Copertina
Autore Qiu Xiaolong
Titolo Quando il rosso è nero
EdizioneMarsilio, Venezia, 2006, Farfalle , pag. 286, cop.fle., dim. 13,5x20,4x2,1 cm , Isbn 978-88-317-8972-1
OriginaleWhen Red is Black
EdizioneSoho Press, New York, 2004
TraduttoreFabio Zucchella
LettoreAngela Razzini, 2007
Classe narrativa cinese , gialli
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Pagina 7

1.



L'agente Yu Guangming, della polizia di Shanghai, ancora barcollava sotto il peso del colpo. Non se n'era accorto subito, ma adesso che l'impatto cominciava a fare effetto si sentiva stritolato. Dopo mesi e mesi di continue riunioni e infiniti negoziati, aveva perso l'appartamento al Nuovo Villaggio di Tianling. Era un alloggio nuovo, e gliel'avevano assegnato in via ufficiale; il conferimento era stato perfino annunciato alla centrale, tra fragorosi applausi.

In una città sovrappopolata come Shanghai, abitata da più di tredici milioni di abitanti, la penuria di case era un problema molto grave. L'assegnazione di un alloggio era un evento significativo. Per molti anni era toccato all'unità lavorativa – nel caso di Yu, il corpo di polizia di Shanghai – decidere a quale dipendente assegnare una stanza o un appartamento della quota annuale spettante all'unità lavorativa stessa. In riconoscimento degli oltre dieci anni di straordinario servizio, finalmente Yu era stato premiato con un bilocale, o perlomeno con le chiavi del bilocale. Ma inaspettatamente, ancor prima di poter iniziare il trasloco, si erano ripresi l'appartamento.

Yu si trovava in un piccolo cortile disseminato di cianfrusaglie polverose, gli scarti di tutte le persone che vivevano nella vecchia shikumen, l'edificio che ospitava non meno di dodici famiglie, compresa la sua. Quel cortile assomigliava a una discarica, e lui si sentiva la testa allo stesso modo. Si accese una sigaretta.

Gli avevano spiegato, a mo' di giustificazione, che la revoca dell'appartamento era dovuta a una questione di compensazione dei debiti tra le varie aziende di stato. Il creditore di un'altra azienda di stato aveva confiscato gli appartamenti del Nuovo Villaggio di Tianling, appena edificati dall'impresa di costruzioni Drago d'Oro. E tra di essi c'era la casa assegnata a Yu. Questo rovescio della fortuna era assurdo; era come se un'anatra pechinese arrostita avesse preso il volo dal piatto.

Qualche giorno prima, quando gli aveva comunicato la cattiva notizia, il segretario di Partito Li, del dipartimento di polizia di Shanghai, aveva parlato a lungo con Yu, prima di concludere, come sempre, con il suo consueto tono positivo: «Le riforme economiche stanno portando grandi cambiamenti. Due o tre anni fa molti di questi cambiamenti sarebbero stati inimmaginabili. Anche il nostro sistema abitativo ne verrà influenzato. Presto il popolo cinese non dovrà più dipendere dalle quote governative. Mio cognato, per esempio, ha recentemente acquistato un nuovo appartamento nel distretto di Luwan. Naturalmente lei rimane sempre in cima alla nostra lista. La centrale terrà il suo caso in particolare considerazione. Se in futuro lei acquisterà un appartamento, saremo comunque in grado di assegnarle qualche tipo di compensazione.» E questo doveva consolarlo!

Dopo più di quarant'anni, durante i quali in città l'assegnazione degli alloggi era stata stabilita dal governo, una nuova politica consentiva al popolo di comprarsi la casa, ma, così recitava il detto, la politica può cambiare per tre volte nel corso di una sola giornata. Nessuno poteva prevedere il futuro delle riforme in Cina. Il cognato di Li, proprietario di parecchi costosi ristoranti e bar, non aveva avuto problemi ad acquistare un appartamento al prezzo di quattromila yuan al metro quadro. Per Yu, poliziotto di basso livello con un salario mensile di circa quattrocento yuan, una simile cifra era un sogno che non osava neppure sognare.

«Ma l'appartamento mi è già stato assegnato» aveva detto testardo Yu. «È una decisione del dipartimento che è già stata formalizzata.»

