Autore Marcel Proust
Titolo Racconti
EdizioneClichy, Firenze, 2017, Père Lachaise , pag. 192, cop.fle., dim. 12x18x1,5 cm , Isbn 978-88-6799-380-2
CuratoreG. Girimonti Greco, E. Sinigaglia
TraduttoreM. Bertini, F. Di Lella, G. Girimonti Greco, E. Sinigaglia, O. Tajani
LettoreFlo Bertelli, 2017
Classe classici francesi , narrativa francese









 

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Indice


                                             NOTA AI TESTI   7

                                                CRONOLOGIA   13


                                                  RACCONTI   25

                           LA MORTE DI BALDASSARE SILVANDE   27

                                   VIOLANTE O LA MONDANITÀ   65

            MALINCONICA VILLEGGIATURA DI MADAME DE BREYVES   83

                             LA CONFESSIONE DI UNA RAGAZZA   111

                                     LA FINE DELLA GELOSIA   135

                                            L'INDIFFERENTE   173


 

 

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Pagina 27

LA MORTE DI BALDASSARE SILVANDE



I
                                     Apollo custodiva le greggi di Admeto,
                                 dicono i poeti; ogni uomo, del pari, è un
                                       dio travestito che si finge demente

                                                                 (Emerson)



«Signorino Alexis, non piangete così, vedrete che oggi il visconte di Silvania vi regalerà un cavallo!»

«Un cavallo grande o un pony, Beppo?»

«Forse un cavallo grande come quello del signor Cardenio. Ma vi prego, non piangete così... proprio oggi che fate tredici anni!».

La speranza di ricevere in dono un cavallo e il pensiero che ormai aveva tredici anni fecero brillare, attraverso le lacrime, gli occhi di Alexis. Ma il ragazzo era triste lo stesso, perché doveva andare a trovare suo zio Baldassare Silvande, visconte di Silvania. Certo, dal giorno in cui gli avevano detto che lo zio aveva un male incurabile, lo aveva visto molte volte. Ma da allora le cose erano molto cambiate. Baldassare si era reso conto della gravità della sua malattia e adesso sapeva che non gli restavano più di tre anni di vita. Alexis, che non riusciva a spiegarsi come quella certezza non avesse fatto morire di crepacuore o reso folle lo zio, non si sentiva capace di sopportare il dolore di vederlo. Convinto che lo zio avrebbe finito col parlargli della sua fine imminente, temeva di non trovare non solo la forza di consolarlo, ma neppure quella di trattenere i singhiozzi. Aveva sempre adorato suo zio Baldassare, il più prestante, il più bello, il più giovane e vitale dei suoi parenti. Di lui gli piaceva tutto: gli occhi grigioazzurri, i baffi biondi, persino le ginocchia, luogo accogliente di delizioso piacere e grato rifugio, quand'era ancora piccolo, e che allora gli sembravano inaccessibili come una roccaforte, spassose come cavalli a dondolo e più inviolabili di un tempio. Alexis, che disapprovava apertamente il modo di vestire tetro e austero di suo padre, e che sognava un avvenire in cui, sempre a cavallo, sarebbe stato elegante come una dama e splendido come un re, riconosceva in Baldassare il più elevato ideale virile che si potesse immaginare; sapeva che suo zio era un gran bell'uomo, e sapeva anche di assomigliargli; ne ammirava l'intelligenza, la generosità e l'autorevolezza, che gli sembrava pari a quella di un vescovo o di un generale. A dire il vero, da certi commenti dei suoi genitori aveva capito che anche il visconte aveva i suoi difetti. E ricordava bene la violenza del suo scatto d'ira il giorno in cui suo cugino Jean Galeas gli si era rivolto in tono canzonatorio; così come ricordava il lampo di compiaciuta vanità che aveva acceso i suoi occhi quando il duca di Parma gli aveva offerto la mano della sorella (in quel momento, nel tentativo di dissimulare quel moto d'orgoglio, aveva serrato le mascelle, e sul suo volto era comparsa una smorfia che gli era abituale e che ad Alexis non piaceva). Che dire poi del tono sprezzante con cui trattava Lucrezia, rea di aver dichiarato con franchezza di non amare la sua musica?

Spesso i suoi genitori alludevano ad altre bravate dello zio che Alexis ignorava, ma che sentiva biasimare con la massima severità.

Ma adesso tutti i difetti di Baldassare, compresa quella sua smorfia sgradevole, erano certamente scomparsi. Il giovane visconte aveva appreso che di lì a due anni sarebbe morto, ragion per cui l'insolenza di Galeas, l'amicizia del duca di Parma e la sua stessa musica dovevano essergli diventate del tutto indifferenti. Alexis se lo figurava ancora bello, persino più perfetto di prima, e più solenne. Sì, solenne, e ormai non più di questo mondo. E così alla sua disperazione si mescolavano una vaga inquietudine e foschi timori.

I cavalli erano pronti da un pezzo, bisognava andare; salì sulla carrozza, ma poi ne ridiscese per andare a chiedere un ultimo consiglio al suo precettore. Appena aprì bocca, arrossì:

«Monsieur Legrand, è meglio se con lo zio faccio finta di non sapere che lui sa di dover morire?»

«Sì, è meglio, Alexis!»

«E se me ne parla?»

«Non ve ne parlerà».

«Non me ne parlerà?» protestò Alexis sorpreso, dal momento che quella era l'unica alternativa che non aveva previsto; infatti, ogni volta che provava a immaginare la sua visita allo zio, gli sembrava di sentirlo parlare della morte con la dolcezza di un prete.

