Copertina
Autore Henry Pirenne
Titolo Maometto e Carlomagno
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 2007, Economica , pag. 294, dim. 140x210x21 mm , Isbn 978-88-420-5116-9
OriginaleMahomet et Charlemagne
EdizioneNovelle société d'Edition, Bruxelles, 1937
PrefazioneOvidio Capitani
TraduttoreMario Vinciguerra
LettorePiergiorgio Siena, 2007
Classe storia antica , storia medievale , storia: Europa
PrimaPagina


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Indice


Prefazione di  Ovidio Capitani                           V
Bibliografia essenziale                             XXVIII
Cronologia                                            XXXV


PARTE PRIMA  L'Europa occidentale prima dell'Islam


I. Continuazione  della civiltà  mediterranea
   in Occidente dopo le invasioni germaniche             3

1. La Romania prima dei Germani, p. 3.
2. Le invasioni, p. 6.
3. I Germani nella Romania, p. 18.
4. Gli Stati germanici in Occidente, p. 31.
5. Giustiniano (527-565), p. 47.

II. La situazione economica e sociale dopo le invasioni
    e la navigazione mediterranea                       61

1. Le persone e le terre, p. 61.
2. La navigazione orientale. Siri ed Ebrei, p. 66.
3. Il commercio interno, p. 83.
4. La moneta e la circolazione monetaria, p. 94.

III. La vita intellettuale dopo le invasioni           105

1. La tradizione antica, p. 105.
2. La chiesa, p. 111.
3. L'arte, p. 116.
4. Carattere laico della società, n. 123.

Conclusione                                            129



PARTE SECONDA  L'Islam e i carolìngi


I. L'espansione dell'Islam nel Mediterraneo            137

1. L'invasione dell'Islam, p. 137.
2. La chiusura del Mediterraneo occidentale, p. 154.
3. Venezia e Bisanzio, p, 165.

II. Il colpo di Stato carolingio e
    il voltafaccia del papa                            177

1. La decadenza merovingia, p. 177.
2. I maggiordomi carolingi, p. 193.
3. L'Italia, il papa e Bisanzio.
   Il voltafaccia del papato, p. 201.
4. Il nuovo impero, p. 215.

III. Gl'inizi del Medioevo                             227

1. L'organizzazione economica e sociale, p.227.
2. L'organizzazione politica, p. 256.
3. La civiltà intellettuale, p. 266

Conclusione                                            275


Indice dei nomi                                        279

 

 

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Capitalo Primo
CONTINUAZIONE DELLA CIVILTÀ MEDITERRANEA
IN OCCIDENTE DOPO LE INVASIONI GERMANICHE



1. La « Romania » prima dei Germani.

Fra tutti i caratteri di quella ammirabile costruzione umana che fu l'impero romano, ciò che colpisce di più, ed il più essenziale, è il suo carattere mediterraneo. Grazie a ciò, l'unità dell'impero, benché greco ad Oriente e latino ad Occidente, abbraccia tutte le province. Il mare, in tutta la estensione del termine Mare nostrum, favorisce la diffusione di idee e di religione e facilita gli scambi commerciali. Le province del Nord, Belgio, Britannia, Germania, Rezia, Norico, Pannonia, non sono che posti avanzati contro la barbarie. La vita si concentra intorno alle rive del grande lago. Esso è indispensabile per approvvigionare Roma col grano dell'Africa; ed è tanto più benefico in quanto la navigazione è assolutamente sicura, grazie alla scomparsa, da secoli, della pirateria. Verso di esso converge anche, per mezzo delle strade, il movimento di tutte le province. A misura che ci si allontana dal mare, la civiltà si va rarefacendo. La più settentrionale, fra le grandi città, è Lione. Tréviri deve la sua grandezza solo alla sua qualità di capitale temporanea. Tutte le altre città importanti, Cartagine, Alessandria, Napoli, Antiochia, sono sul mare o vicino al mare.