«Capisco. È ingiusto nei suoi confronti, compagno agente Yu. Mi creda, ho cercato di fare il possibile. Tutti ci rendiamo conto del suo eccellente stato di servizio. Ma d'altra parte abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere. Ci dispiace.»

Le belle parole di Li non potevano modificare la dura realtà: Yu aveva perso l'appartamento.

E la cosa terribile era che avrebbe anche perso la faccia. Amici e parenti sapevano già del nuovo alloggio, e tutti si erano congratulati con lui; qualcuno aveva addirittura preparato una festa di inaugurazione. E adesso?

Ma ciò che lo preoccupava maggiormente era la reazione di sua moglie, Peiqin. Durante i quindici anni del loro matrimonio era sempre stato un tenersi le mani, parlare, parlare, parlare, come diceva una canzone popolare. Fin dai giorni della Rivoluzione Culturale, quando erano due "giovani istruiti" mandati nello Yunnan per essere rieducati, e poi a Shanghai, come una dei milioni di coppie ordinarie, erano sempre stati insieme. Ultimamente, però, lei gli era sembrata distante.

E la cosa non gli risultava difficile da capire. In tutti quegli anni Yu aveva portato a casa poco, a paragone di Peiqin. Era innegabile, e talvolta anche insopportabile, che sua moglie guadagnasse di più come contabile in un ristorante che Yu come poliziotto. E questo divario era vieppiù cresciuto negli ultimi anni, grazie alle tante gratifiche ricevute da Peiqin. Per non parlare poi dei manicaretti gratuiti che portava a casa dal ristorante.

Sulle prime l'annuncio dell'assegnazione aveva momentaneamente fatto salire di una tacca o due, per così dire, il livello di stima e di autostima. Lei era entusiasta, e parlava a tutti dell'alloggio ottenuto dal marito «grazie al suo eccellente lavoro.»

Ma da quando era arrivata la cattiva notizia gli rivolgeva a malapena la parola. Yu rifletté su tutto ciò mentre la sigaretta gli bruciava le dita. L'ennesimo segno che, nella società attuale, la carriera di poliziotto di basso livello non avrebbe avuto troppi sbocchi.

Ai tempi di suo padre, Vecchio Cacciatore, anche un poliziotto aveva almeno la dignità di aver contribuito alla "dittatura del proletariato", e la consapevolezza di essere uguale a tutti gli altri dal punto di vista materiale in una società egalitaria. Adesso, negli anni Novanta, il mondo era cambiato: il valore individuale era determinato dal denaro posseduto. Il compagno Deng Xiaoping aveva detto che «qualcuno doveva diventare ricco per primo.» E qualcuno ci era senz'altro riuscito. Adesso, in questo paese socialista diventare ricchi significava diventare famosi. Per tutti coloro che non diventavano ricchi, indipendentemente dal duro lavoro svolto, il «Quotidiano del Popolo» non spendeva neanche una riga.

L'agente Yu era un poliziotto scrupoloso, ma nonostante avesse già superato i quaranta non aveva ancora una stanza tutta per sé. L'abitazione in cui viveva con Peiqin e il figlio Qinqin da quando erano tornati in città, all'inizio degli anni Ottanta, in origine era stata una sala da pranzo, in quell'ala della casa assegnata a Vecchio Cacciatore all'inizio degli anni Cinquanta.

In realtà Peiqin non si era mai lamentata, ma dopo la revoca dell'assegnazione quel silenzio era assordante. Una volta aveva messo in discussione la sua dedizione al lavoro investigativo, anche se non in modo diretto. In questi tempi di "riforme economiche" la gente poteva scegliersi la propria carriera, anche se certe strade erano rischiose. Essendo un poliziotto, Yu aveva la sua "scodella di ferro", che per molti anni aveva significato la sicurezza di un lavoro a vita nell'utopia comunista del Presidente Mao. La scodella di ferro, ovvero infrangibile e sempre piena di riso, era sinonimo di lavoro fisso, con uno stipendio garantito, l'assistenza medica e le tessere alimentari. Ma adesso quella stessa scodella di ferro non era più così ambita. Geng Xing, un ex collega di Yu, si era congedato per aprire un ristorante privato e, secondo Peiqin, guadagnava cinque o sei volte ciò che guadagnava un ristorante statale. Yu ricordò che Peiqin aveva parlato della scelta di Geng come se si aspettasse da lui una qualche risposta in merito.

