Autore Ngai Pun
CoautoreJenny Chan, Mark Selden
Titolo Morire per un iPhone
SottotitoloLa Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi
EdizioneJaca Book, Milano, 2015 , pag. 270, ill., cop.fle., dim. 15x23x1,8 cm , Isbn 978-88-16-41246-0
CuratoreFerruccio Gambino, Devi Sacchetto
TraduttoreFerruccio Gambino, Giorgio Grappi
LettoreElisabetta Cavalli, 2015
Classe lavoro , globalizzazione , paesi: Cina , economia , informatica: sociologia












 

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Indice


Introduzione. Alla catena sotto una triplice cappa,
di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto                    11

Prefazione                                               23

 1  Una sopravvissuta al suicidio                        31

 2  L'ascesa dell'impero Foxconn                         47

 3  La leggenda della Apple                              71

 4  All'interno della Foxconn                            91

 5  Studenti e studentesse tirocinanti                  109

 6  Dormitori di fabbrica e vita di città               135

 7  I rischi di infortunio                              151

 8  Portare la Foxconn in tribunale                     173

 9  Le proteste operaie                                 195

10  Operai cinesi nella produzione globale              215

Epilogo                                                 235

Appendice I:
    I partecipanti al Gruppo di ricerca universitario
    sulla Foxconn, Cina continentale, Hong Kong, Taiwan 241

Appendice II:
    I suicidi alla Foxconn in Cina, 2010                242

Appendice III:
    Le sedi degli stabilimenti Foxconn in Cina
    in base al loro anno di apertura                    243

Ringraziamenti                                          245
Bibliografia scelta                                     249
Elenco delle illustrazioni                              267
Nota sugli Autori e sui Curatori                        268


 

 

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Pagina 11

Introduzione
ALLA CATENA SOTTO UNA TRIPLICE CAPPA
di
Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto



Se il computer potesse parlar di sé


Il computer e le sue applicazioni sono tra le prime macchine che potrebbero parlare ai loro fruitori in viva voce e in modo discreto. Potrebbero raccontare di sé, a cominciare da chi li produce. In altri termini, si tratta di macchine potenzialmente in grado di dialogare con i loro consumatori a proposito non solo delle varie fasi di lavorazione ma anche delle vite che in quelle fasi si sono consumate. Tuttavia chi è interessato a conoscere in quali condizioni è stato fabbricato il computer o il telefono che ha tra le mani si trova di fatto davanti a una cortina fumogena, quella che avvolge l'elettronica, uno dei settori industriali più segreti, insieme con quelli delle armi e del petrolio.

In genere, i fruitori dei prodotti elettronici si tengono tanto lontani dal mondo dei rapporti sociali della produzione elettronica quanto ne vengono tenuti lontani dalle imprese. Indubbiamente, il software attira qualche attenzione in più dell'hardware, poiché la storia del software è punteggiata da sorprendenti invenzioni. Per contro, l'elaborazione dei modelli di hardware appare pedestre, anche se si è dimostrata decisiva per le fortune di alcuni grandi marchi dell'elettronica, a cominciare dalla Apple. Nel software è lunga la galleria delle innovazioni presentate come colpi di genio di singoli individui. La galleria sarebbe più corta se si tenesse conto dei gruppi di ricerca non orientati al profitto, i cui risultati sono stati spesso fatti propri da predatori corporate. L'aspetto fisico – visivo e tattile – dei prodotti elettronici è stato e rimane un elemento indispensabile nel processo di seduzione della clientela potenziale. In particolare, fin dagli anni '90 alla Apple è diventata ossessiva la cura dell'effetto sensoriale dell'informatica di consumo sul pubblico. Dunque, un hardware esteriormente allettante ha assunto un'inattesa forza di attrazione. Tale forza è andata crescendo di pari passo con la crescita della domanda.


Il presente volume di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden svela il lato oscuro della produzione elettronica, portando alla luce il caso esemplare della condizione di operaie e operai cinesi che lavorano per un marchio committente, la Apple, e per il suo gruppo appaltatore, la Foxconn. Si tratta del caso più eclatante di un regime di fabbrica-dormitorio ormai destinato a lasciare tracce profonde nella società cinese e nel resto del mondo, indipendentemente dalle annunciate robotizzazioni.

Sotto la spinta della febbrile domanda mondiale di nuovi prodotti informatici il regime di fabbrica della Foxconn vincola la vita, i ritmi, gli orari di lavoro di più di un milione di lavoratori in Cina. Come nel caso del legame tra la Foxconn e la Apple, altre multinazionali elettroniche hanno imposto globalmente processi di produzione a ritmi disumani. Tuttavia il caso del rapporto tra Apple e Foxconn risalta tra gli altri per le dimensioni della forza-lavoro coinvolta e per l'intensità della sua erogazione. Alle lavoratrici e ai lavoratori toccano lunghi orari di lavoro, stringenti cadenze produttive, una sistemazione sorvegliata in dormitori aziendali e salari che permettono appena la sopravvivenza del singolo lavoratore ma non del suo nucleo famigliare. Ne sono risultate condizioni di vita ai limiti della sopportazione che hanno provocato una catena di suicidi attorno al 2010, come gli autori qui illustrano, la più impressionante catena di autoannientamento in fabbriche non concentrazionarie della storia del capitalismo. La Foxconn ha reagito economicamente ponendo le inferriate alle finestre dei suoi edifici per impedire i salti nel vuoto delle sue disperate maestranze, il perverso rimedio tipico delle istituzioni totali moderne.

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Pagina 14

Un sistema di lavoro segregato e i suoi custodi


Nell'ostentato assenteismo del sindacato ufficiale, l'autorganizzazione operaia all'interno della Foxconn trova le sue limitazioni in tre principali vincoli imposti alle maestranze: la dura disciplina esercitata dalla Foxconn, i tempi e i modi spasmodici di produzione dettati dai capitolati di appalto della Apple e l'intesa cordiale fra entrambe queste imprese e le amministrazioni locali. Si tratta della triplice cappa che condiziona e incombe sui processi di ricomposizione solidale della forza-lavoro.

Il legame tra la Apple e la Foxconn è forse il caso più evidente degli incerti equilibri produttivi odierni, dopo che i grandi marchi occidentali hanno deciso di abbattere i loro costi e aumentare l'efficienza esternalizzando la fabbricazione prevalentemente in Asia. Questo modello di esternalizzazione è dotato di una sua caratteristica capacità d'irraggiamento globale. La Foxconn ha promosso il modello come assetto esemplare nelle sue fabbriche in Europa e nell'America latina.