«Ma... e se dovesse farlo?»

«Gli direte che si sbaglia».

«E se mi viene da piangere?»

«Avete pianto tanto, stamattina. Vedrete che quando sarete da lui non vi verrà da piangere».

«Non mi verrà da piangere!» esclamò Alexis disperato. «Ma così crederà che non provo dolore, che non gli voglio bene... povero zietto!».

E scoppiò in lacrime. Sua madre, stanca di aspettarlo, lo venne a cercare, e finalmente partirono.

Dopo che ebbe consegnato il suo cappottino a un valletto che li aspettava nell'ingresso, e che indossava una livrea verde e bianca con lo stemma del casato di Silvania, Alexis si fermò un istante insieme a sua madre ad ascoltare il canto di un violino che proveniva da una stanza vicina. Poi furono introdotti in un immenso salone rotondo interamente circondato da vetrate, dove il visconte amava trattenersi. Entrando, si vedeva proprio di fronte la distesa del mare e, volgendo lo sguardo, prati, boschi e pascoli; in fondo alla stanza c'erano due gatti, delle rose, dei papaveri e molti strumenti musicali. Aspettarono qualche minuto.

Alexis si strinse forte a sua madre, lei credette che volesse darle un bacio, e invece il ragazzo le chiese con un fil di voce, la bocca incollata al suo orecchio:

«Quanti anni ha lo zio?»

«Farà trentasei anni a giugno». Alexis avrebbe voluto replicare: «E credi che ci arriverà, a trentasei anni?», ma non ne ebbe il coraggio.

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Pagina 65

VIOLANTE O LA MONDANITÀ



                                                  Frequenta poco i giovani
                                                      e gli sconosciuti...
                                               Non farti vedere spesso con
                                                     le persone altolocate

                                              (Imitazione di Cristo, I, 8)



I
INFANZIA MEDITATIVA DI VIOLANTE



La viscontessa di Stiria era una donna dolce e generosa, dai modi incantevoli. Il visconte suo marito era di spirito molto vivace, e aveva un volto dai lineamenti splendidamente regolari. Un qualsiasi soldataccio, però, si sarebbe rivelato più sensibile e meno volgare di lui. Lontani dal mondo, nella loro rustica tenuta di Stiria, i due allevarono la figlia Violante, che, bella e vivace come il padre, caritatevole e dotata di un fascino misterioso al pari della madre, sembrava combinare le qualità dei genitori in una proporzione perfettamente armoniosa. Ma in lei le mutevoli aspirazioni del cuore e della mente non confluivano in una volontà che, senza frenarle, le orientasse, e le impedisse così di diventarne la graziosa e fragile preda. Tale mancanza di volontà suscitava nella madre di Violante un'inquietudine che forse, con il tempo, avrebbe dato i suoi frutti, se la viscontessa non fosse morta in modo brutale insieme al marito durante un incidente di caccia, lasciando Violante orfana all'età di quindici anni. Poiché viveva quasi sola, sotto la sorveglianza attenta ma un po' maldestra del vecchio Augustin, suo precettore nonché intendente del castello di Stiria, Violante, non avendo amici, trasformò i suoi sogni in meravigliosi compagni di vita, ai quali si riprometteva di restare fedele per sempre. Li portava con sé nei viali del parco, in campagna, e insieme si affacciavano alla terrazza che dà sul mare, ai margini della tenuta di Stiria. In qualche modo, i sogni la elevarono, facendo di lei una sorta di iniziata, e Violante imparò a sentire tutto il visibile e a presentire parte dell'invisibile. Provava una gioia infinita, interrotta da malinconie ancora più dolci della stessa gioia.

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Pagina 111

LA CONFESSIONE DI UNA RAGAZZA



                                        Le esigenze dei sensi ci portano a
                                          svagarci; ma quando sarà passata
                                    quell'ora, che cosa riporteremo se non
                                    peso sulla coscienza e dissipazione di
                               spirito? Lieta uscita procura spesso triste
                            ritorno; lieta veglia notturna rende triste il
                               mattino: così ogni gioia terrena è dolce al
                                     principio, ma in fine morde ed uccide

                                             (Imitazione di Cristo, I, XX)



I
                             Nell'oblio ammantato di una falsa allegrezza,
                           più virginale affiora tra i fumi dell'ebbrezza,
                                   il dolce, malinconico profumo dei lillà

                                                        (Henri de Régnier)



Presto sarò libera. Certo, sono stata maldestra, ho sparato male, ho rischiato di non colpirmi. Certo, sarebbe stato meglio morire all'istante, ma in ogni caso non sono riusciti a estrarre la pallottola e di lì a poco sono cominciate le complicazioni cardiache. Non sarà una cosa lunga. Per quanto, otto giorni... Già, può durare ancora otto giorni! E intanto non potrò fare a meno di sforzarmi di ricostruire l'orribile successione dei fatti. Se non fossi così debole, se avessi abbastanza forza di volontà per alzarmi e uscire, vorrei andare a morire agli Oublis, nel parco dove fino all'età di quindici anni ho passato tutte le estati. Nessun altro luogo è così pieno dello spirito di mia madre, a tal punto la sua presenza, e più ancora la sua assenza, lo hanno permeato. Non è forse vero che, per chi ama, l'assenza è la più sicura, la più efficace, la più viva, la più indistruttibile e la più fedele delle presenze?

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