elettrica che percorre tutto il corpo. Ipotizziamo di creare un generatore in grado di ripristinare gli impulsi nervosi in un corpo che ne è privo: cosa potrebbe accadere? Da verificare.


12 marzo

Ho sperimentato un induttore elettrolitico su due soggetti morti da alcuni giorni. Nessun risultato.


15 marzo

Credo di aver individuato la soluzione. Essa è implicita nelle leggi sull'induzione di correnti elettriche di Neumann e nella procedura di Seebeck. In altre parole, occorre generare corrente elettrica fra due fili di materiali diversi in cui uno ha temperatura maggiore rispetto all'altro.


21 marzo

Impossibile generare attraverso il calore una corrente elettrica di potenziale sufficientemente elevato per generare stimoli sensoriali adeguati. Il problema non sta nel fatto che il soggetto è morto, ma nell'esiguità del potenziale elettrico disponibile. Θ necessario costruire un disco di Faraday per generare una forza elettrica costante.


30 marzo

Il disco di Faraday ha generato un potenziale elettrico adeguato, ma il risultato sui quattro soggetti è stato del tutto simile a un esperimento galvanico. I nervi si sono attivati, dando a tratti l'impressione che i soggetti stessero per tornare alla vita, ma l'energia vitale non è mai comparsa. Alla cessazione dello stimolo, le reazioni (o le sensazioni) che il cadavere sembra provare terminano istantaneamente. Oh, Mary Shelley, tu m'as donné un mirage.

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Pagina 273

8 mesi dopo: Londra, 15 maggio 1875

Un vento primaverile piuttosto freddo faceva stormire le foglie degli alberi di Regent's Park. I due uomini elegantemente vestiti si fermarono, un po' sorpresi.

"Quest'anno non sembra proprio di essere vicini all'estate – osservò uno di loro. – Aria fredda e nuvole basse. Quel che ci vuole per la mia bronchite".

"Resisti, Moro. Fra tre mesi sarai di nuovo a Karlsbad e potrai respirare l'aria balsamica delle sue foreste e bearti degli ululati dei lupi, mannari e no".

"A proposito, non ti ho ancora riferito del conte Ruvcek. Mi ha scritto".

"Sapendo che quest'estate sarai di nuovo a Karlsbad ti invita ancora nel suo castello?".

"No, nella sua nuova dimora a poche miglia da lì. Castello e proprietà non sono più suoi".

"Ha venduto, alla fine. Avanti, racconta".

"Alexander sta per sposare una baronessa e Antonin si trova in una clinica di Vienna".

"Come l'ha presa, Eleanor?".

"Anche se le attenzioni del figlio del conte la lusingavano, non le avevano, né le hanno, purtroppo, fatto passare l'infatuazione per quell'asino di Lissagaray. Ma, tornando a Ruvcek, alla fine, nonostante i suoi buoni propositi, ha ceduto".

"A quei due manigoldi, immagino – lo interruppe l'amico. – Come si chiamavano, vediamo... Merek e...".

"Vesely. No, Fred. Si tratta di altri, della stessa genia, presumo, o più probabilmente sono dei loro prestanome. In ogni caso, a suo dire ha ottenuto condizioni molto vantaggiose: avrà in cambio tre dimore signorili, di cui una che definisce principesca e una proprietà terriera ancor più estesa e fertile, a esclusiva vocazione agricola".

"Vedrai che prima o poi un ingegnere troverà qualche cosa di buono anche lì".

"Probabile – convenne Marx. – In ogni caso, si è sottratto all'odio della sua gente che ha fatto del fattore Rudolf, ti risparmio le digressioni infuriate del conte, una sorta di eroe popolare, un martire dei soprusi della nobiltà. Del resto, sono stati proprio i domestici a ucciderlo e nessuno è al corrente di quel che il presunto eroe era stato capace di fare per odio e per denaro".

Engels si fermò di colpo, strofinandosi le mani: "In ogni caso, la capitolazione del conte è un sintomo evidente del processo di gestazione del capitalismo nell'impero austroungarico, processo logico e prevedibile, ma che si preannuncia con tempi più rapidi del previsto".

"Sono d'accordo. E c'è da credere che non appena il sistema produttivo capitalistico riuscirà a imporsi anche laddove l'ordine sociale è ancora saldamente nelle mani delle classi reazionarie (Junker, redditieri parassitari, ceti mercantili infeudati), si avvierà nel breve volgere di una decina di anni un processo di trasformazione produttiva che non potrà più essere arrestato".

"Vuoi dire che un giorno anche lo Stato dove lo zar impone il proprio dispotico potere a milioni di mugiki primitivi e analfabeti vedrà nascere un sistema capitalistico destinato a soccombere sotto i colpi della rivoluzione comunista?".

"Be', Fred, adesso non esagerare. Laggiù non è possibile combinare niente, né ora né mai".

"Ma così tu mini le aspettative del proletariato slavo, suggerendo che la Russia resterà fuori dal processo rivoluzionario".

"Dove mancano un proletariato numeroso e un adeguato sviluppo della produzione industriale non può esserci rivoluzione, tutt'al più un sovvertimento violento dello status quo che, anche se cercherà di liquidare la vecchia società, potrà farlo solo con una dittatura piccolo borghese. Con gli stessi sistemi, per intenderci, del Comitato di Salute Pubblica nella rivoluzione francese, imponendo a parole la Virtù e coi fatti il Terrore".

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