Nel gergo degli intermediari dell'esternalizzazione, la compressione dei prezzi da pagare ai fornitori è chiamata arbitraging, un significativo slittamento linguistico rispetto all'arbitraggio sui titoli di borsa. Il carattere iugulatorio di questo labour arbitraging viene venduto come manifestazione del libero mercato. Le sue conseguenze vengono scaricate in larga parte sulle condizioni di vita e di lavoro delle maestranze, in particolare in Asia. Essenziale è nel caso della manifattura elettronica la disponibilità della forza-lavoro a un logorante sistema di fabbrica. Viene dunque selezionata una forza-lavoro giovane, istruita, abbondante, disciplinabile entro rigide istituzioni, mobilitabile e smobilitabile entro tempi brevi. Nell'elettronica come in altri settori, i margini di salario e di profitto riservati alle imprese appaltatrici sono compressi dalla preponderanza economica del committente, generalmente un marchio globale che lucra le forti differenze tra il prezzo concesso all'impresa appaltatrice e il prezzo di vendita finale. Così è stato anche finora nell'intreccio che la Apple ha mantenuto con la Foxconn.

Nell'Asia meridionale e orientale i sistemi delle aziende appaltatrici che forniscono í grandi marchi si reggono sul malfermo piedistallo di salari bassi o addirittura infimi, mentre i magri utili locali possono crescere in ragione dell'aumento della massa degli operai occupati e del prolungamento dei loro orari di lavoro. Per contro, i pingui profitti derivanti dal labour arbitraging vengono rastrellati dai grandi marchi che detengono e si spartiscono le quote delle vendite finali.

Nel caso della Foxconn e della Apple in Cina, come gli autori dimostrano, i margini della Foxconn sono assai ristretti rispetto a quelli della Apple. Nel 2010 la Apple si appropriava di ben il 58,5 per cento del prezzo finale di un iPhone, sebbene avesse completamente esternalizzato la manifattura del prodotto. Soltanto l'1,8 per cento, ossia 9,88 dollari, era destinato al salario delle maestranze in Cina.

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In breve, risulta cementata la coesistenza di sudore e sangue alla base della piramide, di stress fino al suicidio sull'altare della produzione nella sezione intermedia costituita dalla Foxconn e da altre imprese, mentre quanto più si sale nella gerarchia della Apple tanto più si incontrano le goffmaniane palme sudate nei consigli di amministrazione.

È in un quadro istituzionale di segregazione occupazionale in Cina che va collocata la decisione della Apple del 1998 di appaltarvi gran parte della manifattura dei suoi prodotti, sulla scia di altri grandi marchi dell'elettronica. In altri termini, è una decisione perfino tardiva, arrivando al traino di altre imprese statunitensi che si erano sentite rinfrancate dalle istituzioni cinesi, dopo avervi a lungo osservato i rapporti di forza tra le classi dalla distanza di sicurezza dei loro periscopi situati nelle Zone economiche speciali dell'Asia orientale.

I sistemi di subappalto all'estero sono la versione estrema del tentativo del capitale nordatlantico di liberarsi della "sua" forza-lavoro. Si racconta che nel 2012, a fronte della domanda del presidente degli Stati Uniti su che cosa sarebbe occorso per riportare i posti di lavoro della Apple negli Stati Uniti, l'allora capo della Apple rispose senza esitazione: "Quei posti di lavoro non tornano indietro". L'anno precedente quasi tutti i 70 milioni di iPhone, i 30 milioni di iPad e i 59 milioni di altri prodotti della Apple erano stati fabbricati fuori degli Stati Uniti e in gran parte in Cina. Secondo il medesimo articolo:

Non è soltanto che gli operai sono più a buon mercato all'estero. Piuttosto, i funzionari della Apple sono convinti che le grandi dimensioni delle fabbriche d'oltremare, insieme con la flessibilità, la diligenza e le capacità industriali dei lavoratori stranieri hanno a tal punto superato la controparte statunitense che il "Made in the U.S.A." non è più un'opzione attuabile per gran parte dei prodotti Apple.

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Pagina 23

PREFAZIONE



La Cina ha ridefinito la traiettoria del capitalismo globale del XXI secolo. Ha più di un quinto della popolazione mondiale e i suoi operai costituiscono circa il 30 per cento del totale della manodopera globale. Molti di questi operai sono occupati da imprese multinazionali, compresa la Foxconn, il principale investitore in Cina e il maggiore produttore di elettronica nel mondo. Tuttavia, operando nell'anonimato, questo colosso industriale con sede centrale a Taiwan non mette il suo nome su nessuno dei milioni di manufatti che produce annualmente per i vari grandi marchi.

Dal 1974 l'impulso al profitto ha portato la Foxconn a internazionalizzare la produzione. Sfruttando la politica cinese della Porta aperta, nel 1988 la Foxconn ha fatto parte del primo gruppo di imprese taiwanesi a investire sulla costa del Guandong, fungendo così da battistrada alla produzione industriale per l'esportazione. Oggi l'azienda ha una forza lavoro globale di 1,4 milioni, di cui gran parte è in Cina. Questo libro apre una finestra sulla vita, sulle condizioni di esistenza e sulle lotte del milione e più di operaie e operai cinesi che producono molti dei manufatti dei grandi marchi della nostra epoca. È ormai diventata adulta una nuova generazione di migranti rurali, nati nella Cina post-socialista degli anni '80 e '90. In questo libro essi ci raccontano le loro speranze di un avvenire migliore e la loro battaglia per un lavoro decente e per la dignità umana.

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Pagina 28

Il futuro di una nuova generazione di operai e operaie


Nel corso della nostra ricerca abbiamo registrato i molti disagi e le molte frustrazioni che i lavoratori della Foxconn, quasi tutti migranti rurali, hanno dovuto affrontare. Al contempo, abbiamo documentato le loro reazioni a questi disagi e i modi in cui hanno usato le tecnologie mobili e altri mezzi di comunicazione per denunciare e sfidare quella che spesso chiamano "la schiavitù informatica", associando la Foxconn alle imprese, come la Apple, per conto delle quali esegue la produzione.

Dalla zona nel Guangdong che abbraccia il delta del Fiume delle Perle fino ai centri industriali in forte espansione nelle province dell'interno, le rimostranze operaie sono sorte sul terreno dei tagli di salari e sussidi previdenziali ottenuti grazie al trasferimento forzato verso le fabbriche dell'interno, agli straordinari obbligatori, ai tagli dei tempi, alle condizioni di lavoro pericolose, a maltrattamenti e umiliazioni da parte di manager e guardie, alla rescissione arbitraria dei contratti di lavoro, al mancato pagamento sia delle retribuzioni sia dell'indennità d'infortunio sul lavoro sia infine della liquidazione.

Gli operai della Foxconn hanno reagito alle offese e all'ingiustizia minacciando suicidi, organizzando rivolte, blocchi stradali e scioperi. Si sono pure rivolti al governo e ai tribunali chiedendo che intervenissero in loro favore. Posti di fronte al crescente fermento operaio degli anni recenti e ossessionati dall'imperativo della stabilità, i funzionari governativi hanno talvolta spinto l'impresa e i poteri pubblici locali a elargire concessioni. Più spesso, le autorità locali si sono accordate con la Foxconn per proteggere gli interessi dell'impresa, di frequente violando le leggi e i regolamenti del lavoro, come nel patrocinio dei programmi di lavoro per tirocinanti tramite sussidi finanziari e co-gestione amministrativa con le scuole e le imprese. Contrariamente a ogni aspettativa, gli operai della Foxconn e i loro compagni in altri luoghi di lavoro stanno mietendo vittorie tattiche e, così facendo, formano la coscienza di una nuova classe operaia in Cina.

