Copertina
Autore Cristiana Pulcinelli
Titolo Clima e globalizzazione
SottotitoloIl ritorno delle malattie infetttive
EdizioneMuzzio, Roma, 2007, Nature 17 , pag. 192, cop.fle., dim. 14x21x1,2 cm , Isbn 978-88-7413-151-8
PrefazionePietro Greco
LettoreCorrado Leonardo, 2007
Classe medicina , evoluzione , globalizzazione
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prefazione di Pietro Greco                    7

Introduzione                                 19

Infezioni emergenti                          23

Clima e salute                               33

La peste                                     61

L'Aids                                       71

La Sars                                      79

Bioterrorismo                                97

L'influenza                                 109

L'influenza aviaria                         131

Il rischio di una pandemia influenzale      161

Prevenzione e risposta                      185

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Prefazione


L'influenza aviaria sarà di ritorno nel prossimo autunno. E con essa la paura che il virus H5N1 possa mutare, compiere in maniera definitiva il "salto di specie", diventare molto aggressivo e provocare una pandemia che, nello scenario peggiore, potrebbe vedere centinaia di milioni di persone infettate e decine di milioni di morti in tutto il mondo.

Sono giustificati questi scenari? Il primo ha senza dubbio solide fondamenta. Il virus dell'influenza aviaria, infatti, non è stato debellato. Ed è molto probabile che inizi un nuovo ciclo di diffusione in Asia. E di nuovo raggiunga anche il nostro continente, come temono gli esperti del nuovo European Centre for Disease Prevention and Control. Per cui è giusto tenere alzata la guardia. Il secondo, lo scenario della pandemia, ha – per fortuna – probabilità decisamente minori. Ma non nulle. È molto difficile che si realizzi la versione estrema della previsione: quello che gli esperti chiamano lo "scenario peggiore". Ma non è impossibile. Per cui siamo tutti costretti a gestire una situazione relativamente nuova nella storia sanitaria dell'umanità: prevenire e controllare un evento catastrofico globale che ha una possibilità minima ma non nulla di realizzarsi.

In questa situazione due rischi speculari – il rischio di esagerare e il rischio di sottovalutare – sono entrambi molto alti. E per ciascuno la posta in gioco – psicologica, sociale, economica – è notevole.

Non sappiamo esattamente come fare. Dobbiamo imparare un nuovo gioco mentre la partita è in corso.

Il libro di Cristiana Pulcinelli ci può aiutare.

In primo luogo a capire perché nel XXI secolo, dopo aver salutato gli straordinari successi della medicina scientifica e aver più volte annunciato di essere in procinto di debellare per sempre le malattie infettive, ci ritroviamo a temere una pandemia di influenza che, come la "spagnola" all'inizio del secolo scorso, potrebbe mietere vittime a milioni.

La causa prossima di questo scenario improbabile, ma non impossibile, è da ricercarsi certamente nel virus H5N1, nella sua capacità di contagiare gli uccelli, di mutare, di compiere "salti di specie". Ma c'è anche una causa remota, più profonda, che favorisce il "ritorno" delle malattie infettive e lavora per l'ipotesi della pandemia. Questa causa si chiama, semplicemente, evoluzione.

Evolvono infatti i virus, i batteri e tutti gli altri agenti infettivi. Evolve l'ambiente in cui noi e gli agenti infettivi viviamo. Evolve l'uomo stesso, nei suoi stili di vita molto più velocemente che nella sua biologia.

È questa triplice evoluzione, anzi è questa co-evoluzione, che ci ha precipitato in pochi anni in una nuova fase, la quarta, dell'antico e mutevole rapporto con gli agenti infettivi. È questa evoluzione permanente che fa invecchiare rapidamente gli strumenti e le strategie messe a punto dalla medicina e fa ripartire daccapo l'antica eppure sempre nuova corsa tra Homo sapiens e gli agenti infettivi. Le malattie infettive dell'uomo nascono con l'uomo stesso. Il mondo è pieno di microbi. E l'uomo, come ogni animale e come ogni pianta, è un luogo comodo di riproduzione per virus e batteri. Il nostro Dna porta i segni del reciproco adattamento tra organismi superiori e virus: molti mattoni del nostro codice genetico hanno un'origine virale. Il nostro organismo pullula di batteri, che hanno imparato a vivere in simbiosi con noi.