Yu riconobbe di trovarsi in una grave crisi; schiacciò il filtro della sigaretta sul lavatoio in cemento del cortile e poi tornò alla sua stanza.

Peiqin si stava lavando i piedi in una bacinella di plastica verde. Rimase seduta, ricurva sullo sgabello di bambù, senza alzare gli occhi. Sul pavimento c'erano delle pozze d'acqua. Inevitabile. La bacinella era troppo piccola. Riusciva a malapena a stendere gli alluci.

Durante il periodo della loro "rieducazione" giovanile nello Yunnan, che adesso sembrava un'altra vita, Peiqin, seduta di fianco a lui, aveva immerso i piedi in un ruscello, un ruscello limpido e sereno che scorreva dietro la loro capanna di bambù. A quei tempi il loro unico sogno era quello di tornare a Shanghai, come se, così facendo, tutto si sarebbe dispiegato dinnanzi a loro come l'arcobaleno nel cielo azzurro. Un lampo di luce sulle ali di una ghiandaia azzurra. Poi un gamberetto le aveva pizzicato l'alluce, e lei gli era crollata addosso in preda al panico. Erano tornati in città agli inizi degli anni Ottanta, ma solo in questa unica stanza di dodici metri quadrati, alla realtà della vita. Poche delle loro speranze si erano esaudite, tranne la nascita del figlio Qinqin, che ormai era diventato un ragazzone. Quell'arcobaleno su quel lontano ruscello si era dileguato da molto tempo.

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8.



Qinqin aveva chiamato a casa, dicendo che sarebbe rimasto a dormire da un compagno di classe. Non capitava spesso che Yu e Peiqin avessero una serata tutta per loro. Nonostante la frustrazione per l'inchiesta, Yu decise di andare a letto presto con Peiqin.

La serata era fredda. Si sedettero sotto la trapunta, appoggiandosi sui cuscini sistemati contro la testata del letto. Ci volle un po', prima che il calore dei loro corpi sotto la vecchia trapunta di cotone imbottita rendesse sopportabile il freddo della stanza. Yu le strofinò i piedi con i propri; Peiqin aveva gli alluci morbidi, ancora un po' freddi. Le mise il braccio intorno alle spalle.

In quella luce tenue, sembrava ancora la stessa ragazza che era stata con lui nello Yunnan, su quel freddo letto di bambù scricchiolante, all'ombra tremolante della luce della candela – tranne che per quelle piccole zampe di gallina intorno agli occhi.

Ma quella sera Peiqin aveva qualcos'altro in mente. Voleva raccontargli la storia di Morte di un professore cinese. Posò il romanzo sopra la trapunta. Spuntava un segnalibro di bambù a forma di farfalla.

Yu non leggeva molto. Aveva fatto parecchi tentativi di appassionarsi a Il sogno della camera rossa, il preferito di Petqin, ma invariabilmente ci aveva rinunciato dopo tre o quattro pagine. Non riusciva proprio a interessarsi a quei personaggi che centinaia di anni prima avevano abitato in una grande magione. In realtà l'unico motivo per cui ci aveva provato era dovuto alla passione di Peiqin per il romanzo. E dei libri che parlavano della Rivoluzione Culturale aveva letto solo due o tre racconti, che lo avevano colpito tutti per la totale mancanza di veridicità. Yu pensava che se nei primi anni Sessanta fossero esistiti eroi così avveduti, capaci di mettere in discussione o sfidare il Presidente Mao, quel disastro nazionale non sarebbe mai neppure iniziato.

Adesso che aveva per le mani il caso di Yin, non aveva altra scelta: doveva leggere Morte di un professore cinese dall'inizio alla fine. Fortunatamente Peiqin si era accollata l'incarico. Gli aveva già parlato un poco del libro, e quella sera voleva fargli un resoconto dettagliato.

«Adesso te lo racconto» disse Peiqin piegando le gambe, «ma forse sono influenzata dal mio punto di vista. Prima mi concentro sul ruolo di Yang, visto che già conosci la storia di Yin, e poi mi soffermo sulla storia d'amore tra loro due.»