Le lotte operaie descritte in questo libro sono state brevi e di portata limitata a uno o ad alcuni reparti o dormitori, mentre il governo locale passava immediatamente all'azione per prevenire qualsiasi coordinamento tra stabilimenti. Tuttavia, negli anni recenti il numero delle proteste operaie è cresciuto esponenzialmente, anche se lo stato cinese ha cercato di dirottare la protesta dalle strade ai tribunali e di incoraggiare la conciliazione delle vertenze con i datori di lavoro. È soltanto questione di tempo prima che queste proteste riescano a fondersi in movimenti più ampi e durevoli, al punto da essere confrontabili con le grandi proteste operaie che eruppero in tutta la Cina all'inizio del ventesimo secolo? Proprio mentre producono più del 50 per cento dell'elettronica mondiale, gli invisibili operai cinesi stanno creando una nuova e ingente classe dotata del potenziale per plasmare la politica del movimento operaio a livello mondiale.

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Pagina 38

Lavorare alla catena


Il "campus" della Foxconn, come i manager lo chiamano, si estende per 1.750 ettari e ospita la produzione e le attività riproduttive quotidiane di un ambiente densamente popolato. Yu entrava a far parte della schiera dei 400.000 operai dello stabilimento Longhua. Alla catena di montaggio si viene assegnati ai turni di giorno e di notte. Il trasporto dei container e i carrelli elevatori provocano un fracasso continuo e servono una rete di fabbriche che sfornano gli iPhone, gli iPad e altri prodotti elettronici per la Apple e altre imprese gigantesche.

La Foxconn è un nodo nevralgico della rete della produzione globale. Qui la catena di montaggio e la movimentazione dei prodotti finiti destinati ai consumatori mondiali non si fermano, ventiquattro ore al giorno e 365 giorni all'anno. Yu ci ha detto: "Al mio primo giorno di lavoro sono arrivata in ritardo. La fabbrica era così grande che mi sono persa. Ho passato molto tempo a cercare l'officina [iDPBG]". Quando le abbiamo chiesto se ha subìto un rimprovero per il ritardo, ha risposto così a bassa voce che non siamo riusciti a sentire la risposta.

Il complesso di Longhua comprende fabbriche a più piani, magazzini, dormitori, banche, due ospedali, un ufficio postale, una caserma dei vigili del fuoco con due autopompe, un circuito televisivo interno, un istituto scolastico, una biblioteca, una libreria, campi di calcio e di pallacanestro, piste di atletica leggera, piscine, cybercinema, botteghe, supermercati, mense, ristoranti, pensioni, e persino un negozio di abiti da sposa. Il complesso è dotato di impianti produttivi di punta, poiché è la fabbrica modello che funge da vetrina per i clienti, i funzionari del governo e i visitatori inviati da organizzazioni mediatiche e da altre unità ispettive. La pubblicazione che funge da guida alla visita del complesso indica che ci sono dieci zone, elencate dalla A alla H, J e L, e che queste sono a loro volta suddivise in Al, A2, A3, J20, L6, L7 e così via. Ci vuole quasi un'ora a piedi per andare dalla Porta sud alla Porta nord e un'altra ora dalla Porta est alla Porta ovest. Yu non sapeva che cos'erano i singoli edifici e non conosceva il significato degli acronimi in inglese che si vedevano scritti dappertutto, ad esempio FIH (Foxconn International Holdings) e Centro JIT (Just-in-time).

Gli orari di lavoro sono notoriamente lunghi, come Yu ha ben presto imparato: "Mi alzavo alle 6,30 del mattino, alle 7,20 partecipavo a un raduno non pagato, cominciavo a lavorare alle 7,40, andavo a pranzo alle 11 e poi di solito saltavo il pasto della sera per fare lo straordinario fino alle 19,40". Oltre al turno di 12 ore, Yu, come tutti gli altri operai, era obbligata a partecipare quotidianamente ai raduni di lavoro: "Mi presentavo ai capi della catena di montaggio 15 o 20 minuti prima, per l'appello. I capi ci esortavano a mantenere alta la produttività, a raggiungere gli obiettivi giornalieri della produzione e a mantenere la disciplina". Yu sentiva che non c'era modo di rifiutare lo straordinario. All'inizio e alla fine di ogni turno gli operai dovevano strisciare le loro tessere di riconoscimento sui lettori ottici. Le catene di montaggio funzionavano ininterrottamente per 24 ore al giorno, sotto un'illuminazione intensa che rendeva visibili da lontano le lavorazioni. "In marzo mi hanno mandata al turno di notte. Il controllo degli schermi dei prodotti mi ha provocato intensi dolori agli occhi".

[...]

Entrata in un complesso di fabbriche che non conosceva, "sono andata negli isolati C10, B1, B2 e da un piano all'altro di un edificio dopo l'altro per chiedere informazioni sulla mia carta di accredito". Dopo un giorno di vana ricerca dell'ufficio giusto, mentre i manager e gli amministratori scaricavano altrove la responsabilità, Yu non riusciva a trovare indicazioni della carta di accredito. Yu ricordava: "Sono andata da un ufficio all'altro da sola ma nessuno mi dava una dritta giusta. Tutti mi respingevano, dicendo di chiedere a qualcun altro". Non le era stato pagato il salario di un mese di lavoro, circa 1.400 yuan (150 euro), di cui 900 (97 euro) di paga base e il resto di lavoro straordinario.

Era la metà di marzo del 2010 e dopo più di un mese a Shenzhen, Yu aveva speso tutti i soldi che i genitori le avevano dato. "Dove potevo farmi prestare dei soldi? In quel momento di crisi il mio telefonino si è rotto e non riuscivo a mettermi in contatto con mia cugina a Shenzhen, l'unico mio collegamento con casa e famiglia". Yu non riusciva a trovare nessuno che l'aiutasse.

Yu aveva raggiunto il limite di sopportazione. La catena di montaggio che la rendeva esausta, la dura disciplina di fabbrica e il dormitorio senza amicizie, insieme con la difficoltà che incontrava nel mettersi in contatto con gli amici e la famiglia, si sommavano al mancato pagamento del salario da parte dell'impresa. La sua testimonianza rivela quanto si sentiva sopraffatta. "Ero così disperata che la mia mente si è spenta". Alle 8 del mattino del 17 marzo, disperata, Yu si è gettata dal quarto piano del dormitorio. Dopo 12 giorni di coma si è risvegliata e ha sentito che il suo corpo era semiparalizzato. Adesso Yu è costretta a letto o sulla sedia a rotelle per il resto della vita.




