Copertina
Autore Aleksandr Puskin
Titolo Fiabe in versi
EdizioneMarsilio, Venezia, 2004 [1990], Le betulle , pag. 200, cop.fle., dim. 120x181x12 mm , Isbn 978-88-317-5307-4
OriginaleZar Nikita, al. [1822]
CuratoreCesare G. De Michelis
TraduttoreCesare G. De Michelis
LettoreLuca Vita, 2004
Classe classici russi , favole
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Indice

  9 Storia di un gallo e delle sue figlie
    di Cesare G. De Michelis
 33 L'autore e l'opera

    FIABE IN VERSI

 39 Zar Nikita e le sue quaranta figlie
 55 Fiaba del pop e del suo bracciante, Gnocco
 67 Fiaba dello zar Saltàn, di suo figlio il famoso
    e possente bogatyr principe Gvidòn Saltànovic
    e della bellissima zarévna-cigno
129 Fiaba del pescatore e del pesciolino
143 Fiaba della zarevna morta e dei sette bogatyri
179 Fiaba del galletto d'oro

195 Note

 

 

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Pagina 9

STORIA DI UN GALLO
E DELLE SUE FIGLIE



Le fiabe di Aleksandr Sergeevic Puskin hanno goduto e godono, in Russia come altrove, della fama riservata alle opere minori dei grandi: come di aggraziati esercizi nutriti di nazional-popolare (narodnost'), pur col riconoscimento che il poeta vi infuse «tanta vitalità, tanta grazia, e tanto sentimento, che la critica non esitò a chiamarli dei capilavori». La raccolta di materiale folclorico russo, e in particolare le «succose fiabe narrategli dalla balia Arina Rodionovna», su cui sarebbero nate le composizioni puskiniane, sono una pagina quasi canonica della biografia letteraria del massimo poeta russo.

A ciò concorre altresì la grande risonanza mondiale di due di esse (le fiabe sullo Zar Saltan e sul Galletto d'oro), grazie alle opere liriche che ne trasse Nikolaj Rimskij-Karsakov all'inizio del XX secolo, in un'epoca in cui la stilizzazione del folclore russo fu componente non secondaria dell' art nouveau (e basti richiamare le illustrazioni che ne fece all'epoca, 1904-1910, Ivan Bilibin).

Una russità un po' calcata, una sorridente levità quasi «infantile» (giusta l'uso canonico delle fiabe): a far da controcanto al Puskin «maggiore» - l' Evgenij Onegin, il Boris Godunov, la lirica e le microtragedie -, ma con eccezionale maestria metrica e compositiva, che trasforma in «piccoli gioielli» la materia bassa, dell'inventiva popolare; o sennò, il profondo impegno ideologico e politico del poeta oppresso dallo Zar e dalla sua macchina inquisitiva, il quale trova linfa poetica e nutrimento nuovo nell' abbassarsi verso il popolo. Tutto sommato, questa è la moneta che dovrebbe ripagare il lettore di tali esercizi tipicamente proto-ottocenteschi (che tale è di fatto il genere della «fiaba in versi»), ancorché a firma di Puskin.

Non pensiamo che le cose stiano esattamente così, e ci proveremo di mostrarlo in questa nuova edizione italiana delle Fiabe di Puskin.

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Pagina 39

ZAR NIKITA
E LE SUE QUARANTA FIGLIE



C'era un tempo zar Nikita,
ricco, in ozio, in allegria,
bene o male non faceva,
e fioriva la sua terra.
Un pochino egli lavora,
mangia, beve, prega Iddio;
e da più madri diverse
generò quaranta figlie.
Quarant'ottime fanciulle,
quarant'angeli del cielo,
belle d'anima e di cuore.
Dio mio! che piedino, -
che testina, chioma bruna;
che incanto, occhi e voce;
ed il senno: da impazzire.
Dalla testa ai piedi: tutto
ti prendeva, anima e cuore.
Sol mancava una cosina.
Che cos'è questo qualcosa?
Ma così, inezie, un nulla.
Beh: o nulla, o molto poco,
tuttavia essa mancava.
Come fare per spiegarlo,
e non far montare in bestia
quella sciocca, pia, altezzosa,
della rigida censura?
Come fare?... Dio mio, aiuto!
Tra le gambe, alle zarevne...
No: così è troppo in chiaro
- e il pudore violerebbe, -
beh, mettiamola a tal modo:
amo in Venere io il seno,
e le labbra, e più il piede,
ma acciarino dell'amore,
mèta della mia passione...
Che cos'è?... Ma niente, niente!...
Niente, ovvero molto poco...
Proprio quello che mancava
alle giovani zarevne
tutte vispe e birichine.
Quella nascita sì strana
gettò proprio in imbarazzo
tutti i cuori della corte.
Che tristezza, per il padre,
per le povere mammine...
Come il popolo lo seppe
dalle donne-levatrici -
spalancò ciascun la bocca:
che stupore, che sgomento;
se qualcuno ridacchiava,
lo faceva di soppiatto,
a Nercinsk per non andare.
Convocò lo zar la corte,
e le njane e le mammine -
ed emise un'ordinanza:
«Se qualcuno tra di voi
corrompesse le bambine,
o facesse far pensieri,
o soltanto vi alludesse
(dico a ciò di cui son prive),
o facesse doppi sensi,
o facesse dei gestacci, -
non son uso di scherzare:
alle donne, zac!, la lingua,
ed ai maschi un ché di peggio,
che talor si fa più duro».
Era zar severo e giusto,
e il suo ordine eloquente;
s'inchinò ciascun con tema,
ben decisi a stare all'erta
con le orecchie bene tese,
a guardare il proprio bene.
Paventavano le mogli
che sgarrassero i mariti;
e i mariti, dentro dentro:
«Fanne una, moglie mia!»
(quanta rabbia c'era in cuore!)
Venner su le mie zarevne:
quale pena! Nel consiglio
lo zar porta il suo problema:
è così e cosà, è chiaro?
zitto, piano, sottovoce,
fate più attenzione ai servi.
Rifletterono i bojari
come rimediare al guaio.
Ecco, un vecchio consigliere
riverì tutti - e d'un tratto
si batté la calva fronte
con la mano, e gracchiando:
«o saggissimo sovrano!
Non punire il mio ardimento,
se racconto una sconcezza
corporale, d'una volta.
Conoscevo una ruffiana
(dove sta? che farà oggi?
certo, quel che già faceva).
La tenevano per strega,
rimediava a tutti i guai,
e dei membri all'impotenza.
Giusto lei devi trovare,
e la strega farà tutto,
metterà quel che bisogna».
«Che si mandi alla ricerca! -
zar Nikita prende a urlare,
aggrottando i sopraccigli:
«Trovar subito la strega!
E se poi c'ingannerà,
- non ottiene quel che serve,
o ci mena per il naso,
o se mente a bella posta, -
non sarò più zar, ma un fesso,
se un lunedì di magro
non farò bruciar la maga:
e con ciò supplico il cielo».

