Copertina
Autore Romano Prodi
CoautoreFurio Colombo
Titolo Ci sarà un'Italia
SottotitoloDialogo sulle elezioni più importanti per la democrazia
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2006, Serie Bianca , pag. 174, cop.fle., dim. 144x220x15 mm , Isbn 978-88-07-17115-4
LettoreLuca Vita, 2006
Classe politica
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Indice

  7 Nota di Furio Colombo

  9 1. In che mondo viviamo

    Mondo globalizzato, p. 11;
    Possibilità di scelte diverse, p. 12;
    Concezione monopolare e multipolare del mondo, p. 12;
    Europa cogarante della pace, p. 13;
    Cina, p. 14;
    India, p. 15;
    Confronto Cina-India (modelli di sviluppo e democrazia),
        p. 16;
    Russia, p. 18;
    Terrorismo e conflitti: problema ceceno, p. 19;
    Terrorismo e terrorismi, p. 20;
    Stati Uniti e dottrina dell'unilateralismo, p. 20;
    Effetti del terrorismo, p. 21;
    Conflitto arabo-israeliano, p. 23;
    Sharon e Gaza, p. 23;
    Cambiamenti della situazione in Iraq e legittimazione
        del governo iracheno, p. 25;
    Assenza dell'Onu, p. 26;
    Come uscire dall'Iraq, p. 27;
    Afghanistan, p. 28;
    Iran, p. 29;
    Guerra di civiltà, p. 30.

 33 2. Europa e dintorni

    Europa e terrorismo, p. 35;
    Centralità del Mediterraneo nell'Europa di Prodì, p. 36;
    Senso e ruolo dell'Europa, p. 38;
    Obiettivi: euro, allargamento, Costituzione, p. 39;
    Organizzazione della Commissione sotto la presidenza
        Prodi, p. 42;
    Pro e contro Europa, p. 44;
    Partiti in Europa, p. 45;
    Problemi: Blair sull'agricoltura, p. 46;
    Dualismo Consiglio-Commissione, p. 46;
    Problema Turchia, p. 47;
    Georgia, Armenia, Azerbaigian, p. 49;
    Sistema dell'informazione, p. 50;
    Patriottismo e senso di appartenenza, p. 51.

 53 3. In che Italia viviamo

    Sfiducia in Europa, p. 55;
    Eccezioni Spagna e Gran Bretagna, p. 55;
    Blairismo e zapaterismo, p. 55;
    Problemi dell'Italia di Berlusconi: disegno politico e
        funzione dell'Unione, p. 56;
    Fallimenti del mercato, p. 58;
    Liberismo e liberalismo, p. 59;
    La media e piccola impresa, p. 59;
    Fallimento del liberismo senza paracadute ed elezioni
        in Germania, p. 60;
    La situazione in Polonia, p. 60;
    Il problema della leadership, p. 61;
    Leadership di Berlusconi, p. 62;
    Ruolo della Lega Nord, p. 63;
    Libertà di informazione, p. 64;
    Par condicio, p. 65;
    Berlusconismo, p. 67;
    Etica del berlusconismo, p. 70;
    Evasione, condono, abuso, declino, p. 71;
    Bipolarismo negato, p. 73;
    Legge elettorale: il danno al paese e il danno
        all'Unione, p. 74;
    Il centro, p. 76;
    Definizione di moderato, p. 77;
    Incattivimento del paese, p. 77;
    Telekom-Serbia, p. 78;
    Definizione di radicale, p. 80;
    Dibattiti televisivi, p. 81;
    Solitudine e sfiducia, p. 82;
    L'Italia di oggi: aggressività e sfiducia, p. 82;
    Periferie urbane, p. 84;
    Matrimonio e unioni di fatto, p. 85;
    Chiesa e Vaticano, p. 86;
    Stato e Vaticano, p. 87;
    Italia della pace, p. 88;
    Radicali e socialisti, p. 90;
    Euro ed economia: fiaba dell'euro cattivo, p. 91;
    Destra economica, p. 95;
    Economia d'avventura, p. 96;
    Destra europea, p. 96;
    Capitalismo, p. 97;
    Spesa ordinaria, p. 98;
    Costo della politica, p. 99;
    Tremonti, p. 99.