Vita e morte


Se l'impresa non avesse omesso il pagamento del salario o se Yu fosse capitata a lavorare in un'altra fabbrica, più piccola e meno stressante della Foxconn, avrebbe tentato il suicidio? Il fondatore e amministratore delegato, Terry Gou, mette l'impresa al riparo da ogni responsabilità nei confronti di Yu e degli altri suicidi. In un'intervista concessa ai mezzi d'informazione sui suicidi dei dipendenti, egli sottolinea i "problemi emotivi" degli operai cinesi: "Se a Taiwan un operaio si toglie la vita a causa di problemi emotivi, il datore di lavoro non viene ritenuto responsabile, mentre noi dobbiamo risponderne in Cina perché vivono e dormono nei nostri dormitori". Mentre era in arrivo la bufera, egli si sentiva obbligato a intraprendere una qualche azione riparatrice.

L'impresa ha annunciato un programma di aumenti salariali a partire dall'inizio di giugno del 2010; al contempo, ha richiesto a chi fa domanda di assunzione di compilare un test psicologico di 36 domande. Dal punto di vista aziendale, quanti non sono capaci di affrontare "i problemi personali" sono all'origine dei guai. A quel punto, il direttore delle risorse umane esigeva che gli operai firmassero l'impegno di non togliersi la vita, impegno che conteneva la clausola esonerativa della responsabilità dell'impresa:

Ove abbia luogo una qualsiasi lesione o decesso di cui la Foxconn non possa essere ritenuta responsabile (compresi il suicidio e l'automutilazione), con il presente documento convengo di affidare il caso alle procedure legali e di controllo dell'impresa. Io stesso e i membri della mia famiglia non cercheremo indennizzi al di là di quanto richiesto dalla legge, in modo tale che il buon nome dell'impresa non sia gravemente danneggiato e che la sua attività rimanga stabile.

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Pagina 64

[...] All'inizio di questo secolo l'azienda ha investito nei settori dell'industria elettronica in Europa. Tra il 2000 e il 2013, nella sede europea della Repubblica Ceca la forza lavoro multinazionale degli stabilimenti di Pardubice e Kutna Hora è cresciuta fino a 5.000 occupati, compresi i cechi e i migranti provenienti da Bulgaria, Romania, Polonia, Ucraina, Vietnam, Mongolia e da altri Paesi. Complessivamente nel 2013 le tre fabbriche situate nella Repubblica Ceca e nella vicina Slovacchia occupavano circa 10.000 persone, sommando i lavoratori assunti direttamente e quanti sono ingaggiati dalle agenzie di reclutamento; i primi guadagnano 600-700 euro di salario mensile, mentre i secondi si fermano a 400-500 (Andrijasevic, Sacchetto 2014). Nel 2012 i 6.000 operai della Foxconn in Brasile assemblavano gli iPhone e gli iPad per la Apple guadagnando 550 dollari al mese. Nondimeno, la Cina rimane cruciale per il profilo e la redditività dell'impresa a livello mondiale.




Salari in aumento in Cina


La competitività salariale e la disciplina lavorativa della Cina sono due delle attrattive per il capitale interno e internazionale. Qual è il fattore che ha permesso alla Cina di mantenere la competitività durante i decenni di rapida crescita economica? Un fattore importante era e rimane la manipolazione della linea di demarcazione tra la popolazione urbana e la popolazione rurale con il sistema di registrazione della residenza. Sotto la guida di Deng Xiaoping e deí suoi successori che perseguivano la transizione all'economia di mercato, ai migranti rurali è stato permesso di mantenere un appezzamento di terra nel villaggio di origine. Durante la loro assenza, il pezzo di terra può essere coltivato da membri della famiglia. Il capitale transnazionale o privato è in grado di manipolare la situazione erogando paghe più basse ai migranti rurali occupati, senza fornire loro forme di previdenza adeguate o assegni pensionistici, poiché dà per scontato che il villaggio provveda alla sussistenza, all'alloggio e alla protezione nella vecchiaia.

A fronte del malcontento popolare, dai primi anni del ventunesimo secolo il governo centrale ha preso alcune misure per migliorare il reddito degli agricoltori e per aumentare il salario minimo, al fine di stimolare la crescita indotta dai consumi. Le Norme sul salario minimo varate nel 2004 impongono alle amministrazioni locali di aumentarlo almeno una volta ogni biennio. Tra il 2008 e il 2012 le amministrazioni locali hanno aumentato il salario minimo in media del 12,6 per cento all'anno, eccettuato il congelamento salariale del 2009 a seguito della recessione mondiale.

Nelle 12 città che abbiamo preso in considerazione, í salari minimi delle città dell'interno sono inferiori per una percentuale che varia da circa un quarto a un terzo rispetto ai salari minimi delle metropoli della costa (v. Tav. 2.2, salari minimi locali in ordine decrescente). A partire dal settembre 2013, i 1.620 yuan (199 euro) mensili di Shanghai e i 1.600 yuan (196 euro) di Shenzhen erano i salari minimi più alti a livello nazionale, mentre Chongqing, nella Cina occidentale, superava appena i 1.000 yuan (193 euro) al mese.

Nel 2009 il salario medio mensile dei 145 milioni di lavoratori migranti nelle città cinesi era di 1.417 yuan (circa 150 euro), compresi gli straordinari. Uno studio governativo del 2010 indica che i lavoratori migranti guadagnavano mediamente 1.748 yuan (circa 180 euro) al mese, a confronto con i 3.047 yuan (315 euro) dei lavoratori ufficialmente residenti nelle città, ossia solamente il 57 per cento del reddito di questi ultimi. Alla fine del 2012, l'Ufficio nazionale di statistica riferiva che il reddito totale medio degli operai migranti nelle grandi città aveva raggiunto i 2.290 yuan (280 euro circa), un aumento di quasi íl 12 per cento rispetto all'anno precedente. Il continuo aumento dei minimi salariali è il risultato sia dell'azione dello stato cinese sia delle richieste operaie di paghe più alte, a cui si accompagnano una maggiore mobilità della forza lavoro e i mutamenti demografici che riducono l'offerta di manodopera.




La reazione della Foxconn all'aumento dei costi


Avvantaggiandosi dei differenziali salariali e del disuguale sviluppo territoriale della Cina, la direzione aziendale sposta operai da una località all'altra per rispondere ai bisogni dell'impresa. Tali bisogni sono vincolati all'offerta di manodopera, ai differenziali salariali e all'accesso alle materie prime.

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La Foxconn si è adeguata alla compressione degli utili imposta dalla Apple e da altri committenti, tagliando i costi del lavoro attraverso sia la localizzazione in aree a basso salario sia le decurtazioni salariali (principalmente per le ore di straordinario) e previdenziali.

La Fig. 3.3 mostra che i margini operativi della Foxconn – cioè i profitti netti, una volta eliminati i costi operativi quali i salari, le materie prime e le spese amministrative – sono diminuiti costantemente negli scorsi sei anni, dal 3,7 per cento nel primo trimestre del 2007 a un magro 1,5 per cento nel terzo trimestre del 2012. Tuttavia le entrate totali sono aumentate nel medesimo periodo di pari passo con l'espansione degli ordinativi. Dal canto suo, nei primi mesi del 2012, i margini operativi della Apple hanno toccato il valore massimo, ossia il 39,3 per cento, un incremento notevole rispetto ai livelli del 2007 quando erano del 18,7 per cento. I mutamenti indicano la capacità della Apple di sottoporre a pressione la Foxconn fino a farle accettare margini più bassi in cambio di grandi ordinativi che permettono peraltro all'impresa taiwanese un continuo aumento delle entrate complessive.

