Copertina
Autore Robert M. Pirsig
Titolo Lila
SottotitoloIndagine sulla morale
EdizioneAdelphi, Milano, 1992, Fabula 64 , Isbn 978-88-459-0920-7
OriginaleLila. An Inquiry into Morals [1991]
TraduttoreAdriana Bottini
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe narrativa statunitense , viaggi
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Pagina 19 [ barca, spazio-tempo ]

Fedro aveva scelto con cura le parole, per non dare il via a una discussione: «Secondo me insieme con la barca noi compriamo lo spazio, il nulla, il vuoto... enormi distese di acque aperte... e distese di tempo senza scadenze... È una merce che vale un sacco di soldi... difficile da trovare di questi tempi».

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Pagina 34 [ classificare, schede, metafisica, qualità-valore, accesso casuale ]

Sulla cuccetta del pilota, i contenitori con gli appunti per il libro a cui stava lavorando erano stati spinti da una parte dalla valigia di Lila. Uno dei quattro, anzi, era proprio sul bordo, a un pelo dal rovesciarsi. Ci mancava solo che tremila schede 10x15 finissero sparpagliate sul pavimento.

Andò a regolare la molla dermaschede e spinse i contenitori al sicuro verso il fondo della cuccetta. Poi tornò a sedere. Sarebbe stato meno grave perdere la barca, che quelle schede. Ne aveva circa undicimila. Il risultato di quasi quattro anni di continue classificazioni e riclassificazioni. Era quasi impazzito nel cercare di dare loro un ordine e più volte era stato sul punto di rinunciare.

Riguardavano quella che lui chiamava «Metafisica della Qualità» o «Metafisica del Valore» o, più brevemente, «MQ».

...

Alcune delle schede, anzi, proprio di quello parlavano: accesso casuale e Qualità. Le due cose sono strettamente correlate. L'accesso casuale sta alla base della crescita degli organismi, in cui le cellule, come le caselle postali, sono relativamente indipendenti. Anche le città si fondano sull'accesso casuale. E le democrazie. Il libero mercato, la libertà di parola, lo sviluppo della scienza, si basano tutti sull'accesso casuale. Le biblioteche sono uno degli strumenti più efficaci della civiltà appunto perchè hanno gli schedari, a cui il lettore ha libero accesso. Senza la classificazione decimale di Dewey, che in qualunque momento consente di aggiungere o togliere allo schedario generale un numero a piacere, la biblioteca stessa finirebbe per ammuffire e quindi morire.

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Pagina 60 [ indiani/americani ]

Se si fa un elenco dei tratti caratteristici degli americani bianchi riscontrati dagli osservatori europei, si scopre che esiste una correlazione positiva con le caratteristiche tradizionalmente attribuite agli indiani dagli americani bianchi. Non solo: se si confrontano gli aggettivi usati dagli americani per descrivere gli europei con quelli usati dagli indiani per descrivere i bianchi americani, anche qui la correlazione è piuttosto alta.

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Pagina 66 [ uguaglianza, Rousseau, indiani d'America ]

Il principio dell'uguaglianza sociale, con buona pace di Jefferson, non è affatto «evidente in sé». La scienza e la storia indicano che è vero, semmai, il contrario. Niente comprova, nella storia d'Europa, l'irrefutabilità dell'idea che tutti gli uomini sono stati creati uguali. Non esiste una sola nazione europea le cui radici storiche non affondino in un'epoca in cui indiscutibile era, piuttosto, l'idea che gli uomini sono stati creati disuguali. Rousseau, al quale viene di solito attribuita la dottrina dell'uguaglianza, non la dedusse certamente dalla storia dell'Europa, o dell'Asia o dell'Africa. La trasse dall'incontro dell'Europa con il Nuovo Mondo e dall'osservazione di un particolare tipo di essere umano che quel mondo abitava e che egli denominò il «Buon Selvaggio».