101 4. In quale Italia vogliamo vivere

    Cambiamento della legge elettorale e Primarie, p. 103;
    Il centrodestra e le Primarie, p. 104;
    Impegno per una discussione in Parlamento su una nuova
        legge elettorale condivisa, p. 105;
    Partito democratico, Ulivo, Unione, p. 106;
    Le Primarie e il contributo dei partiti, p. 107;
    Innovazione, p. 108;
    Costo del lavoro, p. 109;
    Competitività, p. 111;
    Manager, p. 115;
    Eticità d'impresa, p. 115;
    Tutela del risparmio e trasparenza dei mercati
        finanziari, p. 117;
    Ruolo delle Cooperative, p. 118;
    Delocalizzazione, p. 119;
    Consumi, p. 120;
    Politica energetica, p. 121;
    Ricerca, p. 122;
    Regole, p. 123;
    Federalismo, p. 125;
    Scelte professionali dei giovani, p. 126;
    Sindacato, p. 127.

131 5. Welfare e diritti

    Scuola: scuola e autonomia, p. 133;
    Dialogo con gli insegnanti, p. 135;
    Scuola dell'infanzia, p. 135;
    Scuola pre-materna e comuni, p. 136;
    Divaricazione dei destini scolastici, p. 136;
    Le riforme Moratti e la piazza, p. 137;
    Età scolastica e innalzamento dell'obbligo, p. 139;
    Apprendimento continuo, p. 140;
    Società: volontariato, p. 140;
    Prospettive dei giovani, p. 141;
    Politica per la famiglia, p. 142;
    Condizione femminile, p. 143;
    Ministero Pari opportunità, p. 144;
    Minoranze: garanzie per le minoranze, p. 145;
    Protezione della povertà, p. 145;
    Immigrazione, p. 146;
    Diritto d'asilo, p. 147;
    Sanità, p. 148;
    Regioni e politica sanitaria, p. 149;
    Governo centrale, p. 150;
    Mezzogiorno, p. 150;
    Politiche di risanamento per il Sud, p. 150;
    La criminalità organizzata nel Sud: una possibile
        risposta, p. 151;
    Cultura della legalità, p. 153;
    Giustizia: giudici, p. 153;
    Leggi ad personam, p. 153;
    Rovesciamento della questione giustizia, p. 154;
    Giustizia e fiducia degli investitori, p. 155;
    Il diritto-dovere alla partecipazione:
        le Primarie, p. 155.

 

 

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FURIO COLOMBO Ti chiedo: in che mondo viviamo? Un mondo dominato apparentemente dagli Stati Uniti, apparentemente controdominato dal terrorismo, dove stiamo tutti con il cuore in gola, ma continuiamo ad avere una vita possibile. Però la grande incognita pesa, è sempre lì davanti a noi: c'è pericolo? Quale pericolo? Da chi arriva? Oggi o fra un anno? Prima il futuro era a una grande distanza. Adesso è vicinissimo. Ogni cosa si è fatta incerta: la sicurezza, il lavoro, il dopo. Quale dopo?

