Copertina
Autore Michael Ratner
CoautoreEllen Ray
Titolo Prigionieri di Guantanamo
SottotitoloQuello che il mondo deve sapere
EdizioneNuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena, 2005, , pag. 232, cop.fle., dim. 150x180x14 mm , Isbn 978-88-8909-111-1
OriginaleGuantànamo - What the World Should Know [2004]
TraduttoreMauro Gurioli
LettoreLuca Vita, 2005
Classe politica , diritto , storia criminale , paesi: Cuba , paesi: USA
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Indice


Prefazione

Un Presidente oltre i limiti della legge                   7
di Anthony Lewis

Introduzione dell'intervistatrice                         11
di Ellen Ray

Introduzione dell'intervistato                            14
di Michael Ratner

Capitolo 1
Guantanamo e lo strapotere dell'esecutivo

Perché esiste Guantanamo                                  18
Il coinvolgimento del Center for Constitutional Rights    24
La fine della legalità                                    29
Lo strapotere dell'esecutivo                              33
I nemici combattenti                                      44

Capitolo 2
Abusi e torture

La "Convenzione Contro la Tortura" delle Nazioni Unite    49
Il viaggio verso Guantanamo                               54
Gli interrogatori                                         61
La restituzione                                           70

Capitolo 3

Testimonianze e dettagli dei casi
False confessioni                                         76
Guantanamo come modello per I'Iraq                        80
Gli inglesi                                               84
Gli afghani e i pachistani                                87
I bambini                                                 89

Capitolo 4
Le commissioni militari e la Corte Suprema

Le commissioni                                            91
La Corte Suprema e Guantanamo                            102
Conclusioni                                              114

Capitolo 5
Le altre gabbie del terrore

di Christian Benna e Fabio Cintolesi

Afghanistan                                              122
Pakistan                                                 128
Iraq                                                     129
Abu Ghraib                                               131
Proteggere i terroristi                                  134
Al Jafr - La gabbia fantasma nel deserto giordano        136
Diego Garcia - II "Campo della Giustizia"                139
Rapire il "terrore"                                      142


Appendice 1
Documenti

Accordo tra gli Stati Uniti e Cuba per l'affitto
di basi navali o per il rifornimento di carbone (1903)   149
Serie dei trattati n. 426 - Accordo tra gli Stati Uniti
e Cuba per l'affitto di basi navali o per il rifornimento
di carbone                                               152
Emendamento Platt (1903)                                 155
Military Order 1, 13 novembre 2001                       157
Convenzione di Ginevra relativa al trattamento
dei prigionieri di guerra (III), articoli 5 e 130        165
Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti
crudeli, disumani o degradanti (Parte Prima,
articoli 1-16)                                           166
Memorandum da Alberto R. Gonzales al Presidente
(25 gennaio 2002)                                        173
Memorandum da Colin L. Powell ad Alberto R. Gonzales
(Consigliere della Casa Bianca) e al Consigliere per la
Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice (26 gennaio 2002)   180
Trascrizione delle comunicazioni del Ministero della
Difesa degli Stati Uniti (13 febbraio 2004)              186
Rapporto della Casa Bianca sullo status
dei detenuti di Guantanamo (7 febbraio 2002)             204
Lettera da Shafiq Rasul e Asif Iqbal ai membri
della Commissione Forze Armate del Senato                207
Comunicato stampa "I funzionari definiscono la procedura
di revisione per i detenuti di Guantanamo," Ufficio
stampa dell'esercito americano                           212
Comunicato stampa "II CCR definisce 'inadeguata e
illegale' la politica di revisione dei casi di
Guantanamo"                                              212

Addio alle commissioni militari?                         215
di Christian Benna e Fabio Cintolesi

Rapporto della Croce Rossa sulle torture a Guantanamo    215
di Christian Benna e Fabio Cintolesi

Alberto R. Gonzales - Il custode latino della Casa Bianca220
di Christian Benna e Fabio Cintolesi

L'uomo della pena di morte                               222
L'uomo dei memorandum                                    223
L'uomo dei segreti                                       224

Appendice 2
Bibliografia di approfondimento                          226

Appendice 3
Siti Internet di approfondimento                         227

Note sugli autori                                        229


 

 

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Pagina 14

Introduzione dell'intervistato

di Michael Ratner


Conosco molto bene Guantanamo. Nei primi anni '90 facevo parte del gruppo di avvocati del Center for Constitutional Rights che assisteva i profughi haitiani malati di AIDS detenuti in un campo isolato della base navale della baia di Guantanamo a Cuba. Visitavo spesso i miei clienti e la base. Era un'esperienza terribile, si trattava di un avamposto desolato dove il trattamento disumano (persino dei profughi) era pratica comune. Fu nel corso della disputa relativa a quei rifugiati che il governo statunitense, inizialmente sotto la presidenza di George H. W. Bush, formulò la sua posizione legale, in base alla quale Guantanamo era ritenuta, dal punto di vista giudiziario, zona franca. Secondo la prima Amministrazione Bush, la Costituzione semplicemente non trovava applicazione a Guantanamo.

