Copertina
Autore DBC Pierre
Titolo Vernon God Little
EdizioneEinaudi, Torino, 2002, Tascabili Stile libero 1056 , pag. 308, cop.fle., dim. 135x208x22 mm , Isbn 978-88-06-16416-4
OriginaleVernon God Little [2002]
TraduttoreCristina Mennella
LettoreElisabetta Cavalli, 2004
Classe narrativa australiana , narrativa inglese
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Indice

  3 Atto primo   Sono nella merda

 71 Atto secondo Come ho passato le vacanze estive

161 Atto terzo   Due vite in gioco

223 Atto quarto  Quello che ho passato dopo le vacanze estive

265 Atto quinto  Me ves y sufres

 

 

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Pagina 5

Fa un caldo d'inferno a Martirio, ma sui giornali c'è una notizia da brivido. Sapete chi ha passato tutta martedi notte per strada? Velo dico io: quell'odiosa della signora Lechuga. Tremava tutta, o forse era il riflesso delle falene fra i salici a incresparle la pelle come un drappo funebre nella burrasca. Comunque sia, all'alba s'è visto che se l'era fatta sotto. Allora è chiaro: la normalità da qui s'è proprio data. Secondo me per sempre. Dio solo sa, se non ce l'ho messa tutta per capire come va il mondo, addirittura me lo sentivo, che poteva girare bene. Ma dopo quello che è successo, mi sa che tanto bene non va. Insomma, che cazzo di vita è questa?

È venerdi, adesso, qui nell'ufficio dello sceriffo. Sembra un venerdi a scuola. E quel cazzo di scuola, meglio che non me la nominate.

Aspetto seduto tra fasci di luce che piovono giú da una fila di porte, nudo, tranne che per le scarpe e le mutande di ieri. Mi sa che sono il primo della giornata, finora. Intendiamoci, mica sono nei guai. Io con martedi non c'entro niente. Però starei meglio da un'altra parte. Ve lo ricordate, no, Clarence, il negro che s'è visto al telegiornale l'inverno scorso. Lo psicopatico che s'era appisolato proprio in questa sala tutta legno, davanti alla telecamera. Al telegiornale hanno detto guardate quanto si preoccupa degli effetti dei suoi crimini. Per «effetti» secondo me intendevano le accettate. L'avevano tosato come un animale, il vecchio Clarence, e bardato con la divisa da ospedale che mettono agli psicopatici. Portava un paio d'occhiali spessi come fondi di bottiglia, come quelli di quei tipi tutto gengive e niente denti. In tribunale gli hanno costruito una gabbia tipo zoo e l'hanno condannato a morte.

Sto qui a fissarmi le Nike. Modello Jordan New Jacks, non so se mi spiego. Quasi quasi gli dò una ripulita con lo sputo, ma forse è fatica sprecata, considerato che sono nudo. Poi ho le dita appiccicose. Questo inchiostro non lo levi nemmeno con la bomba atomica, giuro. Resterebbero gli scarafaggi, e questo cazzo d'inchiostro per le impronte.

Un'ombra gigantesca si fonde col buio del corridoio. Seguita a ruota dalla proprietaria. Una signora, diciamo. Mi viene incontro e la luce di una porta aperta colpisce la scatola del take away che ha in mano, insieme al sacco dei miei vestiti e al telefono che cerca di tenere appiccicato alla bocca. Avanza lenta, in un bagno di sudore, i lineamenti ammassati al centro della faccia. Anche in divisa si vede lontano un chilometro che è una Gurie. È insieme a un altro agente, ma lei gli fa segno di andar via.

- Ai preliminari ci penso io, ti chiamo poi per la deposizione -. Riaccosta il telefono alla bocca e si schiarisce la gola. Le esce una vocetta stridula: - Grrr, ma chi dice che sei deficiente, ti spiegavo soltanto che, staticamente, le Teste di cuoio riescono a limitare il bilancio delle vittime. - Gracchia talmente che la scatola le casca a terra. - Il pranzo, - borbotta chinandosi. - Insalata e basta, uno schifo, giuro su Dio -. Quando mi vede chiude la telefonata.

