Copertina
Autore Raymond Queneau
Titolo Suburbio e fuga
EdizioneEinaudi, Torino, 1998 [1970], Nuovi Coralli 336 , Isbn 978-88-06-05413-7
OriginaleLoin de Rueil [1944]
TraduttoreClara Lusignoli
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa francese
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Pagina 9 [ inizio libro ]

Le immondizie rotolarono dalla cassetta metallica e caddero in tromba nel grande bidone del pianterreno, gusci d'uova, torsoli, carte unte, bucce. Un odore molle e parassitario ne accompagnò la deiscenza, mica tanto sgradevole quest'odore, non troppo diverso dal profumo del muschio umido nei boschi piú profondi ma con un retrogusto di zinco dovuto al recipiente che a mezzo dell'apposita limitrofa carriola sarà trasferito lungo il marciapiede per gli spazzini che all'alba porteranno tutto via. Sbarazzata del suo contenuto, la cassetta sospesa a un braccio virile stava per riprendere il cammino verso il sesto piano quando sopraggiunse una servetta. Non le sembrava lavoro da uomo vuotare i detriti ma, discreta, non osò fiatare rifuggendo dal fare commenti sullo spettacolo di quell'ombra maschile che onorava con la sua presenza in vestaglia il corridoio della scala di servizio.

Trovando pesante ciò che quella portava, il gentleman si offerse di aiutarla ma essa rifiutò. Le domanda se stava da molto tempo in quella casa, no, solo da quest'oggi. Lo sapeva già, lui, conoscendo tutto il personale dell'immobile, usi e costumi, partenze e arrivi. Risalirono insieme silenziosi. Arrivarono all'ultimo piano: sebbene avvolto di seta a fiorami abitava a livello delle soffitte solo perché gli piacevano gli studi da pittore sotto i tetti, pur non essendo pittore.

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Pagina 18

Louis-Philippe des Cigales coi due pugni puntati sulle ginocchia, Louis-Philippe des Cigales tutto curvo comincia a respirar male, tutto qui, vale a dire che sta prendendo coscienza della sua respirazione per il semplice fatto che non funziona piú troppo bene in questo momento. Louis-Philippe des Cigales non si può dire che ansimi no non si può dire ma soffre in questo momento, da quando ha preso coscienza della difficoltà di respirare, Louis-Philippe des Cigales soffre d'una costrizione dei polmoni, dei muscoli polmonari, dei nervi polmonosi, dei canali polmonici, dei vasi polmoniani, è una specie di soffocamento, ma non un soffocamento che prenda dalla gola, dal tubo piú alto, è un soffocamento che parte dal basso, che parte anche da tutti e due i lati, è un soffocamento toracico, un accerchiamento del barile respiratorio. E adesso e adesso non sta piú bene proprio per niente. Non è un soffocamento che prenda dal collo come se detto collo fosse stretto da due solidi pugni, no, è un soffocamento che sale dalle tenebre del diaframma, che si diffonde partendo dall'inguine, e per di piú è un soffocamento triste, un crollo del morale, una crisi di coscienza. E adesso e adesso non va píú bene proprio per niente, perché è peggio d'uno strangolamento, peggio di un accerchiamento, peggio d'un soffocamento, è un abisso fisiologico, un incubo anatomico, un'angoscia metafisica, una rivolta, un lamento, un cuore che batte troppo in fretta, mani che si contraggono, pelle che suda. Louis-Philippe des Cigales è ora un pesce gettato sul fondo di una barca e che apre la bocca disperatamente perché si sente morire e perché sta morendo. Ma Louis-Philippe des Cigales che senza muoversi dalla sua poltrona è sbalzato in un mondo dove gli uomini non riescono a respirare piú degli animali acquatici a terra strappati alla loro acqua, Louis-Philippe des Cigales non morrà sebbene si senta morire, non morrà neppure questa volta, respira sempre píú forte, e il respiro si ferma, non gli entra piú nulla nel petto, si crede che non ci sia piú modo di resistere e poi si resiste lo stesso. La grande atmosfera che circonda questo globo dove non piú grande di un pidocchio vive Louis-Philippe des Cigales, la grande atmosfera bench'egli spalanchi spasmodicamenie il becco con ampiezze crescenti, non arriva a penetrare le profondità di lui, l'uomo non piú grande d'un pidocchio, c'è un piccolo spazio dov'essa non penetra affatto, un piccolo spazio tutto ramificato simile a un duplice albero che dice di no alla grande atmosfera.

