Autore Silvia Pingitore
Titolo Il disordine delle cose
EdizioneLa Lepre, Roma, 2014, Visioni , pag. 142, cop.fle., dim. 13,5x21x1,2 cm , Isbn 978-88-96052-93-8
LettoreGiangiacomo Pisa, 2014
Classe narrativa italiana , paesi: Finlandia












 

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Capitolo primo



                        Se non ci metterà troppo, l'aspetterò tutta la vita.

                                                                 Oscar Wilde



Lucia aspettava quell'uomo da un pezzo, ma lui non lo sapeva. D'altronde nessuno l'aveva invitata né la stava attendendo. Non c'erano signorine segretarie pronte a mandarla fuori dai piedi, ma soltanto un cartello in stile TORNO SUBITO.

Fra le mani aveva una busta con dentro dei pezzi di carta importantissimi, quel tipo di pezzi di carta da proteggere a costo della vita.

Ognuno ne ha, altroché. Provateci, a smarrire la ricevuta vecchia di otto anni del vostro abbonamento tivvù, e vedrete: loschi figuri busseranno alla porta e vi faranno passare un brutto quarto d'ora, perché secondo la legge dovevate conservarla per almeno dieci anni. Vi chiederete come diavolo facciano a sapere che l'avete perduta, ma quelli sanno tutto: le vostre scartoffie, i vostri acquisti, i vostri debiti... Sarete mica un cattivo pagatore? Cosa avete comprato o pensato di comprare trentacinque anni fa? Vostro nonno firmò cambiali in bianco? Se c'è qualcosa che non ricordate, a loro basterà immettere il vostro nome nella banca dati per rinfrescarvi la memoria.

A ogni modo, Lucia aspettava quest'uomo seduta su una panchina. Al centro del piazzale c'era un trespolo, e sul trespolo uno scoiattolo che svendeva se stesso per qualche nocciolina.

Da piccola Lucia non aveva mai frequentato scoiattoli, né luoghi affollati. Le sue estati sconclusionate preparavano autunni da gettare al vento. In tutte le stagioni aveva passato anni a fare lavoretti "per i giorni di pioggia", mentre fuori c'era il sole; non c'era stato alcun corso di inglese o stage di danza o centro estivo che l'avesse aiutata a rendersi autonoma, pronta a gettarsi nella mischia. Restavano però i suoi manufatti insignificanti, scatoline decorate, cartoncini augurali e calendari che nessuno si sarebbe mai sognato di esporre in soggiorno. Aveva lavorato con pazienza certosina per costruire e decorare oggetti che sarebbero finiti in uno scatolone.

E adesso, a quasi vent'anni, si ritrovava sola in quel piazzale, con addosso una maglietta fuori moda, fuori tempo e fuori luogo, come lo erano tutti i suoi vestiti. Adesso, addosso aveva paura. Paura di emozionarsi, di non riuscire a farsi capire da quell'uomo che ancora non si era fatto vedere. E si chiedeva se era davvero lui che poteva fare la differenza, che poteva fare il bello e il cattivo tempo, e magari rimediarle qualche santo in paradiso.

Quando da piccino sentivi parlare dei santi in paradiso pensavi che la cosa non ti riguardasse. Mentre aspettavi la mezzanotte fingendo di credere ancora a Babbo Natale, i parenti parlavano di mutui, affitti, cessioni del quinto, uffici e capiufficio. Non capivi perché le vacanze le chiamassero ferie, e non sapevi che quella che tu chiamavi casa apparteneva in realtà a un padrone di casa. Ignoravi che un giorno, impacchettando la tua roba, ti saresti voltato a guardare per l'ultima volta una stanza che non era mai stata tua. Non riuscivi a immaginarti chino su un computer per otto ore al giorno a sbrigare delle pratiche mentre un capo sudato ti urla addosso. E che dire della pausa pranzo, da consumare solo soletto, in fretta e furia? Saresti finito anche tu in quel modo, triturato come un tramezzino bisunto? A che pro gli esperimenti di scienze naturali che facevi in classe? O suonare marcette con il flauto?