L'idea che tutti gli uomini sono stati creati uguali, e dunque liberi, è il dono dell'indiano d'America al mondo intero. I coloni europei non fecero che trasmettere quell'idea come dottrina che a volte seguivano a volte no. Ma a generarla furono individui per i quali l'uguaglianza e la libertà non erano una semplice dottrina, individui che le avevano nel sangue, che non sapevano concepire un mondo diverso, un diverso modo di vivere. Era questo il messaggio del discorso di Dieci Orsi.

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Pagina 84 [ valori, antropologia culturale, metafisica ]

... L'affermazione che i valori sono vaghi e non possono pertanto essere usati per una classificazione di base è falsa. I giudizi di valore non sono affatto vaghi. Quando andiamo a votare, per esempio, diamo un giudizio di valore. Che cosa c'è di vago in una decisione di voto? Le elezioni non sono forse un'attività culturale? Che cosa c'è di vago nella Borsa di New York? Non tratta appunto in valori? ...

Era questo il problema. L'antropologia culturale è una casa costruita su sabbie mobili intellettuali. Non appena cerchi di organizzare i dati in un tutto che abbia un peso teoretico, la casa sprofonda. La disciplina che prometteva di essere una delle scienze più utili e produttive è naufragata, non perché chi se ne occupa sia scadente o perché il suo oggetto sia poco importante, ma perché la struttura di princìpi scientifici su cui si puntella è inadatta a sostenerla.

Una cosa era chiara, concluse Fedro: se voleva occuparsi di antropologia, doveva farlo non dentro l'antropologia stessa, bensì a monte, lavorando sul corpo di premesse generali sulle quali essa si fonda. Il blocco antropologico si poteva sciogliere non già con la costruzione di una nuova struttura teorica, ma innanzi tutto con la ricerca di un terreno solido sul quale costruire. Fu così che Fedro si ritrovò nel bel mezzo di quella branca della filosofia che viene chiamata metafisica. Ecco lo schema espanso che avrebbe reso possibile la contrapposizione tra bianchi e antropologia bianca e indiani e «antropologia indiana», senza stravolgere tutto in un'ottica antropologica bianca, gergale e chiusa nella sua torre d'avorio.

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Pagina 133 [ valore/sostanza ]

Descrivere i valori ricorrendo alla categoria di sostanza è come pretendere di far stare il grande nel piccolo. Il valore non è una sottospecie della sostanza. È la sostanza che è una sottospecie del valore. A invertire il processo, definendo la sostanza in base alla categoria di valore, l'enigma è bell'e risolto: la sostanza è «una configurazione stabile di valori inorganici». Fine del problema. Il mondo degli oggetti e il mondo dei valori sono unificati.

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Pagina 138 [ antropologia, sostanza/valore, cultura ]

La risposta della Metafisica della Qualità è analoga a quella fornita per l'ornitorinco della «causalità»: cancelliamo la parola «sostanza» e sostituiamola con «configurazione stabile di valori inorganici». Anche in questo caso la differenza è linguistica. In laboratorio, usare un termina piuttosto che un altro non cambia niente: i numerini sui quadranti restano gli stessi, i dati osservati non cambiano.

Il vantaggio maggiore si ottiene sostituendo a termini come «causa» e «sostanza» la parola «valore» è la possibilità di compiere l'integrazione tra le scienze fisiche e altre zone dell'esperienza tradizionalmente considerate estranee all'ambito del pensiero scientifico. Naturalmente Fedro si rendeva conto che il «valore» che dirige le particelle subatomiche non è identico al valore che un essere umano attribuisce a un dipinto. Però sono cugini, legati da un rapporto che può essere definito con estrema precisione. Una volta completata tale definizione, ecco che avviene una grandiosa integrazione tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche e gli ornitotinchi cominciano a cadere a centinaia. A migliaia.

Tra i primi, constatò Fedro con grande soddisfazione, c'era quello che aveva dato il via a tutta la faccenda: la «teoria antropologica». Se la scienza è lo studio delle sostanza e delle loro relazioni reciproche, il campo dell'antropologia culturale è un assurdo scientifico. Se usiamo la categoria di sostanza, la cultura non esiste. La cultura non ha massa, non ha energia. Non esiste strumento di laboratorio che permetta di distinguere una cultura da una non-cultura.