ROMANO PRODI La prima risposta è sempre un po' retorica: viviamo in un mondo che è diventato veramente globalizzato. Fino a qualche tempo fa abbiamo addirittura predicato la "globalizzazione". Ma oggi il nostro è un mondo in cui sono tangibili la tensione e il nervosismo per le notizie che arrivano da ogni parte, e le conseguenze di questa situazione sulla vita quotidiana della gente. Le nostre paure sono esaltate dai media e la condizione comune è quella di condividere un incubo unico, dominante. Viviamo in tensione continua, cosa che non avveniva prima. Prima c'era sempre il riposo fra una notizia e l'altra; adesso, in questo mondo, tutto viene amplificato, accelerato; quindi non c'è nessuna possibilità di sottrarci agli eventi, di ignorare. Però la politica di diversi paesi dimostra che c'è la possibilità di seguire idee originali e un po' tranquillizzanti. Questo non è un mondo che fatalmente schiaccia tutti, perfino il dominatore americano. È un mondo in cui i cambiamenti sono continui ed è un mondo globalizzato. Ma i singoli paesi, le singole comunità reagiscono in modo diverso e raggiungono risultati diversi. È un mondo globalizzato nell'informazione, nella presa d'atto di tutte le cose nuove. Ma non lo è affatto nelle reazioni e nelle politiche. C'è una contraddizione enorme fra i fatti che accadono e le risposte nel mondo. È oggi sbagliato guardare alla globalizzazione come a una fatalità; ritenere che tutto - le nostre politiche, le nostre vite, i nostri destini - dipenda da un solo attore-padrone; concludere che non abbiamo spazi. Ci sono, invece, molti spazi d'azione: lo dimostra la Cina. Lo dimostrano l'India, la Malaysia; ma lo dimostra anche la Germania che nell'export è uno dei paesi più attivi; lo dimostrano i paesi nordici, che hanno fatto una politica diversa dagli altri nell'ambito della spesa pubblica, una politica riuscita. La condizione di partenza è la globalizzazione, ma esiste una grande possibilità di scelta nelle decisioni della politica e della vita.

Qualcuno sostiene che la gente perde speranza perché l'andamento delle cose sembra prestabilito da volontà esigenti e incontrovertibili, risolutive molto più di quella di ciascuno di noi. Io rispondo che ci sono possibilità di inversione, di reagire a questo rischio di resa e di fatalismo. Ma qui entriamo nella politica. Ciò che la fotografia del mondo mostra oggi è destinato a cambiare: le prospettive future dimostrano che difficilmente tutto resterà come appare adesso. Dubito che la prossima generazione registrerà ancora quell'atteggiamento così nervoso, così teso, nei confronti delle grandi incognite del mondo. Oggi si scontrano nella politica internazionale due grandi concezioni del mondo che non mettono necessariamente in rilievo diverse alleanze. C'è una concezione monopolare americana, rispetto alla quale l'Italia si è messa nella posizione subalterna, tu hai definito di majorette: viene avanti con il tamburo e non conta nulla. E c'è una concezione multipolare, rappresentata da coloro che pensano che gli eventi della storia produrranno tanti esiti, alcuni rischiosi, altri molto positivi. È il caso della Cina. Nel futuro del mondo c'è certamente una Cina che farà fronte, che avrà quantità di reddito paragonabile agli Stati Uniti; si farà avanti l'Europa, emergeranno la grande democrazia indiana e forse altre realtà. Quali saranno i protagonisti, comunque ne risulterà un mondo multipolare, plurimo. Queste due contrapposte ipotesi di sviluppo compaiono in tutti i discorsi dei politici del mondo. Il politico agisce avendo in mente l'uno o l'altro schema: ho potuto riscontrarlo personalmente in ogni conversazione con i leader internazionali. Indipendentemente dai rapporti di amicizia, questo schema è dichiarato espressamente o sottinteso. Capita spesso che la visione di un mondo multipolare sia viva e attiva anche in persone come me, che tengono grandemente in conto gli Stati Uniti, ritenuti un necessario punto di riferimento per la pace mondiale. Le filosofie che sono in campo sono proprio queste: accettiamo e accentuiamo il mito del grande monopolarismo, o ci adoperiamo per la realizzazione di un mondo ricco di vitalità, di energia, di soluzioni diverse, dove la convivenza e la collaborazione sono davvero possibili?


COLOMBO Però da noi, in Italia, le majorette dell'unilateralismo americano sembrano sorde anche alla voce di metà dell'America e continuano a battere il loro tamburo, celebrando e anche invocando la guerra...

PRODI Il volto della pace o della guerra futura è dipinto in tante facce e tante voci diverse. Penso al presidente cinese che, parlando dell'euro, mi ha detto una frase per metà economica e per metà politica: "Noi cinesi vogliamo l'euro per le nostre riserve, perché a noi piace un mondo multipolare". In questo mondo di equilibri l'Europa vuole e deve essere cogarante della pace: vogliamo esserci e garantirla. Sarebbe causa di terrore per il mondo il ritorno dell'equilibrio delle grandi potenze? Non lo so, dipende da come arriverà a esprimersi in concreto questa grande realtà dei paesi "nuovi".