Era tutto così inconcepibile, così lontano da quel 7 gennaio in cui saresti tornato a scuola. Era roba che non ti avrebbe mai riguardato, tu eri troppo furbo per farti infinocchiare così: «Non preoccuparti mamma, quando sarò ricco quella collana te la comprerò io», le dicevi davanti alle vetrine scintillanti. Era solo questione di tempo, anche se non sapevi esattamente con quali mezzi ti saresti ritrovato miliardario senza passare per uffici, fitti e mutui: era come se l'età adulta fosse il tuo regalo di Natale ancora da scartare, la magia che dai banchi di scuola ti avrebbe portato dritto verso le stelle, gratis.

E i "grandi", a quelle cene natalizie, te lo hanno fatto credere: i loro occhi brillavano parlando dei tuoi tiri in porta o del saggio di pianoforte di tua sorella, delle pagelle e dei disegni.

Sareste diventati calciatori, artisti, inventori; nessuno di voi sarebbe finito impiegato al Catasto. Dovevate solo impegnarvi nello studio, perché neppure voi ce li avevate, 'sti maledetti santi in paradiso. Quegli stessi "grandi", ormai vecchi, oggi si venderebbero anima e casa di proprietà pur di vedervi sistemati al Catasto. Ma a quei tempi, ai tempi in cui si aspettavano ancora qualcosa da un Paese a forma di scarpa, in voi ci credevano davvero. E voi che la guerra l'avevate vista solo in televisione, voi ancora non lo sapevate che di guerra ce ne sarebbe stata un'altra, e che vi avrebbe tolto non il pane ma la dignità.

Era la guerra fra poveri, era per voi tutti.

Tutti quelli senza i santi in paradiso.

Proprio come Lucia, che aspettava quell'uomo seduta su una panchina.

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Una volta entrata nell'edificio notò alcuni ragazzi nerboruti che confabulavano fra loro, davanti a una porta chiusa. Quello sgabuzzino avrebbe potuto ospitare a malapena un paio di scopettoni; ma per quanto gli iscritti a Lettere Classiche sapessero di essere un peso per la società non avevano ancora previsto di dover strisciare sul pavimento. Mentre i nerboruti si confrontavano parlando a turno e per alzata di mano, furono travolti da una ragazza che si precipitò dentro sbattendo la porta. Poi dalla stanza spuntò fuori un venticinquenne carico di fogli, uno di quei tipi con le vene delle braccia come serpenti: «È da un pezzo che sono dentro, perché non avete bussato?».

A vederli così, tutti curvi e coi jeans a brandelli, gli studenti sembravano davvero scopettoni usurati da una vita di linoleum. Si affollarono nella stanzetta soffocante.

La ragazza che era entrata per prima si avvicinò a Lucia. Indossava un gonnellino a righe sui pantaloni strappati: «Posso mettermi qua? Io sono Ludovica. Tu chi sei? Ehi, sto parlando con te!».

Lucia era distratta. Si era accorta di essere l'unica munita di zaino, tutti gli altri portavano lunghe tracolle sdrucite. Mentre trafficava con le sue cose, il libretto dei voti cadde a terra. E dire che mamma Graziella gliel'aveva detto di tenerlo a casa al sicuro... Ma lei dopo l'esame di Onomastica aveva dimenticato di riporlo.

«Fa' un po' vedere, fammi fare i fatti tuoi. Due esami, due trenta! Secchiona! Lucia Fellini? Sei parente del regista?».

«Regista?».

«Federico Fellini».

«Federico Fellini?».

«Cioè, tu non sai chi era Fellini?! Ma scusa, e I vitelloni?».

L'unico vitellone che Lucia conoscesse era quello ai porri di sua madre: una prelibatezza riservata alle grandi occasioni.

«Niente vitelloni, quindi – constatò Ludovica. – E che mi dici di questo zaino?».