Questo carattere mediterraneo si afferma maggiormente a partire dal IV secolo, perché Costantinopoli, la nuova capitale, è, prima di tutto, una città marinara. Essa si oppone a Roma, città puramente consumatrice, per il suo carattere di grande magazzino, di deposito, di fabbrica, di grande base navale. E la sua egemonia è tanto più grande quanto l'Oriente è più attivo; la Siria è il punto d'arrivo delle vie che mettono l'impero in rapporto con l'India e la Cina; attraverso il Mar Nero Costantinopoli entra in contatto con il Nord. L'Occidente dipende da essa per gli oggetti di lusso e i manufatti.

L'impero non conosce né Asia, né Africa, né Europa. Se ci sono diverse civiltà, il fondo è lo stesso dappertutto. Medesimi usi, medesimi costumi, medesime religioni su queste coste, che conobbero un tempo civiltà così differenti come l'egiziana, la fenicia, la punica.

In Oriente si concentra la navigazione. I Siri, o quelli che così sono chiamati, sono i corrieri dei mari. Per mezzo di essi i papiri, le spezie, l'avorio, i vini di lusso si diffondono sino in Britannia. Le stoffe preziose arrivano dall'Egitto allo stesso modo che le erbe per asceti. Vi sono dappertutto colonie siriache. Marsiglia è un porto per metà greco.

Insieme con questi Siri, s'incontrano Ebrei, sparpagliati o piuttosto raggruppati in tutte le città. Sono marinai, mediatori, banchieri, l'influenza dei quali è stata tanto essenziale nella vita economica del tempo quanto l'influenza orientale, che si rivela contemporaneamente nell'arte e nelle idee religiose. L'ascetismo è giunto dall'Oriente in Occidente attraverso il mare come, prima di esso, il culto di Mithra e il cristianesimo.

Senza Ostia, Roma è incomprensibile. E se Ravenna è diventata la residenza degli imperatori in partibus occidentis, ciò è avvenuto a causa dell'attrazione di Costantinopoli. È grazie al Mediterraneo, quindi, che l'Impero forma, nel modo più evidente, un'unità economica. È un grande territorio, sul quale ci sono pedaggi, ma non dogane e che beneficia dell'immenso vantaggio dell'unità monetaria: infatti il soldo d'oro costantiniano, pezzo da 4 gr. 55 d'oro fino, ha corso dappertutto.

Si sa che dal tempo di Diocleziano vi fu una generale depressione economica; ma pare certo che il IV secolo conobbe una ripresa ed una più attiva circolazione monetaria.

Per mantenere la sicurezza di questo impero circondato da barbari, per lungo tempo bastò la guardia delle legioni alle frontiere: lungo il Sahara, sull'Eufrate, sul Danubio, sul Reno. Ma alle spalle della diga l'acqua si innalza. Nel III secolo, favorite dalle lotte civili, si produssero alcune fessure, che poi divennero brecce. Da ogni parte è una irruzione di Franchi, Alamanni, Goti, che saccheggiano la Gallia, la Rezia, la Pannonia, la Tracia, discendendo fino alla Spagna. Il colpo di scopa dato dagli imperatori illirici ricaccia tutti indietro e ristabilisce le antiche frontiere; ma dalla parte dei Germani non basta più il limes, occorre oramai una resistenza in profondità. Si fortificano le città dell'interno, queste città che sono i gangli vitali dell'Impero. Roma e Costantinopoli divengono due piazzeforti modello.

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Capitolo Secondo
LA SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE
DOPO LE INVASIONI E LA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA



1. Le persone e le terre.

Così come era il regime delle persone e delle terre prima delle invasioni, tale rimase dopo di esse nella Romania. Vi furono saccheggi e violenze senza dubbio. Il Carmen de providentia divina, che è stato scritto nel Sud della Gallia alla venuta dei Visigoti di Ataulfo, paragona le loro stragi a quelle di una inondazione dell'oceano. Ma la calma ritornò dopo la tempesta. Paolino di Fella, che fu rovinato dall'invasione e che fuggì davanti ad essa, racconta che fu salvato da un Goto, il quale comprò un piccolo podere, di cui era rimasto proprietario presso Marsiglia. Non si può meglio illustrare il fatto dell'equilibrio, che si sostituisce al saccheggio: ecco una proprietà abbandonata, di cui gl'invasori non s'impadroniscono. Dopo l' hospitalitas, dopo lo stanziamento dei Germani, si ricostituiva la stabilità. Come si è svolta la cosa? Si può supporre che i Germani vi si siano fatta la parte migliore; ma ciò non condusse a un vero sconvolgimento; non trasse seco una diversa distribuzione delle terre, non introdusse nuovi sistemi di coltura. I coloni romani restarono fissi al suolo dove l'imposta li aveva legati. Invece di pagare ad un padrone romano, essi pagavano ad uno germanico. Gli schiavi erano divisi. Quanto ai contadini, non dovettero accorgersi di un grande cambiamento. Non si nota in nessuna contrada della Romania la sostituzione, così visibile in Inghilterra, di un sistema di coltura a un altro.