La stessa evoluzione che lentamente modella questi equilibri (una pacifica convivenza, in genere) ogni tanto produce dei riarrangiamenti catastrofici. O, se volete, delle novità assolute. E conflittuali. Non c'è dubbio, per esempio, che un antico equilibrio coevolutivo si sia rotto quando le australopitecine sono scese dagli alberi e hanno iniziato a camminare erette per foreste e savane. Quei nostri progenitori incontrarono, per esempio, il batterio del tetano che annida nel terreno e le zanzare dal volo radente portatrici dell'agente infettivo della malaria. Il genere Homo che nasce 2,5 milioni di anni fa dalle australopitecine soffre per malattie sconosciute alle scimmie arboricole.

La prima grande transizione nel rapporto tra i microbi e la nostra specie – Homo sapiens, apparsa in Africa 200.000 anni fa – è avvenuta molto tempo dopo la "discesa dagli alberi". È avvenuta circa 10.000 anni fa, quando abbiamo iniziato a coltivare la terra e a domesticare gli animali. Vivere in villaggi e città crea problemi di igiene. Vivere in contiguità – come avviene all'uomo allevatore – con quella "centrale di mutazione" dei microbi che sono gli animali (uomo compreso), espone tutti (uomo compreso) a un'alta probabilità di contagio interspecifico. Virus e batteri che vivono e si modificano negli altri animali, vengono a contatto con l'uomo. È il caso di un virus bovino, che nell'uomo provoca il vaiolo. È il caso del virus dell'influenza, ospite dei maiali. E se l'Africa è la sede principale del contagio tra animali selvatici e uomo, l'Asia diventa ben presto la sede principale del contagio tra gli animali domestici e uomo.

La seconda grande transizione nel rapporto coevolutivo tra uomini e microbi si verifica 2.500 anni fa, quando grandi civiltà umane entrano in stretto contatto tra loro. La peste che sconvolge Atene nel V secolo a.C. è nata, probabilmente, tra i roditori delle colline dell'Himalaya. E la peste che sconvolge Roma e la Cina nel II secolo d.C. si è diffusa grazie ai reciproci scambi mercantili. La peste che, nel 1347 ritorna, dopo un millennio, in Europa è causata da un nuovo incontro – e dallo scontro – tra le civiltà mediterranee e le civiltà orientali. Il batterio Yersinia pestis è deliberatamente diffuso, infatti, dall'esercito del kahn Ganibeck durante l'assedio della città di Caffa, lo scalo commerciale che Genova possiede in Crimea. Il khan pensa bene di inaugurare quella che oggi chiameremmo una guerra con armi di distruzione di massa catapultando i cadaveri dei propri soldati morti di peste oltre le mura della città assediata. Saranno i marinai genovesi, sfuggiti all'assedio, a portare il batterio in Europa. Dove si diffonderà rapidamente, uccidendo decine di milioni di persone e dove resterà, tornando ciclicamente, fino al XIX secolo.

La terza grande transizione, infine, si verifica a partire dal 1492, quando Cristoforo Colombo sbarca in America con i suoi uomini. E con le malattie portate dai suoi uomini. Privi di difese immunitarie gli indigeni vengono decimati da patologie sconosciute: il vaiolo, il morbillo, l'influenza. Le Americhe perdono in pochi anni il 90% della loro popolazione. Ma anche l'Europa importa nuove malattie, come la sifilide, pagando un prezzo meno alto delle Americhe, ma comunque tragico all'incontro tra "i due mondi". Le comunicazioni in un pianeta finalmente unificato caratterizzano la terza transizione, esponendo l'umanità a devastanti pandemie. Come quella del 1580: la prima epidemia di influenza a diffusione globale. Ovvero la prima pandemia. L'infezione nasce in Asia, si diffonde in Africa, America ed Europa. Dove colpisce l'80% della popolazione.

Proprio la storia dell'influenza ci dimostra quale sia il rischio associato alle pandemie. E come devastanti epidemie globali possano nascere da mutazioni di virus che consideriamo (a torto o a ragione) non particolarmente aggressivi.

Ebbene, a detta di alcuni autorevoli osservatori, pare proprio che negli ultimi lustri siamo entrati in una nuova fase del nostro antico e mutevole rapporto coi microbi. Per tutta la prima parte del secolo scorso, avevamo assistito a un costante regresso delle malattie infettive, che in Occidente aveva assunto dimensioni addirittura clamorose. I motivi di questo successo, parziale, sono noti. Il miglioramento delle condizioni igieniche degli ambienti (urbani e domestici) in cui viviamo; il miglioramento della qualità del cibo e soprattutto dell'acqua che beviamo; l'invenzione di farmaci e vaccini per combattere con efficacia crescente agenti infettivi causa di antiche e gravi patologie. Tutto questo e altro ancora aveva portato, almeno in Occidente, alla virtuale scomparsa della malaria, della tubercolosi, del vaiolo, della peste. E al radicale ridimensionamento della mortalità per polmonite, per tetano, per febbri puerperali. Per influenza. Così, nella nostra ingenuità, trent'anni fa ci siamo convinti di aver vinto per sempre la guerra coi microbi.