«Comincia da dove preferisci, Peiqin» disse Yu prendendole la mano.

«Yang proveniva da una ricca famiglia di Shanghai. Negli anni Quaranta andò a studiare negli Stati Uniti, dove si laureò in letteratura, e cominciò a pubblicare le sue poesie in inglese. Nel 1949 si affrettò a tornare in patria, tutto pieno di sogni appassionati per una nuova Cina. Insegnò inglese all'università della Cina Orientale, tradusse romanzi dall'inglese e scrisse poesie in cinese, questo prima della grossa battuta d'arresto durante il movimento anti-destra a metà degli anni Cinquanta. Improvvisamente bollato come destrorso reazionario, e abbandonato da amici e parenti a causa di questa sua condizione, Yang smise di scrivere poesie, anche se continuò a tradurre libri approvati dal governo, come le opere di Charles Dickens e Thackeray, sulle quali Marx aveva espresso commenti favorevoli, oppure quei libri di Mark Twain e di Jack London che dimostravano una tendenza anticapitalistica. Poi venne trasferito alla facoltà di cinese, nello sforzo di impedirgli di disseminare in inglese le "idee decadenti occidentali", in un periodo in cui la maggioranza degli esponenti di Partito non capiva una sola parola di inglese.

«Allo scoppio della Rivoluzione Culturale, improvvisamente Yang divenne il bersaglio della critica rivoluzionaria. Venne costretto ad autodenunciarsi. Gli anni dell'università in America vennero considerati come un periodo di addestramento spionistico, e le sue traduzioni di letteratura inglese e americana come attacchi alla letteratura proletaria e all'arte della Cina socialista. Agli inizi degli anni Settanta, quando nel corso di una rivoluzione senza precedenti venivano continuamente scoperti sempre nuovi nemici di classe, Yang diventò una "tigre morta": il popolo rivoluzionario non si divertiva più a malmenarlo. Come tanti altri "intellettuali borghesi", venne allora inviato alla scuola di Partito in campagna. E fu lì che incontrò Yin.

«Entrambi frequentarono la scuola di Partito, ma le rispettive posizioni politiche erano molto diverse. Yang, un destrorso con un passato molto problematico, aveva toccato il fondo. Yin, una Guardia Rossa accusata di "lievi errori" durante la Grande Rivoluzione, venne eletta leader di gruppo, responsabile della supervisione dei membri del gruppo a cui apparteneva Yang.

«A quei tempi c'era ancora qualcuno che credeva a tutto ciò che diceva il Presidente Mao, anche in quella scuola di Partito. Un noto poeta scrisse entusiasta di una cura per l'insonnia attraverso il lavoro fisico nei campi, come da istruzioni del Presidente Mao. Tuttavia alcuni persero ogni illusione, malgrado tutte le roboanti direttive promulgate da Mao in infiniti documenti di Partito. Alcuni di loro, dopo le fatiche del lavoro, presero l'abitudine di pensare. Teoricamente, dopo essersi emendati con successo attraverso il duro lavoro fisico e gli studi politici, gli studenti avrebbero dovuto essere in grado di "laurearsi" e di farsi assegnare nuovi incarichi. Dopo un paio d'anni, però, capirono di essere finiti nel dimenticatoio, e che non avrebbero mai più ricevuto il permesso di tornare nelle città, nonostante non fossero più la forza motrice della rivoluzione.

«Anche Yin trovò modo di riflettere. Non essendo più tanto sicura della correttezza delle proprie azioni di Guardia Rossa, capì di essere stata usata da Mao. Iniziò a pensare al proprio futuro. Dovette ammettere che, in quanto ex Guardia Rossa, le sue prospettive erano deprimenti. Se mai fosse tornata all'università, non sarebbe più stata un'istruttrice politica. Non avrebbe più tenuto conferenze per gli studenti.

«E così notò Yang. Lui lavorava come inserviente in cucina. Non era considerato un lavoro gravoso: raccoglieva la legna, preparava il riso e le verdure e lavava i piatti. Il responsabile della cucina era un contadino del posto. Per cui, tra un pasto e l'altro, Yang aveva il tempo di leggere in cucina, libri in inglese, e anche di scrivere.