I domìni imperiali passarono al fisco reale senza altro mutamento. La grande proprietà gallo, o ispano, o italo-romana sussistette, e continuò ad avere immense estensioni di terre. Si sapeva di proprietari che contavano fino a 1200 schiavi. Costoro conservarono le loro villae, le loro fortezze. Quanto alle terre della chiesa, già così importanti all'epoca romana, restarono senza cambiamento. Non si vede come l'arianesimo abbia in nulla modificato la situazione anteriore.

Anche presso i Vandali vi è stata una semplice sostituzione di nuovi venuti agli antichi proprietari. I Vandali vissero nelle città romane come prima di essi i Romani. L'Albertini ha dimostrato che il regime delle terre e le prestazioni d'olio versate al Tesoro non sono variate in Africa durante la conquista.

Se vi furono cambiamenti di regime, se s'impiantarono usi comunitari sconosciuti ai Romani, ciò fu soltanto nei paesi di colonizzazione, al Nord dell'impero.

Così tutto continua ad esistere sulla stessa base. Le imposte fondiarie che si conservano confermano che nessun rivolgimento profondo ha avuto luogo.

Quanto alla organizzazione della grande proprietà, si mantiene tale e quale. È affidata a conductores, che la prendono in fitto e riscuotono i redditi dei coloni.

D'altra parte tutto il sistema del possesso romano continua ad esistere sotto la forma di precaria e benefici. Le formulae ci mostrano tipi di affitti perpetui, tutto un sistema di possessioni identico o press'a poco al sistema romano.

La grande proprietà fondiaria resta in pieno vigore. Gregorio di Tours parla di un Crodino che fonda villae, pianta vigne, costruisce edifizi e organizza colture per darle ai vescovi.

Gregorio Magno, rimettendo in ordine i beni della chiesa romana, ricostituisce esattamente il sistema anteriore. I grandi domìni della chiesa sono amministrati da conductores, che pagano una rendita, di modo che i monaci non debbono occuparsi che de sola anima.

Questi conductores, come i juniores dei domìni del vescovo del Mans ad Ardin in Poitou, sono laici; essi sono responsabili dei redditi, anticipano il loro importo al proprietario, rendono i conti: sanno dunque scrivere.

Quasi sempre le prestazioni sono in denaro, ciò che dimostra che c'è ancora circolazione dei beni, vendite al mercato. Non si vede ancora apparire l'economia propria delle curtes del Medioevo.

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Capitolo Primo
L'ESPANSIONE DELL'ISLAM NEL MEDITERRANEO



1. L'invasione dell'Islam.

Niente è più suggestivo per comprendere l'espansione dell'Islam nel VII secolo che paragonarla, nella sua irruzione nell'impero romano, alle invasioni germaniche. Queste sono la conclusione di uno stato di cose antichissimo, più antico dell'impero, e che ha pesato più o meno su tutta la sua storia. Quando l'impero, sfasciate le frontiere, abbandona la lotta, i suoi invasori ben presto si lasciano assorbire da esso e nella misura del possibile continuano la sua civiltà, entrando in quella comunità sulla quale essa si fonda.

Al contrario prima del tempo di Maometto l'impero non ebbe quasi nessun rapporto con la penisola arabica. Per proteggere la Siria dalle bande nomadi degli abitanti del deserto si contentò di costruire un muro, su per giù come quello della Bretagna settentrionale contro le invasioni dei Pitti; ma questo limes siriaco, di cui si riconosce ancora oggi qualche avanzo in mezzo al deserto, non è affatto paragonabile a quello del Reno o del Danubio.