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COLOMBO Viene in mente il discorso di Tony Blair dopo il 7 e il 21 luglio a Londra: scritto in modo da persuadere che qualunque musulmano che vive in Inghilterra possa essere un nemico e affermando che - per difesa - è possibile abolire diritti fondamentali.

PRODI Il terrorismo può cambiare noi, può cambiare la nostra democrazia. È questo il vero rischio. Per questo ritengo che si debbano avere reazioni molto forti ma anche molto consapevoli: bisogna pagare non solo un basso prezzo di vite umane, ma anche un basso prezzo in termini di indebolimento del nostro sistema democratico, un basso prezzo di autoritarismo. Mi capita di diffidare istintivamente dell'atteggiamento schizofrenico di chi dice da una parte "non cambieranno la nostra vita" e dall'altra propone cambiamenti drastici per il giorno dopo. La contraddizione del politico che dice "non ci cambieranno" e poi si dimostra disposto a grandi sconvolgimenti, anche drastici, mi sembra futile, inutile. E poi: se almeno servisse.

Io non posso dimenticare che, delle grandi città europee, l'unica che ritenevo essere difesa attivamente era Londra. È l'unica città in cui, quando arrivi in treno, sei ispezionato da capo a piedi, cosa che dà subito un'impressione di sicurezza. C'è uno strepitoso utilizzo delle telecamere, un controllo, dal punto di vista tecnico, che è straordinario. Eppure, proprio qui, abbiamo avuto gravissimi episodi di terrorismo. Il lavoro della polizia (e soprattutto quello dell'intelligence) è assolutamente importante. Tuttavia, questo tipo di difesa non basta: occorre aprire un grande spazio alla politica. Nessuno dice che il terrorismo sia nato per effetto della guerra in Medio Oriente o per effetto della guerra in Iraq: non dobbiamo dimenticare che l'11 settembre e avvenuto prima della guerra in Iraq. Ma certamente il tatto che il fenomeno terroristico si sia inserito anche tra quasi borghesi cittadini inglesi, da tempo radicati nella società britannica, ci deve far riflettere su un fatto fondamentale: la necessità assoluta di un mondo cooperativo in cui ci si fa carico dei conflitti e si preparano soluzioni. Diversamente questo fenomeno andrà avanti a lungo nel tempo. Loro non vinceranno, ma noi perderemo. Molte delle radici della nostra società liberale sono già oggi messe a dura prova.


COLOMBO Specialmente quando, come succede in Italia, personaggi, almeno formalmente autorevoli, incitano alla guerra santa, allo scontro di civiltà e si proclamano superiori...

PRODI Preferisco non commentare l'irresponsabilità di certe affermazioni: chiunque le abbia ascoltate può giudicarne la pericolosità e l'irragionevolezza. Credo invece sia utile ritornare al conflitto arabo-israeliano: ha il più elevato valore simbolico, anche se oggi non ha la dimensione fisica della guerra in Iraq. L'obiettivo deve essere arrivare allo stato palestinese indipendente e allo stato israeliano sicuro. Due aggettivi asimmetrici, che descrivono bene le necessità: per lo stato palestinese l'indipendenza e l'autonomia, e per quello israeliano la sicurezza, che ne garantisca i confini. E in entrambi un governo democratico e trasparente. Questo viene ribadito da tutti; non c'è un leader nel mondo che non ripeta questo. Anche se poi la realizzazione di tale impegno è lentissima.

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Pagina 118

COLOMBO Poco fa stavamo parlando dell'impresa. Hai detto che sono in cantiere nel mondo misure modernizzanti e innovatrici per l'impresa che non potranno che giovare al paese. Io avevo osservato che le imprese possono sfuggire a questo compito o per malevolenza o per incapacità del manager. Tu hai detto che la risposta è nel rigore e nelle regole. Ma prima ancora avevi detto: conta soprattutto il buon esempio.