«Gli studenti della scuola di Partito avrebbero dovuto leggere soltanto le opere o gli opuscoli politici del Presidente Mao. Ma l'anno precedente si era verificato un evento insolito: Mao aveva pubblicato due nuove poesie sul "Quotidiano del Popolo", di cui era stata richiesta una traduzione in inglese. L'ufficio traduzioni delle poesie di Mao, sotto l'egida del Comitato Centrale del Partito, a Pechino, o qualcuno di quell'ufficio, si ricordò di Yang e lo consultò a proposito di alcune parole. C'era una frase particolarmente difficile: "non scoreggiare". Mao aveva scritto esattamente questo, ma i traduttori ufficiali erano preoccupati per la volgarità. Yang fu in grado di trovare certi riferimenti a quella parola nelle opere di Shakespeare, cosa che li tranquillizzò. Dopodiché Yang ebbe il permesso speciale di leggere libri in inglese, perché le autorità della scuola di Partito gli fecero intendere che in futuro gli avrebbero assegnato altri importanti incarichi politici.

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11.



Seduta nel suo cubicolo al ristorante Quattro Mari, Peiqin terminò di registrare la contabilità del mese. Non era ancora la metà di febbraio. Tuttavia, anche se non aveva lavoro arretrato, veniva ugualmente tutti i giorni nel suo cosiddetto ufficio, tra i registri e i fogli sparpagliati sulla lunga scrivania. In origine era un tingzijian, non proprio una stanza, ma serviva da ufficio, separato dal ristorante dabbasso. Lo divideva con Hua Shan, il direttore del locale, che quel giorno aveva una riunione da un'altra parte. Si sfilò le scarpe e posò i piedi su una sedia, ma li rimise subito a terra. Aveva due buchini nelle calze.

«Peigin, il pranzo è pronto» gridò Luo, il nuovo cuoco, dalla cucina situata sotto l'ufficio. La sua voce rimbombò attraverso le crepe del vecchio impiantito di legno. L'aria si riempì di svolazzi di polvere, che disegnarono motivi bizzarri tra i raggi di luce. «Oggi c'è la zuppa di teste di pesce con pepe rosso.»

«Magnifico. Vengo non appena ho finito qui.»

A volte, durante il suo primo anno di lavoro, Peiqin scendeva a dare una mano. Ma presto smise di farlo. I dipendenti delle aziende statali ricevevano sempre la stessa paga a prescindere dal numero di ore o dal carico di lavoro. In quanto contabile, lei doveva soltanto tenere aggiornati i registri, operazione che di solito la impegnava per una settimana, anziché un mese. Se dopo aver terminato se ne stava là seduta senza fare niente per il resto del tempo, nessuno le avrebbe detto qualcosa. Per cui, negli ultimi anni aveva letto i libri di testo di Qinqin usando i registri come copertura. A differenza di sua madre, Qinqin non doveva sprecare i suoi anni di scuola. Quindi per aiutarlo nei compiti a casa anche lei iniziò a imparare l'inglese, così sarebbe riuscita a esercitarsi assieme al figlio. Qinqin doveva ricevere una buona istruzione, in un'eccellente università. Perché un'istruzione universitaria poteva fare la differenza, in una società in rapido cambiamento come quella cinese. Infatti l'ispettore capo Chen occupava il posto che aveva — perlomeno in parte — grazie alla sua cultura superiore, anche se Peiqin doveva riconoscere che Chen era uno dei pochi quadri di Partito ad avere ottenuto una posizione per meriti propri.

A volte, in ufficio Peiqin leggeva romanzi. Come molte persone appartenenti alla sua generazione, si era fatta una cultura leggendo romanzi. Il direttore lo sapeva certamente, ma non le diceva nulla. Anche lui era tutto indaffarato a fare qualcosa per se stesso, anche se Peiqin non sapeva cosa.

Talvolta, quando riponeva il libro, non poteva fare a meno di stupirsi, e di chiedersi come aveva fatto a finire lì, in quel minuscolo ufficio, a leggere romanzi semplicemente perché non aveva nient'altro di meglio da fare. Avrebbe trascorso il resto della sua vita a quel modo? Alle scuole elementari Peiqin era stata un'allieva modello, per quanto non molto popolare per via del retaggio famigliare "nero". Suo padre possedeva una piccola azienda di import-export, e dopo il 1949 venne classificato come appartenente alla classe dei "capitalisti", così la famiglia fu avvolta da una nube oscura. Che durante la Rivoluzione Culturale si trasformò in una violenta tempesta.