I margini della Foxconn sono costantemente compressi dai giganti della tecnologia, principalmente ma non soltanto, dalla Apple. Foxconn, Pegatron e altre grandi imprese industriali cercano di espandere la posizione di mercato in quanto produttori dell'iPhone e dell'iPad. Per prodotti di marchi rinomati a livello mondiale, esse sono costrette a fornire buoni servizi alla clientela a prezzi concorrenziali e in modo molto efficiente. Per farla breve, da loro si esige di accettare tempi di lavoro sempre più stretti e prezzi sempre più bassi.

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La catena globale delle forniture guidate dagli acquirenti


Come abbiamo visto, la Foxconn è la caposervizio della Apple nella catena globale delle forniture e rimane subordinata alle decisioni prese dagli acquirenti. La catena produttiva guidata dalle imprese acquirenti mette in evidenza il ruolo di capicatena degli acquirenti medesimi. Sono questi che organizzano la produzione delle loro merci attraverso appaltatori e subappaltatori a cascata in "una rete di processi di lavoro e produzione il cui risultato finale è la merce finita" (Hopkins e Wallerstein 1986, p. 159). I marchi globali e i loro rivenditori godono spesso della posizione dominante nella rete gerarchica. Oggi la catena della merce o della fornitura non è più diffusa a raggiera bensì concentrata in alcuni Paesi, principalmente in Cina, ma anche in India, Brasile e in un esiguo numero di paesi emergenti. La Foxconn ha compiuto un'ascesa tale da diventare l'impresa più potente e tecnicamente all'avanguardia tra quelle impegnate nell'assemblaggio dei prodotti elettronici in Cina e nel resto del mondo.

Nel clima di aspra concorrenza globale, i grandi fornitori hanno approfittato del vasto bacino di forza lavoro a buon mercato dei Paesi asiatici che dominano la produzione nei settori dell'elettronica, dell'abbigliamento e del calzaturiero. Alcuni studiosi hanno notato uno spostamento di potere dai grandi acquirenti ai grandi fornitori.

La valutazione che va per la maggiore è che "sono diminuite le asimmetrie d'informazione e di potere che caratterizzavano le catene 'spinte dagli acquirenti'". Tuttavia la nostra ricerca indica un rapporto più sfumato tra "i grandi fornitori" e "i grandi acquirenti".

Il potere di contrattazione della Foxconn è cresciuto di pari passo con il miglioramento delle tecnologie di produzione, attirando soci in affari (e concorrenti) nella corsa verso il vertice della gerarchia produttiva globale. Tuttavia i giganti della tecnologia dai marchi rinomati controllano ancora le decisioni cruciali e prevalgono sui loro fornitori. Non soltanto essi catturano un'ampia quota di profitto del settore, ma sono pure in grado di dettare i tempi di consegna della produzione, il prezzo, la quantità e la qualità del prodotto nella catena delle forniture. Il loro potenziale di commercializzazione e di richiamo del marchio li rende capaci di mantenere un maggiore potere mentre cooperano con la Foxconn. È pur vero che la Foxconn si è costruita una forte posizione di produttrice di un'intera gamma di prodotti di alta tecnologia e che Apple non può recidere facilmente i legami. Ma se vuole rimanere un'impresa redditizia, Foxconn deve continuare a dipendere pesantemente dai grandi ordinativi dei marchi globali.

Apple è il marchio elettronico più fortunato della storia, ma come Samsung e altri giganti della tecnologia, essa deve far fronte all'intensa concorrenza globale. Per mantenere il vantaggio sugli altri, Apple è costretta a razionalizzare la gestione della catena delle forniture, al fine di aumentare i profitti e diversificare i rischi trasferendo la pressione diretta al principale fornitore, ossia alla Foxconn e, a cascata, agli operai e ai capi delle linee di produzione. Nel prossimo capitolo scopriremo come sono il lavoro all'interno dell'impero Foxconn e l'esperienza in prima persona di tale pressione.

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Il servizio di vigilanza e la disciplina


Dal momento in cui oltrepassano la Porta d'entrata, gli operai sono seguiti da un sistema di vigilanza che non ha eguali nelle vicine imprese di componenti elettronici e di lavorazione di materie plastiche. Ogni edificio ha posti di controllo dove le guardie sono presenti 24 ore al giorno e possono far scattare la serrata. Gli operai superano i varchi dei cancelli elettronici e delle Zone speciali di vigilanza prima di arrivare ai rispettivi reparti di produzione per cominciare il lavoro. Nella fabbrica strettamente vigilata un operaio comunicava questa sensazione: "Ho perso la mia libertà. La Foxconn ha la sua forza armata, così come un Paese ha l'esercito e la polizia. Il sistema di vigilanza è un potente strumento di dominio dell'impero Foxconn".

L'azienda giustifica il sistema di sorveglianza richiamandosi alla responsabilità contrattuale di tutelare la proprietà intellettuale dei propri clienti. Un'operaia diceva: "Non ci è permesso portare in fabbrica i telefoni cellulari, gli apparecchi di registrazione digitale o qualsiasi oggetto metallico. Se nei vestiti che indosso c'è un bottone metallico, va staccato. In caso contrario non mi si lascia entrare, oppure le guardie me lo tagliano via".

Mentre comincia il turno, i capi urlano a gran voce: "Come state?". Gli operai devono rispondere urlando all'unisono: "Bene! Molto, molto bene!". Questo esercizio — si dice — addestra i lavoratori alla disciplina. Un operaio che fa le saldature al laser raccontava: "Prima del turno si sentono tre fischi in sequenza. Al primo, dobbiamo alzarci e mettere a posto i nostri sgabelli. Al secondo, dobbiamo prepararci al lavoro e indossare i guanti speciali o prendere l'attrezzatura specifica. Al terzo, ci sediamo e lavoriamo".

Un capocatena spiegava che a ogni operaio si richiede di offrire una buona immagine ai clienti dell'impresa. La politica della Foxconn delle "8S" è costruita sulla base del metodo manageriale giapponese delle "5S" per aumentare l'efficienza e la prestazione organizzativa e fa riferimento a Seiri (selezionare), Seiton (mettere in ordine), Seiso (pulire), Seiketsu (standardizzare le procedure delle prime "3S") e Shitsuke (reggere gli sforzi di Seiri, Seiton, Seiso e Seiketsu). A queste l'azienda aggiunge: Sicurezza (Safety), Risparmio (Saving) e vigilanza (Security) per edificare il sistema cinese. La postura degli operai seduti o in piedi viene tenuta sotto osservazione tanto quanto il lavoro stesso. "Non possiamo oltrepassare 'la striscia a zebra' giallonera dipinta sul pavimento", ci ha detto un'operaia mentre spiegava la posizione in cui il suo sgabello deve essere collocato quando lei lavora alla catena.