Anche se alla fine la nostra squadra di avvocati riuscì a vincere la causa, l'Amministrazione continuò a insistere sul fatto che Guantanamo restasse una zona franca, al fine di conservare nel mondo un territorio in cui il governo statunitense poteva essere libero dai controlli giudiziari e dai doveri costituzionali, e quindi tristemente libero di violare i diritti della gente restando impunito.

Ma nel gennaio del 2002, quando lessi che i primi prigionieri della guerra in Afghanistan e della "guerra al terrore" del Presidente Bush venivano mandati a Guantanamo, rimasi ugualmente sconvolto. Sapevo cosa significasse. Significava non solo una strenua battaglia legale per proteggere i loro diritti, ma anche che non ci sarebbe stata alcuna sorveglianza sul trattamento di quei detenuti. Sarebbero stati imprigionati senza alcun diritto di vedere, parlare o scrivere a un avvocato; senza visite dei familiari; e senza alcuna accusa specifica formulata contro di loro. L'Amministrazione li stava dipingendo tutti - mentendo, come poi si è scoperto - come "la feccia della feccia", ordinando la loro reclusione fino al termine della "guerra al terrore", un arco di tempo che potrebbe facilmente durare una cinquantina d'anni.

Se il Center for Constitutional Rights si fosse dovuto interessare o meno alla questione non fu la più semplice delle decisioni, ma considerammo queste detenzioni una minaccia gravissima alle nostre libertà fondamentali. Credevamo fermamente che il Presidente, agendo in modo unilaterale, non avesse il diritto, nemmeno in qualità di comandante in capo nel corso di una guerra, di permettersi di condannare degli individui alla detenzione, di tenerli in assoluto isolamento, di negare loro una revisione processuale e di gettare via la chiave della cella. In quel momento non potevamo neppure immaginare l'esistenza degli abusi che ora sono stati rivelati.

Cominciammo a cercare altri avvocati disposti a lavorare con noi, ma non fu un'impresa facile. Gli unici giuristi che volevano aiutarci erano avvocati oppositori della pena di morte, i quali spesso avevano assistito imputati davvero impopolari. E ricevemmo molte lettere minatorie, specialmente all'inizio, per aver scelto di assistere i detenuti di Guantanamo. Come viene spiegato in questo libro, perdemmo la causa presso il tribunale distrettuale statunitense e anche in appello. Tuttavia, con nostra grande sorpresa, la Corte Suprema acconsentì a una revisione, e il dibattito si tenne il 20 aprile 2004. Andò bene, ma non verrà pronunciata la sentenza se non dopo che questo libro sarà stato stampato. Sono ottimista sul fatto che la Corte non sbatterà la porta in faccia a coloro che sono stati imprigionati dagli Stati Uniti a Guantanamo, riaffermando il principio che viviamo in uno Stato di diritto, in cui le persone non possono essere imprigionate secondo il capriccio del Presidente.

Solo qualche giorno dopo il dibattito alla Corte Suprema sono state mostrate pubblicamente le famigerate immagini di Abu Ghraib. E sta diventando via via più chiaro che questi abusi, maltrattamenti e torture sono all'ordine del giorno in altre prigioni militari americane - forse in molte altre. La nostra opera per rendere pubblico e fermare tutto questo è soltanto all'inizio. Per quanti eufemismi possano usare - come il motto "tensione e costrizione" - i rappresentanti del governo americano hanno commesso dei crimini di guerra. Speriamo che questo libro possa rappresentare un avvertimento sui pericoli a cui si espongono gli Stati Uniti allontanandosi dalle regole della legalità e della condotta civile.

[...]

Michael Ratner

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Capitolo 1

Guantanamo e lo strapotere dell'esecutivo


Perché esiste Guantanamo

Ellen Ray: Michael, la base militare della baia di Guantanamo a Cuba è stata definita con varie espressioni, da "campo di concentramento in mezzo al mare" a "buco nero della giustizia". Cosa sta accadendo in quel luogo e perché è così importante che io e te ne discutiamo?

