Copertina
Autore Franco Prattico
Titolo Dl caos ... alla coscienza
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 1998 [1989], EL 131 , pag. 174, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,3 cm , Isbn 978-88-420-5452-8
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe cosmologia , fisica , evoluzione
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Indice


 IX  Introduzione


  3  Dal niente al Tutto

  3  Il seme cosmico
  7  La simmetria infranta
 10  L'enigma della materia
 13  Immobile o in evoluzione?

 19  L'Universo prende forma

 19  La fabbrica delle galassie
 25  I «buchi» del Big Bang

 31  Cosmologia quantistica

 31  L'Universo, un «pasto gratis»
 35  Il regno della virtualità
 38  Gli «infiniti mondi possibili»
 42  Il principio antropico

 47  La stoffa dell'Universo

 47  L'atomo di idrogeno
 51  Le sorgenti della materia
 58  Nati da una nube

 61  La vita, un evento improbabile

 61  Dall'inorganico al vivente
 68  Un pianeta su misura
 70  Tante ipotesi...
 76  ... una sola matrice

 81  Alla conquista del pianeta

 81  L'«animale immortale»
 84  La metafisica dell'evoluzione «necessaria»
 93  Un'astuzia del gene

 99  Il Cosmo modella la vita

 99  La catastrofe del Cretaceo
106  I cicli di estinzione
109  L'irresistibile ascesa dei mammiferi

113  La nascita dell'uomo

113  Una sfida alla gravità
118  Le terre alla deriva
123  Il linguaggio, chiave magica
128  Un altro «dono» del caso

135  La materia che pensa a se stessa

135  Il neurone, l'unità intelligente
142  Il rapporto mente-cervello



155  Conclusioni

161  Note

 

 

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Pagina IX

Introduzione



La conoscenza moderna, scienza del dubbio critico, non consente certezze metafisiche, non offre prospettive definitive, rimette continuamente in discussione anche se stessa; indagando sul posto dell'uomo nell'Universo fa vacillare persino, come vedremo, quel principio copernicano che ha reso possibile la prima formulazione del metodo scientifico.

Perciò il processo che in questo libro cercheremo di ripercorrere, sia pure sommariamente, dalla «miracolosa» nascita della materia fino al cervello umano, non ci dice perché noi siamo, non spiega se l'apparizione della materia che pensa — e che pensa se stessa — sia il frutto di una serie di casi fortunati, di bizzarri eventi privi di significato, o rappresenti invece una necessità iscritta nelle leggi del Cosmo. L'unica costante che scaturisce dalla «storia» dell'Universo, nei termini e nei limiti in cui riusciamo a leggerla, è quella di un incessante aumento della complessità. Dalla «bolla» di gas perfetto delle origini all'apparizione della materia, delle stelle, delle galassie, fino alla vita e al pensiero (anch'esso prodotto dell'evoluzione dell'Universo), la descrizione che la ricerca propone sembra indicare tenacemente un aumento dei livelli di organizzazione, un continuo passaggio dal semplice al complesso, la costante rottura di ordinate simmetrie che prelude alla nascita di sistemi di più elevata complessità. È questo ciò che chiamiamo evoluzione: un processo di trasformazione che ha oggi nel cervello umano la più alta manifestazione, tra quelle che possiamo conoscere. Anche se nulla lascia pensare che sia questo il suo punto di arrivo.

Ma evoluzione, storia dell'Universo, aumento di complessità, sono idee che presuppongono l'introduzione di un parametro totalizzante, quello di tempo. Il tempo è la pietra più ambigua di questo edificio. Per la meccanica classica il tempo è estraneo alla fisica: la direzione del moto di una particella è indifferente alle coordinate spaziali o temporali in cui si muove, le equazioni che lo descrivono sono valide sia che il tempo abbia valore positivo sia che lo abbia negativo, sia che scorra verso il futuro sia che vada verso il passato. Solo la termodinamica, introducendo il concetto di irreversibilità, fa entrare in scena il tempo unidirezionale, che si svolge ineluttabilmente dal passato verso il futuro, in un sistema fisico. E i sistemi biologici sono sistemi termodinamici. Se è la vita a introdurre questo tempo nell'Universo, la nostra pretesa di storicizzare l'Universo descrivendone principio ed evoluzione è illusoria, legata alle nostre modalità di percezione, proprio come, all'inizio dell'esplorazione scientifica del mondo, era l'illusione sensoriale a fare della Terra il centro del sistema solare e a far ruotare attorno ad essa Sole, pianeti e sfera delle stelle fisse. «Il tempo è troppo complesso per la scienza», scriveva Bergson. O forse è troppo semplice e illusorio.