PRODI Quando ti ho parlato di radicalismo come buon esempio pensavo alle tante deviazioni che avvengono non solo nel settore pubblico. Assistiamo, nelle imprese, a salti di remunerazione che sono deleteri, improvvise moltiplicazioni dei compensi dei dirigenti. Per esempio, le stock option sono nate per dare incentivi a manager che si trovassero in situazioni particolarmente difficili e di fronte a sfide straordinarie. Poi si è esteso a casi che non hanno alcun senso, a imprese con performance estremamente misere. Sono comparse cifre assurde. Ci sono aziende in cui un dirigente di vertice, in un anno, prende più che un dirigente medio in tutta la sua vita. Non c'è nulla che porti turbamento a una società come questi episodi che accadono sempre più frequentemente, sia nel settore pubblico che in quello privato. Non possiamo avere un sistema impazzito di compensi arbitrari. Io non voglio pensare a controlli specifici, ma credo sia giusto che diventi meno conveniente per le imprese avere ventagli di remunerazione che esercitino il medesimo effetto dirompente dello stipendio dei calciatori. Credo che la politica fiscale serva anche a questo.


COLOMBO C'è un aspetto del rapporto fra orientamento dello stato, legislazione, e organizzazione a favore delle imprese e una curiosa via di fuga che in passato non esisteva. Nasce un'azienda, con l'aiuto che deve avere; si afferma, con le condizioni ambientali adatte, favorite da un'intelligente politica dello stato. Poi, improvvisamente, e per motivi ragionevoli, l'impresa si delocalizza, perché il lavoro da altre parti costa meno. In Italia dicono: "Devo andar via perché non mi aiutate"; può darsi che ci siano casi in cui questa lamentela sia fondata. Ma se continuasse ad accadere anche in condizioni civili e incoraggianti, adeguate e innovate, qual è l'atteggiamento da prendere? Tutta la manodopera che ha avviato l'azienda al successo rimarrebbe a carico di quello stato che l'ha aiutata a lanciarsi..

PRODI Questo è stato uno dei problemi che ha influito anche sull'esito negativo del referendum per la Costituzione europea. La delocalizzazione c'è sempre stata e l'Italia ha goduto di una delocalizzazione produttiva di interi settori della Germania. Oggi però è tutto molto più rapido. È sempre stato naturale che le imprese si spostassero a cercare la manodopera o maggiormente specializzata o a basso costo, fenomeno che nessuno ha mai criticato. Il problema di oggi è la rapidità con cui le cose avvengono. Spesso ci sono comportamenti illegittimi e impropri, per esempio sussidi particolari, che non sono più finalizzati al miglioramento effettivo di un certo tipo d'impresa. Se il paese è moderno e sa crescere, riesce a far crescere intelligenza e produttività in parallelo al processo di delocalizzazione. Allora le perdite derivanti dalla delocalizzazione sono più che compensate e il fenomeno viene accompagnato dal mantenimento del cervello in patria con la creazione di nuove attività che sono a un livello superiore. Questa è la grande sfida: ricerca, sviluppo, innovazione, creazione di un terziario moderno. È una necessità per ogni paese; ancor più lo è per l'Italia, con la sua debolezza nelle materie prime e con enormi problemi di bilancia commerciale. Innovazione significa persone preparate. Purtroppo le statistiche del nostro sistema scolastico nella conoscenza linguistica, della matematica e delle scienze sono sconfortanti. Il sostegno del sistema scolastico diventa dunque la priorità perché la delocalizzazione non diventi una sconfitta. A cominciare dagli ingegneri, abbiamo costi molto minori di quelli tedeschi o francesi. Non vedo perché con adeguate leggi, liberalizzazioni, incentivi ai giovani, anche l'Italia non debba superare questa sua inferiorità.


COLOMBO Imprese, produzione, consumi. A un certo punto ci hanno detto che bisognava darsi da fare nei consumi, come se i cittadini fossero distratti o svogliati. Ricordo uno spot televisivo: si vedeva una persona che andava a comprare qualcosa e quando usciva tutti la ringraziavano. Il messaggio era: il tuo acquisto ha arricchito l'economia. Era un messaggio un po' sovietico, come se l'acquisto fosse parte del piano del governo e tutti si dovessero attenere a quel piano.