L'impero non ha mai considerato quel paese come uno dei suoi punti sensibili, né vi ha ammassato grosse forze militari. Quel muro era una linea di sorveglianza attraversata dalle carovane che portavano profumi ed aromi. L'impero persiano, anche esso confinante con l'Arabia, si era regolato allo stesso modo verso di quella. Insomma non c'era nulla da temere dai beduini nomadi di una penisola, il cui grado di civiltà era quello della tribù, le cui credenze religiose erano appena superiori al feticismo ed i cui abitanti passavano il tempo a farsi la guerra tra loro o a saccheggiare carovane, che andavano da sud a nord, dallo Yemen verso la Palestina, la Siria e la penisola del Sinai, passando per la Mecca e Yathreb (la futura Medina).

Assorbiti come erano nel loro conflitto secolare, né l'impero romano né l'impero persiano non sembrano aver sospettato della propaganda, con cui Maometto in mezzo ad una lotta confusa di tribù stava per dare al suo popolo una religione, che avrebbe ben presto proiettata sul mondo insieme con la sua dominazione. L'impero era già preso alla gola, e Giovanni Damasceno ancora non vedeva nell'Islam che una specie di scisma di natura analoga alle eresie precedenti.

Quando Maometto morì, nel 632, niente rivelava il pericolo che si manifestò fulmineo due anni più tardi. Nessuna misura era stata presa alla frontiera. Avendo la minaccia germanica assorbito incessantemente l'attenzione degli imperatori, l'attacco arabo li sorprese. In un certo senso l'espansione dell'Islam fu un caso fortuito, se si intende con questa parola la conseguenza imprevedibile di parecchie cause combinate. Il successo dell'attacco si spiega con l'esaurimento dei due imperi confinanti con l'Arabia, il romano ed il persiano, in seguito alla lunga lotta che li aveva spinti l'uno contro l'altro, ed aveva infine coronato la vittoria di Eraclio su Cosroe (m. 627). Bisanzio stava per riconquistare il suo splendore, ed il suo avvenire sembrava assicurato dalla caduta del nemico secolare, che gli restituiva la Siria, la Palestina e l'Egitto. La Santa Croce perduta era ricondotta trionfalmente dal vincitore a Costantinopoli. Il sovrano dell'India mandava ad Eraclio le sue felicitazioni e il re dei Franchi, Dagoberto, concludeva con lui una pace perpetua. C'era da aspettarsi con sicurezza che Eraclio riprendesse in Occidente la politica di Giustiniano. Era vero che i Longobardi occupavano una parte dell'Italia ed i Visigoti nel 624 avevano ripreso a Bisanzio i suoi ultimi baluardi in Spagna; ma che cosa era questo paragonato alla formidabile ripresa che avveniva in Oriente?

E invece uno sforzo senza dubbio superiore alle sue capacità aveva esaurito l'impero, e l'Islam stava bruscamente per sottrargli quelle province che la Persia gli aveva rese. Eraclio (610-641) doveva assistere impotente al primo scatenarsi di questa nuova forza, che disorientò il mondo e lo sviò.

La conquista araba, che si slancia in pari tempo sull'Europa e sull'Asia, è senza precedenti; la rapidità dei suoi successi non si può paragonare che a quella con cui si costituirono gli imperi mongoli di un Attila, o più tardi di un Genghis Khan o di un Tamerlano. Ma questi furono così effimeri come la conquista dell'Islam fu durevole. Questa religione ha ancora oggi i suoi fedeli quasi dappertutto dove si è imposta sotto i primi califfi. Ha del miracoloso la sua fulminea diffusione se paragonata al lento progresso del cristianesimo.

A pari di questa irruzione cosa sono le conquiste per tanto tempo arrestate e così poco violente dei Germani, che dopo secoli riuscirono solo a corrodere il confine della Romania?

Al contrario intere parti dell'impero crollano davanti agli Arabi. Nel 634 essi s'impadroniscono della fortezza bizantina del Bothra (Bosra) di là dal Giordano; nel 635 Damasco cade; nel 636 la battaglia dello Yarmuk da loro tutta la Siria;

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3. Venezia e Bisanzio.