"Non si parla, non si ride, non si dorme" è la regola numero uno della fabbrica. Qualsiasi comportamento che violi la disciplina di produzione è punito. Un operaio spiegava che "la pausa che supera i dieci minuti per andare in bagno comporta l'ammonizione orale, e parlottare durante l'orario di lavoro comporta l'ammonizione scritta". A parte l'elenco delle punizioni, tra gli altri metodi disciplinari vanno ricordati la cancellazione dei premi di produttività, il veto alla promozione, e vari metodi non sanciti nel Manuale delle Maestranze della Foxconn, quali ad esempio gli insulti e la ricopiatura forzata dei Precetti di Gou. Un operaio raccontava questa situazione: "Il mio amico era responsabile di avvitare le viti nei telefoni cellulari. Una volta, per sbaglio ha saltato un avvitamento, notato dal QC (controllo di qualità). Quando il capocatena l'ha saputo, lo ha redarguito urlando e lo ha costretto a copiare per 300 volte i Precetti del presidente e amministratore delegato!". In un'intervista di gruppo alcune donne discutevano la punizione rituale che dovevano sopportare. La loro esperienza collettiva era spiegata nel modo più chiaro da una delle operaie del gruppo.

Dopo il lavoro, tutte noi — più di cento persone — siamo talvolta costrette a rimanere nel reparto. Questo succede tutte le volte che un operaio è punito. Una ragazza è costretta a stare sull'attenti e a leggere ad alta voce la dichiarazione di autocritica. Deve parlare ad alta voce in modo che possa venire sentita. Il nostro capocatena è solito domandare se l'operaia all'estremo opposto dell'officina riesce a comprendere distintamente quale sbaglio la ragazza ha commesso. Spesso le ragazze sono consapevoli di stare perdendo la faccia. È molto imbarazzante. La ragazza comincia a piangere. La voce si affievolisce... Allora il capocatena urla: "Se un operaio perde anche soltanto un minuto [non riuscendo a mantenere il ritmo del lavoro], allora quanto tempo sprecheranno cento persone?".

La Foxconn mantiene una politica di punteggio del demerito per spingere gli operai a lavorare più duramente. Un'altra operaia spiegava: "Questa politica penalizza gli operai per piccole mancanze. Posso perdere punti perché ho le unghie lunghe, perché controbatto un rimprovero e perché mi addormento sul pavimento durante il turno di notte. Ci sono tante cose. Basta una sola mancanza e perdo il mio premio mensile".

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Un'indagine di settore del 2011 su 700 fabbriche che producono in Cina dispositivi informatici ha constatato che "i dipendenti lavoravano in media tra le 66 e le 67 ore settimanali", ben al di là della settimana standard di 40 ore, come previsto nella Legge nazionale del lavoro, e ben al di sopra dello straordinario legale di 36 ore al mese, per un totale di circa nove ore settimanali. La lunghezza della giornata lavorativa è differente nei vari paesi, ma la restrizione legale alla "giornata lavorativa normale" di otto ore fu ampiamente riconosciuta come una rivendicazione fondamentale del movimento operaio nell'Europa a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. All'interno della Foxconn, tuttavia, la tendenza è stata a lungo quella al prolungamento della giornata lavorativa, al punto che il lavoro notturno e domenicale è diventato la norma nelle stagioni a più alta intensità produttiva.

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Le differenze nel pacchetto salariale sono tra i fattori essenziali che rendono appetibili i tirocinanti. Contrariamente ai dipendenti che possono avere i requisiti per la maggiorazione di qualifica di 400 yuan (42 euro) al mese, i tirocinanti non hanno diritto alla valutazione delle capacità o all'aumento salariale durante il tirocinio, anche se nella fabbrica degli iPad di Chengdu sia i tirocinanti sia gli operai neoassunti ricevono 950 yuan (100 euro) al mese a partire dal gennaio del 2011. Inoltre i tirocinanti non hanno diritto alle gratifiche di produttività e di fine anno e ai premi trimestrali, indipendentemente dal merito della loro prestazione lavorativa. A differenza dei dipendenti, i tirocinanti non usufruiscono di alcuna delle protezioni assicurative regolate dall'amministrazione locale.

L'azienda giustifica la differenziazione del salario e delle maggiorazioni con il fatto che gli studenti sono legalmente definiti tirocinanti, ossia che sono studenti e non lavoratori, con uno sbalorditivo capovolgimento della realtà imposta dall'impresa. Anche soltanto un breve sguardo ai numeri rivela che per un totale di 150.000 studenti tirocinanti che lavorano in varie fabbriche durante un mese nella stagione estiva, per la Foxconn i risparmi derivanti dalla sola voce della previdenza sociale, che non viene pagata per i tirocinanti, è di circa 15 milioni di yuan (1.585.000 euro) al mese (150.000 x 100 yuan [circa 11 euro]). Per quanto sia un calcolo semplificato, esso dà la dimensione dei risparmi ottenuti dal datore di lavoro, tenendo conto che molti tirocinanti lavorano per un anno.

La Foxconn usa gli studenti come manodopera flessibile e a buon mercato, ignorando le funzioni di addestramento dei programmi di tirocinio, la salute e il benessere dei giovani. In riferimento alle Direttive del 2007 in materia di gestione dei tirocini (art. 5, "i tirocinanti non possono lavorare per più di otto ore al giorno") e alla Circolare sull'istruzione del 2010 (comma 4, "i tirocinanti non possono fare straordinari al di là della giornata lavorativa di otto ore"), è opinione comunemente condivisa che l'addestramento di tirocinio per un massimo di otto ore debba svolgersi durante le ore diurne, al fine di rispettare la sicurezza e la salute psico-fisica degli studenti tirocinanti. In pratica, nel lavoro essi sono sottoposti al medesimo trattamento degli operai, compresa la rotazione mensile dei turni giornalieri e notturni e i lunghi straordinari. Vengono così disattesi la lettera e lo spirito della legge sull'istruzione.

Una domenica mattina, ai primi di dicembre del 2011, abbiamo incontrato tre studenti tirocinanti. Alla fermata dell'autobus sono arrivati con mezz'ora di ritardo all'appuntamento. "Scusate, non ci siamo svegliati in tempo". Uno dei ragazzi, Xiao Li, ha abbozzato una smorfia che ci ha fatto scoppiare in una risata. Li abbiamo invitati ad andare insieme in un vicino ristorante a prendere una bevanda aromatizzata che ci svegliasse tutti. I ragazzi hanno fatto un cenno di approvazione e un grande sorriso. "Il cibo che viene servito nella mensa della fabbrica è molto caro. Una scodella di tagliatelle in brodo costa 8 yuan [0,90 euro]. Nell'Istituto professionale soltanto 5". In fabbrica i pasti non sono gratuiti; il loro costo viene detratto dal salario mensile dei tirocinanti, sulla base di quanto hanno mangiato. E l'azienda non provvede neppure all'alloggio, il cui costo è detratto dal salario (150 yuan al mese [circa 18 euro]), contrariamente a quanto dichiara.