Michael Ratner: Guantanamo è diventata un simbolo di molto del marcio della nostra società. È un complesso di prigioni brutali in cui centinaia di uomini e ragazzi di tutto il mondo, molti dei quali non riteniamo né colpevoli di alcun crimine né in qualche modo pericolosi per la sicurezza degli Stati Uniti, vengono tenuti dal governo statunitense in condizioni incredibilmente disumane e sotto continuo interrogatorio. Non sono stati accusati di nulla, non possono avere contatti con avvocati difensori o tribunali, né alcun diritto a udienze di qualsiasi tipo, e non sanno se e quando avrà fine la loro sofferenza. Queste prigioni sono un simbolo del disprezzo con cui l'Amministrazione Bush ha spazzato via solidi principi di diritto internazionale e condotta civile. Si tratta indubbiamente di una vergogna per la nazione.


Ray: Per iniziare la disamina del caso Guantanamo, raccontaci qualcosa sulla storia della base.

Ratner: La base navale di Guantanamo, un presidio militare statunitense che occupa 45 miglia quadrate dell'omonima baia, a Cuba, esiste in seguito a quella che potremmo definire la prima fase dell'imperialismo esterno americano (in contrapposizione all'imperialismo interno, la cosiddetta "predestinazione" sull'onda della quale gli Stati Uniti si impadronirono di gran parte del Nord America).

Per moltissimo tempo, gli Stati Uniti avevano desiderato alcune colonie spagnole, in particolare Cuba e Puerto Rico, entrambe poco lontane dalla Florida. Nel 1898, mentre Cuba combatteva per la propria indipendenza contro la Spagna, gli Stati Uniti intervennero in quella che passò alla storia come la guerra ispano-americana, col pretesto di aiutare i cubani a sconfiggere gli spagnoli. Poco meno di un anno dopo, quando finì la guerra, gli Stati Uniti avevano assunto il controllo di Cuba, Puerto Rico, Filippine e di molte altre ex colonie spagnole. La Costituzione cubana, che fu adottata nel 1901, comprendeva quello che è noto come Emendamento Platt (vedi Appendice 1, Documenti), una norma che stabiliva le condizioni per l'intervento americano a Cuba e concedeva agli Stati Uniti il diritto di mantenere in eterno una base militare sull'isola. Ai sensi dell'Emendamento Platt, nel 1903 gli Stati Uniti presero in affitto Guantanamo dallo stato cubano (vedi Appendice 1, Documenti). Il contratto d'affitto contiene molte disposizioni chiave per capire se i tribunali americani abbiano o meno giurisdizione sull'isola. In primo luogo, il contratto concede agli Stati Uniti "piena giurisdizione e controllo" su quel territorio, affermando semplicemente di "riconoscere la continuità della sovranità ultima della Repubblica di Cuba".

In altre parole, i cubani non hanno alcun tipo di potere su Guantanamo. In secondo luogo, l'affitto può terminare soltanto col consenso reciproco di entrambe le parti. Anche se Cuba vorrebbe sottrarsi all'accordo dalla rivoluzione del lontano 1959, non può farlo senza il consenso degli Stati Uniti. E gli Stati Uniti possono negare il loro consenso in eterno. Il contratto in realtà stabilisce il pagamento di una cifra irrisoria, pari a un valore di 2.000 dollari circa in oro (equivalente a circa 4.085 dollari annui in moneta circolante) ma il governo cubano rifiuta di accettare denaro dal 1959.

Gli Stati Uniti da molti anni sono formalmente nel torto, perché il contratto precisa che la base può essere usata solo come porto per il rifornimento di carbone, ma i cubani non sono mai riusciti a far valere questo argomento. La base è stata usata per un'infinità di scopi, da campo di raccolta per i profughi haitiani a prigione per i detenuti di Guantanamo: per tutto, tranne che per la sua destinazione originaria di porto per il rifornimento di carbone. Gli Stati Uniti sostengono di non avere sovranità sulla base di Guantanamo, ma di fatto esercitano tutti gli aspetti della sovranità. Per tutte le sue finalità, Guantanamo è una colonia o un territorio degli Stati Uniti. Un soldato americano che commette un crimine a Guantanamo (stupro, omicidio o altro) può essere processato da una corte marziale a Guantanamo o portato negli Stati Uniti e processato da una corte distrettuale federale. La legge che vige a Guantanamo è quella in vigore negli Stati Uniti, che hanno pieno controllo e giurisdizione su Guantanamo, e i tribunali americani dovrebbero avere il permesso di esaminare le detenzioni.


Ray: Considerando la sua attuale destinazione, cos'è in realtà la base navale della baia di Guantanamo?