Mi tiro su per sentire se mia madre è venuta a prendermi. Ma niente da fare. E ti pareva, questo per dire quanto sono furbo. Però continuo ad aspettare. Che genio, cazzo. Vernon Genius Little.

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Pagina 56

- Laborsa, toccata? Leimprontedigitali, prese? - Ecco cosa mi domanda il signor Abdini. Ma non chiedetemi il suo nome per intero.

- Che? Le impronte? Ehm... si, mi sa di si -. Oggi sono già abbastanza scazzato, che certe visite potrei benissimo risparmiarmele.

Abdini è pesante come un'incudine, ma la faccia probabilmente ce l'ha stravolta dalla sua parlata a macchinetta. È il mio avvocato. Lo ha nominato il giudice. Mi sa che è l'unico qui in giro a lavorare di domenica. Lo so che non volete piú sentirmelo ripetere, che gli altri posti sono diversi e tutto, ma detto fra noi, si vede benissimo che Abdini è il prodotto di secoli di chiacchiere e di intrallazzi. Abdini, Mr Palla al Balzo, Bing, ping, ping! È vestito di bianco, tipo ambasciatore cubano. Una giuria lo condannerebbe solo sulla base delle scarpe, per quanto le sue scarpe non sono certo il primo dei miei problemi. Sono l'ultimo dei miei cazzo di problemi, e sapete perché? Provate a prendere un gruppo di bianchi flaccidoni, genere comitato fiera di beneficenza e quant'altro, metteteli in una giuria, poi schiaffategli davanti un vendifumo sbucato da dio-sa-dove: probabilmente non abboccheranno ai suoi discorsi. Lo vedono lontano un chilometro che è un viscido, ma ufficialmente devono fare buon viso, per via che di questi tempi bisogna tutti fingere di andare d'amore e d'accordo. Per cui non abboccano e basta. È una cosa che ho imparato.

Pertanto, il signor Sa-il-cazzo-come-si-chiama Abdini è in piedi tutto sudato nella mia cella e probabilmente si prepara a dire: - Pertanto -. Gli occhi gli rimbalzano su un fascicolo che tiene in mano, relativo al sottoscritto. Grugnisce.

- Racconta chessuccesso.

- Eh? Non ho capito.

- Racconta chessuccessoascuola.

- Be', vede, ero uscito dalla classe, e quando sono tornato...

Abdini alza una mano. - 'ndato al bagno?

- Eh? Si, ma questo non...

- Prova moltimportante, - sibila, scarabocchiando sul fascicolo.

- No, vede, io stavo...

Proprio in quel momento la guardia bussa forte alla porta. Sstt, - fa Abdini dandomi un colpetto sul braccio. - Scoprotuttoio. Oggi non devetesticolare. Chiedremo libertàprovvisoria.

Stamattina Barry non c'è. Un'altra guardia ci scorta fino alla porta di servizio dello sceriffo e nel vicolo dietro Gurie Street. Abdini mi comunica che in tribunale non ci saranno né giornalisti né telecamere, per via che sono minorenne. Tanto sono andati tutti quanti ai funerali. - Un'alternativa ben poco allettante, - come direbbe Mr Stronzo Nuckles, se non avesse perso la lingua. Fa un caldo boia oggi. È strano però, a estate appena iniziata. E c'è silenzio, come quando trattieni il fiato, anche se sento il fruscio dei vestiti di cotone su Gurie Street e i saltelli dei bambini fra gli irrigatori. La tipica atmosfera domenicale, ma innaffiata di lacrime spumanti. Che si portano dietro le loro ondate di tristezza.