Xiao Li ha detto che l'unica cosa buona è che "non devo chiedere ai genitori di mandarmi soldi". I tre ragazzi si sentivano annoiati e sfiniti dal lavoro, ma pensavano di dover fare gli straordinari per guadagnare abbastanza soldi da poter concedersi qualche piccolo svago personale. Anche se avevano imparato poco o niente durante il tirocinio, erano contenti di aver trovato nuove libertà nella metropoli. A Shenzhen loro sognavano di comprare cellulari nuovi, cantare nei bar di karaoke e divertirsi con nuovi amici e amiche. Nessuno dei tre era riuscito a risparmiare soldi, né tantomeno a mandarne a casa.




Manodopera studentesca usa e getta


I tirocinanti non sono soltanto manodopera a basso costo, sono anche vuoti a perdere, usati per rispondere senza problemi ai picchi di produttività dell'impresa. Nella corsa all'iPhone 5 del settembre 2012, per esempio, gli studenti della città di Huai'an, nella provincia costiera dello Jangsu, sono stati fatti lavorare come tirocinanti alla linea di montaggio, ricorrendo anche a straordinari e a turni notturni. A differenza dei dipendenti, i tirocinanti possono essere rimandati a casa senza indennizzo e senza il preavviso di 30 giorni, il che abbassa i costi e massimizza la flessibilità dell'impresa nel reagire agli alti e bassi degli ordinativi. Ultimo ma non meno importante, ai tirocinanti sono proibite l'iscrizione al sindacato e le garanzie che ne derivano, non essendo essi legalmente definiti "manovali".

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Nel gennaio 2012, per la prima volta la Apple ha reso pubblici i risultati dei "controlli ambientali specializzati", insieme con una serie di ispezioni sulla sicurezza sul lavoro e la salute presso "fornitori ad alto rischio", allo scopo di calmare le acque. Questi controlli comprendevano "ispezioni in loco delle attrezzature per il trattamento delle acque reflue, per la gestione delle emissioni, per lo smaltimento dei rifiuti solidi e per l'eliminazione dei rumori sia nello stabilimento sia nelle aree circostanti".

Meno noto al pubblico è stato il fulmineo ritiro, da parte della Apple, del gioco educativo "Phone Story" dal suo iTunes App Store, solo poche ore dopo il lancio, nel settembre 2011. Il gioco, sviluppato dal team italiano Molleindustria, aveva lo scopo di aumentare la consapevolezza riguardo al livello di contaminazione globale e di ingiustizia sul lavoro causati dal ciclo di vita di un iPhone, "dall'estrazione di materie prime in situazioni di guerra, dai processi produttivi che hanno spinto i lavoratori al suicidio, dal consumismo e dall'obsolescenza programmata, fino all'enorme produzione di rifiuti elettronici e ai disastri ambientali". Apple ha giustificato la cancellazione del gioco "Phone Story" in questo modo: "Le applicazioni che mostrano violenza o abuso di minori" e "le applicazioni che mostrano contenuti altamente discutibili o volgari saranno rifiutate". Ma a minacciare le vite dei lavoratori e degli abitanti vicini alle fabbriche è forse la semplice descrizione degli abusi aziendali commessi da Foxconn e da Apple, oppure sono, in realtà, quegli stessi abusi?

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Gli standard lavorativi in Cina sono notoriamente bassi, ma nel caso della Foxconn due elementi fondamentali li spingono ancora più in basso. In primo luogo, la multinazionale è protetta da complessi legami con il governo cinese a livello locale. Il desiderio di crescita economica, a beneficio dei politici e degli imprenditori, supera la preoccupazione per la salute e la sicurezza dei lavoratori che, data la vasta popolazione cinese, sono in gran parte sostituibili. In secondo luogo, le aziende clienti di Foxconn, compresa la Apple, esercitano una forte pressione sui loro fornitori per raggiungere le quote di produzione stabilite, provocando un'immensa pressione sugli operai e mettendo a rischio la loro incolumità e sicurezza. Tagliare i costi e ridurre i tempi di produzione ha aiutato imprese quali la Apple e i loro fornitori come Foxconn, Pegatron e Wintek a incamerare lauti profitti. Nelle relazioni aziendali più recenti, la protezione del benessere dei lavoratori è sempre messa in evidenza. Ma l'impegno a far sì che le procedure lavorative siano sicure è molto meno chiaro, soprattutto se l'impegno comporta una riduzione degli utili.

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Capitolo 9
LE PROTESTE OPERAIE



Il 23 settembre del 2012, il suono di una sirena ha squarciato la notte nella fabbrica della Foxconn di Taiyuan, nel nord della Cina, dove lavorano 80.000 operai. Il suono ha svegliato non soltanto il direttore generale Terry Gou, ma anche il governatore della provincia di Shanxi, Wang Jun, e il mondo che conta di Taiyuan. Alle tre di notte del 24 settembre, davanti alla fabbrica, erano schierati 5.000 poliziotti in assetto anti-sommossa, i più importanti funzionari governativi e il personale medico. Nel corso delle due ore successive, la polizia anti-sommossa ha preso il controllo dei dormitori della fabbrica e di tutti gli edifici dello stabilimento, arrestando i lavoratori più radicali. Oltre quaranta operai sono stati picchiati, ammanettati e allontanati a bordo di una mezza dozzina di mezzi della polizia. Con una procedura d'emergenza, l'impresa ha annunciato un giorno straordinario di ferie per tutti gli operai e gli altri dipendenti dello stabilimento di Taiyuan per il 24 settembre. Lo stesso giorno, Tim Cook, il direttore generale di Apple, ha assicurato che i rivenditori avrebbero "continuato a ricevere regolarmente le spedizioni di iPhone 5 e dunque i clienti potevano continuare a ordinare on-line e avrebbero ricevuto il prodotto nella data prevista". A quanto pare, la continuità nel rifornimento dei prodotti, i tempi di spedizione e il rispetto degli ordini erano le preoccupazioni principali della Apple. Dopo l'incidente Yu Zhonghong, un diplomato di ventun anni che aveva lavorato in quello stabilimento per due anni, ha scritto una lettera al direttore generale della compagnia Terry Gou, che si apriva così:
        Lettera al direttore generale della Foxconn, Terry Gou

Se non vuoi essere svegliato di colpo dal sonno profondo del cuore della notte,
se non vuoi continuare a sbatterti in giro in aereo,
se non vuoi subire un'altra indagine da parte della Fair Labor Association,
se non vuoi che la tua impresa sia considerata una fabbrica dello sfruttamento,
per favore, trattaci con un po' di umanità.
Lasciaci un po' di autostima come esseri umani.
Non lasciare che i ruffiani che hai assoldato ci perquisiscano e
rovistino tra le nostre cose.
Non lasciare che i ruffiani che hai assoldato molestino le operaie.
Non lasciare che i tuoi lacchè trattino ogni lavoratore da nemico.
Non sgridare senza motivo, o ancora peggio, non picchiare i lavoratori
per ogni piccolo errore.