Si può dire che l'invasione islamica sia stata così decisiva per l'Oriente come per l'Occidente dell'Europa. Prima di essa l'imperatore di Costantinopoli è ancora l'imperatore romano. La politica di Giustiniano a questo riguardo è significativa: egli pretende di mantenere sotto l'autorità imperiale tutto il Mediterraneo. Dopo l'invasione, al contrario, l'imperatore è ridotto alla difensiva nelle acque greche, finché, nell'XI secolo, dovrà chiamare l'Occidente al suo soccorso. L'Islam lo immobilizza ed assorbe le forze dell'impero d'Oriente. È là tutta la spiegazione della sua politica. L'Occidente gli è ormai chiuso.

Una volta perdute l'Africa e Cartagine, difesa ostinatamente in condizioni disastrose, la sfera d'azione della politica bizantina non andrà oltre l'Italia, di cui essa non perverrà a conservare che le coste. Nell'interno Bisanzio non può più resistere ai Longobardi; la sua impotenza provocherà la rivolta del paese e la defezione del papa. L'impero non lotta più che per la Sicilia, l'Adriatico e le città del Sud che costituiscono per esso tanti avamposti, i quali però si rendono sempre più autonomi.

L'espansione dell'Islam si è arrestata alle frontiere bizantine. Essa gli ha tolto le sue province sirie, egiziane e africane, sfruttando in parte le differenze di nazionalità; ma il blocco greco ha resistito e resistendo ha salvato l'Europa e senza dubbio con essa il cristianesimo. Tuttavia il colpo è stato duro: Bisanzio, attaccata due volte all'epoca della piena espansione dell'Islam, ha dovuto la vittoria alla sua flotta. Essa resta malgrado tutto una grande potenza marittima.

Di tutti i prolungamenti bizantini verso l'Ovest il più importante e il più originale è la straordinaria Venezia, il più curioso fenomeno di successo nella storia economica di tutti i tempi accanto a quello dei Paesi Bassi. I primi abitanti degli isolotti sabbiosi e desolati della laguna sono degli sventurati che fuggono davanti alle orde di Attila nel V secolo, al tempo dell'attacco contro Aquileia. Altri si aggiungono al tempo dell'occupazione franca dell'Istria all'epoca di Narsete e soprattutto in seguito all'invasione longobarda. Così si popolò tutta questa zona di terre marine con un esodo dapprima temporaneo, poi definitivo. Grado raccolse la maggior parte dei fuggitivi di Aquileia, il cui vescovo prese il titolo di patriarca e fu il capo spirituale del nuovo Veneto. Caorle, nell'estuario della Livenza, ricevette gli emigranti e il vescovo di Concordia; poi ci furono Eracliana ed Aquileia vicino al Piave. Le genti di Altino si rifugiarono a Torcello, Murano, Marzorbo; quelle di Padova si stabilirono a Malamocco ed a Chioggia. Al principio il gruppo di isolotti dove più tardi s'ingrandirà Venezia fu il più scarsamente popolato: Rialto, Olivolo, Spinalunga, Dorsoduro non accolsero che qualche pescatore.

Nel primitivo Veneto del VI e VII secolo il centro religioso fu Grado, il centro politico Eracliana, il centro commerciale Torcello. Sfuggendo ai vincitori della terra-ferma, l'amministrazione bizantina vi si mantenne rappresentata da alcuni funzionari e dai tribuni.

Era una popolazione essenzialmente marinara quella che Cassiodoro descrive, e che fa pensare a quella dell'Olanda primitiva: «Di lontano sembra che le barche scivolino sui prati, poiché non se ne vedono gli scafi». Si capisce come una simile vita sia stata favorevole all'espansione dell'energia e dell'ingegnosità. In un primo tempo questa vita fu fondata sulla pesca e l'estrazione del sale, che le barche andavano poi a barattare sul continente con il grano. Il solo centro commerciale della regione è Comacchio, alla foce del Po, frequentata dalle navi bizantine, che portano olio e spezie. Comacchio, il porto della valle del Po, profittò senza dubbio della fine del traffico orientale nel golfo del Leone. Un trattato di commercio conchiuso verso il 715 tra la città e Liutprando, nel quale si fa menzione del pepe, mostra che il porto era in relazioni con il Levante.