Visto il suo grado di istruzione superiore — aveva iniziato il liceo — alla fine degli anni Sessanta fu costretta a trasferirsi da Shanghai nello Yunnan. Fu lì che il suo destino si incrociò con quello di Yu. Vennero presentati dai rispettivi genitori, con la speranza che in quel posto lontano potessero prendersi cura l'uno dell'altra. Nelle campagne si infransero i suoi sogni di ragazza, ma imparò ad apprezzare Yu. Poi, alla fine degli anni Settanta, quando ebbero il permesso di tornare a Shanghai, si considerò fortunata ad avere una famiglia come la sua. Yu era un buon marito, e Qinqin un figlio meraviglioso, malgrado vivessero tutti stipati in un'unica stanza. Anche se il suo lavoro al ristorante era monotono, si considerava sempre, letteralmente, di un livello superiore rispetto a quelli che lavoravano in cucina. Per essere felici bisogna soltanto sapersi accontentare: da molto tempo, ormai, aveva accettato questa verità.

In realtà quel lavoro monotono e amorfo le piaceva, se lo considerava da un'angolazione diversa, perché le permetteva di dedicarsi maggiormente alla famiglia. Gli anni migliori della sua gioventù erano andati sprecati durante la Rivoluzione Culturale, ma secondo lei era inutile incolpare il destino, o piangersi addosso come facevano molte altre persone. Si accontentava di interpretare il ruolo tradizionale della buona moglie e della buona madre.

Ultimamente, però, lo status quo la metteva a disagio. Il mondo intorno a lei stava cambiando. Alcuni dei valori, o dei significati, che pensava di aver trovato nella sua vita ora sembravano sfuggirle. Ricordava di aver letto un verso che diceva non so in quale direzione sta soffiando il vento, e che adesso le sembrava quanto mai appropriato. Doveva provare a fare qualcos'altro, oltre al lavoro al ristorante. Doveva affrontare il fatto che la scodella di ferro sua e di suo marito avrebbe tutt'al più soddisfatto i loro bisogni materiali essenziali. La vicenda dell'appartamento prima assegnato e poi negato era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Aveva deciso: Qinqin doveva vivere una vita diversa. Quasi tutti i suoi compagni di classe portavano le Nike ai piedi, e Peiqin voleva comprarne un paio anche a suo figlio. Quando lei andava a scuola le marche non esistevano, e le scarpe di gomma verde militare rappresentavano la norma. Talvolta nello Yunnan andava in giro scalza, perché ne aveva spedito a casa un paio per suo nipote. Ancora oggi non si truccava, nonostante il crescente interesse suscitato dagli spot pubblicitari televisivi. Recentemente, a una riunione di ex compagni di classe, uno di loro era arrivato in Mercedes, suscitando l'invidia della maggior parte dei presenti. A scuola era sempre stato una nullità, e a volte aveva anche copiato i compiti da Peiqin. Il mondo era veramente cambiato.

Poi, inaspettatamente, l'indagine del caso di Yin Lige aveva fatto scattare qualcosa. Qualcosa di profondo, e che non riguardava soltanto lei, ma poteva risalire agli anni del liceo. A quell'epoca Peiqin leggeva di nascosto, perché ufficialmente erano disponibili soltanto le opere del Presidente Mao; le biblioteche erano state chiuse, romanzi e poesie non si trovavano più, e una ragazza con una famiglia come la sua doveva stare molto attenta, doveva evitare di farsi vedere con dei libri in mano, nascondendoli sotto la giacca di cotone imbottita. Come tante altre persone nelle sue stesse condizioni, Peiqin poté dedicarsi soltanto ai vecchi libri, quelli che avevano ancora una circolazione clandestina. Con un "patrimonio" forte di una mezza dozzina di titoli sottratti alle grinfie delle Guardie Rosse, assieme ad altri coetanei aveva formato una rete sotterranea attraverso la quale scambiarsi romanzi. C'era qualcosa di simile a un "tasso di cambio": Papà Goriot di Balzac poteva valere Tempi difficili di Dickens più un romanzo cinese come La canzone della gioventù o Il racconto della bandiera rossa. Se un membro della rete riusciva a ottenere un nuovo libro tramite un contatto esterno, il testo passava di mano in mano restando a disposizione di ciascuno per una sola giornata.