Ma se la scienza è lo studio delle configurazione stabili di valori, allora l'antropologia diventa un campo scientifico per eccellenza. Una cultura può essere definita come una rete di modelli di valori sociali. e come aveva detto Kluckhohn a proposito del suo "Values Project", i modelli di valore costituiscono l'oggetto di studio privilegiato dell'antropologia.

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Pagina 158 [ qualità ]

Con l'individuazione della qualità statica e della Qualità dinamica come prima e fondamentale suddivizione del mondo, Fedro aveva l'impressione di avere raggiunto una meta importante. Essa abbracciava l'intero spettro dell'esperienza umana, dal misticismo primitivo alla meccanica quantistica. Adesso non restava che riempire le lacune il più accuratamente e metodicamente possibile.

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Pagina 178 [ qualità ]

...Non è Lila che ha Qualità: la Qualità ha Lila. Niente può avere Qualità. Avere è possedere e possedere è dominare. Niente domina la Qualità. Se di possesso e di dominio si può parlare, è la Qualità a dominare e possedere Lila. A farla essere. Lila è un agglomerato di configurazioni statiche mutevoli di questa Qualità. Questo e nient'altro è Lila. Le parole che dice, i pensieri che pensa, i valori in cui crede sono il prodotto finale di tre miliardi e mezzo di anni di storia della terra. Lila è una specie di giungla di schemi di valore evolutivi. Non sa di dove le vengono, così come una giungla non sa come sia nata.

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Pagina 180 [ causa/effetto, evoluzionismo, Darwin, Lamarck, Wallace, Mayr, de Chardin ]

Storicamente, l'assunto della metafisica soggetto-oggetto che il mondo sia fatto di sostanza, ha rappresentato fin dall'inizio un problema per la teoria evoluzionistica. Quando fu enunciata, ancora non si sapeva che a livello di fotoni, di elettroni e di altre particelle infinitesimali la legge di causa ed effetto non vale; che gli elettroni e i fotoni appaiono e scompaiono senza che sia possibile prevederne il comportamento individuale e senza una causa individuale. Sicchè oggi siamo di fronte al paradosso di una teoria dell'evoluzione in cui l'uomo è inesorabilmente sottoposto alle leggi di causa ed effetto dell'universo, mentre le particelle di cui è fatto il suo corpo non lo sono. E nessuno sembra rilevare la contraddizione; ma non per colpa di questa o quella disciplina. I fisici possono ignorarla perché non si occupano dell'uomo. E gli studiosi di scienze sociali possono ignorarla perché non si occupano di particelle subatomiche.

...

... Il secondo principio della termodinamica afferma che tutti i sistemi energetici si scaricano, come gli orologi, e non possono ricaricarsi da soli. Invece la vita non solo si carica, trasformando acqua marina, luce solare e aria, che sono a bassa carica energetica, in sostanze chimiche ricche di energia, ma si riproduce di continuo in una serie di «orologi» sempre più precisi, che continuano a caricarsi sempre più velocemente.

Perché, ad esempio, un gruppo di composti semplici e stabili di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto avrebbero dovuto lottare per miliardi di anni allo scopo di organnizzarsi, mettiamo, in un professore di chimica? Che cosa li ha spinti? Se questo professore noi lo lasciamo esposto su uno scoglio al sole per un tempo sufficientemente lungo, le forze della natura lo ridurranno a una serie di composti di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto, più un po' di calcio e di fosforo con tracce di altri minerali. E la reazione è irreversibile. Qualunque sia il professore usato e il processo a cui lo sottoponiamo, non è possibile ritrasformare quei composti in un professore di chimica. I professori di chimica sono una mescolanza instabile di composti prevalentemente instabili che, sotto l'azione del calore solare, decadono irreversibilmente, trasformandosi in composti organici e inorganici più semplici. È così, è un dato scientifico.