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Pagina 42

Bussa al vetro della portineria entra a prendere la posta. La portiera non c'è ma c'è il suo uomo da qualche giorno rimbambito a causa di una malattia.

- Vabbebbene ammemme vabbebbene eccome, - dichiara questo personaggio.

- Sto bene grazie, - rispose Jacques, - va bene anche a me.

Non c'era niente per lui. Jacques guardò il bravuomo che fu un tempo un guardaporta accettabile e adesso tremolava in ogni sua estremità secernendo dalla bocca una schiuma mucosa riaspirata a volte con un rumore da sifone. D'un subito quell'essere diventò Jacques L'Aumône, e questi si sentí ghermito con tanta forza da tale identificazione che sedette di fronte al rimbambito e si mise a ripetere con lui «vabbebbene ammemme vabbebbene eccome» cosí per fare. Con occhio nuovo vide allora dietro di sé tutto il corso della propria vita: l'infanzia beata, le ambizioni folli, le amare delusioni, la carriera di burocrate, l'espulsione per negligenza, il matrimonio con una donnaccia, infine dopo molti mestieri via via meno brillanti quello di portinaio, e una vecchia sifilide conclude ora questa triste vita, puah! sventura! Per completare la rassomiglianza agitò le mani come una foglia morta che il dolce vento piovorno di novembre non vuol strappare ancora al ramo che la porta. Jacques provò gusto a questa situazione, dopo tutto lui stesso non avrebbe forse raggiunto mai una gioia paragonabile a quella che godeva in quanto cerbero decaduto nel balbettare senza fine le parole vabbebbene ammenune vabbebbene eccome tanto piú che l'altro contemplandosi in quello specchio umano si apriva a un largo sorriso dimenandosi sempre piú forte e insistendo, pareva, sul senso profondo di quell'inconsistente chiacchierio.

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Pagina 93

Linaire alzò le spalle e avvicinò la sua sedia a quella di Pierrette. Disse in tono benigno:

- Non c'è mai verso di star tranquilli. Fino in casa ti vengono a romper l'anima. Non chiedo niente a nessuno, io, solo che mi lascino in pace col mio elisir, a venderlo come mi pare e a chi mi pare. Ah!

E la sua voce salí di tono.

- Ah! lei vuol rendere celebre il mio elisir? Grazie tante. Per aver poi scocciature a non finire. Ancora grazie. Conosco già questa storia. Vede, signor L'Aumône, è giovane, lei, non mi ha l'aria d'uno sciocco, finirà col capirmi. Si figuri che a ventott'anni ho scoperto un medicinale che guariva radicalmente la miopia: poche gocce negli occhi e non piú occhiali. Le posso anche dire con che cosa fabbricavo quel miopicida: con fava del Malabar. Dunque: poche gocce negli occhi e non piú occhiali. Soggiungo: non piú oculisti, non piú ottici. E cosí: tutti gli oculisti, tutti gli ottici rovinati. Beh, caro signor L'Aumône, stava per costarmi cara, questa faccenda: eccome! addirittura la vita. Non dico altro. Volevano assassinarmi. Proprio cosí. E i venditori di tartaruga volevano tagliarmi le orecchie! Quando l'ho capita ho sotterrato il miopicida e son venuto a nascondermi qui dove sfrutto alla meno peggio cosí alla buona il mio elisir. Forse crede che io gli batta la grancassa? Ah no! ricomincerebbe la stessa storia. Immagini per un momento che io guarisca l'ontalgia esistenziale, l'angoscia substanziale e l'epilessia essenziale: che ne sarebbe dei medici, dei teologi, dei farmacisti, dei filosofi, dei chirurghi? Tutti rovinati! Tutti fottuti! Finito il Vaticano! Finita la Sorbona! Sí che li conosco, appena cominciassero a sentir parlare di guarigione non mi lascerebbero piú muovere un dito oppure mi farebbero scomparire da questa terra dove sto tanto volentieri specie in questo momento, seduto come sono di fronte a una pupa caruccia come questa bambina.