Poi, nel volgere di tre soli decenni, abbiamo assistito ad almeno tre fenomeni inattesi:

1) L'emergere di nuove malattie a opera di agenti infettivi prima sconosciuti. Il virus dell'Aids o il virus di Ebola sono solo due tra gli esempi più noti di "nuovi" agenti infettivi. La verità è che negli ultimi trent'anni ci siamo imbattuti in decine di "malattie emergenti". Alcune della quali sono diventate, in tempi brevissimi, autentiche pandemie. In meno di 20 anni l'Aids, la sindrome da immunodeficienza acquisita causata dal "nuovo" virus Hiv, è diventata la quarta causa di morte al mondo.

2) Il ritorno di vecchie malattie. Un esempio classico è quello del colera, ritornato in paesi e continenti dai quali sembrava sparito. Il ritorno del colera in America del sud e nell'Africa sub-sahariana è stato causato dal deterioramento dei sistemi sanitari, fognari e di accesso all'acqua potabile. Insomma dalla povertà. Un altro esempio di ritorno di una malattia comunicabile a causa del regresso di un sistema sanitario è quello della difterite, ritornata in Russia e in altre repubbliche ex sovietiche immediatamente dopo la fine dell'Urss e del suo welfare sanitario. Altro esempio classico del ritorno di vecchie malattie è quello della tubercolosi. Nel Sud del mondo la tubercolosi è endemica, e miete oltre due milioni di vite umane ogni anno. Tuttavia l'infezione si è riaffacciata anche in Occidente, negli Usa in particolare, dopo che era stata quasi completamente sradicata. In ogni caso nel solo anno 2000 i nuovi malati di tubercolosi registrati nel mondo ammontavano a 8,7 milioni. Di questi almeno 250.000 si sono dimostrati resistenti a trattamenti multifarmaco. L'agente infettivo della tubercolosi sta evolvendo e sta imparando a sopravvivere alle armi di difesa e di contrattacco dell'uomo?

3) Lo sviluppo di una inattesa resistenza agli antibiotici da parte di molti batteri e agenti infettivi. Il batterio Staphylococcus aureus, responsabile di molte infezioni negli ospedali, è tra quelli che ha approntato le migliori armi di difesa contro l'attacco dell'uomo: il 95% delle persone infettate dal batterio dimostra una resistenza agli antibiotici considerati di prima linea, la penicillina a l'ampicillina. Anche alcuni ceppi dell'agente infettivo della malaria, il Plasmodium falciparum, stanno dimostrando, in molte parti del mondo, una crescente resistenza ai farmaci. Una situazione molto seria. La malaria, infatti, uccide secondo l'Oms 1,1 milioni di persone (ma secondo altre fonti 2 milioni di persone) ogni anno. Ma ne infetta da 300 a 500 milioni, il 90% dei quali in Africa. Cosa succederebbe se il Plasmodium falciparum acquisisse una resistenza ai farmaci pari a quella di Staphylococcus aureus?

La causa remota di questi tre fenomeni è, come abbiamo detto, l'evoluzione. O meglio la triplice evoluzione – la co-evoluzione – dell'uomo, dei microbi e dell'ambiente che ospita entrambi. La storia dell'origine e delle tre grandi fasi di transizione del rapporto tra uomo e microbi ci offre memoria di cosa significhi, in pratica, il nuovo paradigma evolutivo con cui dobbiamo interpretare il concetto di malattia. Quando si modificano rapidamente e drasticamente gli stili di vita dell'uomo, quando si modificano le risposte adattative dei microbi e quando si modifica l'ambiente (globale e locale) il rapporto coevolutivo tra uomo e microbi entra in una nuova fase. E, all'inizio di una fase nuova, nuove fonti di microbi o fonti di "nuovi" microbi espongono l'uomo a pericoli enormi. È quanto sta succedendo in questa nuova fase, la quarta, dell'antico rapporto tra uomini e microbi, quella che si consuma nella nostra epoca e che rende non del tutto improbabile la diffusione pandemica di agenti infettivi virulenti e contagiosi.