In segreto, di soppiatto,
con mandato di corriere,
messi vennero inviati
agli estremi della terra.
Al galoppo, ovunque vanno,
alla cerca della maga.
Passa un anno, passa l'altro -
non ne giunge alcuna nuova.
Ma, ecco, infine uno zelante
imboccò la traccia buona.
S'inoltrò in un cupo bosco
(certo, lo portò il demonio),
c'è nel bosco una casetta,
e la strega, una vecchina.
Era un messo dello zar,
quindi entrò dritto da lei,
riverì la strega, asciutto,
ed espose la questione:
come nacquer le zarevne
e di cosa erano prive.
Capì tutto in un istante...
Alla porta spinse il messo
e gli fece: «Esci in fretta:
non ti devi poi voltare,
che, se no, febbre ti colga...
Torna quindi fra tre giorni,
per l'inoltro, e la risposta;
ma ricorda: al far dell'alba».
Poi la strega si rinchiuse,
si munì d'un carboncino,
strologò per tre giornate,
adescò il suo demonio.
Quello le portò uno scrigno,
- per l'inoltro poi a palazzo -
tutto pieno di cosine
sconvenienti, e idolatrate.
E ve n'eran d'ogni fatta:
d'ogni taglia e d'ogni tinta,
tutte scelte e ricciolute...
Le selezionò, la strega,
scelse le quaranta meglio
ed avvolte in un bel panno
le richiuse nello scrigno;
quindi licenziò il messo,
con dei soldi per il viaggio.
Egli va; rosso è il tramonto...
Ebbe voglia di riposo,
e di fare uno spuntino,
di saziarsi poi di vodka:
era un provvido ragazzo,
ben munito per il viaggio;
e così sbrigliò il destriero,
a mangiar si mise calmo.
Pascolò il cavallo. Lui
pensa alla ricompensa:
conte, principe; chissà.
Ma che c'è dentro lo scrigno?
Cosa invia allo zar la strega?
Spia da una fessura: niente!
Proprio chiuso. Che peccato!
La curiosità lo prende,
e lo rende tutto ansioso.
Alla toppa pon l'orecchio -
ma l'udito nulla avverte;
fiuta - sente un noto odore...
Accidenti! che cos'è?
Ma che male c'è, a guardare?
Più non resistette il messo...
Ma, lo scrigno appena aperto,
via!, le passere a volare:
si posarono sui rami
rigirando le codine.
Dài, le chiama, il nostro messo,
e le invoglia coi biscotti:
sparge briciole, ma invano
(non è ciò di cui han fame):
là sui rami il canto è bello,
ma perché restar rinchiuse?
Si trascina per la strada
una vecchia con la gruccia,
tutta curva come un arco.
Si gettò ai suoi piedi il messo:
«Ci rimetto qui la testa!
dammi aiuto, mia mammina!
Guarda tu quale disgrazia:
io non riesco più a acchiapparle!
Come mi trarrò d'impaccio?»
La vecchina guardò in alto,
poi sputò, e bisbigliando:
«Non ti sei portato bene,
ma non piangere, su, forza...
Basta sol che gliela mostri,
e vedrai che volan giù».
«Bene, grazie!», disse quello...
Non appena lo mostrò,
giù le passere da lui,
e ripresero l'alloggio.
Per non correre altri guai,
senza fare tante storie
le rinchiuse sotto chiave
e si mosse verso casa.
Consegnate alle zarevne,
le ingabbiarono all'istante.
Gioia immensa dello zar:
diede subito gran festa.
Sette giorni di baldoria,
di riposo un mese intero.
Decorò il Consiglio tutto,
né dimenticò la strega:
le inviò dalla Kunstkàmera
sotto spirito un bel móccolo
(che stupiva tutti quanti),
due scheletri e due vipere,
dal medesimo museo...
Anche il messo fu insignito,
e qui termina la fiaba.

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