PRODI Io l'ho interpretato come il trionfo della stupidità. Ho insegnato per anni che, in economia, il consumo dipende dalla domanda e la domanda dalla capacità d'acquisto. Ma quante persone possono davvero acquistare di più? Perché i consumi non sono aumentati in questi anni? Dunque abbiamo assistito a una propaganda che lanciava un messaggio inutile e non diceva nulla sulla capacità di risposta del consumatore.


COLOMBO Noi sappiamo che cosa può fare un'impresa per aumentare la domanda dei propri prodotti. Ma che può fare un governo per rilanciare i consumi?

PRODI In questa fase storica ci si arriva con la fiducia e con l'aumento del potere d'acquisto delle classi medio-basse, cioè di quelle che, in proporzione ai loro redditi, consumano di più. Ma noi viviamo in una situazione di paura del futuro. Ciascuno preferisce tenere qualcosa da parte perché la sua previsione sul futuro è pessimistica. Gira una battuta che costituisce una felice sintesi di questo stato d'animo: "Il futuro non è più quello di una volta". Per questo ho trovato lo spot patetico e inutile. Perché non dava fiducia al consumatore. Non serve promuovere il consumo se si mettono a rischio i posti di lavoro. La gente punta a mettere via qualcosa se il futuro è precario. La sicurezza sul futuro passa però attraverso l'innovazione. Il paese vive della produttività del proprio sistema e l'Italia non sta aumentando la produttività. La nostra produttività sta stagnando, mentre quella degli altri paesi è in crescita. Solo noi italiani, tutti insieme, possiamo fare qualcosa per invertire questa caduta. Per fare un esempio pratico, non possiamo pensare di innovare le strutture produttive dell'Italia senza una nuova politica energetica. Anche nel settore energetico vanno rimessi in moto i cervelli.

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Pagina 133

COLOMBO Finanziaria dopo Finanziaria, gli investimenti per l'istruzione, per la formazione, per la conoscenza nel nostro paese sono progressivamente diminuiti. Questo governo ha ignorato completamente la richiesta di scuola pubblica che si è alzata da più parti. Eppure si tratta dell'investimento forse più importante: quello per il proprio futuro. La domanda è di che scuola ha bisogno il nostro paese.

PRODI Si è troppo a lungo lasciata la scuola in mano a strutture burocratiche, impedendo all'insegnante di innovare, imponendo livelli standardizzati e standardizzanti. Il problema della scuola è quello della partecipazione. Io credo non ci possa essere scuola se non c'è autonomia, che consente - come tutto il mondo sta facendo - una responsabilizzazione sia nella gestione del bilancio, sia nell'ottimizzazione delle risorse, sia nell'investimento sulla preparazione degli insegnanti. Il quadro generale va controllato centralmente garantendo obiettivi uniformi e livelli di prestazioni, assicurando conoscenze, vigilando sull'integrità dei contenuti, fornendo competenze spendibili all'esterno, sul mercato del lavoro. Tutto ciò, però, con la flessibilità necessaria, in cui sia prevista la possibilità di tener conto delle diverse realtà e delle differenti condizioni di partenza e cercando di rimuovere - realmente e il più possibile le differenze di carattere sociale ed economico, che impediscono l'ottimale espressione armonica della personalità di ciascun giovane. La scuola va vista come un'organizzazione complessa, che ha bisogno di una gestione accurata e flessibile. La scuola burocratica ha creato isolamento e irresponsabilità. La scuola moderna deve vedere l'insegnante non come esecutore ma come attore. Questo non vuol dire assenza di garanzie nazionali e scardinamento: lo stato controllerà indirizzi, fornirà obiettivi culturali e standard, certificazioni e qualità. Questi sono compiti dell'intero paese: decentrare la scuola potenziandola, non frantumarla. Non bisogna dimenticare che il grande balzo della criminalità americana negli anni settanta e ottanta è coinciso con il collasso della scuola pubblica.