Una serie di novità ecologiche, ambientali e demografiche concorrono a questa quarta transizione, di cui solo ora stiamo acquisendo consapevolezza. Di questi fattori, a tutt'oggi, non abbiamo che una pallida conoscenza. Prova ne sia che negli ultimi dieci anni gli epidemiologi hanno ampliato e drasticamente modificato l'elenco delle cause che, combinandosi e intrecciandosi tra loro, concorrono a definire la "quarta transizione". Vediamole, sia pure per sommi capi.

[...]

Pietro Greco

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

Introduzione


"La pandemia che ha appena fatto il giro del mondo è senza precedenti. Ci sono state epidemie con una mortalità più alta di questa, ma erano più circoscritte. Ci sono state epidemie altrettanto estese, ma avevano un tasso di mortalità più basso. Inondazioni, carestie, terremoti ed eruzioni vulcaniche hanno prodotto distruzioni dell'essere umano così terribili da sfuggire alla comprensione, ma prima d'ora non era mai avvenuta una catastrofe contemporaneamente così improvvisa, così devastante e così universale". Bastano queste frasi per capire cosa sia stata la Spagnola. Sono tratte da un articolo comparso il 30 maggio del 1919 sulla rivista americana "Science". La pandemia influenzale era appena cessata, lasciando dietro di sé più morti della prima guerra mondiale e un senso di insicurezza e di precarietà dell'esistenza. Quello che sconvolgeva maggiormente era l'assoluta ignoranza di ciò che era avvenuto. Nessuno sapeva cosa fosse questa influenza, da dove fosse venuta e se si sarebbe ripresentata. Si sapeva solo che in un anno aveva fatto il giro del pianeta, arrivando persino in Groenlandia, uccidendo donne e uomini giovani e sani.

Nei giorni in cui scriviamo queste righe, il virus dell'influenza aviaria è considerato ancora da alcuni scienziati un probabile candidato per diventare il virus che scatenerà una pandemia di influenza tra gli esseri umani di proporzioni simili a quelle della Spagnola. Nessuno è sicuro che questo accadrà. Del resto, l'evoluzione non ha una direzione prestabilita, non sappiamo dove porteranno le mutazioni che i virus subiranno durante la loro vita. Forse H5N1 rimarrà un virus che colpisce i volatili e solo eccezionalmente gli esseri umani, come è avvenuto fino ad oggi. Qualcuno, anzi, è convinto che le cose andranno così, che il rischio pandemia è un'invenzione messa in piedi per alimentare un clima di panico e per favorire l'arricchimento di qualcuno, in particolare delle case farmaceutiche. Forse, invece, H5N1 davvero si modificherà diventando in grado di scatenare una pandemia. Non sarebbe la prima volta che accade nella storia dell'uomo.

Quello che possiamo dire è che quella influenzale è solo una delle pandemie che potrebbero colpire la comunità degli esseri umani nel futuro. Il mondo sta cambiando e alcuni di questi cambiamenti favoriranno il diffondersi di vecchie malattie infettive e l'emergere di nuove. Anzi, lo stanno già facendo. Qualche esempio? La dengue trentacinque anni fa era conosciuta solo in 9 paesi del mondo e oggi è presente in oltre cento e dal 1995 al 2001 ha raddoppiato il numero delle persone infettate in America.

Tra i motivi che determinano questo nuovo scenario, il più importante è probabilmente il cambiamento climatico. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (World Health Organization WHO) il riscaldamento globale e il cambiamento nel regime delle precipitazioni che si sono verificati negli ultimi trent'anni producono già ogni anno 150.000 morti. Cosa ci aspetterà domani?

Ipotizzare cosa accadrà in un futuro sia pure prossimo richiede l'analisi di moltissimi dati. In particolare, se si vuole capire quale sarà il nostro rapporto con i microrganismi, le cose si fanno assai complicate. Questo libro vuole dare un'idea di quanto le cose siano complicate.

Il primo capitolo parla del ritorno delle malattie infettive. Le epidemie non sono certo cosa nuova. Da un punto di vista storico, uomini e microrganismi, sono evoluti insieme adattandosi l'uno all'altro. Da sempre quindi l'umanità ha cercato di fronteggiare e difendersi da queste calamità. Solo recentemente (e per un breve periodo) sembrava essersi dimenticata della minaccia degli agenti infettivi. Tra gli anni '60 e gli anni '70 del Novecento, si diffuse infatti l'idea che le malattie infettive fossero prossime alla sconfitta. Poi si vide che non era così e oggi ci dobbiamo confrontare con minacce vecchie e nuove.