A tre palazzi di distanza dall'ufficio dello sceriffo c'è il vecchio bordello di Martirio, uno degli edifici piú belli del vecchio West. Però le donnine allegre sono sparite, adesso è accanto al tribunale. L'unica donnina sulla piazza è Vaine Gurie, quella buontempona. Ci sta aspettando sul retro. Stamattina il sopracciglio le arriva all'attaccatura dei capelli. Vengo accompagnato su per certe scale fino dentro l'aula semivuota, dove la guardia mi pilota in un piccolo recinto, come una staccionata di legno. Volendo, uno riesce anche a essere coraggioso qui dentro, se considerate le Nike, i jeans di Calvin Klein, il fatto che sono giovane, oltre che innocente. È l'odore che mi mette il nervoso. Le aule di tribunale hanno lo stesso odore delle aule delle elementari. Ti guardi automaticamente intorno in cerca dei disegni appiccicati al muro. Non so se è un effetto voluto, tipo per farti regredire e mandarti fuori di testa. A dire la verità, è che probabilmente nelle aule di tribunale e in quelle delle elementari ci spruzzano lo stesso tipo di deodorante, giusto per tenerti in riga: Coscienza sporca o roba del genere, cosí alle elementari ti senti già come in tribunale, e quando finisci in tribunale ti pare di essere tornato alle elementari. Qui dentro ti aspetti di trovare i disegni appiccicati al muro, invece c'è una signora seduta davanti a una specie di macchina da scrivere mozzata. Il tribunale, ragazzi. Che roba.

Mi guardo intorno mentre gli altri sistemano pile di scartoffie. Mamma non ce l'ha fatta a venire, e tutto sommato è meglio cosi. Ho imparato una cosa: nel mondo autorizzato nessuno riconosce la presenza del coltello. È praticamente invisibile, per questo torna comodo usarlo. Capito come funziona? Per questo la gente compie i delitti piú infami, sprofonda nella perversione, lo so. Per colpa di questo coltello che viene continuamente rigirato quando ti dicono ciao o una frase altrettanto innocente. Provateci voi, a spiegare qui dentro che qualcuno rigira il coltello soltanto coi suoi guaiti da cagnolino da salotto. Si cacherebbero sotto dalle risate. E sapete perché? Mica per la storia del coltello, quella la capiscono eccome, ma perché sanno che nessuno se la berrebbe. Anche quelle dodici stimate persone della giuria hanno il loro bravo psico-coltello piantato nella schiena che i loro cari girano e rigirano a piacere, ma non lo ammetterebbero neanche morte. Scordandosi di come stanno davvero le cose, assumerebbero il classico atteggiamento da telefilm per cui tutto è perfettamente logico. Ve lo garantisco.

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Pagina 110

Keeter è il padrone di questo terreno fuori città piatto come una tavola. Saranno chilometri. Aveva aperto uno sfasciacarrozze su Johnson Road, Da Keeter, ricambi e riparazioni: praticamente un ammasso di ferri vecchi. Neanche lo gestisce piú lui. Quando nominiamo Keeter di solito ci riferiamo al terreno, mica al negozio. Può capitare di vederci qualche manzo o qualche cervo, ma soprattutto lattine di birra scolorite e cazzi vari. I confini dell'universo della città. Quaggiú i ragazzetti di Martirio fanno conoscenza con il fucile, le femmine e la birra. E il vento a rasoiate che tira da queste parti non te lo scordi piú.

Al centro della proprietà c'è una buca enorme, larga una sessantina di metri, circondata da un groviglio di filo spinato e di cespugli. E nel punto piú ripido c'è il vecchio pozzo di una miniera. Il Covo, lo chiamiamo. Abbiamo improvvisato uno sportello con le lastre di stagno e lo abbiamo addirittura chiuso con un lucchetto. Era il nostro quartier generale negli anni spensierati. Sarebbe dove ho cacato l'altro giorno, il giorno della tragedia, se proprio volete saperlo. E dove ho imboscato il fucile.

Sono le due e trentotto del pomeriggio. Fa un caldo appiccicoso, con le nuvole che si ammassano veloci nel cielo. A un duecento metri dal covo sento il rumore di una martellata. Vedo muoversi qualcosa tra i cespugli. È il vecchio Tyrie Lasseen, il nuovo gestore dello sfasciacarrozze, che pianta degli indicatori. In giacca e cravatta. Non faccio in tempo a nascondermi. Tana.

- Tutto a posto, figliolo? - mi urla. - Non toccare niente, è pericoloso.

- Certo, signor Lasseen. Stavo solo facendo una passeggiata...

- Ti consiglierei di non passeggiare da queste parti, meglio che te ne torni verso la strada.