A questo punto la domanda è la seguente: perché allora la natura è capace del processo inverso? Che cosa fa sì che composti inorganici diventino un professore? Non l'energia solare, abbiamo appena visto quali sono i suoi effetti. Deve per forza essere altro. Ma che cosa?

Di tutte le pagine che Fedro si era letto sull'evoluzione, nessuna accennava a una risposta. Conosceva, naturalmente, le risposte della teologia, ma quelle non sono convalidate dall'osservazione scientifica. Gli evoluzionisti si limitavano a dire che dall'osservazione scientifica dell'universo non sono mai emersi indizi di un disegno, di una direzione verso la quale la vita stia andando.

E con questo il problema è bellamente accantonato, al punto che verrebbe da concludere che l'argomento non riveste né ha mai rivestito interesse per gli evoluzionisti. Ma se si va a leggere la storia delle teorie evoluzionistiche, si scopre che questo non è vero. Il primo grande evoluzionista, che non fu Darwin bensì Lamarck, sosteneva che la vita evolve verso la perfezione (leggi: Qualità). Anche Alfred Wallace, colui che, arrivando indipendentemente a una teoria quasi identica a quella di Darwin, spinse quest'ultimo a pubblicare la propria, sosteneva che la selezione naturale non basta a spiegare la comparsa e lo sviluppo dell'uomo. E dopo Darwin molti altri continuarono a negare l'assenza di finalità della vita.

C'era un articolo di Ernst Mayr su «Scientific American» che sintetizzava bene la questione:

«Coloro che rifiutavono l'idea di selezione naturale su basi religiose o filosofiche o semplicemente perché la ritenevano un processo troppo casuale per rendere conto dell'evoluzione, continuarono per anni a proporre ipotesi alternative, variamente chiamate ortogenesi, nomogenesi, aristogenesi o il «punto Omega» di Theilhard de Chardin; teorie che postulavano tutte qualche immanente tendenza o pulsione verso la perfezione o il progresso. Possiamo definirle finalistiche in quanto ipotizzano l'esistenza di una teleologia, di uno scopo o programma cosmici.

«I sostenitori delle teorie teleologiche non sono però riusciti, nonostante gli sforzi, a individuare alcun meccanismo (che non fosse di natura sovrannaturale) capace di spiegare il finalismo da essi postulato. E oggi i dati della biologia molecolare sembrano escludere la possibilità che un siffatto meccanismo esista.

«L'evoluzione, insomma, è spregiudicatamente opportunistica: favorisce qualunque variazione offra un vantaggio nella competizione con altri organismi della stessa specie o con individui di altre specie. Per miliardi di anni ciò che chiamiamo progresso in senso evoluzionistico è stato automaticamente alimentato da tale processo selettivo, senza unprogramma a condizionarlo o dirigerlo. L'evoluzione è il risultato di una serie di decisioni estemporanee della selezione naturale».

Era chiaro che, secondo Mayr, la questione andava considerata chiusa e che il suo atteggiamento era condiviso da tutti, a parte gli antievoluzionisti. Ma a Fedro quell'articolo suggerì un'altra possibilità. Scrisse su una scheda: «Sembra evidente che non esiste alcuno schema meccanicistico verso cui sia indirizzata la vita. Ma se il progresso della vita fosse invece un allontanamento da schemi meccanicistici? Controllare se questa eventualità è stata presa in considerazione».

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Pagina 186 [ evoluzionismo, metafisica della qualità, teorie teleologiche ]

Ecco perché le forme di vita non cambiano sempre in base a «meccanismi» o «programmi» causali o secondo il cieco operare di leggi fisiche. Non è vero che un cambiamento vale l'altro. I cambiamenti avvengono sempre in modo da eludere, vincere o aggirare le leggi. Le forme di vita evolvono di continuo in risposta a un qualcosa «che è meglio» di quello che hanno da offrire queste leggi.