Lucia le porse il suo vecchio zainetto perché potesse ispezionarlo.

«Ottimo. Questo sì che è uno zaino vintage come Cristo comanda. Ultimo libro letto? Se vivi nel tuo tempo, certi libri li respiri nell'aria. Era Fellini che lo diceva, lo sai?».

La conversazione fu interrotta da un tonfo secco. Un ritardatario era scivolato rovinosamente sullo straccio bagnato che il professore stava passando per togliere da sotto la cattedra certe vecchie macchie di caffè. La lezione poteva finalmente iniziare.

«Bene, direi che ci siamo tutti. Benvenuti al corso di Istituzioni di teoria e retorica dei "runot" nelle esigenze metriche del finnico. Sono il dottor Coppa e mi occuperò di voi. Iniziamo dicendo che per questo corso non è previsto un libro di testo, bensì dispense che troverete nella nostra copisteria di fiducia, a prezzi modici. Da decenni l'opera che studieremo non è più stata ripubblicata e i relativi diritti d'autore sono scaduti».

Subito Ludovica iniziò a scaldarsi. Tirò via dai capelli la matita che le faceva da fermaglio e la puntò dritta contro il docente: «E per quale motivo dovremmo studiare un'opera scaduta, se è lecito?».

«Signorina, le ricordo che questo è un corso facoltativo».

«Per me è obbligatorio. Io sono di Filologia Moderna e questo esame è nel mio piano di studi».

«Tanto meglio. Avrà modo di appassionarsi a questo interessante poema epico finlandese, che non viene ripubblicato da decenni e che si chiama Kalevala».

Lucia sobbalzò: Kalevala! Dunque era un libro, non la persona speciale che lei aveva immaginato...

«L'opera che andremo a studiare – continuò il Coppa – può essere considerata a pieno titolo come l'epopea nazionale finlandese. È costituita da cinquanta runot, versi popolari mitologici tramandati oralmente per secoli – forse per millenni – dal popolo finnico. Fu composta a metà Ottocento da Elias Lönnrot, che per tredici anni vagò per il paese, ascoltando i canti intonati dai finlandesi nelle buie sere invernali con l'ausilio di tamburi in betulla e pelle di renna. Quando ebbe visitato ogni plaga remota, ogni villaggio, ogni singola casa sperduta, Lönnrot raccolse tutto il materiale nel Kalevala, il cui titolo significa letteralmente "Terra di Kaleva". Kaleva è il mitico patriota e fondatore della stirpe finnica, che però non compare mai nell'opera. Se vi piace il cinema vi interesserà sapere che Tolkien, l'autore de Il Signore degli Anelli, imparò la lingua finlandese esclusivamente per poter apprezzare il Kalevala nella sua versione originale, e vi si ispirò per la composizione del suo Silmarillion; inoltre prese come riferimento il finlandese per creare il sindarin, una delle lingue parlate dagli Elfi della Terra di Mezzo».

Elfi? Terra di Mezzo? Lucia era perplessa. Aveva sentito parlare di Elfi dal cugino Mirco, durante una gitarella fuori porta. Visto che lei continuava a restare indietro, soffermandosi sui ranuncoli che saltellavano nello stagno, Mirco l'aveva messa in guardia sul pericolo di essere rapita dagli Elfi malvagi del bosco. E se fossero stati proprio loro a lasciare quelle scritte nel bagno?

«Tuttavia, prima di affrontare il Kalevala nella sua complessità – proseguì il Coppa – è fondamentale che vi facciate un'idea della Finlandia e dei suoi abitanti. I finlandesi sono persone assai schive e riservate. Inoltre sono pochissimi: circa cinque milioni, spalmati su un territorio più grande di quello italiano. Le loro origini antropologiche sono a tutt'oggi misteriose. Hanno lottato per secoli al solo scopo di emanciparsi, prima dalla Svezia e poi dalla Russia. L'indipendenza per loro è un culto e si riflette anche sulla condizione femminile: le donne sono indipendenti e risolute, e la parità fra i sessi è tangibile in ogni campo. Qualcuno di voi ha in programma di andare a studiare in Finlandia?».