Peiqin preferiva determinati autori, in particolare Yang, il grande traduttore contemporaneo. Secondo lei quasi nessuno scrittore cinese moderno era paragonabile a lui quanto a innovazione stilistica, forse perché Yang possedeva una sensibilità unica nei confronti del linguaggio, e aveva introdotto nel cinese espressioni e persino forme sintattiche occidentali. Peiqin aveva notato che nella storia della letteratura cinese moderna la maggior parte degli intellettuali che possedevano un'istruzione superiore erano diventati traduttori, invece che scrittori, per ragioni politiche che non era difficile comprendere.

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«E la shikumen?» Chen, assai impressionato dalla narrazione di Vecchio Liang, lo interruppe mentre lui si era fermato per tirare una lunga boccata dalla sigaretta. Questa introduzione generica poteva andare avanti indefinitamente, ma non era affatto necessaria, visto che Chen era già informato su parecchi dettagli.

«Adesso ci arrivo, ispettore capo Chen» disse Vecchio Liang accendendosi un'altra sigaretta con il mozzicone della prima. «Davvero una buona marca. So che è riservata soltanto ai dirigenti di Partito.

«Ai vecchi tempi non c'erano molti cinesi che potevano permettersi di trasferirsi in una Concessione. In origine la shikumen – la tipica casa a due piani di Shanghai, con l'intelaiatura della porta d'ingresso in pietra e un piccolo cortile – era stata disegnata per una sola famiglia, di solito una grossa famiglia benestante, e le varie stanze adibite a diverse funzioni: le ali residenziali, l'atrio, il salotto, il soggiorno, il disimpegno, la stanza per gli ospiti, l'attico, una piccola stanza senza finestre, e anche un tingzijian. In seguito alla penuria di abitazioni, a un certo punto si iniziò ad affittare alcune delle camere, che poi vennero subaffittate, e a loro volta anche le stanze vennero ulteriormente ripartite o suddivise.

«Questo è un fenomeno che dura tuttora. Avrà sentito parlare di una commedia di Shanghai che si intitola Settantadue famiglie in una casa. Parla proprio di questo tipo di sovraffollamento.

«Ma non è che il nostro Giardino del Tesoro sia proprio in quelle condizioni. Di solito in una shikumen non ci sono più di quindici famiglie.»

«Sì, ho visto quella commedia. Molto divertente, con un grande miscuglio di tanti tipi umani differenti. La vita in una shikumen dev'essere davvero interessante.»

«Ah, può scommetterci. Qui la vita è davvero vivace. Praticamente uno diventa parte del quartiere, e viceversa. Prenda questo atrio, per esempio. Tanto tempo fa è stato trasformato in una zona comune per cucinare, e contiene le stufe a carbone di una quindicina di famiglie. Ci si sta un po' stretti, ma neanche troppo male. Quando si cucina qui, dai vicini si possono imparare i piatti delle più svariate cucine provinciali.»

«Mi piacerebbe» disse Chen, sorridendo suo malgrado.

«E ancora, prenda per esempio il cortile. Praticamente ci si può fare di tutto, perfino dormire su una sdraio di rattan o su una stuoia di bambù, d'estate. C'è così fresco che non serve neppure il ventilatore. E uno non si annoia neppure a strofinare i panni sul lavatoio, perché ci sono sempre Nonna Liu o Zia Chen o la piccola Hou che ti tengono informato sulle ultime novità del vicolo. Si impara veramente a condividere tantissime cose con i vicini.»

«Sembra tutto molto piacevole» disse Chen. «Qui la gente può fare esperienze altrimenti impossibili nei moderni condomini.»

«Nel vicolo si possono fare tantissime cose» proseguì Vecchio Liang con rinnovato entusiasmo. «Gli uomini possono dedicarsi al tai chi, prepararsi la prima tazza di tè della giornata, cantare pezzi d'opera di Pechino e parlare del clima, sia atmosferico che politico. Quanto alle donne, lavano, cucinano e parlano simultaneamente. Qui la gente non possiede un salotto come in certi nuovi appartamenti. Per cui, di sera, la maggior parte delle persone esce all'aperto: gli uomini giocano a scacchi o a carte e si raccontano storie, mentre le donne chiacchierano, lavorano a maglia o rammendano.»