Allungò un braccio e le pizzicò il mento. Ginette tossicchiò e lui tirò indietro la mano.

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Pagina 104

VII.


- T'andrà meglio. Non te la prendere.

Ebbe paura di dirlo ma infine doveva pur dirlo e lo disse:

- Allora è finita?

- Finita.

Prese il cappello e dopo un addio cui ella non rispose se ne andò. Scese lentamente le scale, dimenticando l'ascensore. Si ritrovò per la strada, in Rue Pigalle, davanti alla porta dell'albergo. Guardò verso nord, verso sud, senza saper dove andare, a quale corrente di folla abbandonarsi. Non aveva niente di speciale da fare. Non era aspettato in nessun luogo, non aveva voglia di andare qua piuttosto che là. Si decise per il sud ma all'angolo di Rue Fontaine il nord ebbe il sopravvento. Si avvicinava l'ora dell'aperitivo, un aperitivo da ottobre già crepuscolare. Jacques andò a sedersi a un tavolino davanti a un caffè di Place Blanche

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Pagina 126

Nel Bois si aggirano già non pochi cavallerizzi, autisti, satiri e spiriti campestri un po' di tutti i sessi. Jacques e Dominique si avviano verso la Butte Mortemart. Parlano poco tra loro.

Sanno che è per oggi.

- Dominique?

- Ebbene? - dice lei senza guardarlo.

- Credo che ci siamo.

- A che?

- Vi amo.

Dominique si ferma non si decide a guardarlo cerca qualcosa da dirgli che faccia al caso gli dice siete pazzo il che non va male ma avrebbe potuto trovar di meglio e non ci è riuscita ripete quindi siete pazzo con aria affranta. Jacques sembra prendere alla leggera il peso della propria pazzia non accompagna la dichiarazione con alcun gesto non che gliene manchi la voglia ma quelli che vorrebbe fare sono talmente precisi e diretti che deve astenersene per via del pubblico farebbe volentieri l'amore con Dominique là sulla panchina ma essendone impedito preferisce rinunziare a tutto perfino a una pressione della mano sulla mano. Si tiene a distanza.

In seguito la conversazione scivola sul piano della dialettica poi della retorica poi della sofistica poi della casistica. Ora si tratta di sapere se Jacques ama realmente Dominique se non è solo un'idea. Ora si tratta di sapere se Dominique potrebbe amare Jacques pur avendo marito. Ora si tratta di sapere se Dominique ami Jacques senza saperlo. Ora si tratta di sapere se l'amore di Jacques non conti per due: di conseguenza contagioso. E via di seguito. E questi problemi non li discussero solo quella volta ma anche nel corso di altri appuntamenti. Parlavano molto tutti e due: Jacques perorando, Dominique difendendosi. La sola differenza era che adesso Jacques abbozzava qualche gesto naturalmente molto moderato perché Dominique era assai schizzinosa quando le si toccava l'onore.

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Pagina 174 [ fine libro ]

[...] Ne legge una qua una là. Non le trova troppo male, questa per esempio che sarebbe stata pubblicata nell'antologia di Jacques L'Aumône se essa fosse mai stata pubblicata. Sospira, lancia qualche boccata di fumo verso il soffitto. Suonano. Va ad aprire. Suzanne. L'abbraccia. - E cosí ti è piaciuto quel film? - domanda lei mentre comincia a spogliarsi.

- Molto, - dice Des Cigales.

La guarda. Lei si sta sfilando le calze.

- Mi è sembrata strana una cosa, - riprende lui; - gli attori; attori nuovi, ma mi è parso di averli già visti non so dove.

- A volte c'immaginiamo tante cose, - dice Suzanne sdraiandosi sul letto.

- Sí certo, - dice Des Cigales. - Certo.

Ripone il manoscritto in un cassetto che chiude a chiave. Si dirige anche lui verso la cuccia.

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