I Letterati tacquero. Quel che stavano pensando delle donne finlandesi gli si leggeva in faccia.

«In ogni caso, vi darò qualche indicazione in ordine sparso che potrebbe tornarvi utile. L'università e la ricerca finlandesi sono di altissimo livello e completamente gratuite per gli studenti. La Finlandia è il paese che ha scoperto lo xilitolo, inventato la sauna, i telefonini e gli sms. In Finlandia è stata scoperta la più antica gomma da masticare della storia, un grumo di resina di betulla con evidenti segni di denti risalenti al Neolitico. I finlandesi hanno inoltre rivendicato la paternità di Babbo Natale, riservandogli un villaggio visitabile in qualsiasi giorno dell'anno. In tutto il paese si praticano interessanti passatempi e tornei sportivi, come il campionato del mondo di lancio dei Wellington, i classici stivali di gomma da pioggia, o il mondiale di lancio del telefonino, o il festival degli acchiappazanzare, per debellare le terrificanti hittyset che d'estate invadono i boschi. E infine, da non dimenticare, c'è la celeberrima corsa con le mogli in spalla».

A queste parole Ludovica replicò che la corsa con la moglie in spalla era davvero uno sport maschilista, ma il Coppa senza distrarsi continuò a intrattenere il pubblico, che lo ascoltava incantato: «Quando andate in Finlandia non dovete fare chiasso. Le residenze universitarie per stranieri spesso sono lontane da quelle per i finlandesi, proprio per la differente percezione della parola silenzio. Inoltre all'università vi sconsiglio di copiare: se vi pescano, vi sbattono immediatamente fuori. Nel caso poi decideste di ubriacarvi per fare amicizia siete pregati di non mettervi alla guida in stato di ebbrezza, perché i poliziotti la prenderebbero molto male. Inoltre potrebbero capitarvi appuntamenti di lavoro in sauna: sappiate che la sauna si fa completamente nudi e ci si percuote a vicenda con dei rami di betulla. Mettersi il costumino sarebbe molto malvisto. Considerate che stiamo parlando di un paese che si ritrovò schiacciato per secoli fra il dominio della Svezia cattolica e quello della Russia ortodossa. Ricordate infine che laghi, alberi e bambini sono molto numerosi e amati in Finlandia: rispettateli sotto tutti i punti di vista».

Lucia non sapeva più che pesci pigliare. Per fortuna che a scuola non aveva mai copiato e che non beveva alcol, a parte un fondino di spumante a Capodanno insieme a mamma e papà. Sarebbe stato spaventoso essere frustata con rami di betulla dai poliziotti finlandesi...

«Bene, direi di concludere con qualche informazione sulla lingua. La Finlandia è ufficialmente bilingue: si parla anche svedese, ma l'idioma più diffuso fra la gente è naturalmente il finnico, ovvero la terza lingua più difficile al mondo. Il finlandese non ha niente in comune con quasi nessun'altra lingua esistente, a parte l'ungherese, l'estone e alcuni antichi idiomi lapponi in via d'estinzione. Questo perché non appartiene alla grande famiglia delle lingue indoeuropee – come quasi tutte le altre lingue conosciute, compreso il russo, l'hindi, l'inglese e l'italiano – bensì alla famiglia delle lingue ugrofinniche, sottogruppo delle lingue uraliche. Il finlandese ha una struttura agglutinante: raggruppa i vocaboli in stringhe chilometriche che si declinano in ben sedici casi grammaticali. Il genere, maschile o femminile, non esiste. L'alfabeto va dalla A alla Ö; su venti lettere si contano solo dodici consonanti e ben otto vocali. È infine interessante notare come manchi il congiuntivo e soprattutto come sia completamente assente il tempo futuro».

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