Senza dubbio i Veneziani ben presto imitarono i loro vicini; in ogni modo il loro commercio nacque nel corso dell'VIII secolo. Tra il 787 e il 791 i loro mercanti, su richiesta di Carlomagno, furono esclusi da Ravenna, ciò che prova che essi non l'avevano voluto riconoscere come re dei Longobardi. La loro alleanza con Bisanzio fu necessariamente rinsaldata da questo fatto, e in realtà i loro rapporti con l'imperatore così lontano non presentavano per essi se non vantaggi. L'ideale a cui tendevano era l'autonomia sotto uno o due dogi eletti da loro con la ratifica di Bisanzio. Di tanto in tanto sorgeva qualche conflitto, e allora Venezia si volgeva verso l'imperatore franco. Così avvenne che nell'805 Venezia inviò un'ambasciata a Carlo per mettersi sotto la sua protezione. È da notare però che questo passo si collega a lotte interne di partito e conflitti con Grado, il cui patriarca fin dall'803 aveva domandato per conto suo la protezione di Carlo.

In questo momento Venezia cominciava ad imporsi sulle piccole città della costa dalmata e senza dubbio temè una reazione di Bisanzio. Questo episodio, sebbene sia stato poco avvertito, ebbe tuttavia una grande importanza. Carlo in risposta all'ambasciata dei Veneziani annesse immediatamente la loro città al regno d'Italia. In quel momento il suo impero ebbe l'occasione di diventare una potenza marittima e di prendere piede in Dalmazia; ma Carlo non ne profittò per niente.

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Capitolo Terzo
GL'INIZI DEL MEDIOEVO



1. L'organizzazione economica e sociale.

L'opinione corrente considera il regno di Carlomagno come un'epoca di restaurazione economica. Poco manca che non si parli anche in questo campo, come in quello della cultura, di «rinascita». C'è in questo un errore evidente, che deriva non solo dalla forza del pregiudizio in favore del grande imperatore, ma anche da ciò che si potrebbe chiamare una falsa prospettiva.

Gli storici hanno sempre paragonato l'ultima fase dell'epoca merovingia al regno di Carlomagno, ed allora è facile trovare in quest'ultimo una ripresa: in Gallia l'ordine succede all'anarchia e nella Germania conquistata ed evangelizzata un indubitabile progresso sociale si constata a colpo d'occhio. Ma se vogliamo valutare i fatti con esattezza dobbiamo paragonare l'epoca carolingia con tutto il complesso di quella precedente. Allora ci accorgiamo di trovarci davanti a due economie in pieno contrasto.

Prima dell'VIII secolo quello che esiste è la continuazione dell'economia mediterranea antica; dopo l'VIII secolo c'è la rottura completa con questa economia. Il mare è chiuso; il commercio è sparito; ci troviamo in presenza di un impero, la cui sola ricchezza è la terra e in cui la circolazione dei beni mobili è ridotta al minimo. Lungi dall'esserci progresso c'è un regresso. Le parti della Gallia, che una volta erano le più fiorenti, ora sono le più povere. Prima il movimento era diretto dal Sud, ora il Nord imprime il suo carattere all'epoca.

In questa civiltà anti-commerciale si trova però un'eccezione, che sembra contraddire a quello che siamo venuti esponendo. È certo che nella prima metà del secolo IX l'estremo Nord dell'impero, cioè i futuri Paesi Bassi, era animato da una navigazione molto attiva, la quale contrastava vivamente con l'atonia di tutto il resto dell'impero. Non che in questo ci sia qualche cosa di assolutamente nuovo. Già dal tempo dell'impero romano questo paese in cui la Schelda, La Mosa e il Reno mescolano le loro acque, aveva conosciuto un traffico marittimo con la Bretagna, da cui acquistava grano, che serviva alle guarnigioni romane lungo il Reno, vendendo spezie ed altri prodotti venuti dal Mediterraneo. Questo però non era che un prolungamento della corrente commerciale del mar Tirreno, entrava nell'attività generale della Romania e ne costituiva l'estrema diramazione. Il monumento della dea Nehalennia, protettrice celtica della navigazione, ricorda ancora l'importanza di quel traffico. I battelli si spingevano fino alla foce dell'Elba e del Weser; più tardi, dopo le invasioni del III secolo, bisognò organizzare una flotta da guerra per difendersi dalle incursioni dei navigatori sassoni. Il porto principale, dove le navi che passavano il mare s'incontravano con quelle che facevano la navigazione fluviale, era Fectio (Vechten), presso Utrecht.