Tyrie è il classico texano che se la prende comoda per mandarti affanculo. Fa tre passi strascicati verso di me, e si asciuga il sudore dalla testa. Gli occhi ce li ha grinzosi come il crine di cavallo impigliato nel filo spinato, e tiene la bocca semiaperta. George Bush padre faceva lo stesso: teneva questa posizione facciale di default con la mascella inferiore un po' ciondoloni. Come se ascoltasse tipo dalla bocca.

- Sto soltanto andando verso la San Marcos Road, non toccherò niente.

Il signor Lasseen rimane li ad ascoltare, dalla bocca. La lingua gli si srotola come un serpente. Poi la brezza viene smossa dai suoi bronchi arrugginiti. - La San Marcos Road? La San Marcos Road? Figliolo non ti consiglio di prenderla da qui. Ti consiglio di tornare verso Johnson Road e fare il giro.

- Ma, il fatto è che...

- Figliolo, la cosa migliore è che torni verso Johnson Road. Te lo consiglio, e non venire piú a ficcare il naso da queste parti. Da questo momento questa è zona vietata -. La mascella ciondola ancora di piú, per sentire se arriva qualche rispostaccia, poi il signor Lasseen punta il dito verso la città. - Adesso vattene, forza.

Sento il soffio delle erbacce sul sentiero verso casa, le lastre di metallo ondulato sventolano, e il loro cigolio si porta dietro il latrato dei cani. Mi resta solo una possibilità per recuperare il fucile. Appena Lasseen è fuori campo visivo, giro il muso della bici e mi lancio a razzo nella boscaglia, cosí posso aggirarlo e raggiungere la tana da dietro. I cespugli sono piú in basso, in questo punto della proprietà, stretti tra l'erba alta e detriti di case in sfacelo.

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Pagina 169

Riattacco e scuoto la testa. Quanto sono stupido. Già me lo vedo Danny, che arriva al barbecue e fa: «E quando cazzo avrei telefonato?» Oppure si scopre che è morto la settimana scorsa mentre faceva uno di quei balli di gruppo. Ragazzi, io batto proprio tutti. Insomma, sicuramente girano dei balordi che ve li raccomando, gente davvero senza regole, ma scommetto che non hanno mai fatto una cazzata del genere. Scommetto che Adult Hitler, cioè, una vera minaccia per la società, non l'hanno mai braccato a un barbecue solo perché aveva telefonato spacciandosi per quel cazzone di Danny Naylor.

Adesso che ho il numero di Taylor sembro uno col Disordine da De-fecit di Attenzione, insomma quella cosa per cui resti impalato oppure sembri morso da una tarantola. M'invento una faccia adatta a non dare nell'occhio, aggrotto la fronte come uno che sta calcolando il pi greco a otto miliardi di cifre decimali. E intanto penso a tutte quelle cose che mi avrebbero fatto sembrare un cretino. Tipo a mia madre, che ormai si sarà alzata. Probabilmente avrà già defibrillato, o sa il cazzo come si dice quando i medici di quel telefilm urlano: «Libera!» Mi avvio strascicando all'ingresso del terminal, dove c'è la tabella degli orari. I pullman per Houston partono regolarmente, quindi ho tutto il tempo di chiamare casa. E da Houston i pullman partono regolarmente per Brownsville e McAllen, alla frontiera col Messico. Quasi quasi compro due biglietti per la frontiera e ne regalo uno a Taylor, cosí, tipo finché morte non ci separi. Ma il cervello mi dice no, non comprarne neanche uno, per ora. Calmati un attimo. Poi comincia a lanciare idee fritte e rifritte tipo Chi Non Risica Non Rosica e via dicendo. E finisce che resto fermo sulla porta, cazzo, a calcolare il pi greco.