Ratner: Guantanamo è qualcosa di molto diverso dall'idea che l'americano medio potrebbe farsi su una prigione. È un esperimento del XXI secolo del Pentagono che in realtà è stato dichiarato fuorilegge dalle Convenzioni di Ginevra del 1949. Il suo scopo è simile a quello delle operazioni tedesche della seconda guerra mondiale che furono messe al bando: è un campo di interrogatorio, e i campi di interrogatorio sono completamente e chiaramente illegali. Guantanamo ha offerto al governo statunitense l'opportunità di tenere delle persone al di fuori di ogni sistema legale o morale, senza alcuna possibilità di avere un avvocato o di contattare la famiglia, in uno stato di isolamento disumanizzante, sottoponendole a coercizione fisica, manipolazione psicologica e, in alcuni casi, a comportamenti che possono essere considerati torture. I detenuti non possono né dichiarare la propria innocenza, né verificare la legalità della propria detenzione presso alcun tribunale. Nella causa intrapresa dal Center for Constitutional Rights, le corti federali di grado inferiore stabilirono che i detenuti non avevano diritto di presentare istanza di habeas corpus.


Ray: Prima di andare oltre, forse dovresti spiegarci cos'è un'istanza di habeas corpus.

Ratner: Si tratta, in sostanza, di una richiesta affinché un tribunale ordini al pubblico ufficiale sotto la cui autorità una persona viene detenuta di portare il prigioniero davanti a una corte, per giustificare di fronte a quest'ultima la legalità della sua detenzione. È un elemento tipico del diritto anglo-americano che risale al XVII secolo, quando alcuni ufficiali inglesi mandavano dei prigionieri in isole e basi militari remote per impedire ogni inchiesta giudiziaria sulla loro reclusione. Il Parlamento approvò l' Habeas Corpus Act per vietare questo ricorso alle colonie penali sperdute nell'oceano, dove la legge non poteva arrivare — esattamente la pratica che l'Amministrazione Bush ha riscoperto.


Ray: A cosa serve Guantanamo?

Ratner: Lo scopo di Guantanamo è distruggere la personalità dei detenuti per carpire loro, con la violenza, tutto ciò che vogliono i loro aguzzini, far confessare loro qualsiasi cosa, accusare chiunque. Guantanamo è un carcere dove vengono praticati trattamenti crudeli, disumani e degradanti - persino la tortura - ed è assolutamente illegale. Questo è ciò che la base cubana è ed è stata per quasi tre anni. Il governo statunitense non nega che si tratti di un campo di interrogatorio, ma nega che vi si pratichi la tortura. Tuttavia, l'Amministrazione ammette di usare metodi che legalmente costituiscono trattamenti crudeli, disumani e degradanti, proibiti dalle norme del diritto. Il vero interrogativo è perché l'Amministrazione americana stia privando tutte queste persone di ogni diritto giuridico e umano, perché tagli loro la barba e li tenga chiusi in gabbia, perché non possano comunicare con le proprie famiglie, perché in molti casi queste ultime non possano neppure sapere se sono vivi o morti.


Ray: Perché ai cittadini americani dovrebbe interessare Guantanamo e ciò che sta accadendo laggiù?

Ratner: Dovrebbe interessare loro per molte ragioni.

In primo luogo, il modo in cui stiamo trattando i prigionieri a Guantanamo è scandaloso, motivo di imbarazzo per la gente di questa nazione e oltraggio ai popoli di tutto il mondo. Poter prendere qualcuno e sbatterlo in prigione su un'isola senza diritti di alcun tipo per due anni e mezzo è una cosa semplicemente disumana.

In secondo luogo, il trattamento che riserviamo a queste persone, che sono in prevalenza musulmani e di origine araba, dovrebbe essere motivo di profonda costernazione per il messaggio che invia al mondo musulmano. Guantanamo è diventata un'icona nel mondo arabo e musulmano: rappresenta il fatto che gli Stati Uniti sono nel torto e fanno del male alle persone. Se vogliamo vivere in un mondo sicuro, il messaggio che dobbiamo mandare è che tratteremo le persone non come animali, ma come esseri umani. Anche se dovremmo cercare di attenuare la rabbia verso gli Stati Uniti all'interno del mondo arabo e musulmano, non lo stiamo affatto facendo: in realtà stiamo facendo l'esatto contrario.

Terzo, dovrebbe interessarci Guantanamo perché dovremmo avere a cuore il modo in cui gli altri tratteranno i nostri concittadini. Se un americano - un soldato o un civile - viene catturato all'estero, come vogliamo che venga trattato? Vogliamo che venga trattato in modo giusto, nel rispetto delle leggi penali e delle Convenzioni di Ginevra, o vogliamo che venga trattato come noi stiamo trattando i prigionieri a Guantanamo? Gli Stati Uniti stanno dando un esempio di quale sorte possano subire i prigionieri internazionali, e si tratta di un esempio terribile.