        L'irata lettera di Zhonghong a Terry Gou continua:

Dovresti renderti conto che lavorando nelle tue fabbriche
gli operai vivono al livello infimo,
sopportano i carichi di lavoro più pesanti,
guadagnano i salari più bassi,
accettano i regolamenti più severi,
e una continua discriminazione dappertutto.
Anche se tu sei il mio capo e io un operaio,
ho il diritto di parlarti alla pari.

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Capitolo 10
OPERAI CINESI NELLA PRODUZIONE GLOBALE



La Cina è largamente conosciuta come la fabbrica del mondo – un colosso della produzione di massa e della crescita economica sostenuta dalle esportazioni. Produzione, distribuzione e consumo trainano l'accumulazione del capitale in Cina e a livello globale. Apple, Samsung, Google (che ha comprato Motorola nel 2012 cedendola a Lenovo nel 2014), Microsoft (che ha acquisito Nokia nel 2014), Amazon, Sony, Nintendo, Lenovo e altri sono impegnati in una competizione testa a testa per la vendita di smartphone, computer, tablet e console per videogiochi. Tutti fanno ricorso alla Foxconn quale produttore efficiente dei loro prodotti, sebbene si appoggino spesso anche ad altre imprese. Potremmo dunque dire che le condizioni alla Foxconn, con i suoi 1,4 milioni di dipendenti, mostrano in piccolo quelle che sono le vite di milioni di operai nella Cina in rapida industrializzazione e urbanizzazione, ora diventata la seconda economia a livello mondiale.

Dagli anni '80, lo stato cinese si è alleato con il capitale globale e nazionale, creando una nuova classe operaia che ha il suo fulcro nei lavoratori rurali migranti. Acclamati dal capitale privato e dagli intellettuali delle riforme per la loro accondiscendenza ad accettare bassi salari e adattarsi ai cambiamenti del mercato, gli operai migranti rurali sono messi a confronto con la vecchia forza lavoro urbana del settore statale, un tempo considerata "il padrone della società" e ora derisa come "non flessibile" e "improduttiva". La ricercatrice Dorothy Solinger (2009), nel suo importante studio comparativo su Cina, Francia e Messico tra il 1980 e il 2000, mette in relazione molto chiaramente i guadagni del capitale e dello stato con quanto hanno perso i lavoratori in termini di posto fisso, assicurazione sanitaria, pensioni e status. Dopo i licenziamenti di massa che hanno accompagnato la ristrutturazione e la privatizzazione delle aziende statali negli anni '90, e la successiva diffusione delle imprese private nazionali e straniere, la distinzione di status tra i migranti e i locali si è in qualche modo offuscata, in particolare nel settore manifatturiero e in quello dell'assemblaggio dove i margini di profitto sono ridotti. Oggi sono molti di più i giovani operai coinvolti in catene della produzione globale che guadagnano il salario minimo statale e sono privi di garanzie di sicurezza.

Nel 2013, il prodotto interno lordo cinese ha raggiunto i 56,9 trilioni di yuan (circa 6,9 trilioni di euro), con una crescita del 7,7 per cento rispetto all'anno precedente, superando l'obiettivo ufficiale del 7,5 per cento. La struttura proprietaria tripartita è composta da imprese con partecipazione di capitale straniero, aziende private nazionali e imprese di proprietà statale. All'interno di questa struttura, il settore privato, sia internazionale sia nazionale, domina la produzione e l'esportazione dei prodotti di alta tecnologia. Dietro la facciata della prosperità economica, tuttavia, crescono le disuguaglianze sociali e di classe.

All'inizio del 2013, con la nuova guida del governo centrale del presidente Xi Jinping e del capo del governo Li Keqiang, dopo oltre un decennio di silenzio i ricercatori hanno ricominciato a fornire dati statistici sulle disuguaglianze di reddito. Gli ultimi dati attribuiscono alla Cina un indice Gini pari allo 0,47 (a livello internazionale, un coefficiente Gini dello 0,4 o superiore è ritenuto elevato); un livello paragonabile a quello della Nigeria, e di poco superiore a quello degli Stati Uniti, Paesi che si collocano ai primi posti negli indici di disuguaglianza sociale. Questo divario rappresenta una netta inversione per una nazione che, durante il periodo dello stato socialista, tra gli anni '50 e gli anni '70, era nota per i bassi livelli di disuguaglianza dei redditi.

La crescente disuguaglianza dei redditi ha coinciso con l'emersione del Paese, che la Banca Mondiale ha classificato nel 2011 tra i Paesi a "reddito medio alto", riconoscendo la crescita del reddito pro capite degli ultimi decenni. Analogamente, nel 2012 il Fondo Monetario Internazionale ha osservato che il reddito pro capite cinese non era assolutamente da collocare tra i più bassi a livello globale, anche se ha rilevato che esso rimaneva una minima frazione rispetto a quelli dei Paesi sviluppati, compresi quelli dell'Asia orientale. Il reddito pro capite cinese era pari a 6.076 dollari (classificandosi all'ottantasettesimo posto), più alto dei 5.678 dollari della Tailandia (novantatreesimo), dei 3.910 dell'Indonesia (centocinquesimo), dei 2.617 delle Filippine (centoventicinquesimo), dei 1.528 del Vietnam (centotrentottesimo) e dei 1.492 dell'India (centoquarantesimo). Tuttavia, è difficile considerare la Cina un Paese a reddito medio-alto quando si valutano le condizioni medie dei contadini, degli operai migranti rurali e dei lavoratori urbani sospesi temporaneamente dal lavoro. Gli operai e i contadini cinesi, che costituiscono ancora una larga parte della popolazione, sono ben al di sotto degli standard del reddito medio.

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        Lamento per i nostri compagni di lavoro martirizzati della Foxconn

Dalla radio
La musica vibra ancora all'orecchio
La televisione
Un piacevole schermo davanti agli occhi
Tu, intorno a me, il tuo aspetto armonioso
Copre gli odiosi battiti del cuore del capitale

Un animo odioso non può nascondersi
Il mantello dell'età dell'oro avvolge stretto

Salto
Uso la mia vita per porre fine alla tua gioia
Salto
Uso la mia vita per fermare la catena di montaggio
Salto
Uso la mia vita per dimostrare alla gente
Salto
Uso la mia vita per protestare contro questa epoca
Salto
Uso la mia vita per strappargli il mantello
Salto
Uso la mia vita per mostrare alla gente il tuo puzzo di sangue
Salto
Uso la mia vita per rivelare i bisogni delle persone
Salto
Uso la mia vita per farli risvegliare dalla loro anestesia
Salto, salto, salto
Usiamo le nostre vite per scavare un varco più grande
Salto
Uso la mia vita alla ricerca della dignità umana.

        Xiaoxiao, operaio di fabbrica migrante rurale

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