Questa navigazione, che dovette essere molto danneggiata dalle invasioni del V secolo e dalla conquista della Bretagna da parte dei Sassoni, si riaffacciò e continuò nell'epoca merovingia. Forse tale commercio si stendeva nell'VIII secolo fino alla Scandinavia, e al posto di Fectio nacquero altri porti: Duurstede, sul Reno, e Quentovic, sulla foce della Canche. In quest'ultimo posto sono state trovate molte monete merovinge; molte altre a Maastricht; nel complesso in numero più rilevante che quelle di Colonia, Cambrai, etc.

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CONCLUSIONE



Da tutto quello che precede risultano, come pare, due constatazioni essenziali:

1. le invasioni germaniche non misero fine né all'unità mediterranea del mondo antico né a quello che si può considerare essenziale nella cultura romana, così come si conservava ancora nel V secolo, cioè nell'epoca in cui non ci fu più un imperatore di Occidente. Malgrado i turbamenti e le perdite risultate da questo fatto, non apparvero nuovi princìpi direttivi né nel campo economico, né in quello sociale, né nello stato della lingua, né in quello delle istituzioni. Ciò che sussiste di civiltà è mediterraneo; la cultura si conserva presso le rive del mare e di là prendono origine i fenomeni nuovi: monachesimo, conversione degli Anglo-Sassoni, arte barbarica, etc. L'Oriente resta il fattore fecondante; Costantinopoli il centro del mondo. Nel 600 il mondo non ha preso una fisionomia qualitativamente differente da quella che aveva nel 400;

2. la rottura della tradizione antica ebbe per suo strumento l'avanzata rapida ed imprevista dell'Islam. Questa ebbe come conseguenza la separazione dell'Oriente dall'Occidente, mettendo fine all'unità mediterranea. Paesi come l'Africa e la Spagna, che avevano continuato a partecipare alla comunità occidentale, da allora in poi gravitarono nell'orbita di Bagdad. Apparve un'altra religione, un'altra cultura; il Mediterraneo occidentale, divenuto un lago musulmano, cessò di essere la via degli scambi commerciali e delle idee, che non aveva cessato di essere fino a quel momento.

L'Occidente fu imbottigliato e costretto a vivere su se stesso, in condizione di vaso chiuso. Per la prima volta nella storia l'asse della vita mondiale si spostò dal Mediterraneo verso il Nord. La decadenza, in cui cadde in seguito a questo fatto il regno merovingio, fece apparire una nuova dinastia, originaria dei paesi germanici del Nord, quella carolingia.

Il papa si alleò ad essa, staccandosi dall'imperatore, il quale, assorbito dalla lotta contro i musulmani, non era più in grado di difenderlo. Così la chiesa si alleava al nuovo ordine di cose. A Roma, nel nuovo impero che essa fondò, non c'era più che essa, e la sua autorità divenne tanto più grande in quanto che lo stato, non riuscendo a mantenere una sua amministrazione, si lasciò assorbire dalla feudalità, come conseguenza fatale del regresso economico.

Tutte le conseguenze di questi avvenimenti apparvero chiarissime dopo Carlomagno. Con le sfumature che passano da paese a paese, l'Europa, dominata dalla chiesa e dalla feudalità, prese allora una fisionomia nuova. Il Medioevo — per conservare la locuzione tradizionale — cominciava. La transizione fu lunga; si può dire che essa prese tutto il secolo che corse dal 650 al 750. In questo periodo di anarchia si perdette la tradizione antica e presero il sopravvento gli elementi nuovi.

L'evoluzione terminò nell'800 con la costituzione del nuovo impero, che consacrò la rottura dell'Occidente dall'Oriente per il fatto stesso che dava all'Occidente un nuovo impero romano. Questa era la prova evidente che si era staccato dal vecchio impero, continuato da Costantinopoli.

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