Una quarta ragione per cui ci dovrebbe importare è ciò che tutto questo potrà implicare per il futuro dei precetti giuridici e per la struttura di società basate su questi ultimi, e non sui diktat di sovrani e presidenti. Per quasi 800 anni, da quando fu firmata la Magna Carta nel 1215, le nostre leggi hanno ribadito che ogni singolo individuo ha diritto a una qualche forma di processo giudiziario prima di essere gettato in prigione. Gli Stati Uniti stanno cercando di ribaltare uno dei principi fondamentali della giurisprudenza anglo-americana e del diritto internazionale. E si tratta di un principio che troviamo nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

Siamo regrediti a un sistema medievale anteriore alla Magna Carta: non un sistema di leggi, ma di strapotere dell'esecutivo, in cui il re - o, nel nostro caso, il Presidente - semplicemente decide, un bel giorno: "Sto per gettarti in una prigione. Non potrai vedere né un avvocato né nessun altro, non potrai sapere se sei accusato di qualcosa, o se potrai mai uscire da questa prigione". Guantanamo è diventata la nostra Devil's Island, il nostro Chàteau d'If del Conte di Montecristo.

Le conseguenze di questa abrogazione unilaterale di leggi fondamentali sono gravi non solo per le persone che si trovano a Guantanamo e per i cittadini di altri Paesi, ma anche per ogni persona che si trova negli Stati Uniti. Se abbiamo a cuore la civilizzazione e i precetti del diritto e della giustizia non possiamo continuare a trattare le persone in questo modo. Nessun posto al mondo dovrebbe sottrarsi alle regole della giustizia: in nessun luogo gli esseri umani dovrebbero essere privati dei loro diritti.

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Pagina 88

Ray: Tra coloro che sono stati liberati c'era uno spagnolo, che è stato rimpatriato per essere eventualmente posto sotto accusa nel suo paese. Raccontaci la sua storia.

Ratner: Recentemente 12 prigionieri sono stati mandati da Guantanamo nei loro paesi d'origine, per essere eventualmente incriminati. Uno di loro, Hamad Abderrahman Ahmed, era spagnolo. Anche se è stato trasferito in una prigione spagnola e anche se poteva essere accusato dalle autorità di quel Paese, si è detto "felice di essere uscito dall'inferno". In un'intervista a una radio spagnola, ha dichiarato che a Guantanamo i soldati gli tenevano premuta la testa a terra con gli anfibi, lo calpestavano e lo legavano con un laccio sottile che lo faceva sanguinare. Ha condannato il terrorismo e l'uccisione di donne e bambini, sottolineando che non aveva nulla a che vedere con al Qaeda.


Ray: Quali altre storie conosci sulle persone detenute nei campi?

Ratner: Per esempio quella di un uomo che era stato catturato in Pakistan e poi portato in Egitto, dove fu sottoposto a tortura con l'elettroshock, un trattamento che pare sia all'ordine del giorno per i prigionieri politici in quel paese. Anche alcuni dei miei clienti hanno subito questo tipo di violenza.

Un'altra persona rilasciata circa un anno dopo l'apertura del campo sosteneva di avere tra i 90 e i 100 anni d'età. Era evidentemente uno dei soggetti che suscitavano più compassione: vecchio, inerme e a malapena in grado di muoversi all'interno del campo. Era legato con le manette al girello che lo aiutava a camminare. Era incontinente. Quando camminava nella sua cella o veniva lasciato all'aperto per l'ora d'aria non faceva altro che piangere. Alcune delle persone liberate hanno parlato di altri prigionieri mandati a Guantanamo dalla Bosnia, passando per altre nazioni dove sembra siano stati ulteriormente torturati.

I miei assistiti hanno detto che la maggioranza dei prigionieri era stata catturata in Pakistan dalla polizia locale, non in Afghanistan, e molti di loro erano persone consegnate agli americani in cambio di favori o in seguito a corruzione. Quasi nessuno di loro era un combattente. Non pensavano davvero che tra loro ci fossero dei terroristi.


I bambini

Ray: Ora parliamo dei bambini. Il Pentagono ha liberato tre ragazzini di età compresa tra i 13 e i 15 anni, che erano stati tenuti in prigione in Afghanistan in quanto sospettati di essere combattenti. Quando furono arrestati avevano dagli 11 ai 13 anni d'età. E secondo la Croce Rossa ci sono altri bambini a Guantanamo. Il governo ci dice che i bambini sono stati trattati con molta delicatezza.