Oggi la scuola non può rimanere passiva, ma deve avere al proprio interno autorevolezza, deve gestire bilancio e risorse e crearsi un modello di valutazione. Va ripresa e incentivata l'attività didattica per preparare gli insegnanti a insegnare, con l'ausilio della moderna pedagogia: propositi sempre travolti dal grande problema della precarietà. Voglio una scuola in grado di autogestirsi; una scuola responsabile, capace di rispondere alla società dei fondi ricevuti. Solo con tali premesse gli insegnanti potranno riconquistare il riconoscimento che meritano. Non possiamo mettere al centro della società la scuola senza mettere in prima fila gli insegnanti che devono riacquistare il ruolo perduto: non solo dal punto di vista economico, ma anche per ciò che concerne l'autorevolezza determinata dal modo in cui si svolge la propria funzione. Insomma, bisogna sottrarre gli insegnanti alla loro solitudine sociale e aiutarli nella loro fatica di insegnare.


COLOMBO A proposito di insegnanti. C'è un'osservazione che fanno molti di loro. "Noi abbiamo indicato alcune delle cose inaccettabili della riforma Moratti. Ma anche in altri momenti meno drammatici ciò che ha sempre caratterizzato i rapporti politica-scuola è stata una grave mancanza di dialogo".

PRODI Questa domanda mi riporta a quanto ho appena detto: è tempo di promuovere una seria autonomia, un modello organizzativo in cui la scuola possa esprimere una propria dignità anche organizzando il suo modo di lavorare, di stendere i bilanci che non possono solo essere ridotti alle spese del personale, gestendo la manutenzione degli edifici, l'organizzazione del proprio lavoro entro una cornice quadro dell'anno scolastico, nei limiti di ore prestabilite, distribuendole però con una certa libertà. È in questo che io vedo la dignità della scuola. Onestamente la burocratizzazione non è nata con la Moratti. Certo, la Moratti ha peggiorato l'isolamento di chi fa la scuola, perché non sono stati ascoltati né i sindacati, né le organizzazioni degli insegnanti. La scuola, chi la vive quotidianamente - insegnanti, studenti, personale tecnico e ausiliari - non è stata ascoltata. Però su questo tema dobbiamo fare un esame di coscienza e andare indietro nel tempo. La nostra scuola è stata troppo abituata soltanto a ubbidire, a eseguire schemi, ordini e comportamenti determinati dall'alto, nel tentativo di trasformare gli insegnanti in burocrati.


COLOMBO Tu stabilirai con gli insegnanti un dialogo ampio, fitto e costante?

PRODI Ampio, fitto e costante. Ma soprattutto continuo, finalizzato ad assicurare al mondo della scuola autonomia e responsabilità. La scuola ha bisogno di avere una sua creatività. Questo significa impegnarsi in modo costruttivo e gestire le modalità attraverso cui si insegna e con cui si organizza l'insegnamento. Noi siamo abituati a un'edilizia e ad arredamenti scolastici sporchi e malandati. È un messaggio negativo che diamo ai bambini, ai ragazzi: se la scuola è brutta, vale poco, e non la si deve rispettare. È educativo e formativo, invece, riuscire a legare i ragazzi al loro edificio, alla loro scuola.

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Pagina 153

COLOMBO A proposito di cultura della legalità. Che cosa è accaduto in questo paese? Che cosa è accaduto per rendere così incredibili e drammatici i rapporti tra l'esecutivo e i giudici; i rapporti tra il governo e i giudici; il rapporto tra le televisioni e i giornali personali del presidente del Consiglio e i giudici; il rapporto tra i processi del presidente del Consiglio e dei suoi amici e i giudici; il rapporto tra il Parlamento e i giudici?

PRODI Io considero questo il capitolo più nero di questi cinque anni: è andato al di là di ogni mia aspettativa. Tutto quello che è avvenuto in questo campo ha dato una connotazione molto più drammatica, molto più negativa di ogni previsione. La scelta che il ministro di Grazia e giustizia ha fatto dei suoi collaboratori, la priorità che il governo ha dato alla riforma della giustizia attraverso la costruzione di leggi ad personam, sono costate politicamente moltissimo al governo. Esse hanno tolto al calendario della politica italiana tanti capitoli urgenti - primo tra tutti il rilancio dell'economia - che sono stati continuamente rinviati a vantaggio di un'unica urgenza: provvedere allo smantellamento dell'apparato giudiziario precedente e provvedere alla costruzione di una legislazione nel campo della giustizia completamente diversa e completamente incentrata su interessi e problemi di carattere personale. Il ministro stesso non ha - dal canto suo - minimamente toccato i problemi più importanti, per fare in modo che il cittadino abbia giustizia nei tempi dovuti.