A prima vista un'affermazione del genere sembrerebbe contraddire quello che è il caposaldo dell'evoluzionismo: la convinzione che la vita evolva in risposta a null'altro che il processo di selezione naturale, che vuole la «sopravvivenza del più adatto». Ma «sopravvivenza del più adatto» è una di quelle espressioni, come «mutabte» o «disadattato», che riempiono la bocca, basta non chiedere che cosa significhino esattamente. Più adatto a che cosa? Alla sopravvivenza. Allora sarebbe come dire «sopravvivenza di chi riesce a sopravvivere», che non dice nulla. La frase ha senso soltanto se per più adatto si intende il migliore, cioè «che ha più Qualità». E non una qualità qualunque, si badi bene, ma la Qualità non definita! Come si capisce dall'articolo di Mayr, i darwinisti sono assolutamente sicuri che non è possibile definire che cosa significhi quel «più adatto».

Ottimamente! Questo «non definito più adatto» a cui gli evoluzionisti tengono tanto è lo stesso che Qualità dinamica. La selezione naturale è la Qualità dinamica all'opera. Non c'è nessuna contrddizione tra la Metafisica della Qualità e la teoria evoluzionistica di Darwin. E nemmeno tra la Metafisica della Qualità e le teorie «teleologiche», che sostengono che la vita ha uno scopo. Queste opposte dottrine sono unificate entro una struttura metafisica più ampia, capace di accoglierle entrambe senza che vi sia contraddizione.

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Pagina 374 [ codici morali ]

La Metafisica della Qualità dimostra che, in realtà, i codici morali sono cinque e vedono la contrapposizione, rispettivamente, di: inorganico e caos, biologico e inorganico, sociale e biologico, intellettuale e sociale, dinamico e statico. Quest'ultimo codice morale afferma che il bene non è definito né dalla società né dall'intelletto né dalla biologia. Il bene è libertà dal dominio di qualsiasi schema statico, senza però che questo comporti la distruzione degli schemi statici in quanto tali.

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Pagina 409 [ follia ]

La follia invece è una configurazione intellettuale. Può avere cause biologiche, ma non ha una realtà fisica o biologica. Non è possibile esibire in tribunale alcuno strumento scientifico in grado di stabilire che è pazzo e chi no. La follia non si conforma ad alcuna legge scientifica dell'universo, perché le leggi scientifiche sono state "inventate" dalla mente normale, che non può quindi in alcun modo, con strumenti di sua creazione, misurare ciò che è "al di fuori" di sé e di ciò che essa crea. La follia non è un «oggetto» osservabile. È un' "alterazione" del processo di osservazione. Non ha senso parlare di «malattia» delle configurazioni dell'intelletto. Ha senso invece parlare di «eresia». E la follia è appunto questo.

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Pagina 415 [ follia, normalità, salute mentale, sani/malati, malati/sani, cultura ]

Ma c'è un altro punto che gli antropologi hanno messo in luce: non solo la "follia" varia da una cultura all'altra, ma varia anche la "salute mentale", la normalità. La «capacità di vedere la realtà» non solo segna la differenza tra i sani e i malati di mente, ma differenzia tra loro anche culture diverse di sani. Ciascuna cultura parte dal presupposto che le sue convinzioni trovano riscontro nella cosidetta realtà esterna, ma una mappa delle credenze religiose nel mondo mostra che questa realtà esterna può essere praticamente qualunque cosa. Perfino i "dati" che vengono osservati a conferma della «verità» dipendono dalla cultura in cui vive l'osservatore.

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Pagina 417 [ follia, Rorschach, normalità ]

Che la follia sia un'assenza di caratteristiche collettive è dimostrato dal funzionamento del test di Rorschach per la diagnosi della schizofreania. ... La persona che dice la bugia più complicata ottiene il punteggio più alto in normalità; quella che dice la pura verità, no. La normalità non è la verità. La normalità è conformità alle aspettative collettive. E la verità a sua volta sta nella conformità, ma a volte no.

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