Ratner: In primo luogo, secondo il diritto internazionale è del tutto illegale tenere dei bambini in un campo di detenzione come quello di Guantanamo. La Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti dei Bambini stabilisce che non si può fare una cosa del genere; bisogna immediatamente avviare un processo di recupero e rimandarli a casa. Anche se si ritiene che abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, restano comunque bambini e devono essere trattati in base a un sistema giudiziario adeguato ai minori, non tenuti in un campo di prigionia.

Soltanto dopo che sono emerse alcune proteste i bambini sono stati divisi dagli altri prigionieri e messi in un campo a parte, Camp Iguana. Ma la presenza prolungata di bambini in un qualsiasi campo di prigionia in realtà costituisce un indicatore di quanto sia oltraggiosa la situazione generale di quel luogo. E le storie di questi tre bambini sono davvero angoscianti. Uno di loro, Mohammed Ismail Agha, che ora è tornato in Afghanistan, aveva probabilmente 13 anni o anche meno quando fu catturato. Dice di essere stato arrestato, mentre stava cercando lavoro, dai miliziani afghani e consegnato alle truppe americane nel 2002. Rimase in prigione per 14 mesi come sospetto terrorista, due mesi a Bagram e un anno a Guantanamo.

Dice che l'unica sua colpa è stata quella di aver cercato lavoro, perché gli ha fatto perdere un pezzo importante della sua vita. Soltanto dieci mesi dopo che era svanito nel nulla ha potuto ricevere una lettera da suo padre, che lo aveva cercato per tutto quel tempo. Ha detto: "all'inizio, quando mi hanno preso, pensavo che non mi avrebbero tenuto in prigione per molto, perché ero innocente". Quando poi lo portarono a Cuba, pensò che lo avrebbero liberato nel giro di poco tempo. Ma passò più di un anno. Questo è un caso particolarmente vergognoso, ma rientra nel modello secondo il quale gli americani stanno trattando non soltanto i bambini, ma chiunque si trovi a Guantanamo.

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Capitolo 5

Le altre gabbie del terrore

di Christian Benna e Fabio Cintolesi


"Più di tremila sospetti terroristi sono stati arrestati in numerosi paesi. Molti altri hanno incontrato un destino diverso. Diciamo che non rappresentano più un problema per gli Stati Uniti e per i nostri amici ed alleati."

È questa frase, pronunciata dal presidente George W. Bush nel suo discorso sullo stato dell'Unione, il 4 febbraio 2003, che racchiude le finalità ed il significato ultimi della "Guerra al Terrore" scatenata dagli Stati Uniti all'indomani delle stragi dell'11 settembre 2001.

A tal fine, il governo guidato da George W. Bush ha creato un vero e proprio sistema penitenziario parallelo, soggetto all'autorità del Presidente, ma non vincolato alla giurisdizione della magistratura americana e non soggetto, se non in minima parte, al controllo delle organizzazioni internazionali umanitarie.

Di questa rete, definita da alcuni osservatori la "post sept-11 web of prisons", Guantanamo non rappresenta che la punta dell'iceberg, è bene chiarirlo. L'attenzione dell'opinione pubblica si è concentrata su questa base navale statunitense, e non senza delle ragioni. In parte per il numero, circa 600, delle persone detenute; in parte per le immagini dell'arrivo dei primi prigionieri, bendati e incatenati; in parte per le notizie che si hanno sul regime di detenzione; in parte anche per la vicinanza con gli Stati Uniti e per l'essere Guantanamo parte di un antico contenzioso tra gli Usa e Cuba.

Sembra emergere però un'altra motivazione, sussurrata ma non dimostrata: cioè che la grande attenzione dei media e dei gruppi per la difesa dei diritti umani sia stata "agevolata", è proprio il caso di dirlo, da una serie di azioni ben congeniate dall'Amministrazione Bush. Solo inquadrando tutto il problema in questa ottica, infatti, si può capire il perché di scelte apparentemente maldestre o controproducenti, come la stessa decisione di trasferire in maniera così plateale (chi non ricorda i prigionieri vestiti di arancione all'arrivo?) un significativo numero di prigionieri in un luogo così poco appartato, se lo si paragona alle "discrete" valli montane dell'Afghanistan.

Allo stesso modo diventano meglio comprensibili anche le strane e inspiegabili fughe di notizie riguardo il regime di detenzione e le torture e i maltrattamenti subiti dai prigionieri.

Ma perché l'Amministrazione avrebbe dovuto costruire un castello mediatico così complesso intorno a una situazione oggettivamente assai scabrosa per la Casa Bianca? Ci sono diverse motivazioni che potrebbero spiegare una tale condotta. La prima, la più immediata è che la grande visibilità di Guantanamo serve a sviare l'attenzione dal resto della rete detentiva creata dall'Amministrazione Bush fra il 2001 e oggi.