Il funzionamento dell'apparato giudiziario è stato messo in secondo piano. Ciò che mi ha più impressionato è che la priorità data alla costruzione, alla gestazione, al varo e poi all'approvazione di misure di giustizia particolare che rispondevano a interessi particolari è stato talmente importante, talmente prioritario durante tutto il mandato da scardinare letteralmente quanto poteva essere fatto dall'esecutivo e da paralizzare la politica stessa del governo. Non avrei mai creduto che potesse avvenire. Non mi soffermo sulle singole leggi, ma sulla sistematicità dei conflitti creati. La tensione con il Consiglio superiore della magistratura, la tensione con i magistrati, la tensione con il Parlamento su questi temi è stata portata avanti senza esitazioni, con priorità assoluta, lasciando da parte qualsiasi altra esigenza del paese. Ed è questo che il paese non perdonerà a questo governo e non soltanto perché sono state fatte leggi ad personam per risolvere singoli casi giudiziari del premier e dei suoi amici. Il prezzo politico che pagherà questo governo è altissimo perché tutti hanno capito che questa era la priorità assoluta di Berlusconi rispetto ai bisogni del paese.


COLOMBO Che fare in una nuova Italia, con un nuovo governo?

PRODI Te lo dico subito. Occorre pensare a un rovesciamento completo del modo di agire. E dunque, un rovesciamento dell'intera "questione giustizia". Quello che ho in testa è: la giustizia al servizio del cittadino. Quindi i problemi della giustizia civile che accumula le cause inevase, le lunghissime attese, la frustrazione di chi aspetta una decisione. Tutto deve essere affrontato in modo immediato accelerando le procedure, accelerando la giustizia; dando, quindi, una risposta al cittadino. Tutto l'apparato della giustizia deve essere messo al servizio del cittadino e non della punta della piramide. Noi siamo dalla parte della base della piramide. Questo è ciò che si deve fare in via prioritaria. Naturalmente è chiaro che si deve incidere sul fatto che le norme - almeno quelle messe in atto per ritardare il giudizio o per deviarlo in modo da favorire gli interessi di qualcuno, tutte queste norme create e costruite ad hoc - devono essere assolutamente cambiate. Nessun paese civile, nessuna democrazia può tollerare cio che e accaduto in Italia in questo periodo. La domanda deve essere di una giustizia che diminuisca i casi pendenti e trovi soluzioni a servizio del cittadino. Ci sono tanti aspetti tecnici sui quali bisognerà organizzare gruppi di esperti che ne esaminino le coerenze e il funzionamento ma non prima, ripeto, di aver rovesciato la logica che ha guidato il programma Berlusconi-Castelli sulla giustizia in questi anni.


COLOMBO È importante ripeterlo perché l'amministrazione della giustizia, dell'efficienza della macchina giudiziaria, è centrale per la giustizia in termini di uguaglianza dei diritti dei cittadini; ma è un capitolo altrettanto decisivo - e forse il più importante di tutti - per restituire capacità competitiva anche al sistema produttivo del paese: lo sconquasso dei tempi della giustizia, tra tante ragioni che rendono dubbia la fiducia nel sistema italiano, è una delle più gravi. Assolutamente nulla - tranne rendere peggiori le condizioni di lavoro dei giudici - è stato fatto in questi anni.

PRODI Ho parlato prima del diritto del cittadino che attende giustizia. Voglio ora aggiungere che quanto è avvenuto in questo campo allontana gli investimenti stranieri e ci isola dalla comunità economica internazionale. Insomma, se si continua così si verifica, anche se in misura minore, il fenomeno dei mancati investimenti, come avviene nei paesi che non hanno un apparato giudiziario moderno, efficiente e che garantisce il diritto di tutti. Ormai siamo entrati nella lista dei paesi che non danno certezze e garanzie giuridiche al mondo degli affari.

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