Che la materia abbia storia o che questa sia il frutto del nostro modo di pensare, la «produzione» di pensiero e di coscienza rappresenta comunque un punto di arrivo. Nel cuore della disciplina scientifica più giovane e potente, la fisica quantistica, la coscienza dell'osservatore e la realtà esterna (sotto forma di una particella, costituente minimo della realtà) acquistano significato nel rapporto reciproco: l'interazione con la coscienza (con la mente) di un osservatore determina il collasso d'onda di un oggetto subatomico, lo estrae dalla virtualità e quindi ne fonda la realtà. Per alcuni fisici, di conseguenza, il perno delle leggi che governano l'Universo è la consapevolezza di chi osserva: prima che apparissero osservatori coscienti l'Universo non esisteva «realmente». Secondo questa concezione il mondo diviene reale solo quando lo conosciamo. Se questo fosse vero, sotto le nostre fragili spoglie rinascerebbero gli antichi dèi produttori di mondi.

Oppure la nostra descrizione è ancora talmente umana, troppo umana, per affrontare compiutamente il mistero che si cela dietro i grandi fenomeni che si svolgono attorno a noi e di cui siamo parte. Forse allora la descrizione del parto del Tutto e del suo sviluppo si configura come una delle grandi cosmogonie che l'uomo si è dato per spiegare il venire in essere dell'Universo e il suo posto in esso. Ma anche se fosse così, l'affresco tracciato dalla scienza moderna sulle pareti del mondo conserva la potenza e la bellezza dei graffiti che i nostri padri tracciarono sulle volte delle grotte di Lascaux e di Altamira: contiene quel tanto di verità che l'uomo può cogliere, e gli restituisce il senso della propria affiliazione a questo Cosmo maestoso e inafferrabile. E anche della sua responsabilità verso qualsiasi parte di esso, per quanto modesta...

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Pagina 155

Conclusioni



Le notizie incalzano, si accavallano. Ogni giorno appaiono nuove audaci ipotesi teoriche, nuove sistemazioni delle conoscenze già esistenti sembrano aprire ulteriori strade di dominio, finora solo sognate. La marcia dell'uomo per porre sotto controllo la materia e la vita sembra inarrestabile. Mai come in quest'epoca l'indagine che la scienza conduce sui segreti della natura sembra aggiungere continuamente altri mattoni alla «ricostruzione del mondo», delle leggi che lo reggono, dei processi che lo hanno plasmato. Si estende il nostro dominio sulla materia, sulle forze di natura, sui processi vitali: la nostra specie sembra configurarsi come una nuova razza di dèi, padroni e artefici del nostro mondo.

Eppure nel cuore stesso di questa straordinaria impresa emergono continuamente nuovi interrogativi. La ricostruzione della vicenda che dalle prime origini dell'Universo avrebbe condotto fino a noi, sommariamente tracciata in queste pagine, configura un singolare, inquietante panorama costellato di eventi e di coincidenze che male si adattano ad una rappresentazione logicamente lineare di quei processi. E il più singolare di tutti è proprio la nascita della «materia che pensa»: il fatto che alla fine di una gestazione durata miliardi di anni, nel corso di ciechi processi le cui leggi della fisica va scoprendo e mettendo al nostro servizio, un segmento di quella stessa sostanza di cui è fatto il mondo inanimato (atomi, elettroni, protoni...) assume una forma complessa, si evolve e alla fine prende coscienza di sé e del mondo che lo circonda. L'esistenza degli esseri umani, unici forse osservatori coscienti dell'Universo che li ha prodotti, sembrerebbe addirittura, come rilevavamo all'inizio di questo libro, un rovesciamento di quel principio copernicano (cioè che non è la Terra e quindi neppure l'uomo il centro dell'Universo e il destinatario di quel «pasto gratis» che è il mondo) da cui è nata la scienza moderna.