Si scoprono e si stigmatizzano i peccati "veniali" di Guantanamo e ben poco si sa di ciò che succede in altri luoghi, sparsi per i quattro angoli del globo e assai meno in vista. Luoghi di prigionia di cui spesso si conosce soltanto il nome, quando lo si conosce, posti non solo in Afghanistan e in Iraq, ma anche negli stessi Stati Uniti, in Pakistan, in Giordania, su isole sperdute e addirittura su navi militari in navigazione.

Non solo territori controllati direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti, quindi, ma anche alcuni Paesi del Terzo Mondo notori per lo scarso rispetto dei diritti umani e guidati da governi molto vicini agli Stati Uniti. L'esistenza di questi luoghi di detenzione, e il loro uso da parte dei militari o dei servizi segreti Usa, non sono mai stati confermati ufficialmente dai governi interessati e, a tutt'oggi, se ne ha notizia solo da alcune inchieste giornalistiche.

Luoghi di detenzione che Deborah Pearlstein, di Human Rights First, ha definito, con amara ironia, "prigioni off shore" e che determinano una situazione quanto meno bizzarra, sotto il profilo legale e giurisdizionale, rendendo contemporaneamente possibili (e probabili, nell'assenza di controlli legali sull'operato del personale) abusi di ogni genere. Siamo in presenza, infatti, di carceri poste nei territori di uno Stato, ma che sono di fatto sotto l'autorità di un altro. Per i prigionieri, questo significa, come lungamente evidenziato da Michael Ratner, l'essere sottoposti al pieno e incontrollato potere, assolutamente discrezionale, dei loro carcerieri, senza possibilità di appello o verifica da parte di una autorità legale superiore - situazione anomala da ogni punto di vista. Questa anomalia permette però all'intelligence Usa di "sondare", senza conseguenze e senza troppi problemi, i malcapitati finiti in questo nuovo e poco noto "arcipelago gulag", soprattutto per quanto riguarda i suoi luoghi più lontani dai riflettori.

Ci sono poi altri indizi che rafforzano l'impressione di trovarsi di fronte a una manovra ben congeniata per indirizzare e orientare i media e quindi l'opinione pubblica. Innanzitutto, come già ricordato, l'estrema confusione e poca trasparenza sullo status dei detenuti, riguardo ai quali tutto è dubbio: dalla loro stessa definizione; alle regole in base alle quali i prigionieri devono essere trattati e anche quali soggetti, se l'Esercito, la CIA, il Dipartimento alla Giustizia o altre agenzie governative, controllino effettivamente questi campi di prigionia. Sulla impossibilità di definire una chiara competenza giurisdizionale per Guantanamo, già si è detto nella prima parte di questo libro. Ma emergono poi altri problemi. Ad esempio, in momenti diversi il presidente Bush e i suoi collaboratori hanno definito i prigionieri fatti in Afghanistan o altrove e accusati di essere "terroristi" o appartenenti ad al Quaeda come "nemici combattenti", "nemici fuorilegge" o altro. Precisando, sempre, che a essi non erano applicabili le disposizioni sui prigionieri di guerra previste dalle Convenzioni di Ginevra.

Queste stesse convenzioni, però, risultano, almeno ufficialmente, tuttora in vigore in Iraq, e sottoscritte tanto dall'Iraq quanto dagli stessi Stati Uniti. Anche se ciò non ha impedito gli abusi e le vere e proprie torture perpetrati dai soldati Usa e dagli uomini della CIA ai danni dei prigionieri iracheni rinchiusi ad Abu Ghraib, rimane il fatto che questa discrasia legale, se di legalità si può parlare, rispetto, ad esempio, agli uomini catturati in Afghanistan, contribuisce non poco ad alimentare la confusione.

Come se ciò non bastasse, è praticamente impossibile sapere a chi facciano capo i vari campi sparsi per mezzo mondo. È chiaro che ognuna di queste strutture, in ultima istanza, faccia riferimento al governo degli Stati Uniti, ma attraverso quale ente, quale agenzia? Guantanamo e Charleston (dove probabilmente sono rinchiusi i due unici cittadini americani catturati in base al discusso Patriot Act) sono basi della marina militare; Abu Ghraib in Iraq e la base aerea di Bagram, in Afghanistan, dipendono dal CENTCOM, il comando delle forze Usa per il Medio Oriente. Altri centri di prigionia sparsi tra Iraq e Afghanistan dipendono da vari reparti dell'Esercito e dei Marines. Su tutti l'intelligence esercita un certo grado di controllo. Questo problema, apparentemente di secondaria importanza, in realtà è cruciale. L'impossibilità per qualsiasi organismo esterno di conoscere la catena di comando, cioè chi comanda chi, non fa altro che moltiplicare le possibilità di abusi di ogni genere ai danni dei reclusi in queste strutture.