Chen si ricordava di scene simili dalla sua infanzia, anche se lui aveva abitato in un vicolo diverso. Indipendentemente dalle differenze, o dalle nuove informazioni che avrebbe potuto ricavare da lui, era arrivato il momento di mettere fine alle parole di Vecchio Liang.

«Ah, lo sente?» proseguì Vecchio Liang. «È un venditore di zucchero filato che reclamizza la sua merce. In questo vicolo passano tantissimi ambulanti, e non solo vendono cose, ma offrono anche servizi: riparano scarpe, riparano letti in corda di fibra di cocco, imbottiscono o cuciono trapunte di cotone per l'inverno. È convenientissimo...»

«La ringrazio davvero molto, compagno Vecchio Liang. Come dice il proverbio, un discorso dei suoi mi è più utile di dieci anni di studi» disse Chen con sincerità. «Mi piacerebbe proprio parlare con lei ancora un po', quando avrò terminato il mio progetto.»

Finalmente Vecchio Liang capì che Chen voleva essere lasciato solo, e allora si scusò, lo salutò rispettosamente ancora una volta e se ne tornò nel suo ufficio.

Chen lo guardò incamminarsi lungo la via, schivando bruscamente i panni stesi ad asciugare sui pali di bambù. La biancheria appesa a quella ragnatela di pali dava vita a una scena che sembrava tratta da un quadro impressionista. Evidentemente Vecchio Liang credeva ancora alla vecchia superstizione, secondo la quale camminare sotto indumenti intimi femminili porta sfortuna.

Chen si voltò e saggiò la robustezza della massiccia porta d'ingresso in legno nero della shikumen. All'esterno c'erano due battenti di ottone, all'interno un robusto saliscendi in legno. Dopo tutti quegli anni di apri e chiudi, la porta si aprì cigolando.

Nel cortile c'erano parecchie persone. Dovevano averlo visto confabulare con Vecchio Liang, e proseguirono nelle loro faccende senza rivolgergli la parola. Nell'attraversare il cortile vide nell'atrio una fila di alte porte scorrevoli istoriate da squisiti disegni degli Otto Immortali che traversavano l'oceano. Ciascuna delle porte narrava una scena particolare secondo una sequenza elaborata. Avrebbero potuto essere un pezzo pregiato per il museo di arte popolare del New World, pensò Chen.

A quanto si ricordava, non aveva mai visto utilizzare l'atrio di una shikumen per uno scopo simile, neppure durante la sua infanzia. Invariabilmente quello spazio diventava una zona comune, in un modo o nell'altro, perché tutte le stanze lungo le ali si aprivano su di esso. Sentì l'odore di qualcosa che assomigliava a tofu fermentato fritto in un wok, un piatto molto apprezzato da alcune famiglie, nonostante l'odore. A Shanghai piaceva a molti per il suo aroma e la sua consistenza, veramente eccezionali. La maggior parte dei ristoranti non lo serviva perché era un piatto molto povero: un vero peccato. C'era anche un altro vago odore, con un aroma nostalgico, di brodo di gallina vecchia con tanto zenzero e cipolle verdi.

Chen non poté fare a meno di pensare alla possibilità di trasformare una shikumen in un ristorante. Sarebbe stato qualcosa di unico. Un libro di studi culinari che aveva letto sosteneva che una padrona di casa davvero sofisticata avrebbe potuto cucinare i piatti più prelibati in un ambiente elegante dedicando intere giornate alla preparazione di un banchetto di grande estrosità. Un ristorante in una shikumen avrebbe avuto anche una piacevole atmosfera familiare. Le ali dell'edificio sarebbero state adibite a sale da pranzo, mentre le varie stanze sarebbero rimaste private; l'intimità del ritrovarsi in una casa, per non parlare del contrasto tra presente e passato, avrebbero grandemente arricchito il carattere del New World.

Anche il cortile sarebbe stato qualcosa di romantico, di sera, con un calice di vino o una tazza di tè.

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