Proprio la scienza oggi ci dice che la vita, e ancor più la «vita intelligente» (qualsiasi cosa possa significare questo aggettivo) ci appare un evento di altissima improbabilità, quasi una eccezione rispetto ai lenti, ripetitivi, anonimi processi fisici e chimici che regolano l'esistenza della materia, pur senza contraddirli. Si è formata grazie ad essi, ma anche in ragione di singolari coincidenze, di casi fortunati, di «colpi di fortuna». Nel corso del viaggio che questo libro ha cercato sommariamente di ricostruire abbiamo incontrato eventi non «necessari», non conseguenze inesorabili dei processi fisici, eppure indispensabili alla venuta in essere della vita e della nostra stessa esistenza.

Un fenomeno unico, o una «tendenza» insita in processi cosmici che non abbiamo ancora compreso? L'Universo è sterminato e forse — come sostengono alcuni scienziati e filosofi, interpretando in maniera audace alcuni strani risultati sperimentali della meccanica quantistica — non è neppure unico. Ma, anche ammettendo come possibile l'ipotesi «a molti mondi», se la vita esiste nel nostro mondo non può non esistere in una buona percentuale di quei mondi paralleli, in quello che alcuni scienziati definiscono «multiverso». In pratica, però, per definizione non lo potremo sapere mai. E quindi non sapremo neppure se davvero in altri laboratori cosmici si è egualmente prodotta la vita.

Eppure, non è questo il nodo più enigmatico nel cammino dell'Universo. Per tre miliardi e mezzo di anni la vita si è diffusa sul nostro pianeta, conquistando lentamente quasi ogni nicchia ambientale. Seicento o settecento milioni di anni or sono sono apparsi i primi esseri multicellulari, la vita è uscita dalle acque ed ha occupato le terreferme. Si è evoluta ancora, dando luogo a esseri sempre più complessi e potenti, ha interagito pesantemente col cosmo — che con i suoi bombardamenti, come abbiamo visto, è intervenuto indirizzando l'evoluzione terrestre della vita — e con la stessa dinamica geologica del pianeta, fino a quando, circa quattro milioni di anni or sono, è apparso un essere — il nostro più remoto antenato — destinato a farsi portatore di un'altra singolarità: il cervello umano. Perché il suo prodotto — o se si preferisce il suo «software» — è ciò che chiamiamo «mente»: sede di emozioni, sentimenti, pensieri, elaborazioni che costituiscono il fondamento della interazione col mondo della straordinaria specie a cui apparteniamo. E principalmente, sembra essere la sede di quel processo che definiamo «coscienza»: grazie ad essa, sappiamo di essere e siamo consapevoli del mondo che ci circonda.