Mettiamo, per dire, che due tizi vogliano trascinare Taylor Figueroa in Messico, cosí, subito. Uno le porta un mazzo di rose, e le dice sai avrei in programma di andare in Messico, ti piacerebbe venire con me? L'altro si presenta con una bottiglia di tequila, uno spinello e due biglietti per la frontiera. Ma non glieli sventola subito sotto il naso, dice solo: «Ho le ore contate... Aiutami a uccidere questo dolore». La fa sbronzare in tre minuti netti, le succhia via le tonsille dalla gola, poi caccia fuori i biglietti e dice: «Fra dieci minuti arrivano gli sbirri e ti arrestano per complicità... battiamocela». Quale dei due sceglierà? La risposta la conoscete già, cazzo, senza bisogno che ve la suggerisco. E se permettete, il fatto che uno è bravo e simpatico e l'altro invece un figlio di puttana c'entra poco. No, dipende tutto dal fatto che uno dei due sapeva che l'avrebbe convinta. Per noi americani, poi, è una verità sacrosanta. L'abbiamo inventata noi, la cazzo di assertività, cristo santo. Ma in mezzo a quel mare di libri e videocassette, in mezzo all'industria dell'assertività - e non mi riferisco ai sistemi per lavorarsi la gente, incrementare le vendite e palle del genere, cioè, per quello c'è tutta un'industria a parte - mi riferisco all'industria dove alla fine sai, quanto è vero dio, che le cose stanno per andare a modo tuo, insomma, mai una volta che ti spiegano come cazzo fai a saperlo. Cioè, a mio parere, non è che svolti soltanto pensando positivo. È tutto l'anno che penso positivo, e guardatemi, cazzo. Mia madre è convinta che il frigo nuovo si materializzerà sulla porta di casa, fatto sta che nessuno l'ha visto, nemmeno col cannocchiale.

Torno zoppicando ai telefoni. Dubito che Taylor mi darà retta. Anzi, se proprio devo essere sincero, credo proprio che mi darà buca. Ha un appuntamento a pranzo, vive in un altro mondo, che odora di pelle abbronzata e di biancheria di pizzo. Io ho solo questa orrenda realtà del cazzo, non richiesta, che puzza di scale mobili e sangue, di bip e ronzii che ti succhiano via tutto il bello. I sogni sono cosi perfetti, porca miseria, ma la realtà ti tira sempre dalla parte opposta. Anche se le nostre vite si sfregheranno giusto per il tempo di un ciao, non significa che faremo scintille. Tutt'al piú mi posso aspettare che la sua vita di pizzi ricamati s'impiastri di schifezze caccolose. C'è già da ragliare come un disperato. Soprattutto perché adesso non sono dell'umore giusto. Ed ecco che imparo un'altra cosa, miei cari amici: rendersi conto della verità è una maledizione, perché ti toglie tutta la sicurezza che nasce dalla cretinaggine.

Finisce che mi incazzo e basta. Metto via il mio maledetto repertorio di esercizi filosofici e tiro fuori una moneta di tasca. La lancio in aria. Croce. Significa chiama Houston immediatamente. Alzo la cornetta e faccio il numero di Taylor.

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Pagina 187

L'agente mi raggiunge con tutta calma dal posto di controllo. Di pelle è molto piú scuro degli altri che girano qui, e i capelli grigi e radi ce li ha spalmati in testa come col grasso per gli ammortizzatori. Insomma, è un tipetto di quelli rozzi.

- Favorisca il passaporto, - dice. Sembra uno che fa sul serio, e metteteci pure che ha i denti d'oro. E un paio d'occhi neri che mi rosolano sulla graticola.

- Ehm... il passaporto?

- Si, favorisca il passaporto.

- Ehm, sono americano.

- Patente di guida?

- Be', no... sono americano, sto visitando il vostro stupendo Paese e...

Mi fissa. Adesso gli parte l'automatismo del poliziotto stronzo, me lo sento.

- Mi segua, - dice e mi fa strada verso la palazzina principale.

Dentro c'è odore di lucido da scarpe. È una specie di Jurassic Park delle forniture per ufficio, con le scrivanie decrepite, le sedie tipo ristorante cinese, e l'illuminazione squallida da supermercato. Un ventilatore cigola in un angolo. Fa un effetto a metà fra l'aula di tribunale e gli ambulatori della mutua che si vedono alla tele, anche per la folta rappresentanza di vecchie messicane. Ma per favore non ditelo in giro che ve l'ho descritto cosi. Insomma non fa un effetto pazzesco. L'agente mi guida verso una scrivania, si siede tutto impettito, come fosse il presidente del Sudamerica o chissà chi, come se la linea della frontiera attraversasse quel culo stronzo che si ritrova.