Nel secondo capitolo si spiega qual è la minaccia reale dei cambiamenti climatici per la nostra salute, in particolare come questi cambiamenti stiano influenzando l'impatto delle malattie infettive sulla popolazione umana e che cosa prevedono gli esperti per il nostro futuro.

Nel terzo capitolo raccontiamo alcune grandi epidemie della storia. Da cosa fu provocata la peste di Atene? Come emerse la peste nera del Trecento? E perché gli aztechi morivano per malattie che risparmiavano invece i conquistadores spagnoli? Negli ultimi anni gli studiosi hanno capito che analizzare ciò che è avvenuto nel passato può aiutarci a prevenire ciò che accadrà nel futuro.

Il quarto capitolo è dedicato all'Aids. Fu nei primi anni '80 del secolo scorso che l'umanità capì che le malattie infettive non appartenevano al passato. E a svegliarci da quel sonno della ragione fu la comparsa di un nuovo virus: l'Hiv.

Come fu possibile bloccare la Sars nel 2003? È importante saperlo perché potrebbe insegnarci qualcosa per il futuro. Alla Sars è dedicato quindi il quinto capitolo.

Il sesto capitolo parla della minaccia che viene dal bioterrorismo. Agenti infettivi che potrebbero venir usati contro la popolazione inerme per scopi terroristici. È una minaccia reale? Intanto, si investono fior di capitali per difendere le nazioni da questa eventualità.

I capitoli 7, 8 e 9 sono dedicati alla pandemia influenzale e l'influenza aviaria. Che relazione c'è tra le due cose? Quali sono le ultime conoscenze scientifiche al riguardo? Abbiamo cercato di rispondere a tutte le domande più importanti sull'argomento.

Per finire, nel capitolo 10 affrontiamo il tema della risposta: cosa fare in caso si presentasse la temuta pandemia influenzale o epidemie dovute a microrganismi nuovi o che riemergono a causa di mutate condizioni ambientali? E cosa si sta facendo oggi per essere "preparati"?

Prima di chiudere vogliamo solo ricordare due cose.

La prima. L'autore dell'articolo comparso su "Science" nel 1919 individua tre problemi che si frappongono alla prevenzione dell'influenza. Il primo è l'indifferenza della popolazione. "La gente non capisce il rischio che corre". Il fatto è — scrive — che le infezioni respiratorie vanno dal comune raffreddore alla polmonite e spesso malattie molto diverse per gravità si presentano inizialmente nello stesso modo. Il secondo problema è la natura delle misure che devono essere prese: una persona che sente di avere solo un fastidioso raffreddore accetterà di chiudersi in isolamento per proteggere gli altri dall'infezione? Infine, il terzo problema: la natura altamente contagiosa dell'influenza. Il periodo di contagio è variabile e le persone possono trasmettere l'infezione prima che si manifesti.

Oggi sull'influenza sappiamo molto più di quanto si sapesse novant'anni or sono. E sicuramente sapremmo fronteggiare in modo molto più efficace l'emergenza. Tuttavia, i tre problemi individuati dall'autore dell'articolo sono ancora tutti sul piatto. La seconda cosa da ricordare è che prevedere l'arrivo di una epidemia non è cosa facile. In un editoriale apparso su "Nature Medicine" a maggio del 2003, Barry Bloom, rettore della Harvard School of Public Health sostiene che fare l'epidemiologo o il medico di sanità pubblica è spesso un mestiere ingrato. Se non si interviene abbastanza prontamente, un focolaio limitato di diffusione di una malattia infettiva può innescare un'epidemia. Se si mette in guardia l'opinione pubblica su un rischio epidemico che poi non si concretizza, si viene accusati di allarmismo. E se si interviene in modo così efficace da stroncare un evento epidemico sul nascere, è sempre difficile dimostrare che sia stato l'intervento di sanità pubblica a cambiare il corso degli eventi e che non ci si trovi di fronte a un naturale esaurirsi del fenomeno.

Insomma, come si fa, si sbaglia. Eppure, il lavoro dei medici di sanità pubblica è un lavoro importante. Se un medico fortemente impegnato nella sanità pubblica come Carlo Urbani non avesse identificato tempestivamente la Sars nell'ospedale di Hanoi, pagando con la propria vita il suo impegno, il tempo per mettere in atto le contromisure adeguate forse non ci sarebbe stato e quell'epidemia sarebbe vista oggi come un capitolo molto più tragico nella storia dell'umanità.

| << |  <  |