Se non si vede chiaramente la catena di comando, si intravede però un filo rosso che unisce tutti questi luoghi. Indicazioni, metodi di interrogatori, uomini o donne che puntualmente ricorrono nelle cronache che ci arrivano tra Bagram e Abu Ghraib.

Un nome su tutti è quello di Carolyn Woods, capitano del 519° battaglione dell'intelligente dell'esercito. È lei, infatti, che a Bagram aveva sovrainteso agli interrogatori dei sospetti talebani catturati dopo la caduta del regime guidato dal mullah Omar. Trasferita insieme alla sua unità ad Abu Ghraib, Woods affigge alle pareti del carcere, un vero e proprio manifesto del perfetto inquisitore. Le posizioni in cui fare l'interrogatorio, l'isolamento, la privazione del sonno e quella sensoriale.

Sembra davvero poco credibile che un oscuro capitano, anche se appartenente all'intelligence, abbia avuto il potere, da solo, di indicare modalità e tecniche di interrogatorio in aperta violazione delle Convenzioni di Ginevra e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Personaggio misterioso, il capitano Woods. Almeno a paragone di Lynndye Holland, la funesta soldatessa semplice salita alla ribalta della cronaca per le oscene e orribili foto di Abu Ghraib, dove portava al guinzaglio un prigioniero iracheno nudo. Abbiamo saputo del processo, della blanda condanna, dell'espulsione dall'esercito. Da poco, le agenzie di stampa hanno dato l'annuncio che la ventunenne Holland è diventata madre. Nella società dell'informazione globale, però, di Carolyn Woods si sono perse le tracce. Non una notizia, non un procedimento disciplinare, almeno nessuno di cui si abbia notizia. Neanche la commissione d'inchiesta del Senato Usa che indaga sulle torture di Abu Ghraib ha ritenuto importante ascoltare questo solerte ufficiale dell'esercito.

Se fosse vero, come è plausibile, che il governo degli Stati Uniti ha fatto filtrare ad arte le notizie, anche quelle scomode, su Guantanamo, rimarrebbe comunque aperto il problema di quali finalità si è data l'Amministrazione Bush con queste scelte. La volontà di sviare l'attenzione da altri luoghi di detenzione, forse, ma non solo. C'è probabilmente dell'altro.

Forse un effetto collaterale o forse una vera propria strategia basata sulla deterrenza e sul terrore. Nessuno o quasi può dirlo con certezza, si possono soltanto azzardare delle ipotesi, nessuna verificabile.

Rimanendo ai fatti e alle circostanze accertate, quello che abbiamo, nel contesto di "aperta anomalia" legale e di impossibilità di sicura individuazione delle competenze che dobbiamo sempre tenere presente, è l'esistenza di due luoghi precisi - Guantanamo e Abu Ghraib - sui quali, in momenti diversi, tutti i riflettori si sono accesi e abbiamo saputo di abusi e vere torture; luoghi però che non possono essere considerati isolatamente ma vanno inseriti in una vasta rete di "prigioni off shore" che comprende molte altre basi e installazioni.

A legare fra loro gli atolli di questo "arcipelago gulag" del ventunesimo secolo, come abbiamo visto, una serie di costanti - nomi, tecniche, indeterminatezza legale e delle responsabilità - al loro interno, e un quadro comune le cui caratteristiche salienti sono una vasta campagna di carcerazione "preventiva", come preventiva è stata chiamata la guerra, e il suo situarsi in uno spazio di vera e propria "sospensione del diritto", spazio ottenuto dall'esecutivo con i più diversi artifici e nel quale l'esecutivo è di fatto sciolto da ogni controllo sul suo operato.

Appuntare l'attenzione sull'insieme di questi luoghi, sia su quelli che hanno avuto breve notorietà poi rapidamente declinata, sia quelli di cui possiamo dire qualcosa soltanto grazie a poche inchieste e notizie filtrate, ci aiuta, pur nella frammentarietà e parzialità delle informazioni, a intravvedere un quadro molto più complesso e sfaccettato e a guardare diversamente anche a quei pochi dei quali, apparentemente, ci è stato detto tutto. Mentre quasi sicuramente essi, e ciò che ne abbiamo saputo, costituiscono soltanto la punta di un iceberg dai contorni tuttora indefiniti, della cui portata e delle cui conseguenze non potremo disinteressarci.

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