- Ha un documento? - mi chiede.

- Ehm... veramente no.

Si riaccomoda sulla sedia scricchiolante e spalanca le braccia, come uno sul punto di sottolineare la cosa piú ovvia di questo cazzo di universo. - Non può entrare in Messico senza documenti -. Stringe la bocca, per ottenere l'effetto Cosa Piú Ovvia.

Mi sale alle labbra un rosario di balle. Decido di ricorrere a un numero supercollaudato che, nel mio caso, è quello del Bambino Cretino. Mi invento un problema di famiglia, cosi, su due piedi. - Ho appuntamento con i miei genitori, capisce? Sono arrivati prima, io invece sono dovuto restare e sono arrivato dopo, e adesso mi aspettano dall'altra parte, cioè, probabilmente saranno già preoccupati.

- I suoi genitori sono in vacanza?

- Ehm, si, cioè ci stiamo per andare, in vacanza.

- Dove sono i suoi genitori?

- Sono già in Messico, che mi aspettano.

- Dove?

Cazzo. Quando ti capita uno cosi, è matematico, fateci caso. Finisce che restringe il campo delle stronzate, e le fa scivolare giú per l'imbuto della verità. Inutile fare il vago rispondendo: «Papà e mamma sono nell'emisfero nord», perché lui restringe il campo, sempre di piú, finché pretende che gli fornisci un maledetto numero di stanza. Dunque, dove cazzo stanno i miei genitori?

- Ehm... a Tijuana, - dico, facendo di si con la testa.

- Ti-juana? - Lui fa di no con la testa. - Allora ha sbagliato strada. Tijuana è dall'altra parte del Messico.

- No, infatti, ha ragione, ma loro venivano dall'altra parte, capisce, mentre io ero qui, per cui devo attraversare la frontiera, per incontrarli. Capito come?

Siede col viso all'ingiú e gli occhi all'insú, tipica espressione di chi non la beve. - A Tijuana, ma dove?

- Ehm... in albergo.

- Che albergo?

- Il... ehm, cavolo, ce l'ho scritto da qualche parte... - Frugo nello zaino.

- Oggi lei non entra in Messico, - dice l'agente. - Farà meglio a chiamare i suoi genitori, per farsi venire a prendere.

- Be', ma adesso non mi sembra l'ora di chiamare... in teoria dovevo già essere arrivato. Comunque pensavo che fra i nostri due Paesi ci fosse tipo un patto, pensavo che gli americani avessero praticamente via libera.

Alza le spalle. - E chi mi assicura che lei è americano?

- Cavolo, basta guardarmi... insomma, sono americano si, ci mancherebbe altro -. Spalanco le braccia, facendo l'imitazione della Cosa Piú Ovvia Che Ci Sia. Lui si sporge dalla scrivania e mi pianta gli occhi addosso.

- Chiami i suoi genitori, che è meglio. Stanotte rimane a McAllen e domani si fa venire a prendere.

Non mi resta altra scelta, visto che mi ritrovo strozzato nell'imbuto della verità. Faccio finta che mi abbia appena suggerito un'idea geniale. - Ma infatti! Sa che ha proprio ragione... gli dò un colpo di telefono e mi faccio venire a prendere... Grazie eh, grazie mille.

Zoppico fino al telefono alla parete e faccio finta di infilarci le monete. Poi armeggio con lo zaino come un coglione totale. Faccio addirittura finta di parlare a quel maledetto telefono. Cioè, sono proprio queste le stronzate per cui tirano in ballo la storia dello psicopatico. Dopo due chiacchiere con i miei cosiddetti genitori mi siedo su una panca vuota, risucchiato in questo purgatorio infinito sotto il ventilatore che squittisce come una saccata di topi. Ci resto fino alle tre, tre e mezza di mattina, in crisi d'astinenza da lenzuola fresche. L'avete mai sentita quella vocina saggia nella vostra testa, tipo una nonna interiore? Be', la mia ripete come un disco rotto: «Mangiati un hamburger e fatti una bella dormita».

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