Per comprendere la mente e la sua straordinaria novità nel contesto dell'evoluzione della vita occorrerebbe forse ripercorrere la filogenesi della nostra specie. Non per rintracciare i geni che spiegherebbero la formazione delle nostre strutture cerebrali, ma per individuare le radici storiche dei comportamenti umani, probabilmente imposti dapprima da pressioni ambientali, che hanno premiato quegli individui che più di altri sono riusciti non solo ad adattarsi alle domande dell'ambiente (come del resto avviene per tutte le specie viventi) ma anche ad elaborare comportamenti innovativi, non imposti geneticamente o per imitazione. Un processo verificatosi in quell'oscuro periodo in cui un primate costretto da vicende geologiche a divenire bipede si è progressivamente trasformato non solo fisicamente, ma operativamente: inventando, ad esempio, il lavoro, ossia una attività integrata a un gruppo e che comporta una remunerazione differita, o quando l'attività esplorativa individuale e di gruppo è divenuta prassi e topografia dell'ambiente: quando infine ha «inventato» il linguaggio, estraendosi così definitivamente dalla passiva condizione animale. Forse proprio su queste basi, su risposte consapevoli alle domande dell'ambiente, è avvenuta la fissazione di quei caratteri che costituiscono il fondamento della nostra mente, avviando una selezione che ha premiato coloro che meglio producevano quei comportamenti, meglio integravano le loro risposte alle richieste del gruppo. Si potrebbe ipotizzare — quasi paradossalmente — che lo sviluppo cerebrale, la selezione dei geni che vi presiedono, l'inflazione della neocorteccia, siano venuti dopo: quasi sintomi di un processo (tuttora in corso) in cui l'uomo, in particolare quella varietà a cui oggi apparteniamo tutti noi, l' Homo sapiens sapiens, si fosse costruito da solo, utilizzando i processi selettivi di natura e la selezione sessuale per fissare i propri caratteri innovativi.

Così, anche mente, intenzionalità, coscienza sembrerebbero contraddire la «necessità» che opera così efficacemente nel mondo degli oggetti materiali e anche nell'ambito del vivente (e a cui siamo ovviamente soggetti anche noi: tranne, appunto, che per i prodotti della mente). Un ulteriore prodotto di quella serie di «casi fortunati» che segnano il cammino della evoluzione della materia, e il cui significato continua a sfuggirci. In quel cammino abbiamo incontrato un costante aumento della complessità: concetto questo sfuggente e anche ambiguo, con cui oggi molte discipline scientifiche si misurano nel tentativo di allargare la nostra presa sul reale. Nel corso del tempo la materia sembra passare dal semplice al complesso, raggiungere livelli crescenti di integrazione, fino a toccare il gradino su cui ci troviamo oggi. Se l'evoluzione verso l'integrazione creativa tra enti prima separati e discreti (che sembrerebbe testimoniata dalla storia sia della materia inanimata che da quella vivente) è una costante di questo Universo, nulla ci dice che l'uomo così come è strutturato oggi — una miriade di monadi «messe in rete» dal linguaggio e dalla cultura — sia un punto di arrivo. Linguaggio e cultura sembrano piuttosto configurare una ulteriore tendenza verso l'integrazione, verso l'unificazione della nostra specie in un unico corpo, un immenso animale planetario le cui contraddizioni e conflitti forse si risolveranno nella dialettica di un singolo organismo dinamico.

Ma si tratta di ipotesi che esulano dagli obiettivi di questo libro. Nello scriverlo l'autore si è doverosamente attenuto al «gioco delle regole», una serie di norme tacite che accompagnano in genere qualsiasi tentativo di esporre ordinatamente lo «stato dell'arte» della ricerca. Così concetti come «tempo», «evoluzione», «coscienza» sono stati dati per scontati: troppo giganteschi per venire affrontati in questo contesto e con le nostre forze. Da secoli l'uomo li contempla e cerca di definirli: ognuno di essi è l'imboccatura di un abisso in parte inesplorato. Possiamo cercare di circoscriverlo, gettare su di esso fragili passerelle quando tentiamo di ricostruire l'impalpabile trama del reale o collegare quei frammenti di realtà che le scienze e le filosofie sono riusciti a illuminare. Ma il reale è più ambiguo e frammentario e irride spesso ai nostri sforzi. Bisogna perciò avere il coraggio di dire, a conclusione di questo viaggio nella storia dell'Universo, che ognuno dei concetti che abbiamo così disinvoltamente usati cela un mistero. E che forse il mistero più profondo è proprio la nostra coscienza, un segno che ci portiamo addosso come la chiocciola trascina il suo guscio. E il mistero forse costituisce una chiave non per capire, ma per accettare e amare il mondo. L'uomo ha bisogno di mistero: se ne è nutrito per tutta la sua storia, vi ha costruito sopra modelli di vita e credenze. Pensare di averlo esorcizzato per sempre è quanto meno ingenuo.

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